Non sapeva dove fossero finiti, probabilmente al terzo piano, però - terzo piano che era vietato agli studenti del primo anno e Arthur si morse il labbro perché se era vietato c’era un motivo, no? E se li avessero trovati lì sarebbe stato un guaio.
Cominciò a camminare, senza controllare se Eames lo stesse seguendo o meno sperando che per una volta nella sua vita in cui avrebbe dovuto seguirlo avrebbe fatto esattamente quello e cercò di capire come potessero fare ad andarsene di lì.
«Non credo di essere mai stato qui,» stava dicendo il Serpeverde, ma Arthur non aveva tempo di starlo a sentire - non c’erano altre scale in vista se non quelle da cui erano venuti e non sapeva cosa fare «persino i quadri non sono poi così simpatici, l’hai visto quello? Ci ha visti ed è scappato via e…»
«Dio, Eames, ma riesci a stare zitto? Lo capisci che se ci scoprono qui passeremo dei guai?» gli chiese, voltandosi verso di lui e pentendosi immensamente di non aver imparato ancora il “Pietrificus Totalus”.
Eames si limitò a ghignare, incrociando le braccia «Oh, il povero Corvonero è spaventato di un piccolo rimprovero? Non ti preoccupare, ci pensa il Serpeverde grande e grosso a prot-» Arthur roteò gli occhi voltandosi e ricominciando a camminare prima ancora che l’altro avesse finito e poté sentire la risata divertita di Eames fomentare i suoi istinti omicidi.
Fu solo quando girò l’angolo che si accorse di cosa li stava guardando, appollaiato su una delle colonne che costellavano il corridoio.
Maledizione, maledizione.
Si voltò, prendendo Eames per un braccio e cominciando a correre.
«Che cos-?» chiese l’altro, confuso, senza però opporre la minima resistenza.
«C’era il gatto di Gazza, dobbiamo trovare un posto dove nasconderci, dobbiamo…» sibilò, mentre sperava di veder magicamente comparire delle scale davanti a loro.
Improvvisamente, però, non era più lui a trascinare l’altro, ma il Serpeverde che l’aveva superato e aveva cominciato a correre più velocemente di quanto Arthur avrebbe mai potuto - non era mai stato un tipo molto sportivo.
«Ho visto una porta, tanto non troveremo scale molto presto, rassegnati,» urlò Eames, prima di dirigersi verso l’unica porta del corridoio e infilandocisi dentro, con Arthur.
Chiusero la porta dietro di loro velocemente, respirando faticosamente - più Arthur di Eames, e il Serpeverde non perse certo l’occasione per farglielo notare - e poi il Corvonero, stanco, si voltò appoggiando la schiena contro la porta e accasciandosi a terra.
E fu a quel punto che lo vide.
«Oddi-» si lasciò scappare, prima di tapparsi la bocca con entrambe le mani, terrorizzato. Che cosa era quell’animale?
Un cane a tre teste? Un cane a tre teste che dormiva? Perché mai avrebbe dovuto esserci un-
«Oh cazzo!» urlò Eames, che si era evidentemente voltato, e Arthur guardò con orrore uno dei tre musi del cane storcersi in una smorfia.
Trascinò Eames a terra, tappandogli la bocca con le mani e sperando che l’urlo dell’altro non avesse svegliato l’animale. Quando il cane sembrò tornare a dormire tranquillamente, Arthur trasse un sospiro di sollievo.
«È un cane a tre teste?» chiese Eames, bisbigliando, «cosa ci fa qui un cane a tre teste?» continuò, evidentemente terrorizzato. Per una volta nella sua vita Arthur era completamente d’accordo con Eames e quando l’altro gli bisbigliò che dovevano uscire immediatamente il Corvonero sapeva che aveva ragione, ma non lo fece.
Arthur si guardò in giro, il cuore in gola, ma la sua curiosità lo tratteneva lì.
Era una stanza completamente spoglia, non fosse stato per un’arpa, un’arpa che, ora che Arthur lo notava, stava suonando una melodia leggera.
«Arthur!» gli intimò Eames, che stava in piedi, pronto ad andarsene via da lì.
