Arthur stava ansimando leggermente, ma si premurò di rassicurare tutti.
«Dobbiamo muoverci, non so per quanto tempo questa cosa continuerà a suonare,» disse, mandando, apparentemente, Yusuf nel panico.
«Cosa? Vuoi dire che questo cane può ancora svegliarsi?» chiese, guardando Fuffi evidentemente terrorizzato «perché siamo ancora qui? Scendiamo!» urlò e tutti annuirono, avvicinandosi alla botola.
«Ricordatevi che non sappiamo cosa ci sia qua sotto,» disse Cobb, prendendo la maniglia e tirandola, mostrando l’interno della botola. Completamente nera. «Dobbiamo essere pronti a qualsiasi cosa,» intimò, prima di saltare dentro.
Guardò mentre tutti seguivano il suo esempio, fino a che solo Arthur ed Eames non rimasero fuori.
«Prima le signore,» scherzò Eames e Arthur si voltò verso di lui, sperando che la sua faccia esprimesse quanto poco ci trovasse di divertente in quella situazione. Apparentemente no, perché l’altro scoppiò a ridere ancora più forte.
Arthur si sentì autorizzato a buttarlo di sotto con un calcio per poi seguirlo.
Cadde per qualche secondo, prima di atterrare su qualcosa di morbido. Qualcosa di morbido e che si muoveva, apparentemente. Era buio e non riusciva a vedere bene cosa ci fosse intorno e l’unica cosa chiara era il profumo d’erba che emanava qualsiasi cosa ci fosse sotto di lui.
«Che cosa diamine è questa roba?» stava urlando Yusuf e Arthur, concentrandosi, poté accorgersi che anche tutti gli altri stavano urlando.
«No, no! Sono troppo giovane per morire stuprato da dei tentacoli!» stava urlando Eames e Arthur perse la pazienza.
«Non sono tentacoli! Sono radici!» urlò, cercando di risalire mentre la pianta continuava a farlo sprofondare.
«Cosa?» chiese Cobb, urlando a sua volta, e questa volta fu Mal a rispondere.
«Sono radici!» disse infatti, e Arthur si rese conto che gli era molto più vicina di molti di loro «non sentite l’odore d’erba? È ovviamente una pianta!» si sentì fiero di essere nei Corvonero, in quel secondo come in molti altri.
Lui e Mal erano stati gli unici a saper riconoscere razionalmente la situazione in cui si trovavano, dopotutto.
L’unico problema era che Arthur non aveva la minima idea di dove si fossero cacciati e, temeva, nemmeno Mal.
«Ma quale pianta cerca di strangolare le persone?» chiese Ariadne, e Arthur la sentì cercare di divincolarsi dalla presa delle radici, senza alcun risultato.
«Non sta cercando di strangolarci, sta cercando…» aveva cominciato Eames, prima di venire interrotto da Cobb.
«Non abbiamo il tempo ora! Dobbiamo capire come uscire vivi da qui!» gli urlò contro, e Arthur si accorse che, ormai, le radici lo avevano inghiottito quasi fino al collo.
Non aveva senso, dopotutto i loro professori avevano messo quelle trappole perché nessuno raggiungesse quello che la botola conteneva, okay, ma qualcuno doveva avervi accesso, no? Qualcuno doveva…
«Perché più ci divincoliamo più sembriamo affondare?» chiese improvvisamente Ariadne, e Arthur si voltò immediatamente verso di lei, ma prima che potesse dire qualcosa Mal urlò: «Lasciatevi andare!»
Avevano avuto la stessa idea, evidentemente.
«Cosa?» chiese Yusuf, che era quello messo peggio tra tutti loro.
«Lasciatevi andare, fidatevi, smettetela di resistere!» urlò Mal, prima di sparire inghiottita dalla pianta.
