{merlin bbc} quickening days (1/3)

Jul 05, 2011 01:44

Titolo: Quickening Days (vedi note)
Autrice: fahye 
Traduttrice: thebettyboing 
Fandom: Merlin BBC
Pairing: Arthur/Merlin
Parte: 1/3
Rating: R
Avvertimenti: Slash
Conteggio Parole: 7609
Trama: In cui vengono affrontati draghi, fantasmi e pregiudizi, Merlin indossa un cappello (due volte) e un vestito (una volta), Arthur rompe del vasellame (molte volte), ci sono più scherzi che lotte coi cuscini ma almeno una di entrambi, e molti segreti vengono rivelati.
Note: Il titolo deriva dal fatto che in inglese (lingua originale del racconto, nd) la pianta di sorba selvatica (rowan tree) viene chiamata anche col nome di Quicken (dio benedica Wikipedia).
L’ambientazione è quella della prima serie.
Tutti i commenti verranno tradotti e mandati all’autrice del racconto in lingua originale.



quickening days

“Arthur! Sei sveglio?”

Essendo una persona che aveva posseduto diversi cani fin dalla più tenera infanzia, Arthur sapeva come incoraggiare comportamenti desiderabili tramite ricompense, così, il giorno in cui Merlin avesse veramente imparato a bussare, Arthur pensò che avrebbe potuto fare qualcosa di carino per lui. Qualcosa come... non riconsiderare all’istante i suoi piani per la festa di quella sera per includerci quel cappello piumato che, a dispetto di quello che Merlin poteva sostenere, rimaneva comunque esilarante.

Quel giorno sembrava non essere ancora arrivato.

“Lo sono adesso.”

“Mi dispiace,” disse Merlin, non sembrando minimamente dispiaciuto. “Dovresti alzarti. Morgana non sta bene.”

Arthur si trascinò in piedi fuori dal letto, ignorando il brusco colpo d'aria fredda che gli colpì lo stomaco. “Cosa vuoi dire con ‘non sta bene’?”

“Non riusciamo a svegliarla.”

“Di nuovo?”

“Temo di sì.”

Arthur grugnì e si stropicciò il viso. “D’accordo. I miei vestiti, Merlin. Per una volta facciamo finta che tu sia davvero un servitore decente, ti va?”

Merlin doveva essere davvero turbato, perché non si prese nemmeno il disturbo di parare la frecciatina o ribattere; si limitò ad annuire dirigendosi verso l'armadio per tirarne fuori alcuni abiti.

Gaius stava ancora esaminando Morgana quando i due raggiunsero la sua camera, e il padre di Arthur si profilava ai piedi del letto con un’espressione nera in volto che Arthur conosceva bene: il re voleva qualcuno da incolpare. Ponderò con prudenza la situazione e indirizzò Merlin verso un lato della stanza con una gomitata, avvicinandosi silenziosamente a Gwen.

“Ancora nulla?” le chiese Merlin.

La ragazza scosse la testa; aveva l'aria sciupata e amareggiata, e le sue mani si contorcevano nervosamente stropicciando il tessuto della gonna. “Nessun cambiamento, e Gaius non ha detto molto.”

Gaius alzò gli occhi. “Guinevere.”

“Sì.” Si affrettò subito al suo fianco.

“Sei sicura che Lady Morgana si sentisse bene, ieri sera? Non si è lamentata di nessun mal di testa, o mangiato nulla che non riuscisse a digerire?”

“No, stava bene, stava...” Gwen abbassò lo sguardo e sfiorò le lenzuola con un movimento gentile. “Stava parlando di cosa volesse indossare alla festa questa sera, e mi ha detto di assicurarmi che il suo vestito rosso fosse pulito. Stava bene.”

“Molto bene. Grazie.” Gaius si rizzò in piedi.

“Si tratta forse di...?”

“No, sire.” Gaius scosse la testa. “Ritengo che questo sia un malore diverso da quello provocato da Edwin, se pure si tratta di un malore affatto. Il suo corpo non si è chiuso in alcun modo, e lei sembra perfettamente in salute, solo -”

“Solo?” sbottò Uther.

“Addormentata, sire. È addormentata. E sta sognando, da quanto posso capire.”

Come se avesse aspettato quel suggerimento, Morgana girò la testa sul cuscino e un suono incerto, che poteva essere una parola, poteva essere un sospiro, uscì dalla sua bocca. Arthur sentì l'improvviso bisogno di prendere a pugni qualcosa.

“Bene, dunque, svegliala.”

“Non posso, sire.”

Arthur si accorse di come Gaius stesse affrontando la situazione con notevole calma. Non era sicuro se volesse applaudire l'uomo per non aver lasciato che l'agitazione di Uther lo distraesse dal suo lavoro, o andare da lui e prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a fargli uscire la risposta di dosso. “Hai detto che potrebbe non trattarsi affatto di un malore. Si sveglierà da sola, dunque?” disse.

“Potrebbe.” Ma Gaius non ne sembrava del tutto sicuro. “Lo ammetto, mi preoccupa il fatto che non si riesca a svegliarla, ma c'è la possibilità che il suo corpo stia semplicemente reagendo a qualcosa, e abbia solo bisogno di tempo per riposare. Se non altro, al momento non sembra essere in nessun pericolo, sire.” L'ultima parte era diretta di nuovo a Uther, che si era messo a camminare su e giù per la stanza. “Andrò a cercare qualcosa nei miei libri, ma nel frattempo, se qualcuno potesse rimanere con lei -”

“Lo farò io,” disse subito Gwen.

“-grazie. Fammi sapere immediatamente se le sue condizioni cambiano, in qualsiasi modo.”

“Bene. Tienimi informato, Gaius.” Il re fece un cenno col capo al medico e se ne andò, lasciando nella stanza un'atmosfera molto più rilassata, e Gaius cominciò a raccogliere le sue cose.

“Posso portarti qualcosa?” chiese Merlin a Gwen, mentre lei andava a prendersi una sedia dall'altro lato della stanza. “Hai fatto colazione?”

“No. Voglio dire, sto - sto bene. Ma. Potresti? Sarebbe molto gentile.”

“Sì, certo, vado subito a -” cominciò Merlin, ma Arthur era ormai già fuori dalla porta. Davvero, Merlin riusciva ad essere pateticamente inefficiente qualche volta.

“Ehilà. Tu.” Schioccò le dita a un servitore che passava lì vicino, che fece un impaurito ma sorprendentemente elegante inchino. Arthur sbatté gli occhi, ma poi si ricordò che questo era del tutto normale, e si domandò se potesse in qualche modo convincere Merlin a farlo anche lui.

