Titolo: Quickening Days
Autrice:
fahyeTraduttrice:
thebettyboingFandom: Merlin BBC
Pairing: Arthur/Merlin
Parte: 3/3
Rating: R
Avvertimenti: Slash
Conteggio Parole: 9074
Trama: vedi
quiNote: vedi
qui (part two) ~
Fu di nuovo qualcuno che bussava alla porta che svegliò Arthur la mattina dopo, ma questa volta fu così lieve che per un momento pensò di esserselo immaginato. Ma bussarono di nuovo, più forte, e poi: “Arthur, sono io. Posso entrare?”
Arthur si tirò su a sedere e guardò la porta, chiedendosi che cosa Merlin avrebbe fatto se lui si fosse rifiutato di dire qualcosa, ma non ebbe il tempo di darsi una risposta. La porta si aprì, e Merlin, con la stessa aria cauta e prudente del giorno prima, si autoinvitò nella stanza.
“È un nuovo giorno,” disse in tono sommesso. “Hai intenzione di parlarmi?”
Per un momento Arthur provò la fortissima tentazione di ribattere, in modo molto immaturo e puerile, che non era, effettivamente, un nuovo giorno. Ma sarebbe stato del tutto inutile.
“Quando ce ne andiamo dalle stanze di Morgana,” disse, scendendo dal letto, facendo attenzione a non posare gli occhi su di Merlin, “vai a sellare i cavalli. Partiamo immediatamente. Andiamo a finire ciò che abbiamo iniziato.”
Il raduno familiare in camera di Morgana fu anche più difficile del solito, e ad Arthur non sfuggirono le occhiate di rimprovero che Gaius stava rivolgendo a entrambi mentre la esaminava; nessuno di loro poteva vantare grandi doti recitative. Ma poi Arthur pensò che invece Merlin doveva essere di certo un attore eccellente, per poter stare a guardare in silenzio mentre Uther giustiziava così tanti maghi e stregoni. E poi gli vennero in mente tutti i piccoli dettagli: Merlin che domandava timidamente se fosse davvero una cosa così cattiva usare la magia per buoni propositi, Merlin che abbassava lo sguardo, Merlin che collaborava e acconsentiva senza tante storie, ma senza mai sembrarne felice. Forse era davvero un pessimo attore; forse Arthur non aveva mai osservato abbastanza attentamente.
“Merlin,” disse, poco dopo, “i cavalli,” e Merlin, che stava camminando in direzione opposta alle stalle, si fermò, ma non si girò.
“Ti raggiungo lì,” disse. “Devo... c’è una cosa che devo fare, prima.”
Se pensava di poterlo fregare con qualche vaga affermazione proprio il giorno dopo aver rivelato di essere molto più bravo a tenere segreti di quanto non sembrasse, si sbagliava di grosso. Arthur lasciò che si allontanasse di qualche metro e che svoltasse il primo angolo del corridoio prima di cominciare a seguirlo, mantenendo una buona distanza e anche allungandola, una volta che capì dove Merlin si stava dirigendo. Così, quando Arthur scese di soppiatto le scale di pietra e si appiattì al muro cinque gradini prima della rupe, nascosto nell’ombra, Merlin e il Grande Drago stavano già parlando.
O meglio, Merlin era in collera e il Grande Drago stava - da quel poco che Arthur riusciva a vedere - ascoltando impassibile.
“...e ora è tutto rovinato, perché lui mi odia! Come posso proteggerlo se non vuole neanche vedermi? Come posso proteggerlo se tu non mi dici mai niente?”
Un folgore d’ira cercò nuovamente di impadronirsi di Arthur, perché il compito di Merlin era quello di servirlo, e non di mettersi in mezzo fra lui e il resto del mondo come se fosse un bambino bisognoso di qualcuno che lo proteggesse e che combattesse le sue battaglie, e la schietta arroganza nella voce di Merlin lo faceva infuriare.
“Non può esserci vera unione di due anime destinate,” disse il Drago, e aveva un tono di così altezzosa superiorità che parte della rabbia di Arthur dovette reindirizzarsi su un nuovo bersaglio, “quando giacciono dei segreti a dividerle.”
“Certo,” sbottò Merlin. “E vuoi sapere cos’altro potrebbe giacere a dividere le nostre anime? Una prigione. O magari mi faranno tagliare la testa, come fanno con tutti gli altri stregoni; sono sicuro che farò un ottimo lavoro ad aiutare Arthur a diventare un grande re, quando sarò morto.”
“La fiducia viaggia in più di una sola direzione,” disse il Drago, serafico, e per Arthur quella fu la prima cosa sensata che fosse mai uscita dalle sue fauci. Anche Merlin sembrò pensarla allo stesso modo; smise di gridare.
“Va bene,” disse. “Forse avrei dovuto - va bene. Ma non è questo il punto! Il punto è che Arthur è quasi morto perché tu non vuoi dirci come uccidere questa cosa, e -”
Un ringhio gli impedì di finire la frase, un ringhio che si fece sempre più forte, e il Drago si erse in tutta la sua imponenza, gli occhi che gli brillavano, scoprendo i denti. “Tu dai molto per scontato, giovane mago,” soffiò. “Mi reputi forse nient’altro che un oracolo, di cui servirti a tuo piacimento, proprio come pensava Uther vent’anni fa? È mio destino aiutare te e il giovane Pendragon ad ottenere grandezza. Lo farò, ma tu non te ne starai lì in piedi parlando di uccidere l’unico altro superstite della mia razza e aspettarti che io ne sia felice.”
Merlin si prese qualche momento di silenzio prima di rispondere. “Mi dispiace,” esitò. “Non ci avevo pensato. Scusami. Ma non abbiamo altra scelta se vogliamo impedirgli di distruggere Camelot, ed è l’unico modo sicuro per svegliare Morgana.”
“Voi riuscirete nell’impresa,” disse il Drago, una nota di tristezza nella voce. “Ma lo farete senza il mio aiuto.”
Arthur decise che aveva sentito abbastanza. Corse su per le scale, i suoi passi leggeri e felpati come quando andava a caccia, e quando Merlin lo raggiunse nelle stalle, stava già ordinando la bardatura per i cavalli e aveva mandato qualcuno nelle cucine per un pasto al sacco.
“Se ti chiedessi dove sei stato,” disse in tono colloquiale, sistemando la sella, “mentiresti?”
“No!” Merlin sembrò turbato e quasi sul punto di arrabbiarsi; era esattamente lo stesso tono con cui aveva appena rimproverato il Grande Drago perché Arthur non era uscito completamente illeso da una lotta contro una creatura magica priva di senno. Ma tecnicamente Arthur quello non poteva saperlo. “Niente più bugie. Te lo giuro. Chiedimi qualsiasi cosa.”
“Qualsiasi cosa.”
Quando Arthur si girò per guardarlo negli occhi, la bocca di Merlin si era fatta una linea sottile sottile, ma disse, “Sì. Qualsiasi cosa.”
In quel momento, un servitore tornò con del cibo, e subito dopo ne spuntò un altro guidando un cavallo ben equipaggiato per Merlin, così Arthur non disse nient’altro. E quando stavano cavalcando lungo la stessa strada che avevano percorso il giorno prima, l’atmosfera e parte della tensione che si erano accumulati erano spariti, perciò ci volle parecchio tempo prima che Arthur parlasse. Non era la domanda che aveva pensato di voler chiedere inizialmente, ma era comunque importante.
“Vorresti che io fossi ancora all’oscuro di tutto?”
