BBC!Sherlock; COW-T; Sheridan/Jane; How the world turns and twirls

Apr 02, 2011 01:24

Titolo: How the world turns and twirls
Autore: chibi_saru11
Beta: ///
Fandom: Sherlock (BBC)
Personaggio: fem!Sherlock/Sheridan Holmes, fem!John/Jane Watson, fem!Jim/Jill Moriarty (menzione si male!Sarah/Sean, male!Harriet/Harry, male!Molly/Matt)
Paring: Sheridan/Jane
Rating: PG-13
Warning: Spoiler per "A great game", Genderswapping, Femslash
Parole: 4673 (FiDiPua)
Riassunto: Eppure Jane non era che una donna comune - non era un genio come Sheridan o suo fratello Mycroft - e c’erano cose che andavano al di là della sua comprensione. E poi c’erano semplicemente cose che urtavano la sua morale, la sua stessa essenza di essere umano.
Note:
1. Scritta per il promp Genderswap @ COW-T @ maridichallenge 
2. Terza fem!Sherlock/fem!John. In realtà si può benissimo leggere come stand-alone, ma io l'ho scritta pensandola come la terza parte della genderswap!au serie con " I loved a woman like a little girl" e " The shattered surface, so imperfect, is all that you believe" anche se, ripeto, funziona come storia a sè stante.
Disclaimer: Sherlock BBC è proprietà di chiunque sia (Moffat, BBC, whatever), io ci scrivo solo perchè sono malata. E perchè Martin Freeman è troppo adorabile per essere vero.


Jane Watson non aveva mai realmente pensato che avrebbe potuto avere una relazione normale con Sheridan - non era così stupida, non lo era mai stata - ma aveva pensato… aveva pensato che sarebbe stata in grado di trattenerla, di sopportare tutto quello che la vita con Sheridan le avrebbe gettato addosso.

Eppure Jane non era che una donna comune - non era un genio come Sheridan o suo fratello Mycroft - e c’erano cose che andavano al di là della sua comprensione. E poi c’erano semplicemente cose che urtavano la sua morale, la sua stessa essenza di essere umano.

Sheridan non sembrava possedere questi limiti, non sembrava rendersi conto di quando fosse troppo, di quando sarebbe stato meglio fermarsi. Oh, Sheridan pressava come un bulldozer, armata della sua genialità, della sua impertinenza (e Jane la seguiva sempre e comunque, perché qualsiasi cosa potesse succedere, Sheridan era la sua vita ormai e non avrebbe lasciato che gliela portassero via).

Eppure Jane poggiò le mani sulla poltrona, sentendo il suo corpo troppo pesante (era come se qualcuno le avesse appena poggiato un macigno sulle spalle e ora lei stesse sprofondando sotto il suo peso. Ed era troppo, troppo persino per lei). Non riusciva a guardare Sheridan, quella donna meravigliosa e così intelligente, che era anche capace di una freddezza inumana, che vedeva il resto del mondo come un qualcosa in più.

«Ti ho deluso,» stava dicendo e Jane avrebbe voluto spiegarle che non era delusione (non solo, anche, no, forse) ma molto molto di più. Non era sicura, però, che Sheridan avrebbe capito; non era sicura che l’altra, nonostante la sua intelligenza, avrebbe mai potuto fare luce sulla miriade di sentimenti nel suo petto.

Aveva voglia di piangere e urlare e scappare via; aveva voglia di prenderla per le spalle, abbracciarla, baciarla e chiederle se anche lei non contasse nulla. Chiederle se contasse qualcosa per lei.

Invece scosse le spalle «Buona deduzione,» e se la sua voce era un po’ troppo bassa, un po’ troppo stanca, Sheridan non disse nulla riguardo.

«Non fare di altre persone delle eroine, Jane,» disse invece - e c’era fastidio nella sua voce, e Jane avrebbe voluto ridere (ridere e ridere perché Sheridan era infastidita? Infastidita dalla sua blogger che si preoccupava troppo del mondo? Dall’avere accanto qualcuno che aveva dei sentimenti?) ma rimase ferma, la bocca stretta in una linea sottile. «Gli eroi non esistono, e se anche esistessero io non sarei una di loro,» concluse, tornando a guardare quel maledetto telefono (e Jane aveva sempre voglia di buttarlo via quando lo guardava - era un oggetto spaventoso, che conteneva la minaccia più grande che Sheridan avesse mai incontrato).