Improbabile.

“Sire?”

“Ci serve della colazione qui dentro. Per -” Lanciò un'occhiata dentro la stanza. “Tre?”

“Oh, no, vi prego, non dovete -” cominciò a dire Gwen, ma Arthur la ignorò.

“Per tre,” ripeté con fermezza. “Subito,” il servitore si inchinò di nuovo, poi si girò e si diresse velocemente verso le cucine.

“Vi ringrazio, sire, ma siete sicuro che non preferiate...” Gwen sembrava agitata e Arthur scrollò le spalle, desiderando che non facesse così tante storie.

“Dobbiamo pur mangiare da qualche parte. Questa mattina sono stato svegliato da un servitore davvero sgarbato e trascinato fuori dalla mia stanza senza cibo, e sto morendo di fame. Merlin, vai a pulire un tavolo.”

Arthur riuscì a cogliere con lo sguardo solo un balenio dell’espressione burlesca che Merlin aveva fatto a Gwen dietro le sue spalle, ma in quel momento Morgana mormorò qualcosa e il suo viso addormentato si piegò in un cupo cipiglio, e dopo aver trattenuto il respiro nella speranza che i suoi occhi potessero aprirsi, non sembrava più esserci molto motivo di mettersi a litigare.

“Merlin,” disse Gaius sbucando dall'uscio, “Avrei bisogno del tuo aiuto quando hai finito, per piacere.”

“Sì, va bene.”

Arthur si sistemò su una sedia e osservò l'affaccendarsi leggero di Gwen e i tentativi leggermente meno aggraziati di Merlin di aiutarla. Anni prima, nel suo primo vero combattimento, Arthur aveva scoperto ciò che ogni soldato impara; ovvero che il pericolo e la polvere della battaglia uniscono le persone in un modo che nessuna amicizia in tempo da pace poteva competere, e c'era stato qualcosa di fugacemente glorioso nella maniera in cui loro quattro avevano steso gli uomini di Kanan. Qualcosa nella presa ferma della mano di Gwen sull'impugnatura della spada e nelle grida poco signorili che provenivano dalla gola di Morgana mentre i suoi capelli descrivevano disordinate sferzate nere nell’aria, qualcosa nel modo in cui Merlin combatteva con poca tecnica ma con fervente coraggio, che aveva fatto sentire ad Arthur che forse, essere Re non sarebbe stato poi così solitario, dopotutto. Non se aveva persone come loro su cui fare affidamento.

“Non pensare troppo intensamente, là,” disse Merlin, “non vorrai stancarti.”

Arthur gli mirò un debole calcio mentre gli passava davanti per andare a raccogliere i piatti di cibo, ma Merlin lo schivò con un saltello e scoppiò a ridere e davvero, anche se uno di loro stava dormendo, Arthur si sentiva troppo a proprio agio in presenza di quelle tre persone per curarsene.

Dopo il loro improvvisato breakfast-party, il resto della giornata si rivelò essere una vera barba: Merlin sparì per aiutare Gaius, Gwen rimase presso Morgana, e Arthur trascorse un po’ di tempo distruggendo dei bersagli di paglia con la spada, chiedendosi se ci fosse una qualche maniera per disertare la festa di quella sera. Suo padre si era rifiutato di cancellarla a causa di Morgana, non volendo allarmare la corte quando ancora non si era certi di cosa fosse o offendere i nobili in visita in onore dei quali era stata organizzata. Ma Arthur non era dell’umore per niente che avesse a che fare con cene formali e convenevoli vari - beh. Quasi nulla.

“Arthur, no,” piagnucolò Merlin. “Una volta basta e avanza.”

“Cappello,” insistette Arthur, infilandoglielo in testa.

Merlin aprì la bocca in quel modo improvviso che significava che stava per dire qualcosa di ancora più spudoratamente irrispettoso del solito. Arthur gli si avvicinò, sistemandogli alcune piume, e decise di giocare sporco.

“È un ordine, Merlin,” disse col tono di voce più minaccioso che riuscisse a fare, e Merlin deglutì forte, ma non sembrava esattamente spaventato, solo... sorpreso. I suoi occhi si chiusero fremendo per un istante, le ciglia ricurve e scure che ombreggiavano gli zigomi, e senza alcun motivo razionale che potesse spiegarsi, Arthur si ritrovò a pensare alla neve.

“È solo uno stupido cappello,” disse Merlin una volta riaperto gli occhi, “e tu sei matto,” ma non se lo tolse di dosso.

Considerando il modo in cui le feste in onore di nobili in visita andassero di solito, questa qui fu quasi interamente ordinaria: la carne di cervo era gradevole, i brindisi non erano altro che elaborati elogi intessuti di minacce politiche, e l’ospite d’onore seduto accanto ad Arthur procedette a ciarlare fino allo sfinimento di tasse sul grano e di quanto fosse rischioso dipendere sulle esportazioni stagionali per un’ora buona prima che Arthur potesse scusarsi per intrattenere gli altri ospiti senza sembrare maleducato.

“Gwen!” Tentò di suonare signorile piuttosto che disperato, ma la ragazza era quasi fuori dalla portata d’orecchio nel salone affollato, e Arthur aveva bisogno di quell’alcol precisamente in quel cavolo di momento. “Gwen, per la miseria -”

Gwen sembrò molto divertita nel guardarlo buttar giù un intero calice in quattro lunghi sorsi. “Si sta godendo la serata, sire?”

“Oh, sì,” disse Arthur aspramente. Lasciò che il calice vuoto tintinnasse sul vassoio con un suono metallico e ne prese subito un altro. “Non è proprio una fortuna che io nutra un tale profondo e ligio interesse sugli effetti che l’accumulo di muffa ha sul prezzo dell’orzo? Ma dov’è Merlin? Scommetto che si sta nascondendo così che io non mi accorga che si è levato il cappello.”

“Credo che sia laggiù vicino all’angolo dei musicisti.” Gwen fece roteare il vassoio per evitare l’allarmante ampiezza della gonna di una signora che passava, e guardò il drink fra le mani di Arthur. “Il vino è piuttosto forte stasera, sire,” disse con la più sottomessa voce possibile.

“Grazie, Guinevere,” disse lui; con abbastanza fermezza affinché afferrasse il concetto, ma non con scortesia. Lei aveva la tendenza a prestare quel tipo di attenzioni verso Morgana, e lo faceva con molta meno discrezione, e questa era la prima volta che lasciava il capezzale della sua signora da quella mattina. Arthur era preparato a concederle quella libertà.