“A dire il vero,” disse Merlin, dopo una lunga pausa, “quando abbiamo scoperto di questa storia del circolo, per un po’ ho desiderato che fossi solo io. Volevo che anche tu stessi vivendo lo stesso giorno come tutti gli altri, così che avrei potuto parlarti della mia magia e poi te ne saresti dimenticato, e potevo provarci di nuovo e tutte le volte che volevo fino a che non trovavo un modo per dirtelo che non suonasse così...”
“Così come se mi avessi mentito fin dal primo giorno che ci siamo incontrati?”
Merlin sembrò sentirsi male. “Il problema è che te l’ho tenuto nascosto, non è così? Non è la magia.”
Arthur si morse la lingua prima che quello che avrebbe voluto dire uscisse dalla sua bocca, non del tutto sicuro di che cosa fosse, ma certo che avrebbe solo peggiorato la situazione. Valutò la questione: gettò tutto ciò che finora aveva voluto evitare alla luce del sole e lo affrontò a pieno viso, e capì che sì, Merlin aveva ragione. Aveva creduto di conoscere Merlin, creduto che avesse finalmente trovato qualcuno di cui si potesse fidare senza sforzo, e tutte le sue certezze erano crollate in meno di un secondo. E se voleva essere del tutto sincero con se stesso, c’era anche il fatto che Merlin era la prova vivente che tutto ciò che suo padre aveva fatto contro coloro che praticavano la magia a Camelot era sbagliato, e Arthur questo non poteva sopportarlo, perché...
Beh. Perché significava che Arthur avrebbe dovuto prendere posizione contro di lui, ma ciò era impossibile. Nessuno poteva scontrarsi con Uther, quando si trattava di magia. Quindi questo lasciava Arthur... con cosa? Con la piena consapevolezza che le persone non dovrebbero essere ritenute responsabili per ciò con cui sono nate, ma ugualmente sicuro che nulla che lui potesse fare o dire avrebbe modificato in alcun modo il corso delle cose. Lo lasciava impotente, e più di ogni altra cosa Arthur odiava non essere in grado di cambiare le cose.
Arthur si accorse di essere rimasto in silenzio per un bel po’, e che si era anche dimenticato la domanda iniziale. “Io mi... mi abituerò all’idea,” disse piano. “Solo, non aspettarti che lo faccia subito.”
Questa volta fu Merlin ad annuire e accelerò il passo; che l’avesse fatto per cercare un po’ di spazio per sé o per lasciare ad Arthur il suo, non lo sapeva. Non importava. Cavalcarono in silenzio a lungo, abbastanza a lungo che i muscoli di Arthur si tesero istintivamente; non erano lontani da Fiumevicino, e solo a poca distanza dal luogo dove il giorno prima avevano sentito le grida per la prima volta.
“È quello che una persona fa che dovrebbe importare,” supplì Merlin, all’improvviso, rompendo il silenzio. “Non quello che ha il potenziale di fare. L’hai ammesso tu stesso, quando hai scoperto la verità su Morgana. Ciò che importa sono le sue intenzioni, e i suoi sentimenti -”
Arthur sentì l’ultimo residuo della sua rabbia parlare al posto suo, “La magia corrompe.” Ma erano parole di sue padre, e Arthur sapeva che non vi era alcuna prova a sostenerle, se non il fatto che erano state ripetute così tante volte dall’uomo che lui si era sempre, sempre sforzato di impressionare.
“Il potere corrompe. Se glielo permetti.” Merlin fece una pausa. “E io non permetterò che ti succeda, se tu non permetterai che succeda a me.”
Arthur chiuse gli occhi, fece due profondi respiri, e li riaprì. Questo era Merlin, Merlin, che gli aveva salvato la vita e si era dimostrato pronto a combattere fino alla fine al servizio di Arthur, e Arthur sapeva che doveva prendere una decisione proprio lì, in quel preciso momento. Doveva accettarlo così com’era, oppure no. O si fidava di Merlin completamente, oppure no.
“Attento!” gridò allora Merlin, e Arthur ebbe a malapena il tempo di rendersi conto del modo in cui era cambiato il vento prima che il suo corpo si gettasse lungo il collo del cavallo, che si impennò dal panico; ancora una volta i suoi riflessi gli avevano salvato la vita. La zampa del drago gli fischiò sopra la testa sfiorandogli l’orecchio, e Arthur riuscì a spingere indietro il cavallo che si lanciò in un galoppo furioso quasi fuori dal suo controllo.
“Da dove è spuntato fuori?” gridò Merlin. “Pensavo che fosse intrappolato nel circolo! Pensavo che sarebbe stato nello stesso posto di ieri!”
Arthur si morse la lingua trattenendo un’imprecazione e scivolò giù dal cavallo, senza levare lo sguardo dal drago, che sbuffava fumo e lo fissava a sua volta. “Non ho idea di come funzioni questa cosa, Merlin. Forse i tuoi trucchi di magia ieri gli hanno fatto qualcosa, forse la sorba sulla mia spada ha avuto degli effetti, non lo so. Ma dobbiamo ucciderlo, e sappiamo tutti e due che l’acciaio da solo non funziona.”
Merlin lo guardò sconvolto. Doveva proprio fare l’idiota nei momenti più inopportuni.
“La magia!” gridò Arthur. “Vieni giù da quel cavallo e fa’ qualcosa!”
Il drago fece di nuovo quella risata metallica e Arthur tirò il cavallo ancora più indietro, assicurandosi che fossero fuori dalla gittata di un eventuale attacco, mentre Merlin sollevava la mano e pronunciava di nuovo l’incantesimo per accecare.
“Bene.” Arthur fece per prendere le redini, ma Merlin scivolò a terra con un’espressione ansiosa in volto mentre il drago ruggiva di nuovo dalla rabbia.
“No,” ringhiò, “no, tutto finito, finito nel buio, devo uccidere -” e altre urla disumane.
“Arthur!” gridò Merlin, guardando il drago. “Tira fuori la spada.”
“Cosa? Non funziona, Merlin, lo sai.”
“Fallo e basta, fidati di me,” ma la mano di Arthur era già sull’impugnatura della spada prima ancora che Merlin avesse finito di parlare, ed Arthur capì che si fidava.
“Andiamo un po’ più indietro,” si affrettò Arthur, allontanandosi dal drago impazzito tirando i cavalli terrorizzati con una mano, e impugnando saldamente la spada con l’altra. “E sbrigati, qualsiasi cosa sia.”
Merlin cominciò a parlare, il volto increspato dalla concentrazione, la mano stesa verso Arthur, e una luce blu esplose sulla lama così luminosa che Arthur pensò dovesse trattarsi di un fulmine, ma invece era la sua spada. Infuocata da qualche potere luminoso, improvvisamente più leggera e calda nella sua mano.
Merlin annaspò e lasciò cadere la mano. “Adesso,” disse concitato, “prova adesso. Io ti aiuterò.”
Arthur studiò le movenze del drago, cercando di trovarci un ritmo, ma non sembrava essercene uno: arrancava in avanti, si scaraventava di lato, era sempre più vicino.
E poi il suono si levò scintillando nell’aria, alto e meraviglioso, come qualcuno che cantava con tre bocche e nessuna parola, e il drago si paralizzò all’istante. Sollevò il capo più in alto che poteva, inclinato sul fianco sotto il peso della sua ala morta, ed emise un debole rantolo. Era completamente immobile. Il collo era scoperto. Il suono continuava a infrangersi nell’aria.
Arthur sentì un dolore al petto e il suo cuore si strinse in una morsa, ma era già partito, correndo contro la creatura inerte e poi sentì la spada affondare in profondità nella carne del drago, come se la sua pelle fosse fatta di cartapesta.