Il silenzio che era calato tra di loro venne interrotto da un rumore sordo e metallico e Jane guardò verso l’i-phone rosa con rabbia e terrore - chi sarebbe stato attaccato alla bomba quel giorno? Chi avrebbero dovuto salvare?

E poi si era voltata verso Sheridan e l’altra stava sorridendo mentre allungava la mano a prendere il cellulare e Dio, stava ridendo.

Qualcuno potrebbe morire, avrebbe voluto urlare (perché probabilmente ci sarebbe stata qualche altra povera persona piangente all’altro lato del telefono e a Sheridan non sarebbe importato) invece abbassò la testa in segno di sconfitta. Avrebbe voluto andarsene, a dire il vero, e lasciare che Sheridan risolvesse il caso da sola - Jane non era di alcuna utilità dopotutto, no? Sarebbe potuta andare ad investigare il caso che le aveva dato Mycroft, sarebbe potuta andare a…

Invece rimase lì. E si odiò un poco per questo.

La sua mano non era mai stata così salda, i suoi occhi mai così fermi che come in quel momento.

«Lasciala andare,» disse, il tono più freddo che aveva mai usato in tutta la sua vita «o ti giuro che ti ucciderò.»

Non erano minacce al vento, Jane l’avrebbe davvero ucciso se non avesse lasciato andare Sheridan - avrebbe goduto nel vederlo morire, avrebbe guardato la vita scorrere via dalle sue vene con un piacere primitivo e così sbagliato (Jane non era fiera di quei sentimenti, ma sapeva che erano impossibili da respingere quando si trattava di Sheridan. L’unico problema era che Sheridan non provava la stessa cosa, ma non era il momento di pensarci).

Il Golem la guardò fissa negli occhi e Jane non distolse lo sguardo, quasi nemmeno sbatté le palpebre. Non si sarebbe tirata indietro, non avrebbe dimostrato nemmeno un briciolo della paura che stava provando (perché se per quanto le sue mani fossero salde, il suo cuore stava battendo all’impazzata e tutto quello su cui il suo cervello era in grado di concentrarsi era il viso di Sheridan e i suoi occhi e quella maledetta mano e no, no, non potevano portargliela via. Non potevano).

Poi il Golem le fece volare via la pistola dalla mano con un calcio (ma aveva lasciato andare Sheridan e questo era l’importante) e quello che seguì fu un groviglio di mani e piedi e Jane non era nemmeno certa di cosa fosse successo per metà del tempo (solo che la schiena faceva un male cane e la sua gamba la stava uccidendo e oh, Sheridan!).

Quando il Golem la scaraventò oltre il palco, Jane per un attimo si sentì il fiato mancare (Dio se faceva male, probabilmente aveva sbattuto una costola) e non poté reagire in tempo, fermarlo mentre scappava.

Tossì un paio di volte, cercando di rimettersi a sedere - Sheridan stava bene? Qualcuno aveva sparato, probabilmente lei, stava bene? - e quando vide l’altra in piedi, evidentemente incolume, poté tirare un respiro di sollievo.

(E ridere di se stessa al contempo: era ancora arrabbiata con Sheridan - lo era, davvero - ma quella non era stata che un’altra conferma di quanto ormai la sua stessa vita le appartenesse. E all’altra probabilmente nemmeno importava).

Il punto era che avrebbe dovuto vederlo arrivare, avrebbe dovuto prevederlo, provare a difendersi o qualcosa di simile. Non l’aveva fatto.

Stava camminando per strada per andare a casa di Sean quando aveva sentito un dolore lancinante alla nuca e, prima di poter capire cosa fosse successo (anche se, a dire il vero, non era particolarmente difficile indovinarlo) si sentì svenire e cadere a terra.