Arthur sentì Yusuf rilasciare un suono che assomigliava più ad un urlo strozzato, prima di fare come gli era stato detto e così Cobb e Ariadne e Eames. Quando fu certo che tutti erano passati si lasciò trasportare anche lui, scivolando completamente all’interno della pianta.
Si lasciò andare lentamente, sentendo le radici scivolargli addosso, senza realmente ferirlo.
Quando uscì da quel groviglio di fili vide Yusuf, seduto a terra che respirava affannosamente, e tutti gli altri che si guardavano intorno ancora storditi.
«Non posso crederci,» disse Yusuf, prendendosi la testa tra le mani «come abbiamo… cosa… e se non avesse funzionato?» chiese isterico.
«Questa pianta si chiama il Tranello del Diavolo, più ti muovi più ti si stringe addosso,» spiegò Mal, calma, rimuovendosi della polvere dal mantello «la si può uccidere con la luce ed il calore.»
«Vuoi dire che c’è un modo di uccidere questa cosa?» chiede Cobb, aggrottando le sopracciglia. Mal e Arthur annuirono entrambi.
«Posso chiedere, allora, perché non l’abbiamo uccisa invece di…» poi Eames fece una pausa, e Arthur lo vide rabbrividire «lasciare che la pianta ci palpasse?»
Evidentemente tutti si erano posti quella domanda, perché si erano voltati verso lui e Mal, confusi.
Mal rispose senza un attimo di esitazione: «Avremmo dovuto uccidere una pianta così magnificente?» chiese, indignata.
L’unica risposta che ottenne venne da parte di Yusuf: «Oh, certo, andiamo in giro a preservare piante assassine, questo è quello che si ottiene ad passare il proprio tempo con malati di mente!»
Considerando che aveva quasi rischiato di essere strangolato a morte, Arthur gliela fece passare.
Eames seguì Cobb senza fiatare quando disse loro di seguire l’unica strada visibile, invece si voltò a guardare Yusuf, che lo squadrava come se stesse cercando di decidere come ucciderlo.
Se fossero usciti vivi da lì poi avrebbe dovuto trovare un modo per farsi perdonare da Yusuf e temeva non sarebbe stato semplice.
Fu mentre rabbrividiva a quel pensiero che tutti notarono la porta chiusa davanti a loro. Si fermarono tutti, guardandola per qualche secondo, prima che Cobb parlasse.
«Non possiamo tornare indietro ora, quindi dobbiamo entrare in ogni caso,» ragionò, posando la mano sulla maniglia - e stranamente nessuno fu sorpreso da quel discorso. Stupidi Grifondoro.
Non appena aprì la porta, Ariadne gli fu subito dietro, pronta a spalleggiarlo, mentre Eames e Yusuf rimasero un poco in disparte. Arthur e Mal, notò, non si erano mossi, non si erano avvicinati come Cobb e Ariadne, ma non si erano nemmeno messi da parte come loro.
A volte Eames non li capiva, sembravano dei Serpeverde in tutto e per tutto - egoisti e perfidi - ma non lo erano, erano qualcosa che Eames a volte non riusciva a afferrare completamente. Erano insopportabili, insomma.
«Oddio!» mormorò Ariadne, avanzando nella stanza dietro Cobb. Quando Eames e Yusuf raggiunsero gli altri e guardarono in alto rimasero a bocca aperta.
Centinaia e centinaia di chiavi, chiavi alate che svolazzavano per la stanza come piccole libellule, creando un suono metallico fastidioso. Erano veloci, come un qualsiasi boccino, ed erano così tante.
«Ma che cosa…?» sussurrò a se stesso, guardando una grossa chiave pesante passargli davanti prima di raggiungere tutte le altre.
«Sono quasi certo che una di queste chiavi apra quella porta,» disse Arthur, improvvisamente, indicando la porta davanti a loro. Eames roteò gli occhi.
«Oh, grazie Arthur per questa perla di saggezza, come avremmo fatto noi comuni mortali a rendercene conto?» chiese, sarcastico, e dovette spostarsi leggermente per evitare la gomitata dell’altro.