Merlin stava effettivamente gironzolando nell’angolo che Gwen aveva indicato, ed era effettivamente riuscito a spogliarsi di entrambi il cappello e la mantellina, ma l’espressione sul suo viso nel vedere Arthur avvicinarsi non era minimamente colpevole; piuttosto, era preoccupantemente, trasparentemente compiaciuta. Fece qualche rapido passo verso di lui spostandosi dal fianco di una donna in un largo vestito verde, e si inchinò profondamente mentre Arthur gli si avvicinava.

“Mio signore,” disse rizzandosi in piedi. Arthur, colto di sorpresa, stava per dire qualcosa di sarcastico e di approvazione quando Merlin aggiunse, “Aiuto!”  in un soffio disperato, poi l’espressione sul suo viso mutò e tornò ad essere il solito Merlin.

“Principe Arthur,” trillò la donna dietro di lui, che si fece strada verso di loro per avvinghiare al braccio di Merlin una mano scintillante di pesanti anelli. Merlin sillabò un’altra volta Aiuto senza emettere suono; Arthur si morse il labbro e dovette sforzarsi parecchio per non scoppiargli a ridere fragorosamente in faccia. “Permettetemi di esprimere la mia sincera ammirazione per gli sforzi che la vostra corte ha fatto in nostro favore.”

“Voi siete troppo cortese, mia signora.” Arthur non riusciva a smettere di sorridere e cazzo, com’è che si chiamava, lei era quella con i capelli rossi cotonati che torreggiavano fra la folla quasi il doppio della sua testa, probabilmente pochi anni distante dall’età di Uther, e aveva completamente rimosso il suo nome due secondi dopo essere stati presentati, perché in quel momento Merlin stava rantolando nel buffo tentativo di soffiarsi via le piume dalla faccia, ed era impossibile non notarlo dalla veduta periferica di cui Arthur godeva.

In effetti, era poco diverso da quello che stava facendo anche in quel momento.

“Cibo delizioso, e che decorazioni eleganti, e naturalmente anche gli altri addobbi sono difficili da criticare,” e nel dirlo - Arthur non ci poteva credere - la donna diede una strattonata al braccio di Merlin. Arthur sentì la sua stessa bocca aprirsi in una smorfia involontaria, e il cipiglio di Merlin si trasformò in un qualcosa fra uno sguardo truce e una supplica, ma la signora - E, il suo nome cominciava con E, Ester, Emily, Emilia!, ecco qual era - sembrava aver interpretato l’espressione di Arthur come un qualche tipo di incoraggiamento, perché continuò: “Il servitore di vostra altezza è stato assolutamente premuroso, e spero che non vi dispiaccia se continuo a monopolizzare i suoi servizi per questa sera. Un giovane così cortese e piacente,” civettò, lanciando a Merlin occhiate rapaci che sembravano del tutto trascurare il modo in cui lui stesse praticamente vibrando dal desiderio di scappare.

Arthur si ricompose assumendo nuovamente un’espressione di educato interesse e si prese il tempo di fare due profondi respiri prima di rendersi conto che, buon dio miserabile, stava chiedendo il suo permesso.

“Ehm,” disse cortesemente.

“Sì?” Con la mano stava di nuovo strattonando il braccio di Merlin.

Arthur si concesse un lungo, meraviglioso momento in cui fece finta di prendere seriamente in considerazione la richiesta, mentre Merlin quasi saltellava sul posto facendo dei grandi e inorriditi NO NO NO con tutto il corpo, per poi sfoggiare il suo sorriso di scuse più affascinante.

“Per qualsiasi altra serata, Lady Emilia, sarò lieto di prestarvi i... servizi del mio servitore.” Ignorò il suono soffocato che emise Merlin e proseguì. “Sfortunatamente, oggi è stato del tutto inefficiente, e devo insistere che ritorni nelle mie camere e finisca i compiti assegnatigli prima di concedergli del tempo libero.”

“Un peccato.” Lady Emilia sospirò profondamente, e Merlin liberò il braccio dalla sua morsa con un’espressione di puro sollievo in volto.

“Godetevi la serata, vossignoria. Merlin, vieni con me.” Arthur fece un cenno col capo, girò i tacchi e si avviò di nuovo verso il tavolo regale. Merlin lo raggiunse prima ancora che potesse fare tre passi.

“Ti stavi divertendo,” disse Merlin con tono accusatorio, e rabbrividì. “Ugh, la sua mano, era così... vino, vino, ne ho bisogno,” e gesticolò indicando il calice di Arthur.

“Non puoi bere il mio, te ne prendiamo un altro,” disse Arthur, guardandosi intorno alla ricerca di un servitore. Un servitore normale, uno che stesse effettivamente facendo il suo lavoro e non ricevendo delle avances da una nobildonna.

“Nessuna notizia di Morgana?” chiese Merlin.

Arthur scosse la testa. “Gaius è con lei. Verrebbe a dircelo se fosse cambiato qualcosa.” Arthur non aveva proprio la minima voglia di pensare a Morgana, e finora era riuscito a fare un ottimo lavoro ad ignorare la sua assenza, grazie mille, così afferrò il braccio di Merlin e lo fece sedere con lui al tavolo regale e ordinò a un servitore di portare del vino. Molto vino. Bottiglie, se possibile.

Un’ora più tardi erano entrambi completamente sbronzi, Uther lanciava loro occhiatacce di disapprovazione, e Arthur aveva scoperto che mentre Merlin non era per nulla in grado di reggere l’alcol, lui era sorprendentemente preparato in materia di immagazzinamento di orzo. Stava andando tutto a meraviglia fino a che Arthur si ritirò nelle sue camere e si accorse di aver perso Merlin da qualche parte per i corridoi. Si lasciò cadere pesantemente sul suo letto e contemplò per qualche istante gli stretti lacci dei suoi stivali.

Magari poteva anche dormire con le scarpe. Assolutamente. I soldati lo facevano sempre.

“Oops.” Merlin fece capolino nella stanza in una maniera che suggeriva che non aveva del tutto pianificato che la porta di spalancasse in quel modo, quando vi si era appoggiato, ma era comunque lieto che lo avesse fatto.

“Scarpe,” ordinò Arthur, sollevando un piede.

“Guarda!” Merlin gli mostrò una piccola fiala. “Contro i postumi da sbrolla. Cioè, sbronza. L’ho letta in uno dei libri di Gaius, l’ho fatta la settimana scorsa come esperimento -”

“L’hai fatta tu?” disse Arthur, dubbioso.

Merlin fece una smorfia indefinita che infine si rivelò essere un’espressione offesa. “Da una ricetta. E ci sono solo erbe e robe varie. Nulla di velenoso. Ho controllato. Non ti fidi di me? Ecco.” Stappò la fialetta e ne prese un lungo sorso.