Avrebbe davvero dovuto sentire qualcuno arrivarle alle spalle (era stata in guerra, per la miseria! Non era una ragazzina debole ed indifesa e invece…), avrebbe dovuto essere in grado di reagire, di fare qualcosa.

Quando Jane riaprì gli occhi, per qualche secondo non riuscì a vedere altro che bianco (una contusione? Era stata colpita abbastanza forte, certo, ma non si sentiva… forse era stato solamente un colpo molto forte). C’era qualcuno che parlava, ma le parole le arrivavano alle orecchie ovattate e lontane. Non riusciva a sentirle, non riusciva a capire, aveva solo voglia di chiudere di nuovo gli occhi e ritornare a dormire - solo che aveva una potenziale contusione e, dopotutto, Jane era una dottoressa e no, non poteva chiudere gli occhi, non con una possibile contusione (e magari, se avesse continuato a ripeterlo sarebbe riuscita a capire se l’aveva o meno - non era un pensiero che aveva molto senso, okay, ma a Jane non importava).

Si fece forza dunque e cercò di concentrarsi su quello che aveva intorno, su quella voce che non conosceva (e che le sembrava comunque stranamente familiare).

«Oh, Jenny! Ti sei ripresa!» trillò la voce (troppo forte, la sua testa stava per esplodere, maledizione) e quando finalmente riuscì a mettere a fuoco le forme che c’erano intorno a lei la riconobbe immediatamente.

Non riusciva a ricordare il suo nome - cominciava con la J, sì, ma tutto il resto le era oscuro - però sapeva dove l’aveva vista «Tu sei… quella che era con Matt l’altro giorno…» ricordava il commento di Sheridan (“Gay” detto prima a bassa voce, in presenza di lei e poi direttamente in faccia a Matt, dopo che la persona che, apparentemente, l’aveva appena rapita se n’era andata. Bastava quella piccola scortesia da parte di Sheridan a giustificare tutto quello? Perché si trovava lì?).

«Esatto! Oh, sono felice che tu ti ricordi di me, sai?» continuò, come se Jane non fosse legata e con una possibile contusione e oh, un principio di mal di testa davvero impressionante. Poi si rese conto di cosa aveva stretto al corpo e tutto il resto divenne improvvisamente superficiale «vedi rende tutto meno imbarazzante. Così già ci conosciamo e possiamo passare direttamente alle…»

Jane non la stava ascoltando però. Aveva una bomba attaccata al petto - poteva sentirla premere contro il suo seno, contro la sua schiena. Dio, dio.

«Tu sei la bomber,» bisbigliò, incredula - perché a parte tutto c’era il fatto che lei, J-quellocheera, si era presentata davanti a Sheridan, danzandole incontro e sfidandola apertamente (perché non poteva che trattarsi di quello) e la sua coinquilina non aveva avuto nemmeno il minimo dubbio.

Quante persone al mondo potevano dirsi abbastanza intelligenti da giocare Sheridan Holmes? E solo un nome le venne in mente - un nome che Sheridan non ripeteva mai troppe volte, ma che aleggiava tra loro sempre e comunque.

«Oh sì, Jenny, ottima deduzione. Piacere, io sono Jill Moriarty e tu? Tu sei la nostra ospite d’onore,» e la sua voce sembrava deliziata, eccitata. E oddio quella era Moriarty? Era una donna? (e beh, Jane era tutta per il femminismo, ma aveva sempre immaginato Moriarty come un uomo che le guardava dall’ombra e rideva mentre accarezzava il suo gatto - e okay, magari Jane aveva visto un po’ troppi film, ma non era quello il punto).

Sentì il desiderio di muoversi, scattare in avanti, fare male alla persona che era stata la causa di così tante morti, così tanta sofferenza, ma non poteva. Era inerme davanti a lei e quando Moriarty si avvicinò, prendendole il mento con una mano Jane si rese conto che avrebbe potuto fare di lei quello che voleva.

