[Diecielode] KAT-TUN - Hold me Kowareru Made 04

Nov 13, 2011 16:11

Tabella: wTunes Playlist
Claim: [KAT-TUN] Kamenashi Kazuya, Akanishi Jin, Taguchi Junnosuke, Tanaka Koki
Prompt: “Guardando indietro alla distanza fra me e te, mi hai insegnato che non sono da solo” (Aishiteru Kara, Kamenashi Kazuya)

Titolo: Hold me Kowareru Made (Stringimi finché non mi spezzo)  - Aishiteru Kara (Perché ti amo)
Beta Reader: Simph
Personaggi/Pairing: Kamenashi Kazuya, Akanishi Jin, Akame
Rating: PG-13
Warning: Malinconico
Word Count: 1.494
Introduzione: “Ci credeva. Credeva davvero che la distanza non contasse, che avrebbe amato Kazuya mentre era in America così come lo amava a dieci centimetri di distanza da lui.”

Aishiteru Kara

Jin non ne poteva più di valigie.
Erano giorni che tirava fuori i vestiti dagli armadi, che impacchettava libri, cd... tutte le cose che possedeva, tutto quello che c’era in quella casa, che aveva accumulato negli anni.
Poi era stata la volta di tutte quelle cose che aveva comprato insieme a Kame, ma quelle non le aveva toccate. Avrebbe voluto portarle con sé, ma una parte di lui trovava più giusto che rimanessero lì, nella casa che condividevano.
E questo avrebbe evitato anche liti con il più piccolo su chi avrebbe dovuto tenere cosa; sarebbe stato squallido, gli sarebbe parsa una scena troppo da divorzio. E non aveva la minima intenzione di far sembrare la sua partenza un addio.
Durante quei giorni, Kamenashi aveva continuato a girare per casa, ogni tanto dandogli una mano a mettere cose in valigia, ma la maggior parte del tempo rimanendo seduto in disparte, a guardarlo.
Erano state delle settimane infernali.
Avevano ignorato la partenza di Jin, non ne avevano più parlato; continuavano a fare la solita vita, ma seguendo un tacito accordo entrambi si erano fatti più vicini: passavano insieme ogni attimo libero, per pochi che fossero, la sera andavano a letto e quasi ogni notte facevano sesso fino allo sfinimento, fino a cadere addormentati, senza dover essere preda dei propri pensieri.
Sarebbe partito il giorno dopo, e fra loro c’erano ancora troppe cose che non erano state dette.
Finì di sistemare le ultime cose, mentre Kame lo guardava, seduto sul letto. Lo fissò a sua volta, andando a sedersi accanto a lui e prendendogli la mano, cominciando a giocarci senza prestarvi troppa attenzione.
“Hai finito?” domandò il più piccolo, indicando le valigie con un cenno della testa. Akanishi annuì, mordendosi un labbro e voltandosi a guardarlo, non ricambiato.
Il più piccolo aveva lo sguardo perso nel vuoto, un’espressione severa sul volto.
Jin s’intristì; Kame, a differenza sua, non aveva versato una lacrima. Non avrebbe saputo come interpretare questo fatto. Che non volesse mostrarsi debole, che non ci riuscisse, che semplicemente non volesse piangere... gli avrebbe lasciato i suoi tempi, come aveva sempre fatto.
“Cosa ti va di fare?” gli domandò, stringendo la presa sulla mano. Il più piccolo scrollò le spalle, finalmente voltandosi a guardarlo.
Aveva un mezzo sorriso sul volto, un mezzo sorriso a cui Jin non credeva.
“Niente di particolare. Non credo che cambierebbe molto ormai qualsiasi cosa decidessimo di fare insieme” gli rispose, amaro.
Jin lo abbracciò, istintivamente.
Che lo volesse mostrare o meno, Kame soffriva. E sapere di essere la causa di quella sofferenza, lo faceva sentire ancora peggio di quanto già non si sentisse.
“Vorrei restare, lo sai. Vorrei rimanere qui accanto a te per sempre, in questa casa, senza separarmi mai da te. Lo sai questo. Che cosa posso fare?” gli chiese, sentendosi nuovamente sull’orlo di una crisi di pianto.
Kamenashi si alzò in piedi, il respiro affannato come se avesse appena finito di correre; si voltò a guardarlo, e Jin lesse nei suoi occhi molto più della tristezza. Quasi... disperazione, avrebbe detto.
“Non te ne andare, allora. Non sei costretto, se non vuoi” sputò le parole, con rabbia, probabilmente pentendosi immediatamente di quello che aveva appena detto.
Ma ormai, si rese conto Jin, non cambiava nulla; né quello che dicevano né quello che facevano sarebbe servito a farli stare meglio.
“Tu rimarresti?” chiese, con voce flebile. Kame prese a fissare il pavimento, prima di scuotere leggermente la testa.
“Probabilmente no. Probabilmente penserei che la distanza non conta, se io e te ci amiamo davvero. Che non importa quanto siamo lontani, io e te siamo sempre noi due” sorrise, con una nota di sarcasmo “Questo è quello che penserei, se non fossi quello che viene lasciato indietro” concluse.
Akanishi si alzò in piedi, di scatto.
Per la prima volta, provò l’istinto di fargli del male.
Odiava il modo in cui le sue parole lo facevano sentire.
Odiava pensare che quello che lui aveva appena detto, erano i suoi esatti pensieri.
Ci credeva. Credeva davvero che la distanza non contasse, che avrebbe amato Kazuya mentre era in America così come lo amava a dieci centimetri di distanza da lui.
“Sei un egoista” gli disse, senza mai perdere il contatto visivo. Guardarlo era l’unica cosa che gli era rimasta, in quel momento.
Fu in quel momento in cui probabilmente Kame non riuscì più a reggere il peso della tensione.
Una, due lacrime... e quando non riuscì più a trattenersi pianse. Come Jin non l’aveva mai visto piangere.
Si avvicinò lentamente, quasi come se avesse paura di toccarlo. Poi finalmente lo abbracciò, per venire scosso dai suoi stessi singhiozzi, per sentire il calore del suo viso umido sul collo, per stringerlo a sé. Per fingere di non doverlo lasciare andare mai più.
Rimasero immobili per dei minuti, il silenzio spezzato solo dal pianto.
Quando si separarono, Jin sorrise istintivamente guardando l’altro, gli occhi rossi e gonfi, il volto rigato.
Lo accarezzò, lievemente, facendo sorridere anche lui.
Lo prese di nuovo per mano, e insieme si stesero sul letto, l’uno di fronte all’altro, il braccio di Jin intorno alla vita di Kame, perché aveva bisogno anche del più piccolo contatto.
“Quando sei andato in America, quei sei mesi... li ho sopportati perché sapevo che saresti tornato. Perché venivi in Giappone, venivi a trovare gli altri. Venivi a vedere me. Attenderti è stato bello quasi quanto averti qui” tentennò per un secondo, passandosi la lingua sul labbro inferiore, poi si alzò dal letto e si diresse verso la scrivania. Tornò da Jin con in mano un quaderno. Lo sfogliò concitatamente, e il più grande vide scorrere velocemente testi di canzoni.
Quando si fermò, gli mostrò la pagina, indicando con la mano una frase.
“Guardando indietro alla distanza fra me e te, mi hai insegnato che non sono da solo” lesse, poi si lasciò sfuggire un sorriso. “Aishiteru kara” aggiunse, citando il titolo del solo di Kame, il quale annuì, chinando la testa.
“Più o meno è quello che ho pensato qualche anno fa, quando sei tornato. Che anche se eravamo lontani, non ero da solo. Non... non mi hai fatto sentire così.”
Jin lo fissò, impedendosi di farsi venire per l’ennesima volta le lacrime agli occhi.
Quello era Kame. Non gli piaceva quando fingeva di essere più forte di quanto in effetti fosse, puramente a suo beneficio.
Gli piaceva quando mostrava le sue debolezze.
Gli piacevano i suoi sorrisi e le sue lacrime.
Gli piaceva quando si abbandonava addosso a lui, chiedendogli in silenzio un abbraccio.
Quando ammetteva di non essere in grado di sopportare qualcosa.
Gli piacevano tutte queste cose di lui, erano tutti i motivi per cui l’amava, per cui avrebbe continuato ad amarlo.
Si avvicinò, poggiando la fronte contro la sua.
“Ti amo, stupido idiota” gli disse sorridendo, felice come non mai di vedere l’altro ricambiare.
“Ti amo anch’io. Io... mi dispiace per quello che ti ho detto. È solo che non so come affrontare tutto questo. Prendersela con te è più facile” spiegò, arrossendo lievemente.
Jin annuì, stringendo la presa su di lui.
“Lo so. E non importa, davvero. Prenditela con me quanto ti pare, tanto tornerò sempre indietro da te”.
Sorrisero entrambi, poi si lasciarono cadere sul materasso.
Jin lo sapeva, non ci sarebbe stato più troppo spazio per i sorrisi il giorno dopo, né durante i giorni a venire.
Voleva godersi quel momento, prenderlo così com’era. Avere ancora la possibilità di sentire ancora il calore della pelle di Kame contro la sua, fin quando ancora gli era accanto.
Senza pensare a tutti i momenti in cui non avrebbe potuto farlo.

