Capitolo quarto.
Morgana era cambiata, in meglio. Adesso era dolce, quanto il suo profumo nuovo. Andava a guardarlo addestrare gli uomini, e dagli spalti gli sorrideva. Al torneo lo aveva lasciato senza parole quando spontaneamente gli aveva offerto un segno del proprio favore, e per fortuna gli applausi lo avevano aiutato a guadagnare tempo e compostezza per poter replicare adeguatamente al gesto.
Quando aveva battuto Lord Ainsworth lo aveva applaudito con entusiasmo, cancellando con suo piacere le speranze di Devon, e quando lui si era avvicinato per dichiararla vincitrice per sua mano dicendole “Morgana victorious” avendo combattuto in suo onore, lei lo aveva guardato con lo sguardo confuso, come se quella breve formula latina - che ben doveva conoscere perché avevano avuto lo stesso maestro di latino ed Uther aveva sempre preteso la perfezione per dimostrare l’eccellenza della propria stirpe e la sua meritevolezza delle connessioni con l’Imperator romano - le fosse stata sconosciuta, mettendola in difficoltà.
Nulla di ciò che diceva suo padre sembrava infastidirla, al massimo era di tanto in tanto evidentemente annoiata, ed Uther sembrava intenerito da quel bizzarro comportamento. Passava molto tempo con Gwen a provare nuove acconciature e nuovi abiti, ed aveva smesso di avere bisogno degli intrugli di Gaius per dormire.
Adesso era più aperta coi suoi sentimenti, l’ironia ed il sarcasmo erano dimenticati. Si compiaceva - seppur non verbalmente - delle attenzioni e degli sguardi dei cavalieri e dei nobiluomini, tacendo durante le conversazioni che toccavano temi politici, e facendo altrettanto quando si parlava di tecniche di combattimento, armi o armature.
Uther era felice del suo cambiamento. Gaius era felice del suo cambiamento. Gwen era felice del suo cambiamento. Il sarto di corte era estremamente felice del suo cambiamento. E anche lui era felice. Anche se qualche volta questa felicità - che doveva provare perché aveva passato la vita a lamentarsi di tanta insolenza, impertinenza e testardaggine da parte di Morgana - qualche volta assomigliava spaventosamente alla tristezza e alla frustrazione, tanto che per un momento era arrivato a pensare che quel comportamento così insolito non fosse altro che una sofisticata tecnica di tortura architettata ai suoi danni, ma ogni volta che tentava di provocare la sua combattività lei lo guardava confusa ed ignara di quello che stava dicendo, fino a sembrare alle volte leggermente pensosa e triste.
Quando dopo tre giorni di sorrisi e compiacenza le aveva domandato “Cosa stai tentando di dimostrare?” lei lo aveva ancora una volta fissato con gli occhi grandi per domandare a sua volta “Qualcosa non va, Arthur?”
Lui aveva preso un respiro e abbozzato un sorriso, prima di risponderle “Sono solo un po’ stanco”
“Certo” aveva replicato “Sei sempre così indaffarato con tante cose. Ti ammiro” aveva confessato “sei così forte” e per riuscire a compiacersi di quelle parole lui aveva dovuto ricordare a sè stesso che questa era Morgana, e che lo stava ammirando e che per quanto ora gli risultasse assurdo per molto tempo non aveva voluto altro nella vita.
“Non sei mai stata così” le disse, e lei sembrò turbata da quella dichiarazione “Ma il tuo cambiamento mi piace” aggiunse, annuendo in segno di approvazione, per essere più convincente - se agli occhi di lei o ai propri non avrebbe saputo dirlo.
“Speravo di piacerti” confessò lei, con un tono che lui non riconobbe, come se ci fossero dietro quelle poche parole sottintesi che lui non era in grado di cogliere - anche se erano cresciuti insieme e aveva sempre ritenuto di essere in grado di insultarla in pubblico senza destare scandalo o sospetti sulle sue ben scelte parole, come era sempre stata in grado di fare anche lei.
Era passata una settimana ormai e non era ancora riuscita a parlare davvero con Gwen. Avevano scambiato qualche parola un paio di volte, e anche se aveva fatto del suo meglio per essere gentile lei aveva visto chiaramente il disagio dipinto sul suo volto a causa dell’aspetto che aveva.