Arthur, che a quel punto aveva già smaltito la sbornia quanto bastava per poter prevedere i mal di testa del mattino dopo, grugnì e allungò una mano. “Oh, va bene, da’ qua.”

Puzzava come quei tè disgustosi che Gaius gli dava in inverno quando si prendeva il raffreddore, ma aveva un retrogusto piccante che non era del tutto spiacevole.

“Se muoio,” lo informò, “ti picchierò io stesso. Con un grosso bastone.”

“Non permetterei che tu muoia,” disse Merlin, come se quella fosse la cosa più ridicola del mondo, poi si accovacciò per terra e fissò attentamente gli stivali di Arthur per un po’.

Gli stivali furono tolti, alla fine, anche se quello di destra richiese uno strattone così violento che Merlin rotolò all’indietro e colpì il tavolo. Un vaso blu - della ceramica decorativa che Arthur non aveva mai usato per nulla ma che aveva tenuto lì perché era un regalo di una qualche principessa straniera o simili - traballò pericolosamente sul bordo del tavolo e si frantumò in mille pezzi. Sussultarono all’unisono al rumore.

“Merda,” borbottò Arthur. “Okay, lascialo lì. Domani. Pulisci domani.”

Forse Merlin aveva detto qualcosa in quel momento, ma Arthur aveva trovato un angolino delizioso sul suo cuscino e si stava addormentando ad una velocità quasi violenta, e non lo sentì.

~

“Arthur!”

Per un momento Arthur era, per la prima volta nella sua vita, quasi contento dell’incapacità di Merlin di bussare; non aveva mai apprezzato che la gente battesse alla sua porta la mattina dopo che aveva alzato il gomito. Poi, però, si rese conto che la sua mente era perfettamente lucida - anzi, non gli sembrava nemmeno di essere stato ubriaco. Quell’elisir che gli aveva dato Merlin aveva funzionato alla perfezione, e Arthur si sarebbe assicurato di congratularsi con lui, una volta che avesse finito di essere adeguatamente infastidito dalla sua incompetenza nel bussare.

Merlin si chiuse la porta dietro di lui. “Sei sveglio?”

Arthur gli lanciò uno sguardo truce. “No,” disse, ma non era ancora abbastanza sveglio affinché il pieno effetto del sarcasmo si facesse sentire, così finì col suonare quasi come una domanda.

Merlin sembrò perplesso, e si stropicciò le mani per qualche secondo prima di dire, “Um, comunque, alzati. Morgana non sta bene.”

“È peggiorata?”

Questa volta l’occhiata che gli lanciò Merlin era senza ombra di dubbio stranita. “Peggiorata rispetto a cosa? So solo che non sta bene,” disse con prudenza.

“Peggiorata rispetto a ieri, Merlin.” Arthur si mise a sedere e stese le gambe fuori dal letto. “Sei più lento del solito oggi? È ovvio che non sta bene, lo sapevamo già.”

“Oh, grazie a dio,” disse Merlin, e appoggiò la testa alla porta chiusa con un sospiro di sollievo che lo fece sembrare leggermente fuori di testa. “Pensavo che stessi impazzendo solo io. Senti. Tutti quanti si stanno comportando come se fosse di nuovo ieri, come se Morgana si fosse addormentata solo ora, è assurdo. Dicono esattamente le stesse cose e fanno le stesse cose e ok, i miei ricordi di ieri sera non sono esattamente cristallini, ma sono abbastanza sicuro che quel vaso fosse rotto quando me ne sono andato.”

Arthur seguì lo sguardo di Merlin e sentì la sua pancia perfettamente piatta stringersi in una morsa di piombo, perché c’era il vaso. Sul tavolo. Perfettamente in equilibrio e intatto. Ogni parte del corpo di Arthur sembrò tendersi all’istante in qualcosa che non era pronto ad ammettere era paura. Qualunque cosa fosse, qualsiasi cosa stesse accadendo, non era qualcosa che poteva sconfiggere con una spada; così fece quello che normalmente faceva quando si trovava ad affrontare qualcosa al di fuori della sua esperienza e del suo controllo. Si arrabbiò.

“Cosa sta succedendo? Chi è stato?”

“Non guardare me,” protestò Merlin. “Ne so tanto quanto te. E a meno che non abbiamo avuto la stessa allucinazione profetica esattamente nello stesso momento, credo proprio che il problema siano gli altri.”

Arthur pensò al giorno precedente: le risate di Gwen e gli sguardi ansiosi durante la colazione, il dolore alla spalla quando aveva sferrato un colpo con l’angolazione sbagliata, la sensazione di un bicchiere di vino scorrere giù per la gola e la lucidità della sua mente in rapida successione. “No,” disse fermamente. “Quel giorno è successo.”

“Allora come mai siamo solo noi a pensarla così?” Merlin sembrava sempre più preoccupato, ma si allontanò dalla porta e andò in direzione dell’armadio, da dove tirò fuori i vestiti che Arthur aveva indossato la mattina precedente. Erano freschi e puliti, e solo allora Arthur si accorse di avere addosso i suoi normali abiti da notte e non gli indumenti da festa con cui si era addormentato. Il nodo di inquietudine che aveva in petto fece uno sgradevole sobbalzo. “Faremmo meglio ad affrettarci,” disse Merlin, appoggiando con cura i vestiti sopra al letto, “dobbiamo essere nelle camere di Morgana per poter sentire Gaius che dice a tuo padre che sta solo dormendo.”

Arthur annuì ed era ormai quasi del tutto nudo quando pensò di domandare, “Pensi che sia così che funziona? Dobbiamo fare tutto esattamente allo stesso modo?”

Merlin scrollò le spalle e si girò per guardare fisso fuori dalla finestra mentre Arthur si cambiava, perché qualche volta era proprio una ragazza. “Forse. Per ora meglio stare sul sicuro. Se siamo gli unici ad aver vissuto il giorno prima -” e cazzo, se quella non era una frase che Arthur non si sarebbe mai aspettato di sentire uscire dalla bocca di qualcuno “-allora forse dobbiamo reagire a tutto esattamente come faremmo. Cioè, come abbiamo fatto. Insomma, hai capito.”

Sembrava poter funzionare, almeno all’inizio. La parte più difficile fu riuscire ad avere esattamente la stessa conversazione con Gwen, a colazione; continuavano a ricordarsi gli argomenti nell’ordine sbagliato e a farseli sfuggire di bocca senza riflettere, ma Gwen sembrò pensare semplicemente che fossero ansiosi per Morgana, e non disse nulla a parte un breve commento di comprensione su quanto fossero tesi, e su come fosse sicura che Gaius avrebbe trovato presto una soluzione.

