{merlin bbc} quickening days (2/3)

Jul 05, 2011 02:05

Titolo: Quickening Days (vedi note)
Autrice: fahye 
Traduttrice: thebettyboing 
Fandom: Merlin BBC
Pairing: Arthur/Merlin
Parte: 2/3
Rating: R
Avvertimenti: Slash
Conteggio Parole: 7062
Trama: In cui vengono affrontati draghi, fantasmi e pregiudizi, Merlin indossa un cappello (due volte) e un vestito (una volta), Arthur rompe del vasellame (molte volte), ci sono più scherzi che lotte coi cuscini ma almeno una di entrambi, e molti segreti vengono rivelati.
Note: Il titolo deriva dal fatto che in inglese (lingua originale del racconto, nd) la pianta di sorba selvatica (rowan tree) viene chiamata anche col nome di Quicken (dio benedica Wikipedia).
L’ambientazione è quella della prima serie.
Tutti i commenti verranno tradotti e mandati all’autrice del racconto in lingua originale.


(part one)

~

La mattina dopo Arthur si svegliò prima che arrivasse Merlin. La sua mente era ancora irrequieta, e decise di vestirsi con degli abiti palesemente diversi da quelli del giorno prima, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata al vaso blu che svettava perfettamente intatto sopra al tavolo.

Merlin non fece molto di più che aprire la porta, accorgersi che Arthur era già pronto e vestito seduto sul bordo del letto, e chiamarlo con un cenno del capo. Percorsero la strada verso la camera di Morgana in silenzio e vi si intrufolarono per unirsi al solito quadretto. Ad Arthur non piaceva il fatto che non riusciva quasi più a ricordare come fosse Morgana quando non era in quel modo, e accidenti a lui, Merlin aveva ragione: nel guardarla lì distesa, turbata in un inquieto silenzio e in un’ansiosa immobilità, Arthur non riusciva ad immaginarla come una maga malvagia. Era solo Morgana, e qualsiasi cosa stesse Vedendo le stava di certo procurando enorme angoscia, e il vano dolore che cresceva nel petto di Arthur ogni qualvolta che emetteva un gemito si rifiutava di andarsene semplicemente a causa di questa sua nuova consapevolezza.

Questa volta Arthur ordinò la colazione solo per una persona al servitore nel corridoio, lasciò che Merlin si scusasse con Gwen, e poi i due seguirono Gaius nelle sue stanze.

“Credo di aver trovato un precedente,” disse Gaius senza molti preamboli, non appena la porta fu chiusa, “negli scritti di un mago estremamente potente che visse durante il secolo scorso. Una volta, la Veggente del suo borgo ebbe una visione talmente vivida di un evento così terrificante che decise di intrappolare la città in un giorno che si ripeteva, come questo, in modo da evitare che si verificasse.” Fece una pausa, e si voltò con un vecchio libro sciupato fra le mani. “Il mago era un vero esperto di arti magiche, e abbastanza potente da poter vivere in maniera lineare nello stesso modo in cui lo stiamo facendo noi ora con l’aiuto della sorba, tuttavia si rese conto della gravità della situazione troppo tardi. Scoprì un modo per svegliare la Veggente, ma il giorno dopo il disastro - si trattava di un terribile incendio, appiccato per sbaglio in piena siccità - rase al suolo gran parte del villaggio.”

“Quindi lo sta facendo di proposito?” domandò Arthur.

Gaius scosse la testa. “Per qualunque altro Veggente quello sarebbe il caso, ma Morgana non è allenata nelle sue capacità divinatorie e dunque ha molto poco controllo su quello che deve essere un’enorme quantità di potere. Da anni si rivolge a me per sopprimere totalmente i suoi sogni, come saprete, e non è mai stata in grado di utilizzare le sue abilità di profeta di sua spontanea volontà. No; ritengo che nel caso di Morgana il suo desiderio di evitare che questo temuto evento si verifichi sia abbastanza forte, ed il suo grezzo potere abbastanza grande, che il circolo si sia creato spontaneamente.”

“Ci sta proteggendo,” disse Merlin con dolcezza. “Non c’è nulla di cattivo in questo.”

Gaius gli lanciò un’occhiata tagliente che Arthur non riuscì a decifrare. “Infatti. Anche se sono sicuro che non ci sia bisogno di dirvi che non tutti in Camelot passerebbero volentieri oltre al fatto che il suo potere sta attualmente esercitando controllo sulla vita di molti individui.”

“Le persone dovrebbero essere giudicate dalle loro intenzioni,” disse Merlin, e adesso il suo sguardo era indubbiamente puntato verso Arthur. “Non da qualcosa con cui sono nati, e che non dipende da loro.”

Arthur pensò a William, e non ne fu per niente sorpreso. Anche se la sensazione di star ricevendo la ramanzina dalle persone che tecnicamente erano al suo servizio non gli piaceva più di tanto, non gli riusciva nemmeno di essere in disaccordo con lui. “Questo disastro,” disse, rifiutandosi di continuare sull’argomento; c’erano questioni più urgenti di cui occuparsi, “se riuscissimo a svegliare Morgana, accadrebbe domani?”

“È molto probabile,” ammise Gaius. “Questo è l’ultimo giorno sicuro, quindi questo è il giorno in cui dobbiamo continuare a vivere.”

“Perciò, tutto quello che dobbiamo fare è fermare questo evento terribile e solo dopo svegliarla.” Un mesto sorriso spuntò sul volto di Merlin. “Facile.”

Arthur sbuffò. “E cosa suggerisci di fare per scoprire e impedire che avvenga qualcosa che non è ancora successo? Non è che possiamo andare da Morgana e chiederle che cosa stia Vedendo.”

Gaius riaprì tutt’a un tratto il grosso volume e cominciò a sfogliarlo. “Forse no, ma... c’è una possibilità che possa dircelo lo stesso. Merlin, mi servono delle foglie di cedro, e del miele di trifoglio, e la boccetta verde muschio in fondo a destra sullo scaffale più in alto.”