L’ultimo grido fu peggiore di tutti gli altri messi insieme, ed Arthur estrasse fuori la sua spada giusto in tempo per spostarsi dalla traiettoria di un disordinato getto di fuoco, ma durò molto poco. La ferita era stata inflitta in profondità e con fatale precisione, e anche la magia sulla lama doveva aver fatto qualcosa, perché il grido si spense dopo pochi secondi e il drago si schiantò al suolo. La forza dell’impatto fece tremare la terra sotto i loro piedi e poi svanì, e improvvisamente Arthur si accorse che la gamba aveva ricominciato a pulsargli dolorosamente. Si voltò; Merlin stava tranquillizzando i cavalli, che fortunatamente non erano scappati via quando Arthur li aveva lasciati per attaccare il drago.
“Che cos’era?” chiese Arthur, e la bocca di Merlin fece una smorfia mentre si avvicinava a lui.
“La canzone del drago. È un incantesimo semplice. In teoria serve a calmare i bambini, non è - non è da battaglia.”
“Sembri quasi triste per lui,” disse Arthur, e gli venne fuori con un tono più accusatorio di quanto avrebbe voluto. Merlin distolse lo sguardo dal drago, impallidendo.
“Era pazzo, non era colpa sua se era così. E tutti coloro che conosceva, tutti quelli della sua razza, sono - sono morti.”
Arthur non era così stupido da non vedere il vero significato di quella frase. Cercò sommariamente di pulire la lama della spada e la rinfoderò, poi disse, “Pensavi davvero che ti avrei fatto uccidere, se lo avessi scoperto?”
Merlin ebbe un fremito, lungo e lento, e per qualche istante sembrò perdersi fra i suoi pensieri, ma il suo sguardo e il suo tono erano entrambi sinceri. “Non lo so. Mi dispiace. Pensavo - credevo che ti saresti arrabbiato così tanto che avresti potuto fare qualcosa senza riflettere, o dirlo a tuo padre, e una volta che il re lo fosse venuto a sapere non avrei mai potuto restare a Camelot. Vivo o morto, avrei dovuto lasciarti.”
“Dovresti darmi un po’ più di fiducia,” disse Arthur, non sapendo quanto quelle parole fossero disperatamente vere fino a che non gli uscirono dalla bocca.
“Lo farò se lo farai anche tu,” disse Merlin. L’ombra di un sorriso balenò sul suo volto, riconoscendo l’eco delle sue parole, e stese una mano.
Arthur pensò a quando un normale giorno di sole uno sconosciuto sfrontato gli aveva risposto con insolenza sotto le mura del suo castello, e aveva steso una mano come distratto convenevole, senza prenderlo sul serio. Pensò a quando aveva offerto la sua mano nella buia capanna di Hunith, stringendola forte e capendo che non c’era nessun uomo al mondo con cui avrebbe fronteggiato la morte più volentieri.
Pensò: beh... suppongo che la decisione spetti a me.
Molte cose erano cambiate; sarebbe stato stupido pretendere che non fosse così. Ma Arthur poteva scegliere quanto lasciare che quelle cose cambiassero lui.
Stese il braccio e strinse la mano di Merlin.
“D’accordo,” disse, e il sorriso di Merlin si illuminò.
“D’accordo.”
Un pensiero assurdo gli attraversò la mente. “Tu, Morgana - non è che anche Gwen è una strega, vero?” Quella, pensò Arthur, era la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
“No! No, dio, no. Sono stato io a curare suo padre quando stava morendo a causa della maledizione di Nimueh.” Un’espressione contrita si dipinse sul volto di Merlin. “Ammetto che quella è stata un’idea un po’ avventata.”
“Povero Merlin.” Arthur gli si fece vicino prendendogli la testa con una mano. “Tutta quella magia non lascia molto spazio per il cervello, non è così?”
Quelle parole fecero rispuntare il sorriso di Merlin. “Andiamo a casa,” disse.
Il sole del tardo pomeriggio stava già accarezzando i tetti della reggia quando furono di ritorno a Camelot, e le mille storie di Merlin avevano districato molti dei misteri degli ultimi mesi. Aveva perso il conto del numero di volte in cui si erano salvati la vita a vicenda, e decise che in fondo era meglio non contarle.
A Gaius bastò un’occhiata al duo, e si mise a frugare in giro alla ricerca di alcune erbe. “Presumo, dalle vostre facce sudice ma compiaciute, che questa volta la missione abbia avuto successo.”
“Infatti,” disse Merlin.
“Beh, non potete di certo andare alla festa conciati in quel modo.” Gaius sventolò un mazzetto di erbe. “Lasciate che vi prepari del tè, poi potrete andare a lavarvi.”
“Andare alla festa non rientra fra i nostri programmi,” annunciò Arthur. “Sono decisamente troppo malato e contagioso. Informa tu mio padre, Gaius.”
“Molto bene, sire.” Gaius indicò loro due sedie e versò del tè di sorba da una teiera che si stava scaldando sopra al fuoco. Arthur bevve il suo il più velocemente possibile e si alzò.
“Buonanotte,” lo salutò Merlin con la sua tazza vuota.
“Che stai facendo, Merlin?” Arthur si appoggiò sullo stipite e alzò un sopracciglio. “Sei o non sei il mio servitore?”
Merlin lanciò a Gaius un’occhiata e una scrollata di spalle, e seguì Arthur. “Ho anche una stanza tutta mia, sai,” disse salendo gli scalini fuori dalla porta di Gaius, anche se non ne sembrò infastidito.
Arthur ormai se n’era quasi dimenticato; avevano trascorso talmente tanti giorni vivendo a stretto contatto l’uno con l’altro, essendo gli unici due che sapevano che cosa stesse accadendo, che era diventata un’abitudine: le notti passate alla finestra, il retrogusto della sorba sul palato, e Merlin.
E a parte questo, stavolta c’era una cosa che voleva provare.
“Rompi il vaso,” disse, non appena la porta fu chiusa. Merlin fece per andare verso il tavolo, ma Arthur lo prese per il polso e lo fermò. “No. Rompi il vaso, Merlin.”
Merlin lo fissò per un lungo istante, poi voltò lo sguardo verso il tavolo. Non disse nulla, questa volta, ma i suoi occhi si accesero per un secondo di un guizzo di luce dorata, e Arthur quasi mollò la presa per la sorpresa. Quando riuscì a levare gli occhi dal volto di Merlin, che era coperto di uno strano, ardente senso di quiete, si accorse che il vaso stava ondeggiando a mezz’aria. Merlin lasciò il fiato in qualcosa che sembrò un breve e rapido sospiro; un altro bagliore dorato; il vaso volò di lato e s’infranse contro il muro con un solo agile movimento.
Un lieve strattone riportò l’attenzione di Merlin su Arthur. “Che altro?”
“Arthur -”
“È tutto a posto.” Il suo sorriso sembrava sincero, sul suo viso; per niente forzato. “Voglio sapere. Voglio che mi mostri. Che altro?”
Un sorriso di risposta si disegnò sulla bocca di Merlin, e anche quello sembrava sincero. Forse era davvero tutto a posto, fra di loro, o almeno erano sulla buona strada. “Beh, c’è una cosa su cui sto lavorando da un po’. Stenditi sul letto.” Arthur, con sua stessa meraviglia, sentì le sopracciglia inarcarsi sulla sua fronte in maniera decisamente ambigua. Merlin diede un colpo di tosse e arrossì. “Voglio dire. Stenditi e guarda il tetto del baldacchino, ti faccio vedere una cosa.”
