Capitolo terzo.
Quando rinvenne si ritrovò ancora una volta nella stanzetta scura e fredda in cui si era svegliata quella mattina, ma questa volta alla confusione si aggiunse una paura che conosceva bene e che era solo riuscita a diventare più forte, schiacciandola col suo peso fino a renderle difficile rimettersi in piedi e camminare. In quale direzione? Per fare cosa? Non sapeva cosa fare o a chi rivolgersi e ad un tratto si sentì tagliata fuori dal mondo. Nello spazio di una notte aveva perso ogni cosa. Un posto dove vivere, la sua identità, i suoi amici e Arthur.
Si costrinse ad uscire da quella stanza solo quando il suo stomaco vuoto cominciò a farle male. La servitù aveva già pranzato e lei riuscì a racimolare per se stessa solo un tozzo di pane e un pezzo di formaggio. Seppure avesse fame non riusciva a pensare seriamente al fatto che avesse bisogno di nutrirsi perché il suo unico pensiero per ore fu solamente quello di tornare nelle proprie stanze, nella propria vita. Nel proprio corpo.
Adesso capiva gli sguardi fugaci lanciati nella sua direzione, la facilità con cui riusciva ad essere ignorata. Intuì dal modo in cui il resto della servitù la fissava che normalmente la ragazza che aveva quel volto svolgeva i propri compiti pur rimanendo invisibile e alla sera, quando la stanchezza divenne insopportabile ed i pensieri le avevano solo procurato un inutile mal di testa, si ritrovò a desiderare - più di ogni altra cosa - di saper fare lo stesso.
Non facevano mai colazione assieme, come facevano le famiglie normali - così aveva sentito dire, almeno - ma quando c’era un Torneo o una simile occasione in cui avrebbe dovuto tenere alto il nome dei Pendragon suo padre diventava ansioso di passare del tempo con lui, coinvolgendo in questa sua ansia anche Morgana, la quale si dimostrava a sua volta sempre ansiosa di rovinare i suoi paterni incoraggiamenti con osservazioni sulle barbarie perpetrate in alcuni scontri e che avevano costretto uomini onorevoli a vivere una esistenza menomata, o anche sottolineando semplicemente il bisogno maschile di dimostrare la propria presunta superiorità con la forza bruta. Potendo farlo avrebbe volentieri evitato l’incombenza, perché avrebbe voluto rimanere calmo e concentrato per lo scontro che si sarebbe tenuto nel pomeriggio e di certo salvare Morgana dalle ire di suo padre non rientrava fra le attività che glielo avrebbero permesso, ma sapeva che gli era impossibile rifiutare qualcosa al Re, soprattutto in queste occasioni.
Arthur non si preoccupò di alzare lo sguardo dalla sua pancetta fritta quando Uther, nel suo discorso alimentato solo da pochi cenni e mezzi sorrisi da parte dei suoi commensali, espresse le sue aspettative riguardo al torneo “Lord Ainsworth è un degno opponente, ma confido che la tua abilità gli sia superiore, Arthur” disse sorridendo, voltandosi verso la ragazza “Tu cosa ne pensi, Morgana?”
Arthur prese un respiro e afferrò la coppa per prendere un sorso d’acqua e non essere tentato di peggiorare la situazione una volta che Morgana avesse parlato.
“Se è una gara di stupidità, non c’è da temere sconfitta” si aspettò, ma invece sentì solamente “Arthur è il migliore, senza dubbio” e fu costretto ad alzare la testa per accertarsi che proprio lei avesse parlato. Eppure quella era Morgana, e gli sorrideva dolce e piena d’entusiasmo e lui la fissò guardingo, aspettandosi una precisazione sarcastica che non arrivò, perché lei riprese a mangiare, ascoltando quello che Uther diceva annuendo qui e là senza aggiungere nulla.
“Ho deciso che daremo una festa in onore del vincitore”
“Di Arthur, vorrai dire” aggiunse Morgana entusiasta lanciandogli uno sguardo dal punto in cui era seduta.
“Purtroppo alcune questioni urgenti richiedono la mia attenzione e dovremo rimandare i festeggiamenti di un paio di giorni, ma spero che questo ti sia comunque gradito figliolo, e sarai stimolato a dare il meglio”
“Certamente, padre” lui rispose guardando Uther all’altro capo del tavolo, per spostare velocemente lo sguardo su Morgana, in attesa che dicesse qualcosa di sgradevole, o ironico, o gli dedicasse una delle sue smorfie cariche di derisione, ma lei nemmeno si voltò nella sua direzione.
Lei si rivolse ad Uther richiamando la sua attenzione “Se è possibile, vorrei che mi faceste una concessione” disse gentilmente.
Arthur curvò le labbra e prese un sorso d’acqua in attesa di sentire cosa quel giorno avrebbe mandato suo padre su tutte le furie, e quando il Re le disse di parlare liberamente lei domandò “Potrei avere un abito nuovo? In onore della vittoria di Arthur vorrei essere bellissima”
L’acqua sembrò prendere la direzione sbagliata e Arthur rischiò di strozzarsi, attirando l’attenzione dei suoi commensali con i colpi di tosse.