“La prendo io.” Arthur odiava starsene inutile a far niente quando c’era finalmente la possibilità di poter fare qualcosa per uscire da quella situazione. Individuò lo scaffale e la boccetta con rapidità, e la ammucchiò alla piccola pila di oggetti che stava crescendo velocemente sul tavolo. Gaius lavorava con abile precisione, e Arthur rimase ad ammirarlo nella stessa maniera in cui ammirava il movimento del polso di Gwen quando stendeva le lenzuola o piegava la sua cotta di maglia, e nella stessa maniera in cui ammirava la grazia con cui Lancelot sfoderava la sua spada; ad Arthur piaceva vedere le cose eseguite con maestria dagli esperti del settore.

“Oh, adesso ho capito,” mormorò Merlin, sbirciando da sopra la spalla di Gaius mentre la pozione prendeva forma. Cominciò a frizzare. Arthur sperò che fosse un buon segno. “È il contrario di quella che le dai di solito.”

“Esattamente.” Gaius versò qualche goccia dalla boccetta verde dentro la ciotola e il liquido esalò l’ultima effervescenza con uno sbuffo. “Odio doverlo fare a sua signoria, ma questo renderà i suoi sogni peggiori. Quando l’ho lasciata stava cercando di dire qualcosa; parrebbe logico che più le sue visioni sono vivide, maggiori sono le probabilità che parli.”

“È la migliore idea che abbiamo?” chiese Arthur.

“È l’unica idea che ho, vostra altezza.” Gaius diede una rapida mescolata al contenuto della ciotola prima di lanciare ad Arthur un’occhiata stizzita, che gli ricordò moltissimo quella che gli faceva Merlin dopo avergli ordinato di pulire le stalle o indossare cappelli piumati o altre cose del genere. Riflettendoci meglio, probabilmente era Merlin ad averla presa da Gaius. “A meno che non desideriate suggerirne una migliore...?”

“D’accordo,” sospirò Arthur, “proviamoci.”

Quando la pozione fu pronta, Gaius andò da Gwen da solo; non fu difficile convincerla a lasciargli dare il cambio per un’oretta, mentre lei poteva andarsi a rifocillare e a prendere un po’ d’aria fresca. Arthur si nascose dietro l’angolo insieme a Merlin, e pensò che fosse alquanto ridicolo il fatto che stesse diventando quasi un’abitudine per lui aggirarsi furtivamente per il suo stesso castello.

“Questo mi è...” cominciò, e Merlin sorrise quando i loro sguardi si incontrarono.

“...familiare?”

“Sono convinto che tu abbia una cattiva influenza su di me, Merlin. Sei pronto?”

“Gwen se n’è andata.” Merlin gli fece un cenno col capo e raggiunsero Gaius in camera di Morgana. La trovarono in una posizione diversa rispetto a quella mattina, i suoi capelli aggrovigliati su un lato del collo e un braccio che pendeva con un’angolazione innaturale.

“Mi dispiace molto per questo, mia cara,” mormorò Gaius, e inclinò delicatamente la boccetta rovesciandone con cura il contenuto nella sua bocca. Morgana tossicchiò e parte della pozione le si versò giù lungo il suo mento, dove Gaius la asciugò col bordo della manica, ma sembrò averne ingoiato la maggior parte.

Seguì un lungo silenzio.

“Per quanto tempo--?” cominciò Merlin, ma fu interrotto quando Morgana emise un rantolo così forte e così improvviso che Arthur fu certo che si fosse svegliata.

“No.” Gridò a piena voce. “No, non è possibile - deve finire. Fa troppo - troppo rumore, non riesco - Arthur.”

Arthur era riuscito a sopravvivere a moltissimi pericoli e aveva fronteggiato innumerevoli nemici, e sapeva bene cosa fosse la paura -- non importa quanto risultasse utile far finta che non fosse così -- ma non aveva mai assistito a nulla di tanto terrificante quanto le grida disperate di Morgana e fra di esse, straziante come il suono della tortura, il suo nome, che si levò dalla bocca della giovane in un urlo lacerante.

“Non Arthur, ti prego, no, no,” e Arthur non ebbe più la forza di guardarla, così spostò lo sguardo ai lati del letto e si concentrò sulla mano di Merlin, le nocche sbiancate dalla tensione con cui stringeva la colonna del baldacchino, e sull’espressione di tormentata paura nel volto di Merlin. Voleva fare qualcosa, forse tirargli uno schiaffo e dirgli che era un idiota che si preoccupava troppo, e l’atto stesso di volerlo confortare riuscì in qualche modo a placare il terrore che dilaniava dentro di lui.

“Morgana.” Gaius strinse la sua mano, e sembrò riuscire a farla calmare, anche se il suo corpo era tutto un fremito e profondi solchi le attraversavano la fronte. “Lady Morgana, dovete dirci che cos’è che sta arrivando.”

“Fa troppo rumore,” ripeté Morgana, poi la sua schiena si inarcò e dei tremiti freddi le scossero tutto il corpo.

“È davvero necessario -” la voce di Merlin era acuta e tremolante, ma ancora una volta Morgana lo interruppe.

“Non riesco a sentire, non riesco a vedere, perché non smette di gridare -”

“Cosa sta gridando?” E nel sentire il suono della sua stessa voce, qualcosa cominciò a risvegliarsi nella memoria di Arthur. “Morgana, che cos’è?”

Morgana si immobilizzò. Il suo mento iniziò a muoversi da una parte all’altra, ansimante, come se fosse ubriaca e fosse alla ricerca di qualcosa. “Il drago,” disse in un soffio, talmente piano che Arthur dovette fare uno sforzo per sentirla. “Il drago sta gridando.”

Gaius le tirò lievemente la mano. “Morgana. Che altro?” Ma lei era tornata al suo stato originario, quasi immobile, solo a tratti frammenti fugaci di espressioni illuminavano di vita il suo volto altrimenti statuario. “Questo è tutto ciò che ci dirà, temo,” disse Gaius. “La sua mente la sta proteggendo, proprio come sta proteggendo noi. Non la forzerò ad affrontarlo per timore che possa danneggiare seriamente la sua sanità.”