«Credo di sapere… una volta con Cobb abbiamo preso un tè con Hagrid e lui ci ha parlato di un cane, di uno dei suoi animali amante della musica,» stava dicendo, cercando di ricordare cosa avesse detto esattamente - poteva essere importante, anzi no, sapeva che era importante, ma non sapeva perché.
«Vuoi dire che siamo davanti ad un cane a tre teste amante della musica classica?» chiese Eames, voltandosi verso l’animale come se non riuscisse davvero a credere a cosa stava sentendo.
E poi si rese conto di cosa c’era che non andava.
«Perché l’arpa sta suonando?» chiese, quasi senza fiato, e Eames si voltò verso di lui come se non potesse davvero crederci a cosa stava pensando.
«Perché siamo fortunati? Cosa t’importa, Arthur? Usciamo di qui!» avrebbero dovuto, lo sapeva, ma Arthur non poteva. C’era qualcosa, in tutto quello, che non aveva senso.
Si alzò, avanzando piano verso l’animale, sentendo ad ogni passo le sue gambe perdere un poco di forza. Aveva paura, certo che aveva paura, ma non era quello il punto.
Era davanti all’arpa e si avvicinò piano, cercando di capire qualcosa ed ebbe giusto il tempo di leggere velocemente un nome prima che lo strumento smettesse di suonare.
Eames guardò con terrore mentre la prima testa del cane si alzava, ancora intontita dal sonno, e mentre la seconda sbadigliava, gli occhi ancora chiusi.
L’aveva detto a quello stupido Corvonero che avrebbero dovuto uscire da lì il più velocemente possibile, e invece no, lui doveva andare a ficcanasare in giro come uno stupido, doveva lasciare che la sua curiosità lo portasse alla morte, perché i Corvonero erano degli idioti.
Poi la terza aprì gli occhi e li fissò dritti nei suoi.
«Arthur!» urlò, voltandosi finalmente per vedere cosa stesse facendo l’altro e rendendosi conto che era fermo, schiacciato contro l’arpa ormai muta.
Si chiese, per un secondo, come fosse possibile che Arthur si cacciasse sempre nei guai e perché mai fosse sempre lui a doverli risolvere quando si rese conto che l’altro gli stava urlando qualcosa.
«Distrailo!» stava dicendo, con la bacchetta in mano ed Eames realizzò che il cane stava ringhiando - Dio, erano decisamente morti.
«Distrarlo? Che cosa stai facendo?» gli urlò contro, guardando la seconda testa del cane che annusava l’aria prima di ringhiare ancora più forte. I cani fiutavano la paura e lui era terrorizzato, la situazione stava diventando tragica.
«Distrailo così io cerco di far suonare questa maledetta arpa!» gli urlò contro l’altro, come se fosse ovvio.
«E come faccio a distrarlo? E come vorresti fare a far suonare quella cosa?» chiese, estraendo la bacchetta e puntandola contro l’animale, che indietreggiò di qualche passo.
Grazie al cielo quel coso non poteva sapere che l’incantesimo peggiore che Eames avrebbe potuto lanciargli sarebbe stato un Tarantella Allegra.
«Non lo so!» fu la risposta esauriente di Arthur, mentre mormorava qualcosa che Eames non riusciva a sentire - probabilmente incantesimi - senza sortire alcun effetto.
«Non sai nulla, sei inutile!» gli disse, cercando di pensare a cosa avrebbe potuto fare.
«So che se non facciamo qualcosa siamo morti!» ed Eames avrebbe probabilmente riso, se non avesse avuto un maledetto cane a tre teste che gli ringhiava contro.
Il cane a tre teste del loro professore di Cura delle Creature Magiche.
E poi Eames si rese conto che, forse, c’era un modo per distrarre quel coso per qualche minuto, magari abbastanza perché quel maledetto Corvonero si rendesse utile visto che era stata tutta colpa sua se erano finiti in quella situazione.
Chiuse gli occhi, lasciando che l’immagine di Hagrid gli si presentasse davanti agli occhi e poi si sentì mutare, lentamente, ma inesorabilmente e quando aprì gli occhi era molto, ma molto, più alto di prima e tutte e tre le teste del cane erano voltate verso di lui.