«Il che vuol dire che dobbiamo prenderla…» continuò Mal, ignorandoli, e poi guardandosi intorno «ma come?»
Eames si guardò intorno, a quel punto, ignorando Arthur e le occhiatacce che continuava a lanciargli. La stanza era praticamente spoglia - se non si contavano le chiavi, ovviamente - tranne che per delle scope. Scope.
Si avvicinò all’angolo, prendendo una delle due scope in mano «Credo con queste,» disse, voltandosi verso gli altri.
Vide Arthur e Mal guardare le scope con sdegno - Corvonero - mentre Cobb si avvicinava e prendeva l’altra scopa.
«Okay, allora cercherò di prendere quella-» stava dicendo, prima che Eames lo interrompesse.
«Perché dovresti essere tu?» chiese, piccato, stringendo la scopa più forte. Volare era ciò che gli riusciva meglio, ciò in cui era realmente bravo. Non avrebbe lasciato che il maledetto Cobb lo sorpassasse in quello.
«Perché io gioco nella squadra di Quidditch di Grifondoro?» chiese l’altro, sarcasticamente, ed Eames si ritrovò ad avvicinarglisi, cercando di intimidirlo (il fatto che Cobb fosse più alto di lui e quindi poco impressionabile dalla sua altezza era un dettaglio.)
«Io ci giocherò l’anno prossimo,» gli ringhiò contro, stringendo più forte la scopa che aveva in mano.
«Vi rendete conto che ci sono due scope, giusto?» chiese Ariadne, improvvisamente, e quando Eames si voltò verso di lei la trovò a braccia incrociate, che sbatteva il piede con insistenza. «Potete salirci entrambi su quelle maledette scope, l’importante qui è andare avanti,» puntualizzò, indicando di nuovo la porta chiusa che impediva loro di avanzare.
Ad Eames non piaceva comunque l’idea - perché mai avrebbe dovuto lasciare che Cobb gli rubasse anche solo metà della scena - e fu allora che Mal parlò.
«E se facciamo una gara? Il primo dei due che prende la chiave vince,» propose, ridendo, ed Eames si bloccò.
Era un’idea geniale, era un’idea perfetta!
Si voltò verso il Grifondoro, gioendo nel vedere uno sguardo di sfida negli occhi dell’altro.
«Fatti sotto, maledetto Serpeverde,» sibilò Cobb, mettendosi a cavalcioni sulla scopa.
«Preparati a soffrire, Grifondoro,» gli rispose Eames, ghignando e imitando il suo gesto.
Mal si portò in avanti, mettendo la mano sulle scope in maniera tale che nessuno dei due partisse prima del tempo.
«Ora dobbiamo solo capire quale chiav-» stava cominciando a dire, ma Arthur cominciò a parlare prima che finisse la frase.
«Una chiave grossa, direi antica, probabilmente un poco rovinata e arrugginita, credo di averla vista andare verso il lato ovest della stanza,» disse, senza guardare nessuno di loro «la porta ha una serratura particolarmente antica e grossa, sarà una chiave pesante probabilmente e meno veloce di tutte le altre,» poi, si voltò verso di loro e si rese conto degli sguardi che gli stavano rivolgendo tutti. «Mi piace analizzare le informazioni che ho,» borbottò in risposta ed Eames guardò quello che, da quella distanza, gli sembrava un leggero rossore espandersi sulle sue guance.
Cercò qualcosa da dire per schernire Arthur - perché non aveva mai sentito niente che suonasse più da secchione di quello - ma non riuscì a dire nulla e rimase in silenzio mentre Mal annuiva, ovviamente fiera della nuova generazione di Corvonero.
«Allora, andiamo?» lo risvegliò Cobb, ed Eames annuì, decidendo di lasciare perdere. Probabilmente era solo distratto dalla sfida imminente e dalla maledetta pianta stupratrice, non voleva dire nulla.
