Titolo: You want the rest of your life to start as soon as possible
Autore:
chibi_saru11 Beta: ///
Fandom: Hawaii Five-0
Personaggi: Danny "Danno" Williams, Steve McGarret, Kono, Chin, Grace Williams, OMC, Malia
Pairings: Steve/Danny, Kono/OMC, Chin/Malia
Rating: PG13
Avvertimenti: FLUFF YEAH, future!fic
Word: 3097 (FiDiPua)
Riassunto: Sei anni dopo la vita di Danny non è molto cambiata, ma questo non vuol dire che Danny sia abituato.
Note:
1. Quindi... doveva essere del porn. E doveva essere del porn per
anybeaver per il suo compleanno. Non è porn invece, ma è sempre per
anybeaver e per ringraziarla di tutte le splendide immagini che mi passa sempre e di essere la personcina adorabile che è *__* quindi ecco sì,
2. Per il prompt Età adulta @ COW-T
maridichallenge Disclaimer: H5-O non è mio, Danny e Steve non sono miei... la mia vita è molto patetica. Nè Kono nè Chin nè Grace nè tutti gli altri sono miei.
«Cos’è-no, Steve, cos’è questo? Cosa ho davanti? No, seriamente, che problema hai, mh? Perché, Steve, perché? Uh?» chiese, muovendo le mani un po’ troppo velocemente e cercando di trovare un senso a quello che aveva davanti. A quello che era appena successo.
«Non capisco di cosa tu stia parlando, Danno,» rispose Steve, completamente tranquillo, mentre si tamponava il braccio. Stava sanguinando? Ovviamente stava sanguinando. Avevano appena fatto esplodere un edificio. Esplodere. Un. Edificio. Danny rimase un secondo in silenzio aspettando che il concetto si imprimesse nella sua mente e cominciasse, come per magia, ad avere un qualche senso.
«Non capis- lui non capisce! Steve, Steve amico mio, ti rendi conto che abbiamo davanti le macerie di un palazzo, giusto? Ti rendi conto che abbiamo appena fatto saltare un palazzo in aria, giusto? Perché c’è polvere ovunque e ci sono pezzi di travi a terra e un palazzo! Abbiamo fatto esplodere un palazzo!»
«Non era previsto,» fu la risposta sbrigativa di Steve, che scrollò le spalle prima di riprendere a parlare «è stato un incidente.»
E non aveva senso, non aveva nemmeno un poco di senso: «Come si può accidentalmente fare esplodere un palazzo? No, seriamente, come puoi anche solo dire “è stato un incidente”? Uno accidentalmente rompe un vaso, mette la marmellata di arance invece di quella di fragole, si dimentica di prendere le cose in lavanderia. Steve, nessuno fa accidentalmente esplodere un intero edificio!» e perché nessun’altro sembrava sconvolto come lui. Perché nessuno stava urlando?
Okay, era stato un palazzo abbandonato, inabitato da anni ed anni, probabilmente sarebbe stato abbattuto comunque per far spazio ad una delle tante villette per ricconi che popolavano quella maledetta isola, ma non era quello il punto! Il punto era che Steve aveva piazzato delle bombe (no, davvero, dove le aveva trovate? Aveva una scorta di C4 a casa? Lo teneva vicino alla scorta di granate? Cos’era diventata la sua vita se doveva anche chiedersi cose simili?) in un maledetto edificio e poi l’aveva fatto saltare in aria! E okay, questo aveva permesso loro di prendere i cattivi della settimana, ma non era questo il punto.
E Steve non sembrava nemmeno pentito. Non era normale, davvero. Non era-e improvvisamente Danny si rese conto di avere mal di testa. Perfetto.
«Cosa vuoi che ti dica, Danno? Vuoi che mi scusi? C’è una regola anche per questo?» Steve sembrava infastidito, ma principalmente divertito. E Danny pensò per l’ennesima volta: il mio partner è completamente pazzo.
«Se proprio vogliamo parlarne, Steve, credo ci sia una regola che dice che se fai esplodere un edificio nelle vicinanze di qualcuno ti scusi, ma credo, Steven. E sai perché non ne sono certo? Perché non sono in grado di educarti sulle regole del mondo civilizzato in casi del genere? Perché nel mondo civilizzato non succedono questo tipo di cose!» ed era un punto molto importante. Perché Danny aveva risolto un sacco di casi prima di venire alle Hawaii e non aveva mai rischiato di esplodere o di ricevere una trave in testa. Quei giorni gli mancavano.