“Ti senti bene?” domandò Morgana alzando le sopracciglia e guardandolo con una vaga confusione in volto.
“Bene” replicò breve fissandola per indurla a gettare la maschera e a dire finalmente quello che doveva - perché era certo che Morgana non potesse stare seduta pacatamente discutendo di un torneo di cui lei non aveva mai capito le motivazioni e lo elogiasse apertamente per poi domandare un vestito nuovo in suo onore.
Eppure lei fece un altro sorriso e riprese a mangiare. Lui non l’aveva mai vista sorridere in quel modo, né l’aveva mai vista essere così remissiva o disinteressata a ciò che avveniva a corte e a differenza sua - che era quantomeno sconvolto da quel comportamento - suo padre sembrava aver accettato questo cambiamento assai più rapidamente e sorrideva compiaciuto guardandola con gioia.
Dopo colazione lui si alzò per raggiungere i suoi cavalieri ma Morgana lo chiamò, fermandolo. Lo raggiunse sulla porta per domandare “Vai sul campo?”
“Come sempre, Morgana. Devo occuparmi dell’addestramento” la informò, aspettandosi un commento sarcastico.
“Forse dovresti riposare, sai…” si interruppe parlando in tono quasi premuroso “…per arrivare in forze al Torneo di questo pomeriggio”
“Batterei il tuo Lord Ainsworth anche dopo un’intera giornata di combattimento” era fin troppo ottimista, se ne rendeva conto, ma odiava che lei mettesse in dubbio le sue capacità.
“Oh, ne sono convinta. Nessuno è più bravo di te” e anche se lui cercò dell’ironia nella voce o nell’espressione del volto, non ne trovò alcuna. Credere a tanta buona disposizione nei suoi confronti gli sembrava impossibile, eppure lei si stava comportando assai dolcemente e si sforzò per questo di arrestare il suo istinto, pronto a cercare modi di replicare alle sue parole beffarde e pungenti che però quel giorno sembravano non essere più parte dei loro scambi.
“Ti ringrazio” lui disse, sentendosi imbarazzato ed esposto da tanta inaspettata onestà.
Infondo aveva passato anni a cercare la sua approvazione, e a desiderare che lei ammettesse la sua superiorità come combattente e l’attrazione nei suoi confronti, e adesso che lo guardava colma di sorrisi brillanti e occhi adoranti non aveva certo intenzione di lamentarsene.
“Sai Morgana” disse ricorrendo alla sua alterigia “Era ora che tu ammettessi i tuoi sentimenti nei miei confronti. D’altronde, non ne sono certo infastidito, anzi, lo trovo lusinghiero.”
Lei schiuse le labbra guardandolo sorpresa, e lui per un momento si dispiacque di quel passo falso, perché adesso lei si sarebbe arrabbiata e l’armistizio - che non sapeva esattamente quando fosse stato siglato - sarebbe finito. Invece lei abbassò gli occhi imbarazzata prima di domandare “E i tuoi sentimenti invece quali sono, Arthur?” per poi guardarlo piena di trepidante aspettativa.
“Cosa?” Arthur chiese di riflesso, stupito della direzione che quella conversazione aveva improvvisamente preso.
“Perdonami, non è signorile da parte mia” abbozzò lei imbarazzata “Ma c’è qualcosa fra noi, lo so…” si interruppe ancora e scosse la testa “Tutti pensano che noi ci amiamo”
“Tutti?”
“La servitù, il popolo…” rispose, per poi aggiungere nervosamente “Pensano che ci amiamo, e che potrei essere la tua regina un giorno”
Lui la osservò guardingo per chiedere in tono cauto “Vorresti esserlo?”
Il fervore con cui rispose “Oh, si!” lo lasciò interdetto e senza parole, e si ritrovò ad annuire, prima che Merlino arrivasse a comunicargli che era atteso sul campo. La mattinata sembrò passare assai rapidamente, e senza alcuna fatica. Il pensiero di Morgana così docile e dolce lo rendevano improvvisamente capace di ogni cosa, anche se una parte di lui non riusciva ad assorbire il cambiamento improvviso e cercava di non avere aspettative per evitare una delusione. Le cose belle, infondo, non duravano mai a lungo.
Le dolevano i muscoli a causa del molto lavoro del giorno precedente, ma tentò di non lamentarsi perché anche se aveva perso la sua identità - e forse la speranza di riaverla - l’orgoglio era sopravvissuto contro ogni logica e convenienza. Nonostante non riuscisse ad avere fame, perché il suo stomaco si ribellava allo stato delle cose facendole male ogni secondo, cercò comunque di mangiare, e quando non vi riuscì infilò - non vista - un paio di pezzi di pane nella tasca del vestito, ben sapendo che la mole di lavoro che avrebbe dovuto sostenere tutto il giorno l’avrebbe stremata.
Quella mattina era riuscita a lavarsi con dell’acqua fredda ed in qualche modo le forze erano tornate, se non tutte almeno quelle necessarie a svolgere il suo lavoro. Quando la colazione era stata posta sui vassoi aveva riconosciuto quello che era per lei e le era quasi risalito un conato di vomito.