Dopo colazione, Merlin prese Arthur da parte nel corridoio fuori dalla stanza di Morgana. “Penso che non sia un problema se facciamo le cose in modo diverso. Almeno un po’. Abbiamo regalmente cannato quella conversazione e io ho mangiato il pane prima della mela e non è successo nulla di orribile, perciò...”

“Bene.” Arthur abbassò la voce ancora di più; c’era una cosa che lo tormentava fin da quando Gaius aveva annunciato la sua mancanza di diagnosi per la seconda volta. “Pensi che tutta questa storia abbia qualcosa a che fare con il malessere di Morgana? Un qualche tipo di maledizione, forse?”

“È possibile.” Merlin si portò una mano dietro la nuca. “Devo andare a parlare con qualcuno, potrebbe essere in grado di aiutarci. Ti raggiungo più tardi.” E si diresse verso le camere di Gaius quasi di corsa, prima che Arthur potesse domandare chi avesse in mente di andare a consultare. Era strano, loro due che cospiravano contro qualcosa di sconosciuto ed enorme, ma strano in modo familiare. Merlin poteva anche essere un pessimo servitore, ma come compagno con cui fronteggiare la morte, non era poi così male.

Arthur non aveva la minima intenzione di ripetere le esercitazioni con la spada che si era fatto il giorno prima, ma decise di raggiungere un compromesso facendo un po’ di pratica con l’arco nella stessa area circostante il palazzo. Tuttavia, riuscì solamente ad agguantare un servitore che non fosse completamente inetto e a mandarlo a preparare i bersagli, che fu abbordato mentre camminava verso l’armeria.

“Arthur, mio signore!” Uno dei maggiordomi di corte abbozzò un inchino, e il giovane dietro di lui - no, era un ragazzo, ancora nell’adolescenza - fece lo stesso, anche se con qualche secondo di ritardo. “Questo ragazzo proviene da uno dei villaggi appena fuori Camelot, e insiste per parlare con voi. Stavo per suggerirgli di venire un altro giorno, ma visto che siete qui... forse desiderate sentire che cosa ha da dire?”

Beh, questa di certo era una novità. Ma ieri Arthur non era passato per questi corridoi in questo preciso momento. Rivolse la sua attenzione al ragazzo con uno sguardo sospettoso; aveva la stessa aria fuori posto con cui Merlin era arrivato a Camelot.

“Presumo che non mi verrai a dire che possiedi un rimedio per curare qualsiasi malattia, vero?” domandò Arthur.

Il ragazzo sbatté le palpebre. “Um, no?”

“No, sire,” lo rimproverò il maggiordomo.

“No, sire.” Ugh. Contadini. Ma gli facevano fare dei corsi specifici per avere quel tono di sciatta trasandatezza, in quei villaggetti? “Sono qui per chiedere protezione, sire. Per il mio villaggio.”

“Protezione contro una banda di briganti assassini, suppongo?” fu l’altra congettura di Arthur. Beh, se la sua vita aveva deciso di cominciare a ripetersi...

“No,” disse il ragazzo, guardando Arthur come se fosse matto. Era esattamente come Merlin, davvero, rifletté Arthur con irritazione. “Contro il fantasma urlante.”

Il maggiordomo lanciò ad Arthur uno di quegli sguardi perfettamente impostati che solo i servitori più esperti riuscivano a gestire. Diceva: ho tentato di farlo andare via, e ora desidero condividere con voi un momento di sdegno e nello stesso tempo riconoscere che se dovesse mai capitare che ci trovassimo a condividere qualcosa di concreto, vi lascerei avere il novanta per cento di esso. Come se fosse solo merito vostro. Perché voi siete il Principe Ereditario.

Arthur era affascinato, e si domandò se potesse ordinare a Merlin di prendere lezioni per quel genere di sguardo, perché il repertorio del suo servitore sembrava consistere solo di ‘Sono confuso’, ‘Penso che tu sia un idiota’, e del leggermente più complesso ‘Sono consapevole del fatto che sei il Principe Ereditario e penso comunque che tu sia un idiota, perché a quanto pare io adoro essere mandato alla gogna’.

“Sire?”

Arthur riemerse dai suoi pensieri. “Cosa? Ricomincia da capo. Un fantasma urlante?”

Sì, a quanto pareva: il villaggio del ragazzo era esattamente come ogni altro piccolo villaggio, eccetto che, un giorno all’anno, si sentivano delle forti urla. Erano puntuali come le piogge, e non portavano con sé nessun altro strano avvenimento, ma da quel che Arthur era riuscito a capire era nata un qualche tipo di storia intorno a questi fatti, riguardo a un fantasma che era condannato a infestare le caverne vicine e a far sentire il suo tormento solo un giorno all’anno.

“Da quanto tempo va avanti?” chiese Arthur. Il ragazzino sembrava fare sul serio, e quella lì non era nemmeno la storia più bizzarra che si era rivelata essere vera negli ultimi mesi.

“Molto tempo. Da prima che io nascessi.” Il ragazzo stava di nuovo cominciando a dimenticarsi i ‘sire’ in giro. “E il fantasma non ha mai fatto nulla di male al villaggio, ma quest’anno le grida si sentono più spesso, sempre più spesso, e sono anche più forti. La gente dice che qualcuno deve avere accidentalmente disturbato la salma del fantasma, e ora si prenderà la sua vendetta su tutti noi.”

Arthur aggrottò le sopracciglia. “E che cosa vi aspettate che facciano, con esattezza, i miei uomini? Uccidere un fantasma?”

Il ragazzo annuì, con aria decisamente sollevata, e ad Arthur venne risparmiata la pena di dover pensare ad una risposta adeguata perché Merlin stava accorrendo verso di loro.

“Arthur, eccoti qui,” disse lui, guadagnandosi un’occhiata di sdegnosa disapprovazione dal maggiordomo.

“Chiedo scusa, Merlin?” disse Arthur alzando un sopracciglio.

“Oh. Mi dispiace. Mio signore.” Merlin fece un rapido inchino e incalzò. “Credo di aver trovato qualcosa riguardo al problema di cui discutevamo prima,” e lo incitò a seguirlo muovendo il capo in una maniera incredibilmente poco discreta. Arthur considerò l’idea di tirargli un pugno.

“Informerò mio padre della vostra situazione,” disse al ragazzo. “Non posso promettere altro. Dove si trova il tuo villaggio?”