«Lo so,» aveva risposto infine Steve, prima di ghignare «non è noioso?» e oh, oh, non era andato lì! Non l’aveva appena detto, evidentemente era un incubo e Danny era troppo vecchio per queste cose.
Quindi si alzò e andò verso l’ambulanza - e a dire il vero aveva solo un graffio al braccio e normalmente ci avrebbe pensato lui, ma non credeva di poter sopportare ancora a lungo Steve prima di strozzarlo.
Perché apparentemente era una di quelle giornate - e ancora più probabilmente una di quelle settimane - e Danny era già stanco.
--- -- ---- --- --
--- -- ---- --- --
«E poi Kulo,» stava dicendo Grace, saltellando sul sedile accanto al suo (e Danny controllò di nuovo che avesse la cintura messa) e sebbene gli facesse male una spalla e oggi avesse corso più di quanto medicalmente consigliabile per il suo ginocchio (non che fosse una novità, Steve l’avrebbe portato alla morte uno di questi giorni) non poté non commentare.
«Kulo, davvero?» chiese, rendendosi conto di meritarsi assolutamente il pugno che sua figlia gli aveva appena dato al braccio.
«Danno!» lo riprese, infastidita (anche se Danny poteva vedere l’inizio di un sorriso sul suo viso, era lì!) e lui rise.
«Sto solo dicendo, Kulo? Wow, perché i suoi genitori l’odiano tanto? Cioè non è per essere cattivi, sono sicuro che il tuo amico è un bravo ragazzo e tutto eh! Ma Kulo? Uno non chiama suo figlio Kulo, è semplicemente il punto che sto cercando di farti comprendere, ecco,» continuò, perché era effettivamente inaccettabile e lui non avrebbe mai chiamato Grace qualcosa come Kulo, ecco.
Grace sbuffò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio (in un gesto che era così dannatamente Rachel che per un attimo Danny dovette ricordarsi come respirare perché Grace stava diventando così grande tutta all’improvviso) prima di cedere e ridacchiare sommessamente.
«Stavo dicendo, Danno,» riprese però, sorridendogli e Danny le sorrise a sua volta, perché non riusciva mai a non farlo. Perché Grace, quando sorrideva, era la cosa più bella che avesse mai visto.
E lo terrorizzava un po’ vedere come i suoi capelli fossero allungati, come le sue gambe si fossero snellite, come il suo seno stesse finalmente cominciando a spuntare. La sua piccola Grace avrebbe fatto quattordici anni presto e Danny non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile - la ricordava ancora, piccola tra le sue braccia, quando gliel’avevano consegnata la prima volta e ora… ora era così grande.
E poi improvvisamente Grace gli stava strattonando un braccio e sembrava incredibilmente seccata «Danno, non mi stai ascoltando! Perché non mi stai ascoltando? Hai la faccia di quando stai pensando a quanto tu sia vecchio,» gli stava dicendo e Danny la guardò come se fosse matta.
«Io non ho una faccia,» rispose, indignato, mentre Grace roteava gli occhi.
«Sì che l’hai, l’hai presa dallo Zio Steve, Danno,» gli disse, come se fosse ovvio. Come se avesse detto una cosa stupida. Oddio, da quando Grace era diventata lui?
«Stavo semplicemente pensando che sei diventata grande, lo ammetto. E se è un crimine? Datemi la pena capitale e poi trascinatemi in carcere in catene,» ammise, mentre Grace ridacchiava.
Il silenzio che seguì era confortevole, con l’alone delle risate nell’aria e Danny non si sentì in dovere di dire nulla (era piacevole a volte, per qualche minuto) e poi Grace - che era una Williams in tutto e per tutto - aveva cominciato a raccontare qualcos’altro, gesticolando fin troppo e Danny aveva cominciato a ridere, parcheggiando davanti casa.
--- -- ---- --- --
--- -- ---- --- --
Era mattina presto - Danny non avrebbe saputo dire l’orario preciso, ma probabilmente tra le sei e le otto e mezzo - e Danny lo sapeva perché l’altra parte del letto era vuota.
Sospirò, passandosi una mano sul viso e cercando di ricordarsi che giorno fosse (il martedì Steve andava a correre, il mercoledì nuotava, il giovedì - insomma, era importante ricordarsi che giorno fosse) senza successo. Probabilmente erano le sei e mezzo, allora, il suo cervello si rifiutava sempre di accendersi prima delle sette.