Arthur si rese conto che aveva assoluto bisogno di sedersi con urgenza. Si sistemò sul bordo del letto di Morgana, riuscendo a farlo sembrare un gesto casuale piuttosto che qualcosa di necessario perché le sue ginocchia si stavano trasformando in gelatina. “C’era un ragazzo,” disse, prima di poterci ragionare più di tanto, “un ragazzo venuto a Camelot da uno dei villaggi vicini, ci ho parlato ieri. Il nostro ieri. Ha detto qualcosa riguardo a un fantasma urlante, e che cercava protezione per il suo villaggio.”

Gaius aggrottò le sopracciglia. “Non è molto come pista da seguire. Ma se è tutto ciò che abbiamo... un fantasma, hai detto? Non un drago?”

Arthur riportò quanto riusciva a ricordare di quello che il ragazzo gli aveva detto: la storia nata dietro a quegli strani avvenimenti, e il fatto che le grida stavano diventando sempre più frequenti. “Credo che il ‘fantasma’ sia solo la storia che hanno creato intorno a queste urla, quindi forse... ma non vedo come possa essere, i draghi sono stati sterminati, li hanno...” Arthur si bloccò nel cogliere lo sguardo di Merlin; non gli fu difficile decifrarlo, perché ne stava lanciando uno identico in sua direzione. “Andiamo,” disse con tono autoritario.

“Merlin!” chiamò Gaius mentre si allontanavano. “Fa’ attenzione.”

Era in un certo senso consolante sapere che Merlin prestava tanta poca attenzione agli ordini di Gaius quanta ne prestava a quelli di Arthur; non appena raggiunsero la caverna, Merlin si precipitò quasi sul bordo della rupe e gridò, “Ehi! Dobbiamo parlarti!” come se stesse cercando di richiamare l’attenzione di un pigro asino da soma, e non quella di una bestia che avrebbe potuto arrostirlo nel giro di un secondo.

Il Drago si svegliò, aprendo prima un occhio e poi l’altro. “Non credo che sia così,” disse. “Avete tutte le informazioni di cui avete bisogno.”

“Il terribile evento da cui Morgana ci sta proteggendo,” cominciò Merlin, poi si fermò e lanciò ad Arthur un’occhiata incerta.

Arthur sollevò la testa. Forse ricevere delle risposte schiette poteva essere impossibile, ma aveva pur sempre il sacrosanto diritto di fare delle domande schiette. “Ci sono altri draghi sopravvissuti, oltre a te?”

“Uther era cieco nel suo odio e nella sua rabbia,” rispose il Drago con freddezza.

“Cieco nel senso che potrebbe averne mancato qualcuno?” attaccò Merlin. “Quindi che dobbiamo fare? Presumo che non sia il nostro destino lasciare che distrugga Camelot.”

“Tu possiedi le informazioni che ti servono per realizzare il tuo destino, Merlin.” Ci fu una pausa in cui il Drago spostò un artiglio e una pioggia di ciottoli si rovesciò nel baratro. “E il giovane principe riceverà tutto ciò di cui lui necessita, fra non molto.”

“Cosa vuoi dire?” Arthur percepì una nota di panico nella voce di Merlin, e gli lanciò un’occhiata confusa.

“Non hai bisogno che te lo dica io,” gli disse il Drago. Tutto ciò non li stava portando proprio da nessuna parte.

“Andiamo, Merlin, stiamo solo perdendo tempo.” Arthur girò i tacchi e cercò di scacciare via dalla testa l’immagine delle lingue di fuoco solleticargli la schiena. E con deliberato sprezzo dei suoi stessi nervi, aggiunse, “Troveremo un modo di uccidere il drago da soli.”

Un lungo gemito, tormentato e sofferente come il suono di un antico lamento, li seguì su per la scalinata.

“E adesso?” chiese Merlin.

“Adesso vado a parlare di nuovo con il ragazzo del villaggio,” dichiarò Arthur, “nel frattempo tu vai a recuperare la mia armatura e le armi, e prendine una in più anche per te. Le tue abilità nel combattimento sono pari a quelle di una lattaia che sventola un pesce bagnato, e non sarà molto utile se dobbiamo uccidere un drago.”

“Ma non sappiamo come fare per -”

“Armi e armatura, Merlin.” Arthur lo spinse in direzione dell’armeria. Finora quell’avventura era stata solo chiacchiere e libri e ricette e altre chiacchiere, e Arthur era impaziente di procedere e arrivare alla parte in cui era effettivamente bravo in qualcosa. Gli ci volle un po’ di tempo per riuscire a rintracciare il ragazzo - per prima cosa dovette trovare il maggiordomo, che sembrò stupirsi del fatto che Arthur fosse a conoscenza dell’esistenza del ragazzo, e gli disse che l’aveva già mandato via.

“Ma sta ancora gironzolando fuori dalle mura del castello, sire,” aggiunse, proprio quando Arthur stava per tirar giù qualche santo. “Perdonatemi, ero convinto che avrebbe solamente sprecato il vostro tempo. La colpa è interamente mia.”

Con un cenno della mano parò le scuse del maggiordomo e andò a cercare il ragazzo. Si riascoltò la replica della storia ritmandola nervosamente con il piede, e partì subito in quarta con le domande: no, nessuno aveva mai visto il fantasma, e sì, poteva essere che le grida fossero cominciate venti anni fa. Arthur scoprì anche che il ragazzo si chiamava Edward e che il villaggio in questione vantava dello straordinariamente privo di fantasia nome di Fiumevicino.

“Perché si trova vicino a un fiume,” spiegò Edward, che sembrava stare ancora elaborando la sua delusione di fronte alla scoperta che Arthur non era particolarmente brillante. Cosa che era decisamente ingiusta, considerando che, almeno per quanto riguardava Edward, quella era la prima volta che si parlavano.

Arthur si fece dare dal ragazzo alcune indicazioni più dettagliate su come raggiungere il villaggio e lo congedò nuovamente con la vaga promessa dell’ultima volta, dopodiché si dedicò a trascorrere un paio di piacevoli ore tormentando Merlin con la punta della sua spada.