«Non fare quella faccia,» l’ammonì Moriarty sorridendo - quello era tutto un gioco per lei, dopotutto, come per Sheridan. Si divertivano a giocare con la vita delle persone e Jane era stata una stupida a pensare di poter vivere al limite di quella loro scacchiera e non esserne coinvolta - «vedi, non posso farti niente o la nostra invitata potrebbe arrabbiarsi.»
Jane non capiva: invitata? Arrabbiarsi? Di cosa-e poi tutto divenne chiaro perché Moriarty non aveva mai voluto giocare con lei, Jane non era mai stata altro che una pedina in quel loro lungo gioco e lei? Lei voleva arrivare alla regina. Sheridan.

Lei era l’ostaggio che avrebbe portato l’altra donna dritta nella sua trappola. Avrebbe voluto urlare, liberarsi, proteggere Sheridan da quella trappola (in qualche modo, in un qualsiasi modo, anche morendo, anche facendo esplodere quella maledetta bomba e portando Moriarty al creatore con lei) perché non importava quanto superficiale fosse in quel loro gioco - o nella vita di Sheridan Holmes - Jane aveva comunque scelto di continuare a lottare.

Prima che potesse fare nulla, però, Moriarty era scesa a baciarle le labbra, passandole una mano tra i capelli (e quando Jane aveva tenuto la bocca sigillata, Moriarty s’era fatta spazio con i denti, morendo il labbro inferiore a sangue). Le morse la lingua, ma Moriarty non si ritrasse, non molto comunque, non abbastanza (ma abbastanza, per Jane, sarebbe stato probabilmente l’Alaska quindi non contava molto).

«Comincio a capire perché Sheridan ti tenga intorno,» mormorò a pochi centimetri dalla sua bocca e Jane ebbe quasi paura che volesse baciarla di nuovo - erano così vicine e… - ma Moriarty si ritrasse e Jane si rese conto di avere le braccia libere. E di essere coperta di puntini rossi (ovviamente c’erano dei cecchini, era di Moriarty che stavano parlando).

«Tra poco sarà ora di entrare in scena, mia cara,» le disse, avvicinandosi e spostandole una ciocca di capelli castani con una mano (solo dopo Jane si rese conto che, con quel gesto, le aveva posizionato l’auricolare da cui le avrebbe detto cosa dire).

In quel minuto Jane non riuscì a trattenersi dal dire «Perché lo stai facendo?» e c’era disgusto e odio nella sua voce (in quella di Sheridan, probabilmente, ci sarebbero state curiosità e forse ammirazione). Moriarty probabilmente aveva colto quella differenza  a sua volta perché il suo sorriso divenne strano.

«Perché sono annoiata, Jenny. Perché sono annoiata,» e Jane non pensò alla stessa frase detta da qualcun altro, con un altro tono di voce e con altri occhi.

Semplicemente chiuse gli occhi e inspirò profondamente.

Era stupido come Jane si stesse accorgendo di quanto fossero differenti Moriarty e Sheridan solo ora che le aveva entrambe davanti (Sheridan con la pistola puntata contro Moriarty e l’altra… l’altra che continuava a ridere in quella maniera destabilizzante che Jane odiava).

Aveva sempre saputo razionalmente quanto fossero diverse, ma nessuno avrebbe mai potuto realmente dire che non avessero dei punti in comune. Eppure in quel secondo, mentre le osservava da spettatrice qual’era, Jane non poteva che notare le differenze che correvano tra di loro.

A partire dai capelli corti di Moriarty contro quelli lunghi e setosi di Sharidan, al loro viso (forse per il sorriso che non abbandonava mai le sue labbra, la faccia di Moriarty sembrava più aguzza di quella di Sheridan, più appuntita). E poi c’erano i vestiti: il completo maschile che Moriarty indossava (e perché Jane se ne stava rendendo conto solo ora?) con la giacca e i pantaloni neri e la camicia a righe che somigliava molto ad un completo che aveva visto in qualche rivista a contrasto con i tacchi a spillo che portava Sheridan e il suo cappotto lungo, non esattamente elegante.

Erano così differenti, davvero, e sperava che lo capissero entrambe, che ai loro occhi fosse ovvio come lo era ai suoi, ma sapeva che non era così. Sapeva che entrambe si riconoscevano nell’altra - almeno in minima parte, almeno un poco. E la faceva sentire triste. La faceva sentire nauseata.