Arthur si distese su un lato del letto e guardò in alto senza avere la minima idea su cosa doversi aspettare. Sentì il lieve cambio di peso quando Merlin si stese vicino a lui, poi Merlin alzò una mano e disse qualcosa in quella strana lingua magica, e delle nuvole scure cominciarono a uscire dalla punta delle sue dita, innalzandosi ed espandendosi sulla coperta del baldacchino come una macchia d’inchiostro nero.
“Guarda qua,” sussurrò Merlin, poi pronunciò un altro incantesimo, un lungo fiume di parole che sgorgava dalla sua bocca, lentamente, prestando chiaramente molta attenzione a ogni sillaba. E proprio sotto gli occhi increduli di Arthur, cominciò a comparire il cielo notturno di Camelot, minuscoli forellini luminosi spuntavano uno dopo l’altro come se qualcuno stesse bucando con uno spillo la coperta scura sopra le loro teste. Riuscì a vedere la Lepre e il Cane Minore e tutti le costellazioni che gli erano state indicate fin da quando era stato abbastanza grande da poter stare sui tetti quando faceva buio, l’aria notturna che gli accarezzava le guance e le vecchie leggende che gli cullavano l’animo. Se mai si fosse perduto nel suo regno, sarebbe riuscito a ritrovare la strada di casa grazie a quelle stelle.
“È stupendo,” disse Arthur, e diceva sul serio.
Merlin non rispose, ma il ritmo della sua voce cambiò e le stelle si spostarono dalle loro usuali posizioni e cominciarono a volteggiare fra di loro in una danza che era così rassicurante da essere quasi soporifera. Arthur chiuse gli occhi e ascoltò Merlin che creava magie accanto a lui e il suo ultimo pensiero prima che il sonno prendesse il sopravvento fu: sono al sicuro, e sono a casa.
~
La sensazione di serenità durò fino a che Arthur non si svegliò senza sentire più il braccio destro, perché Merlin vi si era sdraiato sopra.
“Ehi, sacco di patate.” Diede a Merlin uno spintone e riuscì a liberare il suo arto intorpidito.
“Non rompere,” biascicò Merlin al suo cuscino.
“Potrei farti fustigare per quello,” osservò Arthur, ma poi Gwen bussò alla porta e lo chiamò, e un ghigno malizioso gli si aprì in volto quando spalancò la porta.
“Sì?”
“È Morgana. Non sta bene.”
“Arriviamo subito,” le disse Arthur.
“Arriviamo...?” Gwen lanciò un’occhiata incerta verso il letto, e le sue sopracciglia fecero qualcosa di straordinario. “Ma quello è -”
“Sì,” disse Arthur, sfoggiando il ghigno più indecente che potesse fare. “Buongiorno, Guinevere.”
Gwen stava ancora fissando Merlin con la bocca spalancata, così Arthur chiuse delicatamente la porta per poi buttarcisi sopra e scoppiare a ridere. Cazzo, era stato troppo bello. Era stata una settimana lunga e difficile, e non aveva mai, mai potuto in tutta la sua vita prendersi gioco delle aspettative degli altri senza l’affanno che ci sarebbero state delle conseguenze.
“Oh, molto divertente,” commentò Merlin, di nuovo rivolto al suo cuscino più che ad altri.
“Pensaci un attimo, Merlin.” Arthur non riusciva quasi a trattenere il sorrisetto compiaciuto. “La pozione di Gaius ha bisogno di un’altra notte ancora, quindi domani sarà l’ultima volta che viviamo questo giorno. Per cui oggi...”
“...è l’ultimo giorno che non conta.” Merlin sollevò la testa e lo fissò per qualche secondo, poi anche sul suo volto germogliò un losco sorrisetto. Arthur non aveva idea che la faccia di Merlin potesse fare quella cosa.
“Niente draghi da uccidere, e niente conseguenze,” disse Arthur, infinite possibilità che esplodevano e si espandevano nella sua testa. “Da cosa vuoi cominciare?”
Merlin si alzò e si mise seduto sul bordo del letto, gli occhi che gli brillavano, ma disse, “Forse prima dovremmo assicurarci che il drago sia ancora morto. Va’ a vedere se quelli di Fiumevicino hanno mandato di nuovo Edward a Camelot - non dovresti trovarlo, se abbiamo fermato le grida.”
Arthur gli lanciò un’occhiataccia - seriamente, Merlin doveva scegliere proprio quel preciso momento per diventare tutto a un tratto quello dal senso pratico? - ma riconobbe la saggezza del suo suggerimento. “D’accordo, d’accordo,” disse con un gesto della mano. “E poi?”
E poi, tutto ciò che Arthur aveva sempre voluto fare, ma non poteva perché lui era l’erede al trono e dunque ci si aspettava da lui qualcosina di più di quegli scherzi infantili: scambiarono lo zucchero con il sale nei barattoli delle cucine e non batterono ciglio a pranzo esibendo l’aria più innocente che avessero, gettarono l’acqua in testa alle persone che passeggiavano per il cortile per poi salutare allegramente le loro fradice vittime dall’alto delle mura.
“Quanti anni avete, vostra altezza,” sghignazzò Merlin, “cinque?”
“Ma per piacere,” si schermì Arthur, “posso architettare scherzi decisamente più sofisticati di quelli di un marmocchio di cinque anni.”
E fu così che i due trascorsero tre gloriose ore a trasferire ogni singolo mobile della stanza di Lord Ramsey nel campo d’addestramento, con Merlin che incantava gli oggetti più pesanti così che potessero essere trasportati più facilmente, e con Arthur che si inventava scuse sempre più improbabili da dare alle persone che li osservavano incuriosite. Ricrearono una replica impeccabile della pianta della sua camera da letto nel bel mezzo del campo, mandarono un servitore a chiamarlo, e si nascosero dietro un albero per guardare.
Merlin sussurrò qualche parola e i lacci degli stivali di Geoffrey di Monmouth si annodarono fra di loro sotto la cattedra della biblioteca, e lo fecero ruzzolare sul pavimento quando si alzò dai suoi libri; qualche altra parolina snodò, invece, i lacci dell’abito di Lady Charlotte, mostrandone la sottoveste. L’urlo che cacciò quando se ne accorse li costrinse ad appoggiarsi al muro, piegati in due dalle risate, e Merlin per poco non cadde e Arthur dovette sorreggerlo per le spalle per tenerlo in equilibrio. Si trattava di un momento effimero fatto di stupidaggini e risate, ma quando i loro occhi si incontrarono, Arthur fu certo - senza la più insignificante ombra di dubbio - che la sua decisione era stata quella giusta. Quel momento, qualsiasi cosa stessero facendo, qualsiasi cosa stessero creando semplicemente con la loro esistenza, in quello stesso luogo e in quello stesso attimo, era qualcosa di troppo importante per poter rischiare di perderlo.
“E adesso?” chiese Merlin, una volta che riuscirono di nuovo a prendere fiato.
“Ho un’idea,” disse Arthur, per la quarta volta in una giornata.
Merlin doveva aver notato qualcosa sul volto di Arthur che aveva tradito di che genere di idea si trattasse, perché gli rispose con un’espressione piatta. “Quest’idea non mi piacerà, vero?”
Era un’idea fantastica, meravigliosa e assolutamente geniale, e non era grandioso il fatto che Morgana avesse un vestito esattamente della stessa sfumatura di blu degli occhi di Merlin?
“Tu sei pazzo,” gli disse.