«Pronti…» disse Mal, allungando la “i” più che poté, prima di lasciare andare la punta delle loro scope e urlare: «via!»
Si lanciarono in aria, volando nella direzione indicata loro da Arthur e continuarono a volare in tondo per qualche secondo, scandagliando con lo sguardo ogni singola chiave fino a che Eames non la vide, lì, che volava lentamente e a fatica, le due piccole ali che non riuscivano a sorreggerla bene a causa del suo peso - esattamente come aveva detto Arthur, ovviamente.
Si lanciò all’inseguimento, sentendo Cobb dietro di lui, che recuperava terreno. Non aveva intenzione di perdere, non aveva intenzione di lasciare che Cobb prendesse la chiave e dimostrasse di saper volare meglio di lui.
Nessuno sapeva volare meglio di lui, nemmeno il bambino che era sopravvissuto.
Allungò una mano, avvicinandosi alla sua preda come un falco, quando una delle altre chiavi gli venne addosso, tagliandolo come un coltello.
«Ahia!» si lamentò, guardando il sangue che cominciava lentamente ad uscire dalla piccola ferita e poi il numero esorbitante di chiavi che si stava riunendo intorno a loro.
«Questa cosa non mi piace,» mormorò Cobb e per una volta Eames fu completamente d’accodo con lui. Si guardarono un secondo, prima di riprendere a volare il più velocemente possibile verso la grossa chiave.
I termini della sfida non cambiavano, non importava che le chiavi stessero cercando di farli a fette e quindi cominciarono a spingersi, evitando allo stesso tempo tutte le ali delle chiavi.
Eames aveva tagli sulla gamba e sul viso, sulle braccia e sulle mani, ma Cobb non era conciato meglio, ma la chiave era lì, davanti a loro e non potevano rinunciarci.
Misero entrambi le mani avanti, cadendo in picchiata assieme alla chiave (la stanza aveva i soffitti molto più alti di quanto sembrasse ad una prima occhiata) e ignorarono il rumore metallico di tutte quelle piccole alette, il gemito spaventato di Ariadne e semplicemente allungarono le braccia davanti a loro, il più possibile. Prendendo la chiave. Assieme.
«Lasciala,» si lamentò Cobb, stringendo la chiave per un’ala.
«No, lasciala tu semmai, l’ho presa prima io,» rispose Eames, tirando la chiave per l’altra ala, mentre le altre chiavi svolazzavano intorno a loro come falchi intorno alla preda.
Eames tirava da un lato e il maledetto Cobb dall’altro e presto, inevitabilmente, entrambe le ali si staccarono, lasciando che la chiave cadesse nel vuoto.
Entrambi erano pronti a gettarsi a riprenderla, ma tutte le altre chiavi glielo impedivano e maledizione, non potevano lasciare che cadesse.
Improvvisamente però la chiave interruppe la sua caduta, qualcuno l’aveva appena presa e stava correndo verso la porta. Infilò la vecchia chiave nella toppa e nel minuto in cui la serratura si aprì tutte le piccole chiavi caddero a terra, come morte.
Eames e Cobb ritornarono a terra, stanchi e pieni di tagli, e guardarono Arthur, che teneva una chiave - nuovamente alata - in mano.
«Era una sfida tra di noi, Arthur,» gli disse Cobb, evidentemente arrabbiato, ma l’altro si limitò a scuotere le spalle.
Gli altri seguirono Arthur fuori dalla stanza lasciando solo Cobb ed Eames, che si guardarono negli occhi, per una volta d’accordo su qualcosa: a volte Arthur era una spina nel fianco.
La sala davanti a loro era particolare, per utilizzare un eufemismo, e Arthur capì solo più tardi cosa fosse, esattamente.
«È una scacchiera?» chiese Ariadne, guardandosi intorno e Arthur non riuscì a far altro se non annuire. Era una scacchiera, sì, con i pezzi bianchi e quelli neri ben allineati. Tranne tre pezzi dei bianchi.