Si tastò la barba e poi sorride, rendendosi conto che il suo piano stava funzionando. Non poteva mantenere una trasformazione completa per molto tempo - stava migliorando, certo, ma era estremamente faticoso - quindi tra poco sarebbe tornato ad essere Eames, certo, ma ora? Ora era Hagrid e quel cagnaccio evidentemente riconosceva il suo padrone.
«Buono bello,» disse, sentendo la voce di Hagrid uscire dalle sue labbra e guardando mentre l’animale si calmava un poco e notò la botola sotto le zampe del cane. Cosa ci faceva lì una botola?
Poi una musica riempì l’aria, una melodia agitata, ma una melodia in ogni caso.
Abbassò lo sguardo per vedere Arthur, voltato verso di lui, che stringeva la bacchetta, tremando un poco - probabilmente per la paura - Eames non riusciva a leggere la sua espressione, ma davvero non gli importava in quel secondo.
Il cane stava tornando a dormire, lentamente, e loro erano ancora vivi.
Grazie al cielo.
Se Arthur non avesse saputo che era impossibile e che quello era ancora Eames, avrebbe detto che Hagrid era entrato da quella porta ed ora si trovava lì, davanti a lui.
Metamorfomago.
«Tu sei…» mormorò, piegando la testa di lato e osservando con interesse mentre il gigante davanti a lui ritornava l’arrogante bambino di undici anni che era entrato con lui in quella stanza.
«Non potremmo parlarne fuori di qui?» lo interruppe prima Eames, però, lanciando un’occhiata preoccupata al cane che dormiva ora accanto a loro.
Arthur annuì, seguendo Eames fuori di lì e sperando con tutto se stesso che Gazza fosse già andato via.
Non trovarono nessuno per tutto il corridoio, né per le scale che li riportarono al primo piano.
Avrebbero dovuto avere lezione - Arthur aveva Incantesimi, da calendario - ma, per la prima volta da quando era arrivato ad Hogwarts, decise che non era poi così importante.
«Andiamo nel giardino?» chiese ad Eames, cercando di fargli capire che non avrebbe accettato no come risposta e l’altro annuì, facendo strada.
Un metamorfomago, erano così rari! Aveva letto in un sacco di libri quanto il loro numero fosse andato diminuendo nel corso dei secoli, fino quasi a raggiungere l’estinzione e invece ne aveva uno davanti agli occhi. Uno che era riuscito a fare una trasformazione completa a soli undici anni.
Si fermarono a pochi passi dal lago, Eames che gli dava le spalle e Arthur realizzò che, probabilmente, era nervoso. Anche se non sapeva nervoso per cosa.
Non era un vampiro o un licantropo o niente del genere, essere un metamorfomago era un dono, un dono che molti avrebbero voluto avere.
«Perché non lo sa nessuno?» chiese, per cominciare, perché era assurdo, conoscendo Eames sarebbe stato normale vederlo vantarsi in lungo e in largo, e invece dalla reazione di Eames sembrava che Arthur fosse il primo a scoprirlo.
«I miei… i miei mi hanno sempre detto di non dirlo a nessuno, non so perché, ma…» stava dicendo il Serpeverde, prima di voltarsi verso di lui, un’espressione che Arthur poteva solo descrivere come “sono-nervoso-ma-non-voglio-che-tu-lo-noti” in viso «e comunque non sono affari tuoi, chiaro?»
Arthur arcuò un sopracciglio a quel punto, prima di scuotere le spalle «Se non vuoi parlarne okay,» lo informò, prima di fermarsi a guardarlo.
C’era solo una ragione per cui i genitori di Eames volessero tenere l’abilità del figlio nascosta e non era certamente strettamente legale. Se nessuno sapeva del potere di Eames evidentemente nessuno avrebbe mai sospettato della sua famiglia e loro avrebbero potuto far prendere ad Eames qualunque sembianza volessero.
«Smettila di pensare quello a cui stai pensando,» lo interruppe Eames, e Arthur roteò gli occhi.
«Non puoi sapere a cosa sto pensando,» rispose, guardando mentre il viso di Eames cominciava a somigliare a quello di un bambino capriccioso. Molto, molto capriccioso.
«Lo so, invece,» gli disse, più aggressivo di quanto fosse probabilmente necessario. E Arthur non capiva, non capiva perché reagisse a quel modo, cosa lo spingesse, ma provò a fare uno sforzo - dopotutto senza Eames sarebbe stato probabilmente un giocattolino per cani.