“A qualche ora di cavallo, verso sud-est. È vicino al fiume. Grazie, sire,” aggiunse, e Arthur fece un cenno al maggiordomo.

“Accompagnalo all’uscita.”

“Subito, sire.”

“Che cosa voleva?” disse Merlin guardandoli mentre si allontanavano.

“Una cosa di cui forse potrei occuparmi una volta che abbiamo risolto questa storia del giorno che si ripete,” disse Arthur con fermezza. “Un problema alla volta. Ora, sei riuscito ad ottenere qualche risposta, oltre a rivolgerti a me con totale mancanza di rispetto?”

“Non esattamente,” disse Merlin con espressione poco felice. “Ma questa - persona - di cui ti ho parlato, beh, vuole vederti. Credo che sappia qualcosa su ciò che ci sta succedendo, ma si rifiuta di parlare se non ci sei lì anche tu.”

“E chi sarebbe questa persona?”

Merlin trasalì. “Non ti piacerà.”

Arthur lo guardò, mentre un sospetto strisciante si insinuava nella sua mente. “Merlin. Non sarà mica un altro stregone?”

Merlin trasalì di nuovo. “Solo... aspetta che arriviamo lì, per favore. Ci spiegherà. Ha detto che spiegherà.”

Così Arthur aspettò, e infine non sapeva decidersi per quale offesa dovesse arrabbiarsi di più: per il fatto che Merlin aveva fatto amicizia con il Grande Drago - perché chiaramente, doveva avere un qualche tipo di deficit mentale quando c’era di mezzo la magia - o per il fatto che il suddetto drago, dopo aver posato lo sguardo sui due poveretti lì impalati sopra quella rupe vergognosamente stretta, cominciò a tenere un’orazione sulle anime gemelle.

Arthur strinse la mano sul suo pugnale e cercò di indirizzare la sua rovente, instabile rabbia verso qualcosa che gli permettesse di formulare frasi di senso compiuto. “Come osi,” sibilò, rivolgendosi a Merlin, il cui volto sembrava essere sul punto di squagliarsi sotto la sua stessa maschera di angoscia e turbamento. “Mio padre imprigionò questo mostro affinché servisse come esempio, non perché un insolente idiota con tendenze suicide potesse andarlo a trovare alle spalle del suo principe e farci comunella! Dovrei farti gettare nelle prigioni, hai una vaga idea - non ti è nemmeno passato per la testa - di quanto pericoloso -”

Il viso di Merlin sbiancò alla luce della torcia, la mano che la reggeva instabile e malferma. “Arthur, lo so, io - senti, potrai farmi qualsiasi cosa tu voglia più tardi, ma credo che lui sappia qualcosa su ciò che sta succedendo, e quale altra scelta abbiamo a questo punto?”

Arthur si girò di nuovo verso il Drago; si trattava, doveva ammetterlo, di un bersaglio molto più intimidatorio verso cui orientare la sua rabbia. Ma lui era un Pendragon, e un giorno sarebbe stato Re, e non si sarebbe fatto intimidire. “Sei tu il responsabile di tutto ciò? Si tratta forse di un qualche vile trucchetto di magia?”

Ci fu un breve silenzio prima che il Drago cominciasse a parlare con quel suo tono lento e divertito. “Saluti a te, Principe Arthur. A lungo ho aspettato di vedere il tuo volto. E non temere, giovane Pendragon - non ti farò rispondere dei peccati di cui si è macchiato tuo padre.”

“Mio padre è il re e tu non parlerai di lui in questa maniera, ahia,” Merlin gli pestò il piede assumendo un’espressione disperata.

“Io sono prigioniero di questo circolo tanto quanto lo siete voi, giovane principe.” La coda del Drago fece un movimento allarmante e l’istante successivo il pugnale di Arthur era per metà fuori dal suo fodero, ma la bestia si stava solo sistemando in una posizione più comoda sulle rocce. “Che non è cosa da poco. Siamo sotto l’influenza di un Veggente molto potente, senza dubbio.”

“Cosa?” Arthur sentì lui e Merlin dirlo all’unisono. Arthur si riprese per primo.

“Un Veggente? Ma come hanno - di chi si tratta? E perché solo noi riusciamo a ricordarci di ieri?”

Il Drago scoppiò in una fragorosa risata. Quel suono fece rabbrividire Arthur. “La risoluzione di questo mistero sarà un passo di considerevole importanza nel vostro viaggio insieme.”

“Fa sempre così.” Merlin si accigliò. “Non appena comincia ad essere utile, ricomincia a parlare di destini intrecciati e cose simili.”

“Come posso sapere che non stai mentendo?” disse Arthur senza mezzi termini. “Voglio i dettagli.”

Ma il Drago si limitò a ridere di nuovo e abbassò la testa sulle zampe anteriori con chiaro segno che quel ridicolo colloquio era terminato. Erano a metà strada su per le scale e Arthur stava per riprendere a sbraitare quando Merlin sospirò forte vicino a lui.

“Questo ti piacerà anche di meno,” disse Merlin, “ma credo di sapere chi è il Veggente.”

“Chi?”

Merlin si fermò e strinse entrambe le braccia di Arthur; Arthur ne fu così sorpreso che parte della sua rabbia sembrò scomparire. “Non puoi parlarne con nessuno,” disse Merlin con urgenza, “e ti prego, ti prego, non esplodere, e ascoltami, perché non è facile ed è importante che tu capisca che non è lei a volerlo.”

“Lei...”

“Morgana,” finì Merlin, e le sue dita gli si strinsero quasi fino a far male, ma Arthur si accorse a malapena dell’iniziale fitta di dolore. “È Morgana. Prova a pensarci. Sai bene che ha spesso incubi, incubi terribili, e ora - beh, non ti sembra come che si sia persa in uno di quelli? Come se il suo potere non le permettesse di farla svegliare da qualsiasi cosa stia Vedendo?”

“No. Non sappiamo se si tratti davvero di un Veggente. Non mi fido di quel drago,” disse Arthur, ritraendosi verso il muro, ma in cuor suo era d’accordo con Merlin; per la prima volta da quando si era svegliato, tutti i pezzi si stavano mettendo al loro posto, ed era tutto fin troppo sensato per poter essere messo in discussione.

“Arthur, lo so che non è ciò che vorresti sentirti dire.” Le dita di Merlin allentarono la presa, ma lasciò una mano sul braccio di Arthur, probabilmente in un qualche goffo tentativo di tranquillizzarlo. La cosa fastidiosa era che stava effettivamente funzionando: Arthur non riusciva a richiamare a raccolta la stessa rabbia di prima, anche con questa nuova rivelazione da gestire. “Ma tu conosci Morgana. Lo sai che non farebbe mai nulla per fare del male a Camelot, o a Uther, o - a te.” Arthur non lo aveva mai visto così serio, e aveva imparato a dargli retta, quando usava quel tono.