“Prova a pensarci, Merlin. Quando mai potrà capitarti di avere di nuovo la possibilità di fare una cosa del genere di fronte a tantissime persone che non sapranno mai che è successo?”
“Se è un’occasione così tanto ghiotta, perché non lo fai tu?”
“Perché io sono il principe,” spiegò Arthur, “e tu sei il servitore.”
“È di Morgana, non è della mia misura.”
“Balle.” Arthur gesticolò con la mano che non reggeva il vestito. “Ci sono quelle cose lì che - si agganciano. Si possono stringere. Ti starà benissimo.”
Merlin grugnì, ma prese il vestito. “Non voglio che mi vesta tu, però. Scommetto che sei un disastro con queste cose.” La sua voce si piegò in un tono cupo. “Chiama Gwen, per favore.”
Gwen, dopo essersi concessa qualche secondo per riempire le camere di Arthur di uno scampanellio estasiato di risate, era tutta contenta di poter agghindare Merlin dentro quel vestito blu.
“Potremmo anche -” cominciò, mettendo le dita fra i capelli di Merlin.
“No,” disse Merlin.
“Magari un po’ di trucco --” gli sfiorò le gote.
“No,” disse Merlin.
“Guastafeste,” lo accusò Arthur.
“Sono sicura che questo causerà abbastanza scompiglio anche da solo, sire.” Gwen sistemò qualcosa di merlettato sul polso di Merlin, e gli sorrise divertita. “Non posso credere che tu abbia accettato di farlo, Merlin. Stai molto bene. Voglio dire - non intendevo - non è che nei tuoi vestiti normali stai male -”
“Ci vediamo alla festa,” intervenne Arthur, conducendola verso la porta prima che peggiorasse la sua situazione. “E non dire niente a nessuno, dev’essere una sorpresa.”
Sotto quell’aspetto riuscirono mirabilmente. Arthur mise da parte l’immagine della faccia sbalordita di suo padre e la conservò per futuri momenti di noia, e riuscì anche ad impedire che si trasformasse in una furibonda semplicemente dicendogli la verità: si trattava soltanto di uno scherzo innocente, e di certo qualche risata non avrebbe sminuito il divertimento dei nobili in visita, no?
“Non è affatto di buon gusto, Arthur,” lo rimproverò suo padre, ma l’istante successivo la sua attenzione era già altrove, e il pericolo era passato.
Le signore della corte sembrarono entusiaste di quell’idea almeno tanto quanto Gwen, e con l’avanzare della serata Lady Emilia, dimostrando un’incredibile tenacia e coerenza nei suoi gusti, sembrò ancora determinata a tendere un’imboscata a Merlin con le sue attenzioni.
“Che idea deliziosa, vostra altezza,” gorgogliò, rivolta ad Arthur, gli anelli che tintinnavano luccicanti mentre sventolava la mano in direzione di Merlin. “Abbigliare il vostro servitore in quella maniera, in modo da accentuarne l’autentica mascolinità. Siete così originale.”
Arthur... era davvero senza parole. Oltre a questo, lo scherzo stava ormai perdendo il suo sapore di novità, e il fatto che Merlin sembrava essere meravigliato più che terrorizzato fece riflettere Arthur su alcune eventualità: e se Lady Emilia fosse stata giovane e affascinante?, e se un giorno qualcuno che non fosse stato un’arpia fuori di testa avesse preso Merlin talmente in simpatia da guardare oltre gli insulti e i vestiti da donna e le convenzioni sociali?
Arrivato a quel punto del ragionamento, Arthur aveva già preso una decisione. “Le mie scuse, Lady Emilia,” disse, afferrò con fermezza il polso di Merlin e lo strattonò fino a che il poveretto non fu costretto a ad avvicinarsi di qualche passo. “Ma temo che il mio servitore abbia altri compiti di cui occuparsi, stasera.”
Lady Emilia guardò Merlin e poi Arthur e poi Merlin di nuovo, e Arthur aspettò finché sul viso della donna non si palesò un’espressione di improvvisa realizzazione, prima di trovare il coraggio di guardare Merlin.
“Ma che stai facendo?”, gli sibilò Merlin, e ad Arthur venne voglia di ridere. Gli venne voglia di prendere una bella boccata d’aria e poi buttarla tutta fuori con un urlo, farla rimbalzare sulle pareti. Il polso di Merlin era magro e caldo e la sua pelle stava palpitando sulla giuntura fra il collo e la mascella, piccoli muscoli che fremevano sotto la superficie, e Arthur lo avvicinò a sé ancora di più.
“Niente conseguenze,” mormorò, prese il mento di Merlin con una mano e lo baciò con forza.
Si trattava di una scommessa, ma dalla posta in gioco relativamente bassa; Arthur sapeva che avrebbe potuto benissimo riderci sopra senza alcun problema, metterla allo stesso piano degli altri scherzi e del vestito come qualcosa che era successo solamente perché era divertente creare scompiglio quando nessuno ti avrebbe mai riconosciuto le tue colpe. E Merlin l’avrebbe perdonato, perché questo era ciò che Merlin faceva, questo era ciò che facevano l’uno per l’altro: perdonarsi a vicenda le libertà e le prese in giro e i segreti, perché entrambi sapevano che c’erano cose ben più importanti.
Oh, Arthur sapeva esattamente quali sarebbero state le sue giustificazioni al riguardo, e nei primi istanti in cui la sua bocca si muoveva contro le labbra immobili di Merlin, le posizionò tutte in fila nella sua testa e le preparò alla battaglia. Ma non appena cominciò a staccarsi, sentì una delle mani di Merlin scivolare sulla sua nuca e tenergli ferma la testa a poco più di un centimetro di distanza. Arthur non riusciva a mettere abbastanza a fuoco l’espressione sul suo viso per capire cosa stesse succedendo, ma Merlin disse velocemente, “No, va bene, niente conseguenze, è solo che, non me l’aspettavo,” e ad Arthur non servì altro per baciarlo di nuovo, con rinnovato vigore e intensità. Affondò una mano fra i capelli di Merlin e portò l’altra sul suo fianco, accarezzandone il morbido tessuto, e a quanto pareva ne stavano dando grande spettacolo, perché poteva sentire i mormorii fra la folla trasformarsi in esclamazioni costernate tutt’intorno a lui e suo padre presto se ne sarebbe accorto (se non l’aveva già fatto) e questo, questo, stare lì in mezzo assaporando il vino dalla bocca di Merlin e completamente dimentico di ogni singola lezione che avesse mai ricevuto sul decoro, era una situazione troppo magnifica e impossibile, e Arthur aveva tutte le intenzioni di spremere fuori ogni singola briciola di magnificità che quel dannato circolo di Morgana poteva offrirgli.
“Ok,” disse Arthur, quando il suo bisogno di respirare raggiunse approssimativamente il livello di sgomento del brusio intorno a loro. “Ok, allora.”
Merlin si guardò intorno e poi si rivolse di nuovo ad Arthur, con un tono che poteva sembrare quasi un ordine, “Dovremmo andare a prendere il tè di sorba da Gaius. Um. Subito.”
“Sicuro?” Arthur aveva colto con lo sguardo l’espressione di Gwen, e in un certo senso moriva dalla voglia di andare da lei e guardarla mentre si impappinava nel tentativo di dire qualcosa di educato riguardo al fatto che Arthur aveva appena baciato Merlin di fronte all’intera corte - dio, il solo pensiero faceva piegare la bocca di Arthur in un sorriso da fargli dolere guance - ma la mano di Merlin era scesa dal collo al suo braccio.
“Sì,” disse. “Sono sicuro.”