«Ti rendi conto che, seriamente, non m’interessa, giusto?» gli disse quindi, perché essere sinceri era quello che gli riusciva meglio. «Voglio dire, mi interessa da un punto di vista puramente scientifico, ma quello che hai intenzione di fare con i tuoi poteri non mi riguarda,» continuò, infilandosi le mani nella tasca del cappotto.
Eames lo guardò per qualche secondo, intensamente, prima di ghignare nella sua direzione «Voi Corvonero non avete il tempo di preoccuparvi delle altre persone, siete dei piccoli bastardi egocentrici, eh?»
Arthur scrollò le spalle, perché era probabilmente vero e non c’era alcun motivo di dire il contrario. I Corvonero erano più egoisti dei Grifondoro e dei Tassorosso, ed egocentrici quanto un qualunque Serpeverde. Erano solo più intelligenti.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, prima che Eames parlasse di nuovo «Sto gelando,» mormorò, portandosi le mani davanti alla bocca e provando a riscaldarle con il proprio respiro.
Arthur annuì, voltandosi e cominciando ad andare verso il castello.
«Ma te ne vai così? Pensavo stessimo avendo tipo uno di quei momenti catartici in cui si cementa l’amicizia di una vita!» gli urlò dietro Eames, raggiungendolo velocemente.
«Continua a sperare, Eames,» fu la sua lapidaria risposta.
«Un cane a tre teste,» scandì Cobb, guardandoli.
«Che si addormenta non appena sente della musica,» puntualizzò Ariadne, evidentemente scettica ed Eames aveva solo voglia di scuoterli entrambi.
«Sì, credetemi, era particolarmente reale, specialmente il suo alito. Non credo che se ne sia andato, pure dopo le venti docce che ho già fatto,» disse, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio, come sfidandoli a dire che stava mentendo.
Arthur, accanto a lui, sospirò.
«So che è assurdo, ma ricordi la conversazione con Hagrid che abbiamo avuto un mesetto fa?» disse, rivolgendosi a Cobb «coincide tutto.»
Eames sbuffò, mentre Cobb annuiva. Se fosse stato per lui ora non sarebbero lì. Non capiva perché Arthur avesse insistito perché rivelassero quello che avevano visto anche a quei due Grifondoro, non lo capiva proprio.
Eames non lavorava in squadra, specialmente non in squadra con due Grifondoro, Dio. Però Arthur era stato perentorio e Eames doveva ancora capire come fare a far cambiare idea a quel maledetto Corvonero.
Quindi si lasciò scivolare ancora un poco, le spalle appoggiate al muro e incrociò le braccia, sperando che il suo sguardo da “Io-non-approvo-questa-fornificazione-tra-case” fosse abbastanza chiaro.
Nessuno lo stava realmente guardando, però.
«Okay, mettendo tutto da parte, anche se fosse…» riprese Cobb, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso «non vedo cosa vorrebbe dire. Hagrid ha un cane a tre teste a scuola, pericoloso, certo, ma non…»
«C’è una botola sotto il cucciolone,» lo interruppe Eames, gustandosi lo sguardo di sorpresa e rabbia di Cobb. Prendi questa, Grifondoro.
Quando, mentre era trasformato in Hagrid aveva visto la botola sotto le zampe della bestia non aveva davvero avuto il tempo di rifletterci - impegnato com’era a non farsi mangiare - ma dopo, parlandone con Arthur, era diventato chiaro che avevano bisogno di capire cosa ci fosse là sotto (e okay, magari era stato Arthur che aveva insistito sull’importanza di quel dettaglio, ma non era questo il punto, no?)
«E poi c’è un’altra cosa,» disse Arthur, piegando la testa di lato «sull’arpa, c’era scritto il nome del professor Raptor,» disse.
Eames sapeva che Arthur non era convinto fosse una reale prova (dopotutto, potevano esserci milioni di ragioni per cui ci fosse l’arpa del Professor Raptor lì, prima tra tutti che Hagrid gli avesse chiesto di prestargliela), ma la sola idea di poter sbattere in faccia a Cobb che, dopotutto, probabilmente Eames aveva ragione aveva fatto esaltare talmente tanto il Serpeverde che aveva convinto Arthur a dirlo lo stesso.