Quella sera Merlin fu spedito ad informare Uther che Arthur era stato colpito da un anomalo raffreddore estivo che probabilmente era anche contagioso, e aveva bisogno di Merlin per svolgere qualche lavoretto, quindi sfortunatamente nessuno dei due avrebbe potuto essere presente alla festa. Merlin doveva aver fatto una piccola deviazione per le cucine sulla via del ritorno, perché quando tornò reggeva in braccio un enorme cesto carico di cibo.

“Niente carne di cervo, voglio sperare. Non sto disertando quella dannata festa per mangiare le stesse cose in camera mia.”

“No, ho chiesto un po’ di pane e del prosciutto. E Jill ci ha ficcato dentro anche delle crostatine alla frutta perché dice che devo mangiare di più.”

Arthur grugnì. “Ma tu devi mangiare di più, Merlin. Sei una vergogna per la mia reputazione. La gente penserà che ti faccio fare la fame.”

Fra Arthur che cercava di agguantare le fette di prosciutto migliori e Merlin che riuscì a sporcarsi i pantaloni di marmellata di mirtilli, i due discussero a lungo riguardo a un possibile piano d’azione. Merlin non voleva che Arthur affrontasse un drago da solo; Arthur non aveva voglia di cercare di spiegare l’inesplicabile per potersi portar dietro qualche soldato, ed era alquanto sicuro che il titolo ‘Grande Drago’ dovesse implicare che qualsiasi altro drago sarebbe stato più piccolo.

Inoltre, riteneva che ‘Arthur Pendragon, Unico Uccisore dei Draghi’, suonasse piuttosto bene.

“Abbiamo tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno,” disse Arthur acidamente. “Chissà perché qualcosa mi dice che non è così.”

“Beh, non credo che questo drago stia vivendo il tempo in maniera lineare,” osservò Merlin, “o di certo il circolo di Morgana non sarebbe in grado di impedirgli di attaccare. Se è questo quello che ha intenzione di fare.”

“Hai ragione. Aspetta un attimo... Gaius ha detto che il mago nel suo libro era molto potente, ed è per questo che riuscì a vivere attraverso il circolo anche senza l’aiuto della sorba, giusto? Dunque anche per il Grande Drago deve essere così.”

Merlin annuì con voga, e si leccò via l’ultima macchiolina di mirtillo dal pollice. Tutto ciò che ottenne fu il trasferimento della macchia dalla sua mano all’angolo della bocca. “Allora quest’altro drago potrebbe non essere altrettanto potente. Direi che ha senso.”

“Come funziona la morte, in questo circolo?” chiese Arthur, esternando una preoccupazione che lo tormentava ormai da un po’. “Di certo Morgana non potrà riportarci in vita, se moriamo.”

“Non lo so.” Merlin si alzò da terra e fece una smorfia quando le sue ginocchia scrocchiarono, così si sedette sul bordo del letto e cominciò a raccogliere i piatti vuoti rimettendoli nel cesto. “Ne dubito, però. Di sicuro non se siamo sotto gli effetti della sorba, comunque.”

“Ma dev’essere possibile uccidere il drago, in qualche modo. Deve esserlo. O non ci sarebbe alcun motivo nel far ripetere questo giorno.”

Merlin sbatté le palpebre. “Ma Morgana non lo sta facendo di proposito, quindi non è che lei si aspetti che noi facciamo qualcosa...”

“Ho mal di testa,” lo interruppe Arthur, con tono vagamente accusatorio. “Che ne dici se troviamo il drago e io lo infilzo con la mia spada?”

“Mi sembra una buona idea.” Merlin si buttò all’indietro sul letto di Arthur e sospirò. “Darò una passata di sorba selvatica alla tua spada, però, giusto per sicurezza. E se viene fuori che ha le dimensioni di un castello, torniamo dritti a Camelot e chiamiamo i cavalieri.”

La sorba selvatica. Arthur guardò nel cesto e, naturalmente, Merlin si era ricordato di portare una bottiglia di tè.

“Tieni,” disse, mettendosi in ginocchio sul letto e lanciando il tè a Merlin. “Non vorrai dimenticartelo.”

Bevettero tutti e due dalla bottiglia, poi Merlin cercò di gettarla addosso al vaso blu ma lo mancò di mezzo chilometro, così fecero a turno lanciando i loro stivali fino a che Arthur riuscì a farlo cadere dal tavolo. Il suono della ceramica che s’infrangeva sul pavimento era quasi confortante, ormai.

“Dovrei andare.” Merlin fece un enorme sbadiglio, e Arthur lo seguì a ruota. Merlin sembrava avere qualche difficoltà nel ritrovare gli stivali sperduti da qualche parte nella camera, figuriamoci a ritornare nella sua stanza, così Arthur disse, “Non essere ridicolo, non credo che cambi tanto se resti qui per stanotte. Almeno ti risparmierà la fatica di tornare qui domani mattina.”

“Sicuro?”

Arthur scrollò le spalle. “Nulla che non abbiamo già fatto in passato.”

Merlin ci pensò un attimo. “Questo letto è davvero molto grande, perciò giuro, se mi colpisci di nuovo in faccia con il tuo piede...”

Arthur ponderò attentamente le varie possibilità per circa due secondi prima di colpire Merlin. In faccia. Con il suo piede. Merlin starnazzò, offeso, e rotolò dall’altra parte, e quando si rimise seduto aveva agguantato il cuscino e sfoggiava un ghigno che non prometteva nulla di buono.

“È un’offesa capitale assalire il principe ereditario con la sua stessa biancheria da notte,” disse Arthur velocemente, e per un istante Merlin rimase lì seduto con il cuscino sulle ginocchia, ma poi il ghigno si allargò.

“Te la sei appena inventata,” disse, e gli sbatté il cuscino in piena faccia.