Si voltarono verso i neri, vedendo che la Regina si era girata verso di loro.
«Cosa vuol dire tutto ciò?» chiese Eames, facendo qualche passo avanti, ma prima che potesse mettere piede nella scacchiera Mal lo fermò, bloccandolo per il braccio.
«Non entrare nella scacchiera,» gli intimò, prima di spingerlo di nuovo indietro.
«Cosa succede ora?» chiese Yusuf, avvicinandosi leggermente e Mal si voltò di nuovo verso la Regina nera.
«Dobbiamo vincere la partita, vero?» chiese verso il pezzo che annuì, gravemente, mentre indicava i tre posti vuoti. «Non ho detto che avremmo giocato,» soffiò Mal avanzando di un passo, ma questa volta fu Arthur a fermarla.
«Non credo abbiamo molta scelta,» le disse, e gli altri annuirono. «Dobbiamo giocare,» ripetè, anche se aveva giocato agli scacchi dei maghi solo tre volte nella sua vita. E in nessuna delle tre volte aveva dimostrato una qualche abilità nascosta.
E sapeva per esperienza che nemmeno Mal fosse così portata. Si voltò verso i due Serpeverde, ma vedeva nei loro occhi la stessa espressione che c’era nei suoi: confusione.
Poi, dal nulla, Ariadne alzò la mano.
«Io… io ci so giocare, ecco, non sono bravissima, ma…» cominciò, guardandosi intorno con circospezione, ma Cobb cominciò a parlare prima che lei potesse continuare.
«Non ascoltatela, l’ho vista giocare qualche volta, è veramente brava,» disse, annuendo, e Arthur si tranquillizzò immediatamente. Cobb non regalava complimenti a caso, non era il tipo, quindi Ariadne doveva essere incredibilmente brava. Si voltò verso i pezzi neri e si disse che okay, magari potevano farcela.
Dovevano solo decidere chi sarebbe entrato e in quale posizione. Tre persone sarebbero rimaste fuori dalla scacchiera e a tutti sembrava ovvio chi sarebbe stato.
Si voltarono verso Eames e Cobb, entrambi pieni di graffi e che respiravano affannosamente, quasi senza tenersi in piedi e poi verso Ariadne, ma questa scosse la testa «Sulla scacchiera potrei vedere meglio la situazione,» spiegò e allora guardarono tutti Mal.
«Cosa? No! Arthur in caso dovrebbe stare fermo, è il più piccolo a parte Ariadne e…» aveva cominciato, ma Arthur aveva scosso la testa e presto Mal si era dovuta arrendere.
Si sistemarono in posizione, Eames, Cobb e Mal fuori dalla scacchiera, Ariadne andò al posto della torre, Yusuf a quello dell’alfiere e Arthur a quello del cavallo.
E iniziarono la partita.
Ariadne era brava esattamente come Cobb aveva detto, riusciva a prevedere tutte le mosse dei neri con una precisione impressionante e a capovolgere tutte le loro strategie a loro vantaggio. Persino Arthur, che aveva giocato solo tre volte nella sua vita - anche se conosceva le regole a memoria - poteva capirlo.
E persino Arthur poteva vedere dove questo gioco avrebbe portato.
Si guardò intorno, cercando in qualcun altro la stessa consapevolezza che aveva colpito lui, ma nessuno sembrava sospettare di nulla.
Forse si fidavano troppo di Ariadne per sospettare di nulla, forse non la credevano davvero capace di pensare ad una cosa del genere. Forse non avevano compreso l’improbabilità di uscirne tutti indenni.
Non c’erano dubbi agli occhi di Arthur che Ariadne avesse deciso di fare la torre perché aveva in mente una strategia, una strategia che l’avrebbe portata a sacrificarsi.
Nessun’altro però sembrava essersene reso conto.