Ariadne cominciò a parlare, sbattendo ritmicamente le dita sul tavolo, cercando di ragionare meglio «Quindi abbiamo una botola protetta da un cane a tre teste, un Troll che appare magicamente nei sotterranei e un’arpa con il nome del Professor Raptor… vi rendete conto che non abbiamo nulla, vero?» concluse la ragazza, guardando ognuno di loro.
«Come non abbiamo nulla! Abbiamo piani segreti degni degli Indicibili e scommetto che dentro quella botola ci sarà il segreto più misterioso che tu abbia mai visto!» urlò Eames, raddrizzandosi e guardando Ariadne quasi con odio.
«No, Ari ha ragione, in realtà non abbiamo nulla di concreto,» si intromise Cobb, appoggiando Ariadne - probabilmente più per fare infuriare Eames che per altro (piano che stava funzionando incredibilmente bene).
«Ovviamente tu sei d’accordo con lei, non sia mai che tu vada contro la tua piccola cagnol-» ma prima che potesse finire Cobb l’aveva preso per il bavero della camicia e lo stava strattonando con forza. Eames ghignò. «Oh sì, il brutto Grifondoro grosso e cattivo farà del male al povero Serpeverde indifeso!» pigolò, guardando mentre la faccia di Cobb diventava incredibilmente rossa.
«Adesso basta!» li interruppe però Arthur, prima che Eames potesse realmente divertirsi, spingendo Cobb così che tornasse al suo posto. «Hanno ragione loro, non abbiamo nulla di concreto,» cominciò Arthur, guardando Eames.
Poteva quasi leggere negli occhi del Corvonero la sfida a dire qualcosa anche a lui ed Eames era vicinissimo all’urlare veleno anche su Arthur, giusto perché aveva interrotto il suo divertente incontro con Cobb, ma rimase in silenzio, mentre l’altro annuiva e si voltava verso gli altri due.
«Questo non vuol dire, però,» continuò «che non possiamo trovare le informazioni che ci servono,» e né Cobb né Ariadne dissero nulla, si guardarono ed annuirono.
Eames odiava come tutti ascoltassero Arthur, Eames era decisamente più simpatico di lui.
«Non capisco perché dobbiamo andare noi dal Professor Raptor,» si lamentò Eames, per l’ennesima volta, contro il suo orecchio.
Arthur era a tanto così dal tirargli un pugno in pieno viso, ma si calmò, ricordandosi che per una volta aveva davvero bisogno di lui.
«Perché credo tu abbia ragione,» gli disse quindi «e che Raptor stia nascondendo qualcosa,» si sporse un poco, guardando il Professor Raptor mentre inciampava e faceva cadere tutti i fogli che aveva in mano.
Si voltò verso Eames, che stava ridendo come uno stralunato.
«Ah! Lo sapevo, lo sapevo!» stava urlando eccitato e Arthur gli schiacciò il piede per zittirlo.
«Abbassa la voce,» gli sibilò, prima di voltarsi di nuovo. Il professore non sembrava averli sentiti, fortunatamente. «Il punto è che dobbiamo trovare un modo per capire cosa ha in mente,» spiegò quindi e si voltò verso il Serpeverde.
Non sapeva come avrebbe reagito Eames quando gli avrebbe spiegato il suo piano. Temeva male, ma probabilmente avrebbe reagito anche peggio.
Sospirò, però, perché non avevano scelta e se Eames non avesse collaborato Arthur non aveva alcun piano di riserva.
«Dobbiamo trovare quello di cui il professore ha più paura e usarlo contro di lui,» gli disse, guardando Eames intensamente.
«Ah sì?» chiese Eames, non esattamente convinto, e Arthur annuì, prima di abbassare lo sguardo per un secondo soltanto. Davvero, un secondo. «Hai abbassato lo sguardo? Tu non abbassi mai lo sguardo, cosa succede, Arthur?» e la voce leggermente preoccupata di Eames era ridicola. Erano stati massimo tre secondi.
«Ho bisogno che tu ti trasformi nel Professor Piton,» gli disse, osservando con attenzione i sentimenti che passarono sul viso dell’altro. Rabbia, eccitazione, comprensione, paura, accettazione.