La ragazza di cui aveva preso il posto non doveva avere avuto una vita facile. Nessuno la guardava o l’avvicinava spontaneamente, non aveva niente altro a parte il suo lavoro - perché da quando ne aveva preso il posto non aveva avuto nessun amico o familiare - e, anche se era impossibile, sembrava che non avesse nemmeno un nome. Tutti la chiamavano solamente ragazza, o scansafatiche, o perditempo anche se lavorava tutto il giorno, quanto gli altri, e la sera era così stanca da addormentarsi non appena si stendeva sul suo scomodo lettino. Aveva cercato di coprire la parte sfigurata del volto legando i capelli in una coda morbida sopra la spalla, ma una - seppur minore - parte della pelle danneggiata era ancora visibile e una semplice acconciatura non cambiava il fatto che non aveva nessun tipo di considerazione da parte di nessuno.
Quel giorno Gwen arrivò nelle cucine col vassoio del pranzo della sua Lady lamentando che l’arrosto aveva un sapore di bruciato. Il giorno prima era stata la colazione ad essere cattiva, e Bertha aveva dovuto prepararla ancora per ben due volte. Nel pomeriggio tornò per dire che le scale del castello erano sudice. In serata arrivò per informarli che la cena non era stata cotta adeguatamente.
La Lady del castello ci mise ben poco a farsi detestare dall’intera servitù del castello, che fu costretta a lavorare il doppio per rifare lavori che non avrebbero avuto nessun bisogno di essere ripetuti.
“Lady Morgana non si sta guadagnando le simpatie della gente” disse Morgana, parlando a Gwen che stava uscendo dalla cucina dopo aver preso il vassoio della colazione per la sua signora.
“La mia Lady vuole solo accertarsi che il Re ed il principe ricevano il trattamento che meritano” la scusò, evitando di incontrare il suo sguardo.
“Ci sono cose assai più urgenti di una rampa di scale pulita…” obiettò.
“Lo sa perfettamente, e se ne è sempre preoccupata. Si è sempre preoccupata di tante cose e se comincia finalmente a prendere la vita con più leggerezza io non ho affatto intenzione di contestare il suo operato”
Morgana riconobbe le buone intenzioni della sua amica ma questo non le impedì di sentirsi arrabbiata per la sua cecità.
“Non è da lei comportarsi in questo modo, non è così?” la incalzò “C’è qualcosa che non va-“
“Tu non la conosci affatto” la interruppe l’altra guardandola con orrore, dovuto non solo alle sue fattezze ma alle sue parole. C’erano persone - persone care, buone - che non erano in grado di reggere le responsabilità delle prese di posizione, né erano in grado di dire una parola negativa contro qualcuno, anche se quel qualcuno stava sbagliando, e Gwen era una di quelle.
Se avesse insistito ulteriormente - sapeva - lei si sarebbe solo rifiutata di parlarne, e probabilmente avrebbe evitato persino di rivolgerle la parola in futuro, per questo lasciò cadere l’argomento e non obiettò restando col volto basso mentre lei si allontanava frettolosamente per evitare di ascoltare ancora cose che non era in grado di accettare.
“I festeggiamenti in tuo onore si terranno fra tre giorni” gli comunicò Uther ricevendo solamente un cenno in risposta “Lo stesso Lord Ainsworth vi prenderà parte, dimostrando grande spirito sportivo e onore”
“Me ne compiaccio” rispose educatamente Arthur, senza riuscire a mettere il minimo entusiasmo nella frase.
“Forse spera che il suo atteggiamento smuova qualcosa in Morgana” aggiunse, e Arthur si stupì di accorgersi che la solita sensazione di apprensione - non gelosia, perché lui non potrebbe mai essere geloso di Morgana - che di solito gli opprimeva la bocca dello stomaco era, questa volta, assente e ne attribuì la mancanza al fatto che Morgana era stata recentemente assai più diretta e aperta coi suoi sentimenti.
“Forse” disse solo, per non essere scortese.
“Morgana è cambiata molto, non è così?” domandò suo padre, senza aspettare una vera risposta “E’ così dolce e silenziosa. Dopo tanto tempo credo che abbia capito che i miei rimproveri erano solo per il suo bene, e che una vera Lady deve imparare ad essere discreta”
Arthur girò gli occhi, stringendo le labbra per non rispondere. Suo padre aveva ragione e Morgana era cambiata per il meglio. Lui se ne rendeva conto, eppure qualcosa gli impediva di esserne sinceramente felice.