Perché una parte di lei voleva che Sheridan (non le importava di Moriarty, non davvero) potesse vedere quello che lei stava vedendo (quanto fosse bella e perfetta e magari insopportabile, sì, ma comunque in un livello completamente diverso da quello di Moriarty).

Sheridan e Moriarty stavano parlando, ma lei non aveva voglia di ascoltarle - era attenta e ferma, pronta a trovare un qualsiasi punto debole di Moriarty, pronta ad attendere anche una piccola, minima distrazione ed attaccare.

C’erano cose che Jane aveva accettato - tipo che probabilmente non sarebbe uscita viva da quell’incontro, non con chissà quanto tritolo attaccato al corpo - ma non avrebbe lasciato che Sheridan morisse con lei. Non avrebbe lasciato…

Quindi quando Moriarty la superò - senza nemmeno voltarsi a guardarla, come se Jane non potesse davvero rappresentare un pericolo, come se Jane fosse una piccola zanzara (e oh, quanto si sbagliava) - lei sii gettò in avanti, bloccandole le braccia con le sue.

«Ordina ai tuoi cecchini di sparare e saltiamo entrambe in aria,» sibilò, voltandosi verso Sheridan, sperando che capisse (scappa, ti prego, vattene via, per favore) ma l’altra rimase ferma mentre Moriarty rideva.

«Oh, capisco perché ti piaccia averla intorno,» mormorò, divertita, mentre uno dei tanti puntini rossi si fermava sulla fronte di Sheridan e no, no, no. «Solo che le persone tendono a diventare così sentimentali per i loro animaletti,» concluse, mentre Jane non poteva fare altro che indietreggiare (anche se Sheridan non ne sarebbe stata felice, anche se Sheridan probabilmente stava pensando a come era stupida a lasciarsi scappare un’occasione simile).

E a quel punto Jane pensò che erano morte, entrambe, che non c’erano altre possibilità perché Moriarty le controllava come marionette e, prima o poi, si sarebbe stancata di giocare. Si sarebbe stancata di loro.

(L’unico minuto in cui aveva pensato che magari si era sbagliata sul serio era stato quando Moriarty era andata via, lasciandole sole in quella piscina desolata e Sheridan l’aveva spogliata della giacca velocemente, con irruenza.

«Sono felice che nessuno abbia visto,» aveva detto, appoggiandosi al muro e lasciandosi cadere a terra.

«Nessuno abbia visto cosa?» aveva chiesto Sheridan, che continuava a muoversi come una tigre in gabbia desiderosa di avere qualcosa da fare, qualcosa da uccidere. Jane rise al paragone.

«Tu che mi strappavi i vestiti in una piscina… la gente avrebbe potuto parlare,» e Moriarty probabilmente era lì vicino e Jane poteva ancora vedere la giacca a pochi passi da loro, ma erano vive e cos’altro importava?

«La gente non fa molto altro,» era stata la risposta di Sheridan, scherzosa e l’altra sembrava essersi tranquillizzata in qualche modo.

Poi Moriarty era rientrata e Jane aveva pensato che, purtroppo, per una volta aveva avuto ragione.)

In realtà, alla fine, tutto si concluse in maniera completamente diversa da come Jane se l’era immaginata. O non completamente diversa perché c’era sangue e Jane non riusciva a respirare maledizione e stava morendo? Probabilmente stava morendo - ma non era stata Moriarty a premere l’interruttore, a fare esplodere tutto, ma loro ed era stata una soddisfazione immensa. Una soddisfazione così grande.

Sperava che Moriarty fosse morta, o che stesse per morire (come lei) o che almeno le fosse saltata via una maledetta gamba - e Jane non era una persona prona alla vendetta (era sempre stata una persona fin troppo buona e paziente) ma in quel secondo non riusciva a fare altro che pensare a quanto le sarebbe piaciuto se quella puttana fosse morta.