«Okay, sei un piccolo bastardo perché sai che se me lo avessi chiesto prima ti avrei detto di no,» gli dice, e Arthur lo sa, sa che l’ha portato a due passi da Raptor sperando che accettasse solo perché ormai erano lì. Non gli importava, dovevano trovare le risposte che cercavano. «Dovresti essere andato a Serpeverde, tu,» gli sibilò contro, prima di chiudere gli occhi.
Arthur preferì rimanere in silenzio, non gli disse che il cappello era stato indeciso fino all’ultimo, non disse niente mentre davanti a lui compariva il Professor Piton.
Era una sensazione strana, ogni volta, cambiare completamente forma. Una sensazione indescrivibile che non sarebbe mai riuscito a catalogare all’interno della sua mente.
Mentre avanzava verso il Professor Raptor non aveva solo l’aspetto del Professor Piton, era il Professor Piton,in tutto e per tutto. Perché non bastava solo trasformarsi fisicamente, quello era metà del lavoro, la parte facile, ma bisognava studiare il soggetto e imparare a muoversi, a parlare, a stare in silenzio come lui.
Eames conosceva abbastanza bene il suo capocasa da camminare esattamente come avrebbe fatto lui e sbattere il Professor Raptor contro il muro esattamente come avrebbe fatto lui.
Eames non sapeva cosa sapesse il Professore o cosa potevano essersi già detti, Eames sapeva solo cosa pensavano lui ed Arthur (e Arthur aveva sempre ragione, quindi se, per una volta, stava concordando con Eames, lui poteva permettersi di sentirsi un po’ arrogante) e quindi fece quello che gli riusciva meglio: bluffò.
«Io so cosa stai facendo, Raptor,» soffiò, avvicinando i loro visi e guardando mentre gli occhi del professore guizzavano, spaventati, per un singolo secondo.
Bingo, pensò, cercando di non ghignare.
«N-non, i-i-io non s-s-so c-c-c-co-co-cosa st-stai…» balbettò il professore, spingendosi il più possibile contro il muro e Eames pressò, pressò perché aveva ragione e lo sapeva e ora aveva solo bisogno di avere delle prove.
«È inutile che fai il finto tonto con me, Raptor, credi che io non abbia visto? Credi che io non abbia delle prove?» ringhiò, abbassando il tono, muovendo la bocca esattamente come Piton avrebbe fatto, sentendo la sua voce modularsi da sola nel modo giusto.
Raptor spalancò gli occhi, spaventato, ed Eames pensò che ce l’aveva fatta, che Raptor avrebbe confessato.
«Q-qua-qualun-qualunque cosa le-lei pens-pen-pensi di sa-sapere, s-si sba-sbaglia,» rispose invece il professor Raptor, scivolando via dalla sua presa «n-non-non ero ne-nem-nemmeno vic-vici-vicino al te-te-terzo pi-piano ie-ieri,» gli sputò addosso, andandosene.
Eames l’avrebbe anche inseguito, ma poteva sentire la magia svanire e il suo corpo ritornare normale.
Quando Arthur uscì dall’angolo in cui si era nascosto e sì avvicinò a lui, Eames diede un calcio all’aria, abbassando la testa.
«Ce l’avevo quasi,» gli disse, «mi spiace,» aggiunse, perché dopotutto Arthur si era fidato di lui e invece Eames non era riuscito a…
«Abbiamo avuto quello per cui eravamo venuti, perché ti spiace?» chiese invece Arthur, aggrottando le sopracciglia.
Eames aprì la bocca per chiedere spiegazioni, prima di richiuderla e continuare a guardare il Corvonero sorpreso. Arthur roteò gli occhi, guardandolo con un po’ di pena.
«Hai mai nominato il terzo piano nella conversazione, Eames?» gli chiese ed Eames fece un segno di diniego con la testa, mentre cominciava a mettere insieme i cocci.
«E allora perché il Professore ha capito subito di cosa parlavamo?» concluse, guardando mentre Arthur annuiva e si voltava verso dove il Professor Raptor era sparito in tutta fretta.