Avrebbe potuto alzarsi, andare a cercarlo, ma non ne aveva la forza. Si posizionò meglio nel letto, prendendo il cuscino di Steve e portandoselo sopra il proprio. Inspirò l’odore di Steve e si rilassò immediatamente, cercando di riaddormentarsi.
Steve l’avrebbe dovuto svegliare al suo ritorno per riprendersi il cuscino e rimettersi sotto le coperte (e Danny aveva rinunciato a fargli capire che, se poi si rinfilava a letto per un po’ di coccole mattutine - perché Steve era una maledetta donna quando si trattava di coccole, davvero - avrebbe anche potuto rimanere a letto più a lungo ed alzarsi molto dopo per la sua pazzesca routine. Come per molte altre cose Steve non l’aveva nemmeno ascoltato) ma il pensiero lo divertiva più che infastidirlo, quindi strinse il cuscino di più a sé.
Provò a ricordarsi cosa avessero in mente di fare oggi, se ci fosse qualcuno che era stato rapito, se dovessero prendere qualche cattivo, ma riuscì solo a ricordarsi che avevano parlato di pitturare il soggiorno e prendere del prosciutto per quella sera.
Abitava in quella casa da tre anni (perché magari lui e Steve erano finiti a letto sette mesi dopo il loro primo incontro, ma erano riusciti a smetterla di fare i coglioni solo due anni dopo - non che non avessero continuano a finire a letto assieme, ovviamente, semplicemente avevano continuato a non parlarne fino a quando avevano potuto) e a volte ancora non riusciva a crederci.
Non che non fosse normale - Danny ancora dopo sei anni non riusciva a credere a metà delle cose che gli erano successe da quando era atterrato in quella maledetta isola, ma non era quello il punto - ma a volte lo spaventava.
A volte pensava a cosa avrebbe fatto se Stan avesse deciso di dover seguire con maggiore attenzione il suo lavoro in, per dire, Sud Africa, portando Grace con sé. Si addormentò di nuovo stringendo il cuscino troppo forte.
Quando Steve l’aveva svegliato qualche ora dopo, baciandogli prima una scapola, poi una spalla, poi il collo, Danny si era voltato per lasciargli più spazio senza nemmeno combattere troppo.
Steve aveva aggrottato le sopracciglia «Tutto a posto, Danno? Normalmente comincia a lamentarti imm-» stava cominciando - e Danny poteva sentire un pizzico di reale preoccupazione, perché Steve era una maledetta mamma chioccia - e lo fermò immediatamente, baciandolo languidamente.
«Non puoi accettare la mia magnanimità senza lamentarti, Steven? No? Perché devi rendere tutto sempre così difficile, mh? Perché non puoi semplicemente accettare le cose belle della vita? Tipo il mio buonumore o la mia decisione di non lamentarmi troppo per la sessione abitudinaria di coccole alla principessa Steve?» e okay, magari ora stava cominciando a scaldarsi, e il blocco allo stomaco con cui si era addormentato poco prima stava cominciando a sparire.
Non che Danny avrebbe mai ammesso un qualcosa del genere, ovviamente.
--- -- ---- --- --
--- -- ---- --- --
Danny bevve un sorso della sua birra sedendosi accanto a Kono che guardava l’anello che aveva al dito in maniera strana (come se stesse cercando di comprendere di cosa fosse fatto, come fosse stato forgiato, che storia avesse).
«Tutto a posto?» chiese perché, nonostante fossero passati più anni di quanti gli piacesse ricordare, anche lui aveva avuto quel piccolo aggeggio al dito e il suo peso (familiare e confortante) era stampato a fuoco nella sua mente.
«Sì,» fu la risposta di lei, prima di scuotere la testa «No,» e poi rise, voltandosi finalmente verso di lui «non lo so,» e Kono non era mai stata una donna da non lo so, non era mai stata indecisa su nulla. Danny ebbe quasi l’istinto di accarezzarle i capelli.
Non Grace, giusto.
«Beh, è un bell’anello,» cominciò, perché lo era. Piccolo ma elegante, con un diamantino che non avrebbe fatto girare gli occhi di nessuno, ma si adattava perfettamente a Kono, al suo modo di essere.