*******

Era sull’aereo.
All’aeroporto, era andata meglio di quanto credesse. Aveva abbracciato i ragazzi, attardandosi solo un po’ di più con Kame.
Nel bel mezzo di Narita, del resto, non avrebbe potuto permettersi di più.
Gli aveva promesso di chiamarlo quando fosse arrivato, subito ripreso da Ueda che si era fatto promettere la medesima cosa.
Non era stato triste, drammatico o tragico come prevedeva; o forse gli altri avevano fatto in modo che andasse così.
Si mise gli auricolari, deciso a dormire almeno un po’ durante il volo, dato che quella notte era riuscito a riposare poco e niente.
Stava per prendere sonno, quando si rese conto che quella che stava ascoltando era la voce di Kame.
Sorrise, tristemente.
Non era certo di riuscire a farcela. Non era certo di quello che sarebbe accaduto a lui, a entrambi.
Poteva solo aspettare e sperare che tutto andasse per il meglio, e così avrebbe dovuto fare anche l’altro.
Si addormentò, con l’immagine di Kazuya nella mente.
Era la cosa migliore che potesse desiderare per se stesso in quel momento.

Hatenaku tsudzuku michi no naka ni kimi wa nani wo omou no
Wasurenaide sono kokoro no soba ni sotto isasete...
*
In mezzo a questa strada che va avanti in eterno mi domando cosa tu stia pensando
Non dimenticarlo mai, lascia che io stia dolcemente vicino al tuo cuore...
[Aishiteru Kara, Kamenashi Kazuya]
 

group: kat-tun, kat-tun: akanishi jin, challenge: diecielode [wtunes playlist], pairing: akame, kat-tun: kamenashi kazuya

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