Arthur vinse senza difficoltà la battaglia che seguì, perché come guerriero era indiscutibilmente superiore sotto ogni aspetto, anche quando l’oggetto della lotta era decisamente inferiore rispetto alla sua dignità. Anche se doveva ammetterlo, rifletté Arthur mentre puntava le ginocchia sulle gambe di Merlin e lo colpiva sonoramente con il cuscino, si trattava indubbiamente di un ottimo sistema per svagare la mente di qualcuno intrappolato in un infinito giorno incantato. Alla fine, i capelli di Merlin erano un disastro e le sue guance arrossate di risate e fatica, e probabilmente Arthur si era beccato un livido grosso come un pugno quando aveva sbattuto contro uno dei pali del baldacchino, ma non si era mai sentito così felice da quando tutto quel casino era cominciato.

“Arrenditi,” gli intimò Arthur.

Merlin tentò un’ultima volta di divincolarsi dalle sue grinfie, ma fu inutile, e fra una cuscinata e l’altra riuscì a boccheggiare, “D’accordo, sì, mi arrendo.” Arthur fece cadere il cuscino in faccia a Merlin in un ultimo gesto trionfale, e gli rotolò via di dosso.

Merlin grugnì posizionandosi il cuscino sotto la testa, nell’angolo più remoto del letto, a debita distanza dai piedi di Arthur. “Buona notte, sire,” disse con tono riprovatorio.

“Lo è, non è così?” approvò Arthur, e si addormentò con un sorriso.

~

“Arthur. Arthur. Svegliati.” Merlin gli scrollò la spalla.

Arthur scacciò via la sua mano, irritato, e sbatté le palpebre fino a che l’espressione preoccupata di Merlin non si mise a fuoco. “Cosa c’è?”

“Ok, normalmente io mi sveglio in camera di Gaius e vengo da te per aiutarti a vestirti, e nel venire qui incrocio Gwen, che mi dice di Morgana. Ma la incrocio solamente perché lei sta venendo a dirlo a te - capisci quello che sto cercando di dire?”

Arthur impiegò qualche secondo, perché si era appena svegliato - seriamente, Merlin non dovrebbe parlare così velocemente la mattina presto e aspettarsi di venir compreso - ma poi si sentirono dei passi fuori dalla porta e capì.

“Oh.”

“Sì!” Merlin balzò fuori dal letto e vi si accucciò dietro, nascondendosi dal lato opposto alla porta.

“Non essere ridicolo, Merlin.” Arthur lo scrutò dall’alto. “Che importa se ti vede?”

“Vostra altezza?” chiamò Gwen da dietro la porta, e Arthur decise di rinunciare a cercare di capire la stramberia di Merlin e andò a rispondere.

“Cosa c’è, Gwen?”

“È Morgana. Non sta bene.”

“Mi vesto subito e arrivo,” disse Arthur. “Oh, e non preoccuparti per Merlin, ci penso io,” e le chiuse la porta in faccia.

“Non sei stato molto carino.” Merlin spuntò da dietro il letto e si diresse verso l’armadio.

“Tanto nemmeno se lo ricorderà. E sono stufo di sentirmi ripetere sempre le stesse cose.”

“Beh, ora dobbiamo andare a risentirci le stesse cose in camera di Morgana.” Merlin sbatté con energia la tunica di Arthur. Indossava solo dei calzini, ma i suoi stivali erano spariti, e Arthur si rese conto che mentre Merlin si era svegliato con i suoi vestiti già addosso la mattina precedente, i suoi stivali erano probabilmente tornati nell’angolo della sua piccola stanzetta nelle camere di Gaius. Al solo pensarci il mal di testa di Arthur minacciò di riaffiorare, perciò scacciò via quel pensiero e si concentrò sulla stoffa che gli scivolava dalle spalle e sul piccolo cipiglio sul volto di Merlin mentre trafficava con i lacci dei polsini di Arthur.

Ormai sembrava quasi la messa in scena di uno spettacolino provato e riprovato almeno un milione di volte: esprimevano apprensione, ascoltavano Gaius mentre rassicurava Uther che non era nulla di serio, ordinavano la colazione per Gwen, e seguivano Gaius nella sua stanza, con Merlin al seguito che sdrucciolava un poco sul pavimento di pietra liscia. Erano tutti troppo preoccupati per Morgana per notare che il servitore di Arthur non era proprio adeguatamente calzato; e comunque, non importava. Non se ne sarebbero ricordati.

A differenza di Gaius.

“La prossima volta che hai intenzione di dormire da qualche altra parte, Merlin, prenditi pure il disturbo di informarmi del fatto, a meno che non desideri che io arriva alla conclusione che sei partito alla ricerca di un drago da uccidere durante la notte. No, non fa niente,” zittì gli incipienti tentativi di Merlin di scusarsi, “sono andato a vedere nelle camere del principe, per controllare. Perdonatemi per essermi preso la libertà, vostra altezza.”

Arthur lo fissò per qualche istante. “La mia porta è chiusa a chiave.”

“Lo è senz’altro, sire,” confermò Gaius.

“E... sarà meglio che non faccia altre domande, vero?”

“Probabilmente sì, sire. Ora.” Picchiettò le pagine di un libro aperto. “Mentre ho paura di essere di poco aiuto nell’uccidere un drago, ho trovato questo passaggio negli scritti del mago dove è descritta la pozione che sveglierà il Veggente. L’unico inconveniente è che bisogna lasciarla a riposo per tre notti, una volta che gli ingredienti saranno stati combinati.”

“Ma non funzionerà mai,” si accigliò Merlin. “Nulla può durare per tre notti finché Morgana farà tornare di nuovo tutto com’era all’inizio della giornata.”

“Ah, ma non se è contenuto in una ciotola fatta di legno di sorba. Si tratta davvero di una ricetta ingegnosa...” Gaius scorse la pagina con un dito, si fermò a metà, e sollevò lo sguardo. “Principe Arthur, posso servirmi di voi per andare a prendere dell’acqua? Merlin, tu vieni ad aiutarmi, mi servono...” e cominciò a snocciolare una lista di cose una dopo l’altra, di cui Arthur conosceva di nome solo una manciata e dunque fu lieto di poter prendere il secchio e uscire dalla stanza.