Ma... Morgana. Arthur aveva la sensazione che una larga parte del suo mondo fosse stata frantumata in mille pezzi, come il vaso blu, e rimesso insieme da un bambino incapace con zero abilità per l’artigianato.

“Ha aiutato quel ragazzo druido.”

“Ma anche noi!” disse Merlin. “E quello non aveva nulla a che fare con la magia, e tu lo sai. Quello era fare la cosa giusta. Morgana è una Veggente, e credo che stia facendo qualcosa per causare tutto questo, ma non penso che lo stia facendo di proposito. Non lo farebbe.”

Arthur respirò a fondo prima di scacciare via quei pensieri, nascondendoli da qualche parte fra le corde più profonde del suo animo, in un angolo lontano ed angusto, da dove poter tirarli fuori più tardi e pensarci su con calma. Un problema alla volta. “Quindi adesso cosa facciamo? Non riusciamo neanche a svegliarla, nemmeno Gaius ci è riuscito.”

“Gaius.” Merlin tolse finalmente la mano dal braccio di Arthur e annuì. “Dovremmo andare a chiedergli aiuto. Se c’è qualcuno che sa cosa fare, quello è lui.”

“E in che modo ritieni che questa conversazione funzionerà, Merlin? Ciao, Gaius, tu non te lo ricorderai, ma questo giorno è già successo prima.”

Un sorrisetto si insinuò sul volto di Merlin, poi scoppiò a ridere, e un attimo dopo anche Arthur si ritrovò a ridere con lui. Malgrado tutto. “Beh,” disse Merlin allegramente, “vale la pena tentare.”

In realtà, Gaius si limitò a dire, “Cosa?” e poi, “Ripetimi un attimo quella parte,” e poi “Merlin, rallenta,” tre o quattro volte, per poi lasciarsi cadere pesantemente su una sedia, massaggiandosi la fronte.

“Ci credi?” chiese Arthur, sorpreso.

“Beh, per quanto io sia tentato di accusare voi due di averci dato sotto con il vino che è stato messo da parte per la festa -”

“No! Anche se quel vino lo abbiamo bevuto. Ieri. Alla festa.”

“...grazie, Merlin, sì, ho capito quello che mi state dicendo. E sono sicuro che abbiate di meglio da fare che architettare storie assurde con cui sprecare il mio tempo, dunque non mi rimane altra scelta che credervi. E sì, Principe Arthur,” annuì tristemente in direzione di Arthur, “ritengo che Lady Morgana possegga il dono della chiaroveggenza, tuttavia lei stessa ne è consapevole solo in maniera molto limitata. Tutto ciò che sa è che alcune notti sogna dei pericoli, e a volte capita che questi si verifichino davvero. Voi capirete perché lo abbia tenuto segreto nei suoi stessi interessi.” Abbassò gli occhi sul tavolo. “Il giudizio di vostro padre è buono e giusto in molte aree, ma la magia non è una di quelle, e ho paura che la sua reazione sarebbe mal posta e senza considerazione in rispetto ai sentimenti e alle azioni di Lady Morgana.”

La sensazione che tutto stesse cadendo a pezzi si fece di nuovo strada nel cuore di Arthur; con un brusco cenno della mano fece accantonare il discorso. “Non sono interessato a discutere di Morgana, adesso. Desidero sapere che cosa possiamo fare, e cosa succederà se non si sveglia. Si ripeterà di nuovo questo giorno? Perché solo io e Merlin eravamo consapevoli dell’effettivo scorrere del tempo?”

“Temo di non avere risposte per voi in quanto a questo, sire, a meno che...” Gaius si rivolse a Merlin. “Ci sono molte poche piante che posseggono l’abilità di proteggere contro alcune specifiche forme di magia. Per caso, i tuoi diligenti studi di botanica sono riusciti a ficcare almeno parte di queste conoscenze in quella tua testa dura, Merlin?”

“Um. Non saprei - oh.” Gli occhi di Merlin si spalancarono. “Oh. Sorba selvatica.” Rivolse i suoi occhi sgranati verso Arthur. “La pozione che abbiamo bevuto, dentro c’era della sorba selvatica.”

“Merlin.” Gaius tamburellò le dita sul tavolo.

“Stavo facendo pratica! Studiando!” protestò Merlin. “Proprio come mi dici sempre di fare tu! Era in uno dei tuoi libri di medicina, sembrava facile, serviva solo per prevenire i postumi dell’alcol.”

Gaius sospirò e si alzò in piedi, per poi andare verso uno scaffale. “La sorba selvatica viene usata molto raramente in medicina; la uso in inverno per aiutare a liberare i condotti nasali e la gola, ma il suo sapore ne preclude l’uso in cucina, e il clima attuale è troppo caldo per i raffreddori. Non c’è da meravigliarsi che voi due siate gli unici le cui menti abbiano mantenuto la capacità di concepire la realtà in una successione temporale lineare. Merlin, renditi utile e fai bollire dell’acqua, per piacere.”

Merlin si affrettò verso il focolare e Arthur si sedette, guardando Gaius rovesciare alcune bacche scure dentro una ciotola. “Ne darai un po’ a Morgana?”

“No, questo è per noi. Non ho intenzione di rivivere l’esperienza di ascoltare i terribili tentativi di Merlin di spiegarsi una seconda volta - oltretutto, sospetto che gli effetti della pozione per i postumi vi abbandoneranno entro la fine del giorno, e vi sveglierete intrappolati come tutti gli altri. Temo che la sorba sarà di poco aiuto per Morgana se è lei a creare il circolo.”

“Ma potremmo darlo ad altre persone, giusto?” intervenne Merlin.

“No.” Arthur guardò Gaius, che annuì. “Anche se tutti ne fossero consapevoli, saremmo comunque bloccati nello stesso giorno. Il clima è lo stesso, e tutto sarebbe allo stesso modo ogni volta che ci svegliamo. Il vaso blu, Merlin. Prova a pensarci. La gente andrebbe in panico.”

“Molto bene, sire.” Gaius cominciò a schiacciare le bacche con un piccolo mortaio. “È meglio se manteniamo un profilo basso e vediamo cosa riusciamo a fare per sistemare. Se tutto va bene, nessuno saprà mai che cosa è successo davvero.”

“E nel frattempo,” disse Merlin, portandogli una pentola traboccante d’acqua, “noi riviviamo sempre lo stesso giorno?”