Poi aveva sentito la mano di qualcuno sulla spalla (non toccate! Avrebbe voluto urlare perché faceva così male, come se qualcuno l’avesse appena investita o come se lo fosse esplosa una granata a pochi metri di distanza e non dovevano scuoterla, avrebbero peggiorato la situazione) e poté sentire, nonostante il fischio che aveva continuato a tormentarla da quando la bomba era scoppiata, qualcuno che la chiamava.

Era Sheridan? Probabilmente. Quindi era viva. Jane ne era felice.

«Ora ti tiro fuori di qui,» stava dicendo e Jane non sapeva dove fosse qui, ma annuì perché se qualcuno poteva fare qualcosa, in quella situazione, era Sheridan.

E, dopotutto, Jane si fidava di lei più di chiunque altro quindi si lasciò andare.

Quando si svegliò per la seconda volta era in… in un’ambulanza? Sembrava un’ambulanza per lo meno. E poteva sentire il rumore della sirena e… «Sheridan?» bisbigliò perché era l’ultima cosa che ricordava e… dov’era finita? Stava bene?

E poi qualcuno le aveva poggiato una mano sul braccio (non la tocchi! ha un’ustione! Aveva urlato qualcuno, ma Jane non sentiva alcun dolore, probabilmente la morfina) aprì un poco gli occhi per vedere il viso di Sheridan - pieno di sangue e tagli, ma non particolarmente rovinato (il sangue era probabilmente suo, realizzò) - che la guardava con un’espressione che Jane non aveva la forza di identificare.

«Perché mi hai spinta?» le stava chiedendo Sheridan e Jane non sapeva di cosa stesse parlando «perché mi hai spinta quando la bomba… pensavo fossi arrabbiata con me…»

E Jane lo era stata, lo era ancora (una parte di lei avrebbe voluto urlare “visto? Visto? Questo è quello che succede quando ti metti a fare giochi con i criminali!”) ma quella domanda era così stupida. E così da Sheridan, che le venne quasi da ridere.

«Solo perché sono arrabbiata con te non vuol dire che voglio vederti morire, Dio, Sheridan,» disse, ma la sua voce era troppo bassa e stanca e le faceva male tutto «mi fai arrabbiare ogni giorno, ma questo non vuol dire che a me smetti di importare,» e sarebbe stato molto più facile se non fosse stato così, se Jane fosse semplicemente stata in grado di chiudere gli occhi e lasciarla andare.

Non poteva, non avrebbe mai potuto probabilmente - era un pensiero spaventoso e confortante allo stesso tempo.

Fu grata per la morfina e per il sonno improvviso che la colse o avrebbe detto qualcosa di stupido come “non vuol dire che io smetta di amarti” e non era davvero il momento.

Quando aprì gli occhi per la terza volta Sheridan stava dormendo su una sedia accanto al suo letto e Jane avrebbe voluto chiamare un’infermiera e chiedere loro perché mai a Sheridan - che era evidentemente ferita e avrebbe dovuto essere su un letto - fosse permesso stare lì. Poi si ricordò di chi stava parlando e ci rinunciò (probabilmente avrebbe dovuto scusarsi per lei con tutto lo staff dell’ospedale).

Cercò di ricordarsi cosa fosse successo -  l’esplosione, sì e poi… poi aveva spinto Sheridan verso la piscina, giusto e poi… poi non ricordava altro, ma probabilmente quello era il motivo per cui c’era una così grande differenza tra le loro condizioni. Uh, Sheridan non ne era felice probabilmente.

Però era un problema che potevano affrontare di mattina pensò, riaddormentandosi.

Sheridan non era contenta - era una furia, infatti (e non aveva certo urlato, ma Jane poteva vederlo dalla sua postura e dal modo in cui continuava a giocare con i suoi capelli. Erano cose che cominciavi a notare se avevi una relazione con una persona) - e ogni volta che guardava il suo braccio (in cui c’erano ancora alcuni segni dell’ustione; “probabilmente rimarrà una cicatrice” le avevano detto, ma a Jane non importava - anche se Sheridan si era già messa in contatto con dei chirurghi plastici quindi non avrebbe probabilmente avuto scelta).