A pensarci bene, l’idea di assistere alla reazione di Gaius nel vedere Merlin indossare un abito da donna prometteva grosse risate, così Arthur lanciò a Gwen un altro di quei sorrisetti maliziosi e uscirono dalla sala lasciandosi alle spalle un crescendo di sbigottimento e meraviglia. Fu un finale ottimo a incoronazione di un’ottima giornata.
“Merlin...” L’espressione sul volto di Gaius fu talmente basita da superare di gran lunga anche le più rosee aspettative di Arthur.
Merlin, che sembrava essersi ripreso nel tragitto verso le stanze di Gaius, riuscì a sembrare un po’ meno imbarazzato nel stendere la mano verso il vecchio medico. “Ci serve il tè di sorba.”
Gaius chiuse la bocca e diede loro la bottiglia. “È meglio che non faccia altre domande, giusto?”
Arthur sorrise. “Probabilmente sì.”
Ad essere sincero, Arthur non si aspettava che succedesse nulla, nemmeno quando Merlin lo seguì in camera sua - ormai quella era la routine - per poi starsene lì in piedi, i lineamenti del viso ammorbiditi dalla luce della fiaccola, e un’aria incerta dipinta in volto. Arthur non si era aspettato nulla da quel giorno se non sogni proibiti e cose impossibili, momenti vivaci di piacere e malizia che non sarebbero mai potuti accadere, e d’un tratto sembrò quasi che da tutte quelle cavolate fosse venuto fuori qualcosa di serio.
Merlin lo guardò e Arthur si accorse di desiderarlo così tanto da fargli male, voleva mordere le sue labbra e assaporarne il sangue, voleva trovare la magia sulle sue dita e succhiargliela fuori con forza.
“Girati,” gli ordinò Arthur, e Merlin obbedì.
Cominciò ad aprire uno a uno i piccoli gancetti sulla parte dietro del vestito, scoprendo, centimetro dopo centimetro, strisce di pelle nuda fra i lembi di tessuto. Quando l’ultimo gancetto fu aperto, Arthur tracciò due dita lungo la colonna vertebrale di Merlin, dall’attaccatura dei capelli fino all’altezza dei fianchi, lentamente; la sua mente si stava perdendo, sempre più in alto, inebriata dalla coscienza che poteva fare qualsiasi cosa desiderasse perché nulla di tutto ciò importava davvero, che tutto gli era possibile e concesso. Era una sensazione mozzafiato - letteralmente, forse, perché poteva giurare che Merlin stesse trattenendo il respiro, e quando Arthur lo fece girare di nuovo, l’abito che ancora gli copriva il torace, sospeso, quasi stesse trattenendo il fiato pure lui, finalmente esalò. Un soffio caldo che accarezzò la bocca di Arthur, che non dovette nemmeno pensare prima di avvicinarsi a lui. Il primo bacio aveva un’angolazione strana, così Arthur ci riprovò, e poi di nuovo, ogni breve contatto era migliore dell’ultimo, perché Merlin cominciò a rispondere. Questa volta, tuttavia, fu Merlin ad allontanarsi per primo, risoluto.
“Arthur. Questo è diverso, questo, fra noi due - questo ha delle conseguenze. Non voglio fingere che non sia così.”
Poi i suoi occhi si abbassarono, e puntarono quell’intensità cristallina e tipicamente merlinesca diritta alla bocca di Arthur, gesto che fu quasi sicuramente involontario e senza ombra di dubbio la cosa più perversa che Arthur avesse mai visto. Il principe dovette deglutire per ben due volte prima di riuscire a dire, “Va bene.”
“Sul serio?”
Arthur non si prese nemmeno la noia di rispondergli. Questa volta Merlin aprì la bocca fin da subito, ma proprio quando stavano cominciando a capire come far funzionare tutta quella cosa del bacio, indietreggiò di nuovo. “Sei sicuro di non essere semplicemente confuso dal fatto che sto indossando un, insomma,” farfugliò indicando il vestito, che adesso si era ammassato intorno alla vita.
Cominciava ad essere irritante. Arthur afferrò le spalle di Merlin, avvertendo la setosità della pelle pallida sopra la clavicola, si assicurò che Merlin lo stesse guardando dritto negli occhi, e assunse un tono minaccioso. “Ti sembro confuso?” disse, per poi aggiungere, “Merlin,” tutta una formulazione premeditata, e doveva aver funzionato perché gli occhi di Merlin si spalancarono e i suoi muscoli si tesero sotto i palmi di Arthur.
“Oddio,” disse Merlin debolmente, “non puoi, io, non, smettila di parlare in quel modo,” e quasi si gettò addosso ad Arthur, che inciampò all’indietro e cadde sul letto perché i suoi ottimi riflessi da guerriero sembravano essere stati messi a terra da un inarrestabile desiderio, e a quel punto le cose divennero alquanto violente.
C’era da dire che fra le mani esperte di Merlin e la familiarità di Arthur con i suoi stessi vestiti, Arthur venne spogliato con una certa rapidità, ma c’erano strati su strati e laccetti e cose varie in quella dannata gonna che sembrava quasi impossibile da togliere. Arthur era sull’orlo di impazzire dalla frustrazione, quando il vestito parve distruggersi da solo in mille pezzi; niente formule magiche, solo un sorrisetto a labbra chiuse e un balenio dorato negli occhi e dio, Arthur avrebbe dovuto trovare un modo per non esplodere dalla libidine ogni volta che gli occhi di Merlin facevano quella cosa.
“Non importa,” ansimò Merlin, rotolandosi insieme a Arthur finché non si trovarono avvinghiati l’uno contro l’altro fra le lenzuola di seta, “tornerà fra il guardaroba di Morgana domani mattina, come nuovo.”
C’era il problema di trovare una posizione in cui i gomiti ossuti di Merlin non si ficcassero fra le costole di Arthur, e il problema di riuscire ad armonizzare il ritmo dell’uno con il modo di muovere i fianchi dell’altro, e tutte quelle altre cose che rendevano quel momento così, vero e genuino; ma soprattutto reale, e non solo un sogno.
C’erano le mani abili di Merlin e il modo in cui sollevava gli occhi ridenti, spalancati e pieni di meraviglia, e c’era anche il modo in cui Arthur emise un rantolo quando la bocca di Merlin fece affiorare del sangue dal suo collo.
C’era il fatto che era una notte di mezza estate ed essere così vicino a un’altra persona fece schizzare la temperatura a livelli quasi insostenibili, ma Arthur non si curava delle lenzuola che gli si appiccicavano sulla pelle e dell’aria pesante impregnata dei loro respiri e del corpo di Merlin che era un ammasso di fessure bollenti e movimenti sgraziati. Era tutto un po’ goffo e un po’ ingarbugliato, ma era anche bello - un finale migliore di qualsiasi conclusione che Arthur avesse mai potuto immaginare - ed era l’unica cosa che importava.
“Aspetta,” mormorò sulla spalla di Merlin, e continuò a muovere la mano sempre più velocemente con gli occhi incollati al modo in cui la bocca umida di Merlin emetteva suoni che non appartenevano a nessuna lingua reale o magica che Arthur riconoscesse. Quando ci fu lo schianto, era così assorto nel godersi la visuale che per un momento pensò che il suono fosse venuto dalla gola di Merlin, ma poi Merlin stava ansimando e la mano di Arthur era appiccicosa e sopra al tavolo il vaso blu era -
Oh.
“Ti prego, dimmi che l’hai fatto apposta,” disse Arthur, cercando di chiamare a raccolta abbastanza intenzione da suonare giustamente seccato.