Attirò diverse paia di occhi curiosi quando arrivò alla pompa dell’acqua, ma Arthur rispose con altrettante occhiate per ragguagliare gli spettatori sul fatto che lui era l’erede al trono, e che se voleva andarsi a prendere un secchio d’acqua alla pompa del paese era perfettamente autorizzato a farlo. Quando aprì la porta della stanza di Gaius, quest’ultimo e Merlin stavano borbottando qualcosa fitto fitto intorno alla ciotola; la loro conversazione si interruppe e tutti e due alzarono la testa di scatto quando Arthur entrò.

“Non è cortese mandare via con una scusa il Principe Ereditario per poter spettegolare alle sue spalle,” disse loro Arthur.

Merlin sorrise, ma Gaius ebbe la delicatezza di assumere un’espressione imbarazzata. “Mi serve davvero dell’acqua,” disse. “Grazie, sire. Il resto posso farlo anche da solo. Ora, se qualcuno mi chiede, voi due siete andati fuori a caccia, ma dovreste partire ora se contate di tornare prima che faccia buio. Su, forza. E prestate la massima attenzione, voi due; anche se non ha abbastanza potere da resistere al circolo di Morgana, un drago è sempre una cosa pericolosa.”

“Staremo attenti,” disse Arthur, e Gaius lanciò loro un’occhiata che lasciava intendere che non aveva maggiore fiducia nell’abilità di Arthur di ‘stare attento’ di quanta non ne avesse in quella di Merlin, ma li scacciò fuori dalla porta con un gesto della mano.

Faceva esattamente lo stesso caldo del giorno prima, com’era ovvio, ma cavalcare sotto il sole cocente indossando una cotta di maglia sembrò far alzare di molto la temperatura.

“Dobbiamo ritornare prima che finisca il giorno,” gli ricordò Merlin, che non ne sembrava particolarmente felice, “altrimenti i nostri cavalli e le armi torneranno a Camelot e noi saremo bloccati a Fiumevicino senza scarpe.”

“Allora è meglio se aumentiamo il passo.” Arthur diede un colpetto di tacco e il cavallo nitrì debolmente. Non c’era motivo di perdere tempo. Quel viaggio poteva risolversi in due soli finali possibili: o si rivelava un successo, oppure si limitava ad essere una missione di ricognizione.

Le indicazioni precise di Edward risultarono essere inutili, perché le grida cominciarono a sentirsi molto prima che riuscissero anche solo a intravvedere il villaggio, un suono freddo e disperato che sembrò vibrargli fin da dentro le ossa. Le urla non erano continue - vi erano lunghe pause fra una e l’altra - ma erano molto frequenti.

“Laggiù.” Merlin indicò verso l’interno della foresta, lontano dall’argine.

“Edward parlava di caverne.” Arthur avanzò un poco fra gli alberi finché non raggiunsero una piccola radura, fece fermare il cavallo e smontò. L’animale era chiaramente turbato e innervosito dal suono, e non sarebbe stato molto d’aiuto se si fosse spaventato su quel terreno in pendenza e irregolare poco più avanti. “Leghiamo i cavalli qui e procediamo a piedi.”

Mentre si arrampicavano, intravidero una parete rocciosa in cima al dislivello, e le grida divennero sempre più forti. Non c’era da meravigliarsi che si potessero udire in tutto villaggio; a questa distanza erano quasi assordanti, e Arthur dovette premere la bocca sull’orecchio di Merlin per farsi sentire.

“Tu resta fra gli alberi. Non uscire allo scoperto finché non te lo dico io.”

Merlin annuì, poi i suoi occhi si spalancarono e indicò l’entrata di una grotta lì vicino, in un angolo poco distante da dove si trovavano loro in quel momento.

“Manca poco, manca poco,” disse una voce, e Arthur fece cenno a Merlin di abbassarsi prima di accovacciarsi lui stesso.

Il drago non era affatto poi così imponente, di certo non quando l’unico altro termine di paragone era il Grande Drago. Era più piccolo di un grifone, forse il doppio di un cavallo, e sembrava alquanto malridotto. Una delle sue ali era piegata in angolo innaturale vicino alla schiena, mentre l’altra aveva un filo irregolare e scabro. Emerse dalla caverna con passo strascicato, e quando lo sguardo di Arthur incrociò quello del drago notò che i suoi occhi erano ridotti a una fessura, verdi, e alienati.

“Non più,” sibilò, gorgogliando in una risata terrificante. “Tutti morti. Tutti morti nelle alte caverne e fra le chiare nebbie. Tutti morti a Camelot. Manca poco.”

Si alzò sollevando le zampe anteriori e gridò di nuovo, un boato di pura sofferenza che rimbombò nella testa di Arthur.

“È pazzo,” disse Merlin, quasi urlando. Sembrava un po’ a disagio.

“Non importa.” In realtà, Arthur ne fu sollevato, in un certo senso. Ovviamente il Grande Drago sapeva parlare, ma non gli piaceva l’idea che questo drago fosse una creatura senziente in grado di discutere con loro, o addirittura implorare per la sua vita. “Non fa alcuna differenza. Hai sentito cosa ha detto. O lo uccidiamo, oppure attaccherà Camelot.”

“Non sembra che sia in grado di provocare un terribile disastro,” disse Merlin dubbioso, e Arthur era sul punto di essere d’accordo con lui quando il drago smise di gridare interrotto da un colpo secco di tosse, e delle lingue di fuoco si sprigionarono nell’aria.

“Fuoco.” Il cuore di Arthur accelerò. “Ricordi cosa ha detto Gaius - l’altra Veggente stava cercando di prevenire un fuoco accidentale. Anche se il drago riuscisse a uccidere solo poche persone, siamo in piena estate e un incendio potrebbe rovinarci.”

“È un miracolo che non abbia già incenerito l’intera foresta,” osservò Merlin. “Anche se suppongo che se rimanesse nella sua caverna...”