Aveva sempre detto a sè stesso che l’attrazione nei confronti di Morgana - che, con suo dispiacere, la maggior parte delle volte riusciva a stento a negare - era dovuta alla sua bellezza, al fatto che lui era un uomo giovane e vigoroso e l’attrazione per una donna era difficilmente causa di grande sconcerto, ma adesso che quell’attrazione era improvvisamente diminuita gli era impossibile spiegarlo a sè stesso. Sospettava che ciò che non poteva capire, e quindi accettare, fosse la volubilità del proprio spirito, ma nei momenti in cui lui e Morgana erano soli non era solo lo strano magnetismo che aveva sempre caratterizzato i loro alterchi o anche le più banali conversazioni a mancare, era la stessa sensazione che lui aveva sempre identificato con lei. La sensazione di sentirsi scoperto, come se lei vedesse sotto l’armatura e sotto la pelle e fin dentro le ossa. Come se lei fosse un’estensione del suo corpo, che gli faceva male quando lei stava male, che poteva ignorare ma mai separarsene senza sanguinare.
Alla sera, quando si ritirava nelle sue stanze e non poteva dormire, sentiva una strana nostalgia per lei, come se non la vedesse da giorni anche se in realtà avevano passato più tempo insieme nell’ultima settimana di quanto ne avessero avuto negli ultimi mesi. Dopo essere stato sul punto di morire, nonostante lei lo avesse scongiurato e supplicato di non andare, lei si era allontanata, forse per rabbia perché non le aveva prestato ascolto o forse per rivalsa, e lui non le aveva chiesto scusa, né detto le sue ragioni - perché doveva saperle, e perché lui solo poteva decidere della sua vita - e aveva aspettato che qualcosa cambiasse, un po’ alla volta. Ma il cambiamento che aveva aspettato era arrivato improvviso e della felicità che si era convinto di provare all’idea non era rimasta che frustrazione.
“Oso dire” riprese Uther interrompendo il flusso dei suoi pensieri “ Sarebbe un’ottima moglie” disse, guardandolo senza dilungarsi in innecessarie precisazioni.
Arthur abbozzò un sorriso, e poi chiese congedo. In un altro momento sarebbe stato fiero di se stesso per essere contrariato all’idea di sposare Morgana, ora però l’idea gli sembrava una tortura perché Morgana adesso era aperta quanto inaccessibile e ciò gli pareva assurdo. Era ovvio - perché non trovava altre spiegazioni - che lei nascondesse ciò che veramente provava e pensava dietro una maschera di cortesia che lui avrebbe voluto fare a pezzi con le proprie mani per accertarsi che il suo spirito non fosse morto soffocato nel ridicolo tentativo di uniformarsi alle idee della sua classe.
“Qualcosa non va?” domandò Merlino titubante, seguendolo fuori dalla sala.
“E’ tutto assolutamente perfetto, Merlino” disse, tentando di non tenere i denti stretti mentre replicava. Il sole splende, gli uccelli cantano e Morgana è così intelligente che giurerei sia bionda - avrebbe voluto dire, facendo dell’ironia nel modo in cui lo avrebbe fatto lei se i ruoli fossero stati invertiti.
In quel momento - in cui il mondo sembrava essere compiaciuto - gli sembrava di poter scoppiare.
“Non mi sembra” aggiunse il servitore accelerando il passo per adeguarsi a quello spedito del principe.
“Merlino tu-“ avrebbe sfogato su di lui la sua rabbia se il suo piede che sbatteva contro un secchio di legno sul pavimento non lo avesse distratto da lui, ma non dalla sua ira.
Il secchio si rovesciò sul pavimento inondandolo di acqua insaponata ed una parte finì sul suo stivale.
“Maledizione!” esclamò, ormai al limite “Cos’è? Una congiura contro di me?” esclamò nel corridoio vuoto, tentando di sfogare il suo malumore, senza aspettare davvero risposta.
“Se la tua idea di congiura consiste in un secchio d’acqua in bella vista sul pavimento credo che ti serva un ripasso della strategia di guerra” il borbottio arrivò dalle sue spalle.
Si girò, stupito e scandalizzato da tanta impertinenza, per vedere una ragazza inginocchiata sul pavimento, intenta a sfregare la superficie con un panno tenuto con entrambe le mani.
“Ti ho sentito” lei alzò il viso per incontrare gli occhi di Arthur. Per un momento aveva dimenticato chi era lei adesso, e ovviamente lui aveva pensato che fosse un commento che lei non intendeva raggiungesse le sue orecchie.
Arthur sembrò scrutarla per qualche momento - riconoscendo in lei la ragazza che giorni prima gli aveva corso incontro gridando - e lei si trovò a desiderare di essere bella; questo la rese adirata con se stessa, perché era ridotta come una serva nell’unica casa che avesse mai avuto per anni, perché era considerata meno di un animale selvatico a cui si offriva una ciotola di cibo per pietà, e lei desiderava di essere bella: per Arthur.