Merlin girò la testa e guardò i cocci di ceramica con un’espressione che partì con l’essere compiaciuta, ma che poi si dissolse in un ghigno genuinamente beato. Lo rivolse ad Arthur e disse, “Diciamo quasi del tutto?” e Arthur dovette chinarsi e ridere nella bocca di Merlin.
~
Con la luce del mattino, Arthur si ritrovò a rivalutare oziosamente la sua opinione sulla struttura ossea di Merlin. Il suo petto si sollevava e abbassava a un ritmo leggero, e riusciva a sembrare assorto e curioso anche quando dormiva, e valeva decisamente la pena perdere la testa per quei suoi zigomi che erano così ben pronunciati e fini. Arthur avrebbe volentieri approfittato per dare un’occhiata a tutte le altre bellissime zone nascoste sotto la lenzuola che aveva scoperto durante la notte, ma il giorno era stato di nuovo resettato, quasi come che la mano di un qualche dio in disapprovazione fosse intervenuta: erano entrambi, con grande disappunto di Arthur, completamente vestiti.
“Gnnmf. Cosa...?” Il risveglio di Merlin mancava di dignità - si agitò convulsamente per un po’ e corrugò la fronte quando la sua mano si scontrò con il cuscino di Arthur - ma ciononostante, il modo in cui i suoi occhi si spalancarono quando il suo sguardo ricadde su Arthur fu sufficiente a fargli mancare il respiro.
“Buongiorno,” disse Arthur.
“Buongiorno.” Merlin lo guardò con espressione cauta, prudente, e Arthur ricordò.
Questo, fra noi due, ha delle conseguenze.
E considerando come fossero di solito le conseguenze, rifletté Arthur, svegliarsi al fianco di Merlin non era poi così disastroso.
“La prossima volta, Merlin, vediamo se riusciamo a farcela senza distruggere nessuno dei miei averi, che ne dici? Sei davvero una vergogna per la mia reputazione,” mormorò. E un languido sorriso si aprì lentamente sul volto si Merlin, e le sue mani si mossero sicure nell’attrarre delicatamente a sé le labbra di Arthur, baciandolo come se fosse la cosa più semplice e magica del mondo.
Le mani di Arthur stavano appena cominciando a scoprire quanto fosse infinitamente più facile accedere al corpo di Merlin tramite i suoi abiti normali, in confronto a quel dannato vestito, quando si sentirono dei colpi sulla porta che costrinsero entrambi a immobilizzarsi in una posizione che, probabilmente, a un osservatore esterno sarebbe risultata estremamente divertente.
Scenetta che sembrava essere sul punto di verificarsi. Perché al bussare seguì, inesorabilmente, l’educato “Vostra altezza?” di Gwen.
“Conseguenze!” disse Merlin, dimenandosi affannosamente per districarsi da Arthur e dalle lenzuola. “Questa volta tutto conta.”
Arthur grugnì, sprofondando la testa nel cuscino con un tonfo. “Ricorderà.”
“Sì! Ora vai ad aprire!” bisbigliò Merlin, e sparì dileguandosi nell’altra stanza.
“Vostra altezza? Mi dispiace molto disturbarvi, ma è importante,” insistette Gwen da dietro la porta, e Arthur grugnì di nuovo, più sonoramente, per sicurezza, prima di aprire la porta.
“Cosa c’è?”
“Mi dispiace molto, ma è per Morgana. Non sta bene.”
Tutto conta. Giusto. Arthur contorse il viso - che ancora pizzicorava con il ricordo della pelle di Merlin che avvampava sotto le sue labbra - in una smorfia che sperò con tutto se stesso sembrasse preoccupata. “È ammalata?”
“Io non - non lo so. Gaius è con lei, ma ho pensato di dovervelo dire.”
“Grazie. Vi raggiungo non appena avrò qualche vestito addosso,” disse accennando ai suoi abiti da notte, che Gwen notò solo allora.
“Ma certo! Certo, sire, perdonatemi,” disse lei, e sembrò decisamente sollevata di potersene andare quando Arthur richiuse la porta.
“Beh, Merlin, vedi di darti una mossa,” lo richiamò Arthur. “Sono piuttosto sicuro che vestirmi rientri ancora fra i tuoi doveri.”
Mentre Merlin trotterellava verso l’armadio di Arthur per prendere qualche vestito, la sua bocca si contorse in una smorfia che probabilmente stava trattenendo diverse battute di cattivo gusto. Arthur fu estremamente tentato di tirar fuori quelle battute, sia facendone lui stesso che andandole a scovare nella bocca di Merlin con la lingua, ma non dovevano distrarsi. Si accontentò del tocco rapido e leggero delle dita di Merlin sulla sua pelle nell’infilargli la tunica e gli altri abiti, poi spinse energicamente Merlin fuori dalla porta per mettere fine a quella dura prova a cui la sua forza di volontà stava venendo sottoposta.
“Ritengo che si tratti di un lieve disturbo del sonno, sire,” stava dicendo Gaius quando fecero il loro ingresso in camera di Morgana per quella che doveva essere, se dio voleva, l’ultima volta. “Nulla di serio. In effetti, ho qui una pozione che penso faccia al caso suo.”
Estrasse una boccetta dalla borsa con incredibile disinvoltura, e la mano di Merlin scivolò intorno al polso di Arthur stringendolo forte mentre Gaius versava un sorso della pozione in bocca a Morgana e la osservarono deglutire.
Il silenzio che seguì fu più breve, questa volta: il suo battito non pulsò nemmeno due volte contro il palmo di Merlin, che Morgana riaprì gli occhi. Arthur sospirò di sollievo.
“Cosa...” Lanciò un’occhiata a Gaius, alzandosi a sedere, ancora intorpidita dal sonno. “Gaius, ho visto -”
“Va tutto bene, mia signora,” disse Gaius, poggiando le mani sulle sue spalle con tono grave. “Era solo un incubo. Nulla di più. Non succederà niente, vi do la mia parola. Ora, come vi sentite?”
“Bene, mi sento...” Morgana sbatté le ciglia e si guardò intorno. “Cosa ci fate tutti qui? Che è successo?”
“Eravamo preoccupati per voi.” Gwen si staccò dal gruppetto e corse a sedersi su un lato del letto, stringendo la mano della sua signora. “Non vi svegliavate, ma Gaius vi ha dato qualcosa e adesso... siete sicura di stare bene?”
“Sì! Sì, sono solo un po’ stanca, ma forse potresti portarmi del tè?”
“Subito.” Gwen annuì e corse fuori dalla porta.
“Eccellente, Gaius.” Uther diede una pacca sulla spalla al medico, riservò un ultimo sguardo a Morgana e un cenno del capo ad Arthur, e sparì in uno svolazzo.
“Non posso credere a quello che sto per dire,” mormorò Arthur a Merlin, “ma non vedo l’ora di poter avere di nuovo una conversazione normale con mio padre.”
“E io non vedo l’ora di trascorrere questa giornata a fare altro oltre a leggere libri, preparare pozioni e partire per affrontare pericolose missioni.”
“Ottimo.” Questa volta Merlin vi si era veramente tuffato dentro senza esitazione. Arthur gli diede una pacca sulla spalla. “Ho bisogno che affili tutte le mie armi, che finisca di controllare quel baule di vecchi vestiti che abbiamo trovato la settimana scorsa per vedere quali siano da tenere e quali no, che pulisca i miei stivali, e che mi lucidi le bardature dei cavalli nelle stalle.”
Merlin si voltò per lanciargli uno sguardo tradito.