A Danny piaceva Neal, sul serio, era un brav’uomo e chiunque riuscisse a resistere alle velate minacce di Chin per così tanto tempo meritava la sua stima.
«Lo è,» fu la pacata risposta di Kono, che tornò a guardare il gioiello come ipnotizzata. Come se non sapesse cosa fare.
A Danny piaceva Neal, ma Kono era parte della sua famiglia e per quanto il tipo avesse la sua simpatia, lui sarebbe stato sempre dalla parte della sua collega. «Sei sicura?» chiese, prendendo un altro sorso della sua birra «so che probabilmente non sono la persona adatta a dare consigli matrimoniali,» anche se, in un certo senso, lo era. Lo era perché sapeva cosa volesse dire sposarsi troppo velocemente, venire trascinati dagli eventi. Soffrirne le conseguenze. «Se non sei sicura, Kono, noi siamo dalla tua parte. Io, Chin, Steve… non ti giudicheremmo,» l’assicurò, guardandola mentre un leggero sorriso si spargeva sulle sue labbra «Ohana, e tutte quelle altre belle parole che voi Hawaiani continuate ad usare e che mi sono completamente oscure,» aggiunse, per spezzare la tensione e Kono rise e rise.
«Oh, Jersey, non fare finta di non essere Hawaiano esattamente quanto noi, ormai hai pure l’abbronzatura, sai? Steve ha una cattiva influenza su di te,» rispose Kono, poggiandogli una mano sul braccio e Danny si finse oltraggiato (anche se non lo era, anche se Kono aveva purtroppo ragione e Danny era schifosamente abbronzato come un qualsiasi surfista).
«Tutte bugie e diffamazioni,» sibilò «bugie e diffamazioni,» e poi stavano ridendo e ridendo.
E quando Kono aveva sposato Neal, tre mesi dopo, Danny non si era minimamente commosso. Tutta colpa dell’allergia.
--- -- ---- --- --
--- -- ---- --- --
«Come lo volete chiamare?» stava chiedendo Steve, guardando con una strana fascinazione il pancione di Malia. Danny avrebbe voluto ridere - perché Steve era ridicolo sporto a quel modo, completamente concentrato sulla donna e sul modo in cui continuava a massaggiarsi lo stomaco - il suo maledetto cervello traditore lo trovava incredibilmente adorabile però.
Chin scosse le spalle «Non abbiamo ancora deciso, pensavo a…» e Danny improvvisamente si ricordò di tutti i nomi catastrofici che Chin aveva proposto per il loro team - no, davvero, catastrofici, Danny li odiava ancora oggi con una passione travolgente - quindi si voltò verso Malia, interrompendo l’altro prima che potesse dire nulla.
«No, senti, per il bene di questo bambino, dagli tu un nome, okay? No, sul serio. Non lasciare che lui gli rovini la vita,» avvertì la donna, guadagnandosi una risata da parte di Steve e Malia e uno sguardo oltraggiato da Chin. «Ehi, devo ricordarti i nomi per la squadra? Sto solo cercando di proteggere questo bambino!» gli disse, incrociando le braccia.
E improvvisamente anche lui e Chin stavano ridendo e a volte Danny non poteva fare altro che chiedersi come potesse quella essere la sua vita.
«Qualunque sarà il suo nome,» disse improvvisamente Malia, prendendo la mano di Chin tra le sue e stringendola leggermente. Non continuò la frase, lasciò che fosse Chin a farlo.
Chin che aveva gli occhi un po’ lucidi - pieni di emozione e fierezza e affetto e tante altre cose che Danny aveva cominciato a riconoscere solo dopo il suo arrivo in quella stranissima isola - quando disse: «Vorremo che foste i padrini,» e improvvisamente Danny non ricordava esattamente come si facesse a respirare e Steve, accanto a lui, stava probabilmente per avere un infarto.
E la prima cosa che riuscì a dire fu «Non credo sia legale,» oh, davvero una bella mossa. Chin roteò gli occhi - un leggero sorriso sul viso - e lo guardò come se Danny fosse assolutamente irrecuperabile - in senso buono.
«Williams, vuoi essere il padrino di mio figlio sì o no?» gli chiese, perentorio e c’era davvero solo una risposta a quello.
«Ne sarei onorato,» perché era vero e Steve stava annuendo come un matto accanto a lui e Dio.