Arthur si alzò. “Resta nascosto il più possibile. Ma stai pronto ad aiutare, se ce n’è bisogno.”

Merlin gli posò una mano sulla spalla. “Buona fortuna.”

“Allora, eccoci qui,” disse Arthur, rivolto più a sé stesso che ad altri. Sfoderò la spada con un ampio movimento del braccio, impugnò saldamente il manico con entrambe le mani, e avanzò verso il drago. Se non altro la bestia non aveva ricominciato a gridare dopo il colpo di tosse infuocato; combattere con quel baccano spacca timpani non era esattamente una prospettiva allettante.

Il drago si accorse della sua presenza quasi subito, e si avvicinò a lui a una velocità sorprendente, considerando la sua stazza. Arthur tenne in alto la sua spada e si protesse il corpo il più possibile con lo scudo, lasciando che i muscoli e la mente si concentrassero solamente sulla battaglia ormai prossima. Ogni movimento di ogni parte del corpo del drago si registrò in una parte specifica della sua mente, mentre i muscoli si tendevano o rilassavano in risposta. Era pronto.

“Camelot,” disse il drago, gli occhi fiammeggianti sullo scudo di Arthur. Era estremamente vicino, ora, ma immobile. Arthur studiò il suo avversario; il collo, gli occhi e il torace sembravano essere i punti più vulnerabili, ma gli occhi erano piccolissimi e troppo in alto. “Muori,” tuonò il drago, e Arthur ebbe a malapena il tempo di reagire al suo attacco; non con il fuoco, non con le zanne, ma con la zampa. Si piegò leggermente in avanti e spazzò via Arthur con un colpo pigro che fu così rapido che il cavaliere non si accorse nemmeno di quello che stava succedendo, fino a che non rovinò al suolo contro la parete della grotta, dolorante, e la spada gli cadde via dalle mani.

“Arthur!” L’urlo di Merlin riecheggiò lontanissimo nella sua testa.

Arthur cercò di rimettersi seduto ma era atterrato male e non sentiva più l’ossigeno nei polmoni, il petto si sforzava disperatamente di espandersi, la gola bruciava per la mancanza di aria, e con i sensi che sembravano volerlo abbandonare vide Merlin scattare in piedi e avvicinarsi alla bestia. Ma la spada di Arthur era troppo lontana e il drago stava caricando verso di lui e Arthur seppe, con la fulminea consapevolezza della battaglia, che non sarebbe riuscito a scappare. Non aveva paura; si rese conto che più di ogni altra cosa si sentiva infastidito, perché la lotta non era nemmeno cominciata e quella non assomigliava nemmeno vagamente alla morte con onore degna di un cavaliere, così chiuse gli occhi e sperò con tutto se stesso che il dolore non durasse troppo a lungo.

Si sentì uno strepito, poi fu come se si fosse avvicinato troppo al fuoco dell’officina del padre di Gwen, e quando era ormai pronto ad abbracciare la morte sentì qualcosa come una mano gigantesca che gli afferrò il piede e lo trascinò via da un lato, con incredibile velocità. Fu trascinato sopra le rocce e non poté trattenere un gemito di dolore quando ne prese una in pieno col ginocchio, ma non osò aprire gli occhi fino a che non si fermò e scoprì di essere, in effetti, ancora vivo. Completamente ammaccato, privo di scudo, con il viso in fiamme e un dolore lancinante al ginocchio, ma vivo.

Arthur riuscì a riprendere fiato, con sollievo dei suoi polmoni doloranti, e aprì gli occhi. Il drago lo stava del tutto ignorando mentre volgeva la sua attenzione su di Merlin, in piedi davanti a lui con una mano stesa in direzione di Arthur. Arthur incrociò il suo sguardo e Merlin lo guardò esattamente come aveva fatto quando stava per bere dal calice avvelenato, tanto tempo prima.

A quel punto la spada di Arthur si sollevò dal suolo e volò dritta in mano a Merlin, e per un istante sembrò tutto perfettamente normale, poi Merlin disse con voce priva di espressione, “Mi dispiace molto, Arthur,” e tutto divenne sfocato. Arthur non riusciva a formulare un pensiero razionale - la sua mente si rifiutava di elaborare coerentemente quel concetto - ma non gli fu necessario, perché il drago emise un lungo, lento sibilo che prese la forma di una parola.

“Sssssstregone,” disse, e Arthur riuscì a vedere la mano di Merlin mentre cercava di ricordarsi la giusta presa sull’impugnatura della spada. Il drago spostò lo sguardo da Merlin a Arthur e poi di nuovo a Merlin, e strano a dirsi la prossima cosa che disse fu anche la stessa parola che attraversò la mente di Arthur. “Traditore.”

“Mi dispiace”, ripeté Merlin, e Arthur non aveva idea se stesse parlando con il drago o con Arthur stesso, poi la spada si librò di nuovo in aria e andò a colpire il torace scoperto del drago.

Arthur trattenne il respiro, in attesa, ma la spada ricadde al suolo rimbalzando con un suono stridulo. Merlin sembrava terrorizzato, ma stese una mano tremante e disse qualcosa in una lingua dura e altisonante, e il drago gettò la testa all’indietro lanciando un grido di dolore. Merlin si accucciò di nuovo e riprese la spada, poi balzò verso di Arthur.

Il drago sembrava essere ancora più fuori di senno; si dimenava convulsamente, soffiando piccoli sbuffi di fumo e scintille in ogni direzione, inciampando sulle rocce. Arthur continuò a guardarlo perché era più facile che guardare Merlin, il quale intanto stava cercando di farlo rialzare, ma non riuscì a trattenere un gemito quando sentì il peso appoggiarsi sulla gamba destra.

“Arthur,” diceva Merlin, “Arthur.”

Arthur lo spintonò via, e per un breve istante il volto di Merlin fu una maschera di tristezza, ma poi gli porse la spada, tenendola per l’impugnatura.

“L’ho accecato, ma non durerà a lungo, credo - dobbiamo sbrigarci. Sei ferito.”