“Oggi tutto conta, Merlin, e le tue faccende non si faranno da sole. Se finisci tutto quanto,” gli concesse Arthur, “potrei lasciarti bruciare il cappello.”
“L’hai promesso,” lo ammonì subito Merlin.
Non fu poi così male, dopotutto; l’espressione di perfida soddisfazione sul volto di Merlin nell’appiccare il fuoco al cappello, insieme con il sensuale bagliore dorato nei suoi occhi, diedero ad Arthur un delizioso pizzicorino allo stomaco. Poi ci furono una serie di incantesimi improvvisati per rimuovere il segno di bruciato dal pavimento di Arthur (riuscito) e la puzza di piume bruciate diffusasi nella stanza (quasi riuscito: la camera odorò di erba bagnata per ore, ma almeno era un miglioramento). Merlin poté indossare i suoi vestiti normali alla festa, e tutti e due giurarono di comportarsi in modo più che decoroso, una risoluzione che durò fino a quando Merlin non riuscì a inciampare e rovesciare la salsa, e Arthur non cominciò a battibeccare con Morgana. Non che questo fosse colpa di Arthur, chiaro; lui era disposto ad essere più carino con lei, considerando anche la settimana passata, ma lei doveva puntualmente fare un commento sulla incapacità di Arthur di essere diplomatico, e lui non poteva di certo far passare l’insulto.
A parte l’incidente con la salsa, Merlin sembrò cavarsela molto meglio. Dedicò un po’ di tempo a discutere di orzo, facendo buona impressione sul padre di Arthur, e ne trascorse dell’altro in un angolo a chiacchierare con Gwen, e riuscì perfino ad allontanarsi cortesemente da Lady Emilia dopo aver speso non più di qualche minuto in sua compagnia.
Arthur ne fu colpito. “Come ti sei liberato della vecchia megera, stavolta?”
“Oh, è stato facile. Le ho solo detto che ero lusingato dalle sue attenzioni, ma che mi si richiede di assistere al mio padrone nelle sue camere da letto questa notte, e lui è molto esigente.”
Tutto considerato Arthur fu lieto che, malgrado il suo desiderio di sbattere Merlin contro il muro più vicino e baciarlo fino ad ansimare, fosse riuscito a mantenere la capacità di volerlo prendere a pedate per essere un tale idiota. Era sul punto di lanciarsi in una lunga tirata descrivendo le molte diverse maniere in cui questa particolare dimostrazione di idiozia avrebbe potuto provocare un disastro, quando colse il sorrisetto sul viso di Merlin.
“Idiota,” disse comunque, dandogli un leggero scappellotto sulla nuca. “Non scherzare su queste cose. Per quanto sia convinto che mio padre impazzirebbe di gioia nello scoprire che me la faccio con un servitore che non ha la benché minima possibilità di dargli un nipotino, è anche molto probabile che me lo rinfaccerà ogni qualvolta si presenti un qualche tipo di pericolo e tu avrai bisogno di essere salvato. Il che, ammettiamolo, Merlin,” sollevò un sopracciglio, “succede decisamente più di frequente rispetto ai servitori di qualsiasi altra persona. Sei davvero una bella seccatura. Non ho idea del perché continui a sopportarti.” Ma accarezzò con la punta delle dita la gamba di Merlin, sotto il tavolo, e il respiro di Merlin si fece irregolare per un istante.
“E prova a immaginare se...” Merlin gesticolò con un pezzo di pane in direzione di Morgana, che stava monopolizzando l’attenzione di un gruppo di cavalieri, con Gwen dietro di lei.
“Oh, dio, no.” Conoscendo Morgana, non si sarebbe fatta scrupoli a rendere la vita di Arthur un inferno per circa i prossimi cinque anni, tormentandolo gioiosamente o, se ne avesse avuta la possibilità, proclamandoli ufficialmente adorabili e tubando allegramente intorno a loro. Arthur non riusciva a decidere quale di queste prospettive lo allettasse di meno.
“Gwen mi prenderebbe in giro per tutta la vita,” commentò Merlin cupamente. “Mi farebbe - Arthur.” La mano di Arthur fu fermata nella sua traiettoria dalla salda presa di Merlin, il quale mantenne lo sguardo fisso davanti a sé, un sorrisetto imbarazzato che spuntava dall’angolo della bocca. “So che non riesci proprio a fare a meno di esibirti in pubblico, ma credevo che molestarmi davanti a tutti fosse oltre i limiti del decoro anche per te,” disse, intrecciando le sue dita a quelle di Arthur, “considerando che abbiamo appena discusso delle possibili ripercussioni.”
Quando andarono da Gaius per il tè, questo non fece commenti; si limitò a spostare lo sguardo da Merlin a Arthur, sospirare profondamente, e consegnare la bottiglia in mano a Merlin. “Vedo che sta diventando un’abitudine,” commentò acidamente. “Suppongo che potresti fare molto di peggio.”
Merlin guardò Arthur dopo che la porta gli si chiuse alle spalle. “Con chi stava parlando?”
Ad Arthur non importava proprio nulla, e nulla fu anche ciò che rispose.
Merlin fece spallucce e bevve un lungo sorso di tè mentre erano di ritorno alle camere di Arthur, e gli passò la bottiglia. “Ugh. Non voglio più bere tè di sorba finché vivo.”
“Aspetta che arrivi l’inverno,” lo avvertì Arthur. “Lo apprezzerai la prima volta che non riuscirai a dormire per gli starnuti,” ma poteva capire come Merlin si sentisse.
Fu solamente più tardi, quando Merlin stava in piedi vicino al tavolo rigirandosi il vaso fra le mani, che Arthur decise che, nel complesso, era estremamente felice che fosse successo tutto quel casino.
“Questa è l’ultima volta,” disse Merlin, studiando il vaso dall’alto al basso.
“Spero senz’altro che sia così.”
Un lato della sua bocca si arricciò. “Credo che dovremmo fare qualcosa di speciale.”
Arthur si distese sul letto e si sistemò sui cuscini, incrociando le mani dietro la testa. Restò in silenzio fino a che Merlin non lo guardò, e solo allora piegò la bocca in un sorrisetto provocatorio, riducendo la voce quasi a un sussurro e con il tono più basso che avesse. “Ah sì?”
Merlin aprì la bocca e poi la richiuse, in modo inconsapevolmente seducente, mordendosi con i denti la punta della lingua, e forse fu solo l’immaginazione di Arthur, ma le candele nella stanza sembrarono illuminarsi di una fiamma più vivida. Solo per un attimo.
“Oh, e chissenefrega allora,” disse velocemente, e lasciò cadere il vaso per terra.
~
C’era qualcosa di diverso nella qualità della luce della mattina dopo, e ad Arthur ci volle quasi un minuto per accorgersi che il bagliore luminoso del sole che filtrava dalle finestre non c’era più. Con uno strano presentimento che gli cresceva in petto, sgusciò fuori dalle coperte e raggiunse velocemente il balconcino, pronto a cercare qualche nuvola.
“Cazzo,” disse subito, indietreggiando. Poi scoppiò a ridere.
Merlin sollevò la testa con l’aria confusa di qualcuno ancora mezzo addormentato. “Cosa?”
Arthur si chinò e quando si rialzò stringeva in mano un coccio di ceramica, di un marrone smorto sui lati ma con la vernice blu che scintillava alla nuova luce del sole.
“Forza, Merlin,” disse, e sorrise. “Sembra che la vita sia ricominciata.”
~
---trovate la storia originale
qui---
**DISCLAIMER**
Merlin (BBC) non mi appartiene.