E Malia si poggiò la mano sullo stomaco dove il suo figlioccio stava riposando e Danny stava quasi per fare qualcosa di completamente inappropriato come abbracciarla e non lasciarla andare mai più. Anche se Steve sembrava sul punto di abbracciare entrambi e non lasciarli andare mai più, quindi Danny era messo probabilmente meglio di lui.
--- -- ---- --- --
--- -- ---- --- --
Era bello a volte sedersi su una delle tante sedie a sdraio e rilassarsi sotto il sole Hawaiano - il rumore del male che lo cullava leggermente - e Danny aveva preso a farlo sempre più spesso, ridendo alle prese in giro di Steve (Attento, Danno, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che ti piaccia stare qui).
Oggi era una di quelle volte e Danny si stava godendo un poco l’aria fresca quando Steve era arrivato, sedendosi in mezzo alle sue gambe (e considerando che Steve era molto più alto di lui avrebbero dovuto stare scomodi, ma nulla era mai logico quando si trattava di Steve).
«Un penny per i tuoi pensieri,» chiese appoggiandosi contro il suo torace e Danny avrebbe voluto ridere (per nessuna ragione particolare, semplicemente perché gli andava, semplicemente perché poteva).
Invece si limitò a stringere Steve un poco più forte e rimanere in silenzio, cercando di raccogliere i suoi pensieri. Cercando di capire come metterli a parole - non gli succedeva spesso di non sapere esprimere le sue emozioni, ma a volte le parole gli si fermavano in gola, dure e pesanti contro le sue corde vocali.
«Tu che rimani in silenzio,» disse Steve ridacchiando, rilassandosi quasi immediatamente contro di lui «devo impensierire?» ma non c’era reale preoccupazione nelle sue parole, semplicemente non riuscivano andare avanti senza stuzzicarsi. Non era da loro.
«No, Steve, non devi impensierirti. Al contrario di te, quando rimango in silenzio non vuol dire che sto pianificando di fare esplodere qualcosa o torturare qualcuno,» gli rispose, più per abitudine che per altro (erano tre giorni che Steve si comportava insolitamente bene e lui e il suo ginocchio si erano goduti la vacanza).
«Ancora, Danno. Uno fa esplodere qualcosa una volta e improvvisamente tutti pensano che non faccia altro,» borbottò l’altro, come se Danny non avesse assistito alle milioni di volte in cui Steve aveva fatto esplodere qualcosa in quegli anni.
«Dillo a qualcuno dentro la cui macchina non hai mai lasciato una granata, okay?» ma non c’era animosità nelle sue parole - e oddio, c’era quasi affetto, e Danny doveva davvero smetterla ora o Steve avrebbe cominciato a pensare che tenere granate nella macchina del suo collega fosse qualcosa di accettabile (e non lo era, Dio se non lo era).
Steve rise, e la risata vibrò nel torace di Danny mentre Steve si sistemava meglio contro di lui e… questa è la mia vita. Questa sarà la mia vita per sempre, fino a che non saremo troppo vecchi per camminare e Steve si farà fare una dentiera equipaggiata come un coltellino svizzero.
Avrebbe dovuto essere un pensiero spaventoso, questo alone di eternità che aleggiava intorno a loro (perché Danny non riusciva davvero a pensare a come avrebbero mai potuto lasciarsi, a cosa mai avrebbe potuto portarli a separarsi, non dopo tutte le cose folli che avevano passato insieme), invece era qualcosa che lo riscaldava, che lo faceva sentire più sicuro di sé stesso, più sicuro di tutto quello che c’era intorno a lui.
E non avrebbe detto a Steve qualcosa di stupido come ti amo o voglio stare sempre con te o trovo stranamente tenero quando minacci qualcuno di darlo in pasto alle tigri semplicemente perché c’erano libertà che non avrebbe mai potuto dare al suo partner (per il bene del mondo intero, se non dell’universo) e perché era un’epifania che sarebbe rimasta privata ancora per un altro po’, aveva bisogno di abituarsi, di lasciarla crescere dentro di lui per un altro poco prima di gettarla contro il mondo. Prima di rivelarla a Steve.
«Cosa ti va di mangiare oggi?» avrebbe chiesto in un minuto e Steve si sarebbe alzato in piedi e avrebbe probabilmente proposto di andare a mangiare fuori (le condizioni del loro frigo erano davvero spaventose) e avrebbero cominciato a litigare per una qualsiasi ragione. Però per un intero minuto sarebbero rimasti lì e a Danny andava bene così.