Ogni minuto che passavano sole l’altra rimaneva ferma accanto a lei come una statua  e Jane avrebbe anche potuto cercare di spezzare il silenzio, ma anche lei era ancora arrabbiata e ferita e la morfina aveva smesso di fare effetto quindi Sheridan poteva continuare a comportarsi come una bambina di tre anni, non le interessava.

Lestrade, Anderson e Donovan erano passati a trovarla un paio di volte, Harry si era presentato il giorno dopo l’esplosione e passava almeno una volta al giorno (spesso e volentieri sobrio e Jane era così felice di quelle visite che non lo prendeva nemmeno troppo i giro per Carl). Persino Mycroft era passato una volta, probabilmente più per controllare Sheridan che per lei, ma apprezzava comunque il pensiero.

Di Moriarty non c’erano tracce - non c’era altro sangue se non il loro nella piscina, nessun’altro segno. Nemmeno la chiavetta USB, ovviamente. Era come se non fosse mai successo nulla e questo fatto la rendeva ancora più nervosa.

Non c’erano dubbi che anche lei fosse ancora viva, nessun’altro sarebbe mai stato in grado di ripulire il tutto così efficacemente da impedire persino a Mycroft di trovare un indizio.

In ogni caso probabilmente Moriarty non avrebbe provato nulla per un po’ di tempo (o almeno così sperava perché non era certa che la prossima volta ne sarebbe uscita così bene) quindi poteva rilassarsi e non pensarci - relegare quel problema in una parte molto isolata del suo cervello e fare finta di non ricordare ancora il tocco di quelle mani tra i suoi capelli o il sapore della sua bocca.

Il trattamento del silenzio (perché sì, apparentemente Sheridan era davvero regredita ad un età celebrale di una bambina di dieci anni trascinando Jane con lei) era durato fino a quando non erano, finalmente, tornate a casa.

Jane era andata immediatamente in cucina, desiderosa di farsi una tazza di te, mentre Sheridan era rimasta in salotto e Jane poteva quasi sentirla vibrare per la tensione (o forse tensione non era una parola adeguata, ma Jane non avrebbe saputo spiegarsi meglio).

E improvvisamente era stanca e il suo braccio faceva ancora male e non ne poteva più. Mise l’acqua sul fuoco e poi andò in salotto, sedendosi in quella che ormai era diventata la sua sedia.

«Sheridan,» cominciò, a voce bassa e tesa - e la sua coinquilina si voltò verso di lei alzando un sopracciglio prima di sedersi nell’altra poltrona. «Ora parliamo, okay?»

Sheridan annuì e incominciò a guardarla intensamente… oh, doveva cominciare lei? Non aveva mai realmente pensato a cosa avrebbe detto una volta che avessero preso l’argomento.

«Io -» e poi si fermò perché… perché non poteva dirle il motivo per cui era arrabbiata (non il reale motivo, non la sua stupida ansia di non essere abbastanza per lei, di essere semplicemente una delle tante inutili esistenze che Sheridan derideva ogni giorno) senza sembrare incredibilmente stupida.

Chiuse la bocca e abbassò lo sguardo fino ad incontrare il pavimento, cercando di respirare e trovare il coraggio di spiegarsi, di non dire nulla apertamente, ma lasciare intendere a Sheridan comunque. E poi quest’ultima aveva rovinato tutto.

«Dici che dobbiamo parlare, ma una volta che ti invito a farlo rimani senza parole, non trovi sia un comportamento ipocrita?» cominciò e probabilmente avrebbe continuato elencando tutto quello che la sua postura indicava sul suo stato d’animo - o qualcosa di simile. E Jane esplose.

«Oh certo, Sheridan, perché il problema sono tutta io, giusto?» urlò (e Jane non urlava mai, non davvero)  «prova ad accendere quel tuo grande cervellone e prova a chiederti se, per caso, anche tu non hai qualcosa di cui rimproverarti! Dio, Sheridan, abbiamo rischiato di morire, te ne rendi conto? Questo gioco tra te e Moriarty non è… persone muoiono, Sheridan, persone come me. Come te. E a te non importa nulla!»