“La colazione della tua Lady Morgana” le aveva detto Bertha in tono canzonatorio, senza ascoltarla quando aveva domandato “Mia?” di riflesso.
Cercò di imparare i nomi di quei servitori che incrociava più spesso, anche se probabilmente non le sarebbe servito perché nessuno le rivolgeva la parola né la avvicinava. Era come un animale che nessuno voleva toccare, e lei stessa aveva timore di guardarsi in viso ben ricordando ciò che aveva visto il giorno prima, ma, soprattutto, perché il suo riflesso avrebbe solo riportato alla mente lo sguardo di Arthur, il modo in cui l’aveva fissata cercando - per pietà - di non lasciar trapelare il suo orrore.
Nel pomeriggio le fu ordinato, assieme ad altri, di portare i secchi d’acqua e spazzole di metallo per ripulire i posti che sarebbero stati occupati dalla nobiltà per assistere al Torneo e una delle ragazze - Corinna - fu la prima oltre alla signora Bertha a rivolgerle la parola in quasi due interi giorni, come l’altra solo per spronarla a lavorare.
“Sbrigati se vuoi occuparti del posto di Lady Morgana, e cerca di fare bene il tuo lavoro altrimenti lo assegnerò a qualcun altro” lei non protestò, ma fece quanto le veniva detto. Per la prima volta dopo l’iniziale confusione stava cominciando a pensare lucidamente a quanto stava succedendo. Tutti davano per scontato che lei desiderasse occuparsi di quanto riguardava Lady Morgana, e per questo la persona che ora aveva preso il suo posto conosceva le sue abitudini abbastanza da non farsi scoprire da un occhio inesperto. E quanto poteva essere esperto l’occhio di un Re troppo impegnato a condannare a morte presunti stregoni e ad emanare leggi contro la magia per realizzare che offriva ospitalità ad un impostore? Non sperava che Uther potesse accorgersi della differenza, perché non ne avrebbe avuto il tempo, ma forse Gwen, che era sua amica e passava con lei ore, lo avrebbe notato. Forse allora avrebbe potuto avvicinarla e chiedere il suo aiuto. Con quella speranza rimase accanto agli spalti lasciati vuoti per i popolani, aspettando di vedere la giovane serva giungere per accompagnare la falsa Lady, ma quando la vide ridacchiava di qualcosa insieme all’altra e sembrava felice ed ignara. Pur non volendo sgranò gli occhi e li sentì inumidirsi, ma proibì a se stessa di piangere.
“Hey, tu” uno dei servitori che si occupavano della zona riservata ai cavalieri perché fossero aiutati nella vestizione la chiamò facendola voltare.
“Cosa mi hai portato?” domandò, e lei tacque non sapendo a cosa si stesse riferendo “Avanti…” insistette lui “…puoi avere il solito posto sotto gli spalti. Lì” disse indicandole il punto “Così potrai vedere il principe che combatte e Lady Morgana. Ma lo sai che devi darmi qualcosa”
Lui - come gli altri - non la guardava in viso, ma aveva una mano aperta in attesa che lei la riempisse. Morgana infilò le mani in tasca e tutto quello che trovò furono i due pezzi di pane che era riuscita a prendere durante la colazione. Erano bianchi e morbidi ma lui fu comunque deluso che lei non gli avesse portato di più.
“E’ troppo poco”
“E’ tutto quello che ho” replicò.
“Per questa volta chiuderò un occhio” dichiarò lui “Alla prossima voglio del prosciutto” la informò puntandole contro il dito e guardandola solo pochi istanti, prima di andare via per tornare al lavoro.
Dal suo cantuccio sotto gli spalti guardò i cavalieri presentarsi in campo chiedendo l’approvazione de Re prima del Torneo e quando fu il turno di Arthur di affrontare Lord Ainsworth, vide la donna che aveva preso il suo posto alzarsi dal proprio posto con un largo sorriso e poi, come ricordando qualcosa, moderò i propri movimenti e l’atteggiamento, in una chiara imitazione del modo in cui l’aveva vista comportarsi in altre occasioni. Solo, questa volta, fece qualcosa che lei non avrebbe fatto mai - sfilò un nastro dai capelli e scese di due gradini che la separavano da Arthur, per legare il nastro intorno al suo posto in segno di preferenza, dimostrando al pubblico - ora acclamante - su quale opponente ricadeva il suo favore.
Solo quando ci fu abbastanza silenzio Arthur parlò “Dichiaro che vincerò questo torneo in vostro onore, mia Lady” e Morgana si sentì furiosa e ferita, perché quella donna prendeva il suo posto e gettava al vento il suo orgoglio, e perché Arthur riusciva ad essere galante e compiaciuto mentre lei aveva sperato - segretamente e stupidamente - che lui si sarebbe accorto della differenza e se ne sarebbe insospettito, invece probabilmente non era stato altro che felice di vederla cambiare e divenire docile ed adorante, per fare di lei un altro nome dimenticato fra le sue conquiste.