Quel poco di istinto di sopravvivenza rimastogli si risvegliò in Arthur e si impossessò di lui, assumendo il controllo della situazione. Gli strappò la spada di mano e seguì Merlin giù fra gli alberi dove avevano lasciato i cavalli, con le grida del drago - più acute, ora, più di frustrazione che di sofferenza - che si affievolivano alle loro spalle. A ogni passo la gamba sembrava essere sul punto di staccarsi da quanto faceva male, ma strinse i denti e si obbligò a continuare.

Quando raggiunsero la radura Arthur si sedette su una roccia, tendendo le orecchie, ma non si sentiva alcun suono che suggerisse che erano stati inseguiti. Sospirò, e finalmente spostò lo sguardo su di Merlin, che era in piedi dandogli le spalle, le mani appoggiate sulla sella del cavallo, immobile. La rabbia incandescente che lo aveva sopraffatto nella grotta del drago non era nulla in confronto al vento gelido che gli si stava diffondendo in corpo in quel momento.

“Sei un mago.”

“Sì.” Merlin si voltò, le sue mani chiuse in due pugni serrati lungo i fianchi. Parlò velocemente, come se avesse paura di essere interrotto. “Arthur. Che cosa importa?”

“Che razza di domanda è questa?” esplose Arthur. “Cambia tutto.”

“E il fatto che ti abbia appena salvato la vita, non significa nulla, vero? Il fatto che morirei per te, questo non significa nulla?”

Arthur se lo aspettava - no, non si sarebbe mai aspettato nulla di tutto questo - ma questa feroce, graffiante intensità era molto diversa da quella con cui Merlin aveva reagito quando Arthur aveva scoperto la verità sul drago. E su Morgana. E su Will -

Molte cose improvvisamente trovarono un senso.

“Non è stato Will.”

Merlin chiuse la bocca, facendolo sembrare più sul punto di scoppiare in lacrime, piuttosto che arrabbiato. Scosse la testa.

“Sei stato tu.”

“Sì. E ho tentato di dirtelo, volevo dirtelo, Arthur, credimi, ma Will - beh, credeva di dovermi proteggere.” Merlin si lasciò sfuggire una risata tetra e agitò una mano verso di lui; Arthur ricordò la spada che si librava nell’aria, e il modo in cui il drago aveva gettato la testa all’indietro, e dovette sforzarsi molto per non indietreggiare. “Non riesco a immaginare il perché.”

Era troppo. Questo era troppo. La gamba di Arthur stava urlando dal dolore; desiderava solo essere inghiottito nel baratro oscuro dell’infinito sogno di Morgana; era troppo.

“Non parlarmi,” disse Arthur.

“Arthur -”

“Fa’ come ti è detto.” Zoppicò fino al suo cavallo e riuscì a montarci cavandosela solo con una smorfia e un debole grugnito di dolore. “Quando arriviamo a palazzo ti occuperai dei cavalli e tornerai nella tua stanza. Non parteciperai alla festa. E non mi rivolgerai una sola parola per il resto della giornata.”

Merlin, essendo Merlin, tentò in cinque occasioni distinte di disobbedire a quest’ultimo ordine, ma Arthur rimase sempre in silenzio limitandosi a dare qualche colpo di tacco al cavallo per farlo accelerare. Il sole inaridiva l’aria e sentiva i capelli appiccicarsi alla fronte mischiandosi al sudore, ma all’interno del suo cuore soffiava il gelido vento del tradimento e dell’incertezza. Desiderava non aver mai bevuto quella pozione; avrebbe voluto essere intrappolato nel circolo insieme a tutti gli altri, dove il giorno era lungo ma privo di pericoli, e Morgana era semplicemente un po’ troppo stanca, e non bloccata nel suo stesso incubo per cercare disperatamente di tenerli al sicuro, e Merlin indossava buffi cappelli e non era nulla che Arthur non voleva che fosse.

Arthur si sforzò di comportarsi in maniera impeccabilmente educata alla festa, perdendosi in discussioni di politica e di commercio e fra i pettegolezzi di corte, cercando di ricordarsi quale fosse l’argomento che veniva dopo nei discorsi che aveva già sentito - qualsiasi cosa pur di non dover pensare al drago, e a Merlin. Funzionò per un po’; poi si ubriacò, che funzionò anche meglio, e prima di arrivare nelle sue camere era riuscito a raggiungere un caduco stato di piacevole intorpidimento.

Fu sorpreso nel sentire qualcuno bussare alla porta, e rimase a fissarla per qualche momento, cercando di schiarire la nube di torpore che gli offuscava la mente per decidere se volesse far entrare Merlin o dargli un pungo oppure entrambe le cose.

“Vostra altezza?” Non era la voce di Merlin. Una sensazione acre e pungente salì su per la gola di Arthur.

“Cosa c’è?” gridò.

“Una consegna dal medico reale, vostra altezza.” Il servitore sembrava intimorito, e quando Arthur aprì la porta lanciò una sola brevissima occhiata al volto del principe e gli allungò due bottiglie da più distante possibile. “Gaius mi ha chiesto di ricordarvi di bere questa qui, e di massaggiare quest’altra sul ginocchio,” pigolò, e non appena Arthur gliele prese di mano, indietreggiò di qualche passo.

“Grazie,” ringhiò Arthur, e chiuse la porta con un calcio. Si applicò la lozione profumata alla gamba, mandò giù la bottiglia - era la pozione per i postumi da sbronza, questa volta, non solo tè, che per qualche ragione fece arrabbiare Arthur ancora di più - scagliò il vaso blu contro il muro in un impeto violento, e si addormentò in un letto che gli sembrò, per la prima volta, fin troppo largo.

~

(part three)

---trovate la storia originale qui---

**DISCLAIMER**
Merlin (BBC) non mi appartiene, ovviamente, non mi appartengono i personaggi, gli attori, la loro biancheria intima, insomma sono una poveraccia e di loro non posseggo nemmeno un capello, né mi viene in tasca nulla, se è per questo.

traduzioni, fandom: merlin bbc, pairing: arthur/merlin, !fanfiction

Previous post Next post
Up