Eames rimase qualche secondo fermo, godendosi la sensazione di vittoria che gli si stava irradiando in tutto il corpo (perché aveva ragione e Cobb si sarebbe arrabbiato così tanto quando lo sarebbe venuto a scoprire!) prima di rendersi conto che non aveva la minima idea di quale fosse il resto del piano.
«Che facciamo ora, quindi?» chiese, voltandosi verso Arthur.
Il Corvonero però non si voltò verso di lui, ma cominciò a camminare in tutt’altra direzione, senza nemmeno aspettarlo «Raptor sarà spaventato e agirà in fretta, noi dobbiamo scoprire cosa vuole prima di lui,» rispose, senza voltarsi a guardarlo.
Il fatto che Arthur fosse convinto sempre e comunque che Eames l’avrebbe seguito - talmente convinto che non aveva mai bisogno di controllare - era assurdo e lo mandava in bestia. Il fatto che avesse ragione non era il punto che Eames stava cercando di portare avanti.
«Quindi stiamo per entrare in una stanza in cui c’è un cane a tre teste particolarmente affamato?» chiese, per conferma Ariadne, piegando la testa di lato.
«Ho già fatto suonare l’arpa una volta, posso farlo di nuovo,» le disse, sicuro, mentre Eames si voltava verso di lui, arcuando un sopracciglio. Arthur non aggiunse il probabilmente che gli si era formato in bocca, nessuno di loro aveva realmente bisogno di saperlo.
«E posso chiedere chi sono questi due?» chiese invece Cobb, voltandosi verso Mal e Yusuf.
Mal non sembrava particolarmente intimorita dallo sguardo di Dom - ma nemmeno un poco - «Se credi davvero che, da Prefetto, lasci che uno dei miei Corvonero vada in missione suicida da solo…» cominciò, avvicinandosi ad Arthur come una madre protettiva.
Lo riteneva incredibilmente esagerato - sapeva prendersi cura di se stesso, grazie - ma la sola idea di mettersi a discutere con Mal lo terrorizzava un poco. No, davvero, che facesse quello che voleva, Arthur riconosceva le cause perse.
«Io posso andarmene, se volete,» disse invece Yusuf, che non sembrava particolarmente eccitato di essere lì. «No, davvero, se do fastid-»
Prima che potesse finire, però, la voce di Eames l’aveva interrotto «Yusuf è decisamente il miglior studente di pozioni che ci sia. Se quello che si è lasciato sfuggire Hagrid è vero,» disse, guardando Cobb e Ariadne «allora ci potrebbe servire un esperto in pozioni, no?»
Arthur si voltò verso i due Grifondoro e si ricordò di cosa gli avevano detto prima. Ogni professore aveva posizionato una trappola per proteggere quello che si trovava all’interno della botola. Non avevano ancora scoperto cosa fosse e se avesse avuto un altro po’ di tempo Arthur sarebbe probabilmente stato in grado di collegare i pezzi, ma non ne avevano. Non ne avevano e sebbene Arthur avesse dei dubbi non li aveva rivelati a nessuno, non sarebbero stati utili.
Arthur annuì, quindi «Sì, non sappiamo cosa ci sia lì sotto, qualcuno ferrato in pozioni ci potrebbe essere utile,» disse, prima di guardare gli altri.
Cobb sembrava deciso, Ariadne un poco insicura, Mal quasi annoiata e Yusuf aveva stampata in faccia la voglia di andarsene il più lontano possibile da lì.
Poi Arthur si voltò verso Eames, che lo stava guardando a sua volta. Non lo sopportava, era un piccolo arrogante bastardo che credeva tutti fossero ai suoi comandi e seguiva Arthur ovunque, senza alcuna ragione apparente se non quella di farlo uscire di testa.
Eppure ora stava sorridendo, eccitato come un bambino, e Arthur non riusciva davvero ad odiarlo con cocente ferocia.
Avrebbe voluto dirgli “Ti rendi conto che è pericoloso? Non eravate voi Serpeverde i codardi?” ma invece sospirò.
«Siamo pronti?» chiese Cobb, prendendo le redini. Arthur lo guardò con un po’ di preoccupazione - non aveva certo voglia di seguire un Grifondoro (nonostante non avesse nulla contro di loro, Arthur non era certo un tipo che entrava in azione senza un piano e i Grifondoro avevano addosso la fama di non essere esattamente i tipi da “prima ragiono e poi mi lancio in una situazione potenzialmente mortale”).