Morgana rimase dov’era - non era certo ansiosa di essere inginocchiata ai suoi piedi ma era stanca e alzarsi avrebbe richiesto uno sforzo che non poteva permettersi - ma la sua schiena assunse una posizione eretta, e il mento puntò in alto. Non avrebbe dovuto assumere una simile postura, ma essere remissiva non era mai stata la sua specialità, non quando si trattava di esserlo di fronte a cose assurde come le posizioni sociali o le aspettative ipocrite, ed era troppo indispettita dai propri desideri per preoccuparsi delle convenienze.
“Principe” salutò spostando rapidamente lo sguardo fra Arthur e Merlino, senza saper decidere chi dei due era più sorpreso delle sue parole.
“Immagino che chinata lì sul pavimento tu non mi abbia riconosciuto, quindi ti scuso per la tua impertinenza” disse, magnanimo. Morgana aprì la bocca per ringraziare, come doveva, ma contrariamente alle sue migliori intenzioni si trovò a rispondere “Non è certo colpa mia se non guardate dove mettete i piedi”
“Stai insinuando che questo disastro sia colpa mia?” disse sconcertato indicando il pavimento ricoperto d’acqua.
“Certo che no” rispose educatamente, guardandolo rilassarsi brevemente a quella replica “Non insinuerei mai qualcosa di cui sono assolutamente certa”
“Ti rendi conto che potrei farti arrestare?!” Arthur alzò il suo tono in oltraggio, dimentico di qualunque altra cosa, tranne del fatto che quella ragazza sembrava andare a caccia di una punizione con tutta la foga di cui era capace.
“In cella almeno potrei riposare un po’, e non sarei costretta a fare lo stesso lavoro più di una volta perché voi non potete prestare un po’ d’attenzione a cosa vi sta fra i piedi” rispose con cipiglio fiero, pur temendo la possibilità di finire nelle prigioni del palazzo. Le ricordava fin troppo bene per poterne sentire la mancanza. Fortunatamente prima che potesse terminare la frase Merlino si era già frapposto tra loro, dandole le spalle, e tentando di calmare Arthur.
“Sire, per favore, la ragazza è ovviamente provata dalla fatica” tentò di abbozzare tenendo le mani alte coi palmi riversi verso il principe, come per bloccare fisicamente il suo nervosismo.
Arthur lo guardò con sorpresa, per qualche momento aveva dimenticato la sua presenza. Quella serva sfrontata aveva catalizzato tutta la sua attenzione, al punto da farlo ritrovare disorientato quando Merlino si era frapposto spezzando il contatto visivo.
“Spostati” gli ordinò con tono urgente, come se improvvisamente gli mancasse l’aria.
“Sire-“ il giovane servitore tentò di obiettare ma l’altro insistette “Spostati”
Lei era ancora ferma sulle ginocchia, con la schiena dritta ed il viso per metà coperto dai capelli legati che cadevano su una spalla. Il suo aspetto era assai comune ed il suo abito era logoro, l’aveva vista una sola volta eppure c’era qualcosa di familiare in lei, nel modo in cui lo guardava.
“Tu sei…” strinse gli occhi fissandola e Morgana smise di respirare per un istante, nella stupida illusione di sentirgli pronunciare il suo nome “Sei fortunata” disse, cercando di dismettere la discussione, senza riuscire a liberarsi di quella bizzarra sensazione. Qualcosa in quello sguardo vivo ed infiammato lo costringeva a scavare fra i nomi e le facce delle persone che aveva incrociato nella sua vita, pur sapendo che un volto del genere non sarebbe stato dimenticato. Eppure si sentiva come se ci fosse una parola - forse un insulto, considerando l’irriverenza a cui aveva appena assistito - proprio sulla punta della sua lingua, che rifiutava di venir fuori.
Era inutilmente frustrante pensarci, perché aveva cose assai più importanti di cui preoccuparsi piuttosto che di una serva insolente “Non ho tempo di badare a te adesso” disse girando le spalle e andando via, seguito da Merlino.
Morgana rimase immobile a guardare la sua schiena allontanarsi, ascoltando il rumore dei suoi passi che rimbombavano nel corridoio vuoto e ad ogni passo le sembrava di perdere sè stessa, cosa ridicola considerando il modo in cui aveva vissuto gli ultimi giorni. Ma per qualche minuto lei era stata sè stessa ancora una volta, impegnata a tenere testa ad Arthur ed al suo ego, a combattere con lui verbalmente dopo giorni in cui lo aveva visto solo di sfuggita e da lontano. E adesso lui le voltava le spalle uscendo dalla sua vita un’altra volta con una noncuranza che la feriva, o forse facendone uscire lei stessa, non poteva più capire dove stesse la differenza ed era troppo stanca per provarci.