E improvvisamente non poteva più fermarsi, non riusciva più a mettere il freno. Ed era ingiusto, ma forse ne aveva bisogno, forse non aspettava altro.

«Ti importa qualcosa del resto del mondo? O forse è un altro sistema solare, una nozione inutile che non ha posto dentro la tua mente,» e probabilmente avrebbe potuto fermarsi qui - ma non ci riuscì, perché Jane era sempre stata troppo diretta per il suo bene «ti importa qualcosa di me, Sheridan? Dio, non riesco a dirti nemmeno che ti amo perché ho come l’impressione che sarebbe assolutamente inutile.»

Sheridan, che aveva ascoltato quel monologo con una sorta di aria annoiata - come se avesse dovuto sentire quelle parole almeno milioni di volte (e probabilmente era stato così, ma Jane aveva sempre pensato che le sue parole fossero più importanti per lei, più incisive. Evidentemente si sbagliava anche su quello,) - si alzò, come se dovesse spingersi in avanti e afferrarle un braccio. Non lo fece, ma Jane si sentì esattamente come se lo avesse fatto.

«Non- » cominciò, ma improvvisamente sembrava a corto di parole - la grande Sheridan Holmes a corto di parole, Jane trovava il tutto stranamente adorabile. «Stavi per morire,» disse, e Jane lo sapeva - ovviamente lo sapeva - ma lasciò che l’altra concludesse il suo discorso «non voglio che tu muoia, Jane.»

Sbattè le palpebre un paio di volte perché… perché probabilmente Sheridan sentiva di aver fatto una grande dichiarazione e… e… e rise, piano. «Oddio, sei epicamente incapace in questo genere di cose, non è vero?» ed era stranamente bello il leggero rossore sulle guance dell’altra.

Però… però non poteva continuare così. Sapeva già che sarebbe rimasta accanto a Sheridan, in un modo o in un altro ma…

Ma sapeva che Sheridan non sarebbe cambiata, sapeva che non avrebbe improvvisamente cominciato a preoccuparsi per tutte le persone del mondo - questo era il compito di Jane, rimanere concentrata sulla parte emozionale della situazione, cercare di riportare l’altra con i piedi per terra quando si isolava dal resto dell’universo. Però aveva bisogno di qualcosa, almeno qualcosa per andare avanti…

Quindi si alzò e si avvicinò all’altra, abbassandosi e leccandole le labbra, sentendo i loro respiri che si mescolavano e… «A volte ho bisogno… ho bisogno che tu mi ripeta che gradiresti veramente molto che io non morissi,» le disse, perché essere in una relazione con Sheridan non era facile - Dio, non era facile per nulla e  lei era così… così… ma Jane l’amava comunque e l’amava esattamente per chi era, certo, solo che a volte avrebbe voluto ricevere qualcosa, una qualche conferma. Era solo una donna normale, dopotutto.

Sheridan rimase in silenzio per qualche secondo «Mi sembra un bisogno irrazionale, non è che col passare del tempo potrei cambiare idea…»

«Potresti,» obbiettò Jane - perché milioni di persone ogni giorno cambiavano idea, davvero.

«No, non potrei,» fu però la risposta lapidaria di Sheridan - ed era così certa che Jane si sentì un poco meglio «ed è per questo che preferirei che la prossima volta non facessi una cosa stupida come cercare di proteggermi con il tuo corpo.»

Jane ovviamente non avrebbe smesso - il solo pensiero era inconcepibile - ma annuì «Ci proverò,» disse, sentendo le mani di Sheridan che le accarezzavano la schiena fermandosi alla chiusura del reggiseno.

«E allora immagino che io proverò ad accontentare i tuoi irrazionali bisogni,» e nessuno sarebbe mai riuscito a far suonare una frase del genere allo stesso piena di affetto e condiscendenza.

E Jane non l’avrebbe mai davvero voluto un altro modo.

paring: sherlock/john, serie: fem!221b, character: moriarty, *cow-t, fandom: bbc!sherlock, !fanfiction, character: sherlock holmes, character: john watson

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