«Più pronti di così…» rispose Eames, mettendogli un braccio sulla spalla. Arthur lo spinse via e seguì Cobb, estraendo la bacchetta.
Eames avrebbe dovuto essere spaventato (una grossa parte di lui lo era, e anche se non lo fosse stato sarebbe bastato Yusuf ad essere spaventato per entrambi), ma tutto il terrore che provava veniva messo in secondo piano quando si rendeva conto di quello che stavano per fare.
Era arrivato ad Hogwarts pensando che sarebbe stata l’esperienza più noiosa della sua vita e invece! Invece si trovava lì, al suo primo anno, pronto a sventare un piano maligno di prima categoria.
Era emozionante!
«Ma tu sei davvero un Serpeverde?» gli aveva chiesto Yusuf, guardandolo quasi con disgusto.
«Non sono un Grifondoro, non ho intenzione di fare gesti affrettati, ma devi ammettere che è eccitante!» era stata la sua risposta e Yusuf non aveva più detto nulla, quindi probabilmente lo pensava anche l’altro.
Erano un gruppo strano e quando Eames, per rompere la tensione, aveva detto loro che sarebbero dovuti andare a cercare anche due Tassorosso, giusto per completare la squadra, tutti l’avevano guardato incredibilmente male.
Eames trovava questo comportamento ingiusto «Oh, certo, prendiamocela tutti con il Serpeverde!» si era lamentato, ma Arthur si era limitato a guardarlo con pena.
«Non vale se anche un altro Serpeverde partecipa, non credi?» aveva detto sicuro, ed Eames si era voltato verso Yusuf, che non aveva avuto nemmeno la decenza di mostrarsi dispiaciuto.
Bastardo.
In ogni caso, nel momento in cui Cobb aprì la porta, Eames non provava paura, ma eccitazione, la stessa che sentiva quando prendeva la scopa e si alzava in aria. La stessa che provava quando si metteva in piedi sopra la sua Nimbus e staccava le mani, mentre il vento gli squarciava la faccia.
Durava un secondo, era quell’eccitazione che ti scorreva nelle vene come una scarica di adrenalina e che poi ti lasciava, improvvisamente, pieno di energia e con il battito cardiaco accelerato.
Quando spalancarono la porta il cane - Fuffi, li aveva informati Ariadne, indecisa se ridere della scoperta o preoccuparsi seriamente per il loro professore - ringhiò nella loro direzione. L’alito, che Eames ricordava fin troppo bene, era ancora più puzzolente della volta precedente.
«Arthur!» urlò Ariadne, terrorizzata, e Eames si voltò guardando mentre quello stupido stupido Corvonero si gettava in avanti, la bacchetta in mano.
Eames guardò con terrore mentre la zampa del cane cominciava a muoversi, decisa ad abbattersi sull’altro.
«Oh, non ci provare nemmeno, brutto cagnaccio,» sibilò qualcuno accanto a lui, e prima che potesse rendersene conto qualcosa aveva colpito la suddetta zampa.
Si voltò, velocemente, individuando Mal con la bacchetta sguainata, che guardava l’animale in maniera preoccupante. Eames si ricordò improvvisamente del perché aveva pensato che Mal fosse terrorizzante.
Poi, per la seconda volta, l’arpa cominciò a suonare, facendo addormentare il cane immediatamente.
Uno strano silenzio calò nella stanza, spezzato solo dal russare di Fuffi e dalla leggera musica che usciva dallo strumento.
Eames si guardò in giro «Quindi… questa è andata bene, no?» provò, e per tutta risposta venne spinto da Ariadne mentre questa correva verso Arthur.
«Stai bene, vero?» gli chiese, avvicinandosi, ed Eames si trattenne a malapena dal roteare gli occhi.
«Vi rendete conto che, sebbene sia gracilino, non è un bambino indifeso, vero?» chiese, guardando con disgusto mentre Ariadne, Mal e Cobb si erano avvicinati ad Arthur per essere sicuro stesse bene.
«Sta zitto, Eames,» gli ringhiò contro Cobb ed Eames sbuffò contrariato.
«Part 2 ||
Part 4»