“Per quanto possa essere possibile.” Gaius vi versò dentro il succo di bacche. “Voi due dovreste andare alla festa, come avete... come avete già fatto. Avevo intenzione di andare a dare il cambio a Gwen e vegliare su Morgana, ma penso che rimarrò qui a dare un’altra occhiata ai miei libri. Potrei riuscire a trovare un precedente, e se siamo fortunati, una soluzione.”

E fu così che Arthur si ritrovò nuovamente a cercare di convincere Merlin a indossare il completo cerimoniale dei servitori di Camelot.

“No. L’ho indossato l’ultima volta, sembravo un idiota, sono certo che per te sia stato esilarante, e non ho intenzione di indossarlo di nuovo.”

“Se non indossi quel cappello, potresti distruggere la realtà.”

Dopo una lunga pausa, Merlin grugnì e si grattò la fronte. “Non posso credere di essere in una situazione in cui tu puoi uscirtene con una frase del genere e io potrei quasi prenderti sul serio. No. Abbiamo fatto cose diverse per tutto il giorno, e mi rifiuto di credere che ciò che indosso questa sera farà alcuna differenza.”

Un sorrisetto compiaciuto si dipinse sul volto di Arthur. “Sai, Lady Emilia potrebbe non essere poi così entusiasta questa volta. Se indossassi il cappello.”

Merlin se lo infilò senza esitazione.

La festa fu anche meno divertente, al secondo giro. I discorsi erano gli stessi, il cibo era lo stesso, Gwen non c’era, e Lady Emilia non sembrava in alcun modo intenzionata a farsi scoraggiare da un cappello piumato. Arthur la guardò mentre lei guardava Merlin, il quale tentava disperatamente di evitarla non rimanendo mai fermo per più di dieci secondi nello stesso posto, ma dopo un po’ fu impietosito dall’espressione esaurita del suo servitore e lo chiamò con un cenno.

“Resta qui e parla ancora di orzo, eri molto bravo ieri,” ordinò. “Io penso a distrarla.”

Merlin gli lanciò uno sguardo di fervente gratitudine. “Te l’ho mai detto che a volte sei un essere quasi sopportabile?”

Arthur rise e tolse il cappello dalla testa di Merlin. “Siediti. Nasconditi. Se può trasformarsi in una civetta giuliva a causa tua, sono sicuro che apprezzerà una conversazione con qualcuno che possiede di fatto almeno un briciolo di fascino.”

“Allora bisognerà escluderti dalla lista.”

“Guarda e impara,” disse Arthur con leggerezza, e si diresse con passo lungo e deciso verso la chioma di capelli rossi.

Tuttavia, Lady Emilia sembrò apprezzare i tentativi di Arthur di scambiare qualche chiacchiera adulatoria soltanto perché era convinta che lui fosse un orecchio bendisposto ad ascoltare la calorosa ammirazione di cui ricopriva ‘quel ragazzo dai capelli scuri con quel buffissimo cappello che gironzolava qui intorno fino a qualche minuto fa’, e forse Arthur sapeva dove fosse andato, o magari Arthur poteva rivelarle il suo nome?

“Oh, non è nessuno. Un servitore. A malapena degno delle vostre attenzioni.” Arthur tentò di prenderle il braccio e farla girare per ammirare i musicisti, ma quella maledetta donna era come un mulo con gli occhi fuori dalle orbite alla ricerca di una effimera carota.

“Con quegli zigomi tanto eleganti, e un sorriso così incantevole,” continuò a ciarlare. “Non siete d’accordo, Principe Arthur?”

Quella era di gran lunga la conversazione più stupida a cui Arthur avesse mai partecipato. Lanciò una rapida occhiata al tavolo regale e sì, va bene, forse gli zigomi di Merlin erano più pronunciati rispetto agli zigomi di una persona normale, soprattutto quando sorrideva in quel modo, ma non vedeva alcun motivo per cui una donna dovesse perdere la testa per la struttura ossea di Merlin quando lui era una persona così insulsa sotto qualsiasi altro punto di vista.

“Non potete averlo,” disse Arthur, esasperato; a questo punto, poteva anche risparmiare tempo, ed era stufo di essere affascinante. “E non siete il suo tipo. Suggerisco che ci proviate con il servitore di Sir Jerome, o possibilmente con Sir Jerome stesso. Ora scusatemi.”

Fece l’inchino più veloce che avesse mai fatto in vita sua e tornò a tutta velocità dove era seduto Merlin. “Le ho detto che hai una terribile malattia venerea,” disse a Merlin, che quasi si soffocò con una sorsata d’acqua.

“Sono in debito con voi, mio signore. Posso lasciare la festa adesso?”

“Sì, va bene, vai.” Arthur inclinò la testa verso la porta. “Andrò a scusarmi pure io.”

Merlin rimase nella stanza qualche istante prima di andarsene. “Rompi il vaso.”

Arthur sbatté le palpebre, e poi capì. “Come test?”

“Se domani è di nuovo integro, vuol dire che siamo ancora bloccati nello stesso giorno.” Merlin annuì. “Ti serve il mio aiuto? Adesso, voglio dire?”

“Non sono ubriaco questa volta, penso di essere capace di gestire i miei stessi stivali.” Arthur fece un cenno con la mano per congedarlo, poi andò da suo padre per informarlo che gli era venuto un terribile mal di testa.

Fu un po’ strano, essere nelle sue camere da solo e far cadere deliberatamente il vaso per terra, ma anche in un certo senso appagante; Arthur moriva dalla voglia di distruggere qualcosa da ore, ormai. E come se il suono della ceramica che si infrangeva sul pavimento fosse quello di un sugaro stappato dal collo di una bottiglia, improvvisamente un turbinio di pensieri sembrò fuoriuscire dall’angolo della sua mente dove li aveva scacciati e sepolti con premura, turbinando in un vortice di immagini che gli offuscò la mente: il drago, Merlin, Morgana, Gaius. Ragnatele di segreti e magia che erano state tessute nel suo stesso castello, senza che lui lo sapesse, dalle persone più vicine a lui.

Ci volle parecchio tempo prima che il sonno riuscisse a placare la sua mente e a chiudere la sue palpebre.

~

(part two)

---trovate la storia originale qui---

**DISCLAIMER**
Merlin (BBC) non mi appartiene, ovviamente, non mi appartengono i personaggi, gli attori, la loro biancheria intima, insomma sono una poveraccia e di loro non posseggo nemmeno un capello, né mi viene in tasca nulla, se è per questo.

traduzioni, fandom: merlin bbc, pairing: arthur/merlin, !fanfiction

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