Si voltò verso il luogo dove la regina stava mandando a pezzi il loro secondo cavallo e prese la sua decisione.
«Yusuf,» urlò, sorprendendo tutti, «tieni Ariadne,» gli disse, guadagnandosi uno sguardo confuso da tutti, tranne che dalla ragazza.
La donna era in una posizione nella quale potevano agire in due soli modi. Avrebbero potuto muovere la torre e fare spazio alla loro regina o muovere il cavallo per far spazio all’alfiere.
Ariadne voleva sacrificare la torre - se stessa - Arthur non ne aveva alcuna intenzione.
«Arthur, non…» mormorò Ariadne, e Arthur quasi non la sentì.
«Non dire sciocchezze, Ariadne,» le disse, quindi, prima di annuire e voltarsi verso Cobb «fai attenzione, non so cosa ci possa essere davanti a questa porta,» e poi diede l’ordine ad alta voce.
Quando sentì il cavallo muoversi fu come se tutti i suoni intorno a lui gli arrivassero ovattati. Poteva sentire Mal, urlargli di fermarsi, Cobb urlare ad Ariadne di fare qualcosa, ma non registrava realmente le loro parole. Poteva sentire lo sguardo di Ariadne, dritto nella sua schiena.
E poi poteva sentire Eames, che gli stava urlando che era una piaga dell’universo.
Arthur rise, e poi vide la spada della donna abbattersi sul suo cavallo.
Quando Eames vide il cavallo di Arthur muoversi, lentamente, dentro le caselle, si mise a correre.
Era irrazionale, perché cosa mai avrebbe potuto fare? Eppure si mise a correre, più veloce che poteva, più veloce di quanto credesse fosse capace e quando vide Arthur venire disarcionato dal cavallo corse ancora più forte - sempre più forte - e poi si lanciò.
E che senso aveva? Che senso aveva tutto quello che stava facendo? Non lo sapeva, non ne aveva la minima idea, sapeva solo che, magari, se fosse riuscito a prendere Arthur avrebbe potuto attutire un leggermente la caduta, magari avrebbe potuto evitare che sbattesse la testa da qualche parte.
Non lo sapeva, maledizione, ma quando sentì qualcosa colpirlo al petto, forte, e realizzò che era la schiena di Arthur si sentì meglio. Si sentì meglio istantaneamente, come se in un qualche modo a quel punto avrebbe potuto far tornare tutto a posto.
Solo che Arthur era troppo veloce e troppo pesante ed Eames venne travolto da lui e andò a sbattere con la schiena contro il muro.
Si sentì come se tutta l’aria venisse spremuta fuori dal suoi polmoni, schiacciato tra il muro e il corpo di Arthur e tossì due, tre volte, sorreggendo l’altro con una mano.
«Eames? Arthur?» urlarono Cobb e Mal, correndo verso di loro. Sulla scacchiera Eames poté sentire Ariadne dare il suo ordine e guardò con un misto di soddisfazione ed eccitazione il re dei neri venire distrutto in mille piccoli pezzettini.
Fu solo allora, mentre Cobb e Mal si mettevano in ginocchio davanti a lui, che controllò realmente come stesse Arthur. Respirava, questo era ovvio. Aveva qualche ossa rotta, ad occhio e croce, ma sarebbe sopravvissuto.
«Dovete andare,» disse dunque, meravigliandosi a di quanto la sua voce suonasse roca. Probabilmente la botta gli aveva fatto più male di quanto pensasse.
«Non posso certo…!» sbottò Mal oltraggiata, scuotendo la testa. Ed Eames le stava per dire di non essere stupida, che non avevano tempo per quello, che Arthur non si era certo sacrificato perché stessero lì a parlare, quando Cobb si alzò in piedi, prendendo Mal per un braccio e costringendola a rimettersi in piedi.
«Eames ha ragione, non abbiamo il tempo di rimanere qui,» disse, lapidario, e le occhiate che Ariadne e Mal gli lanciarono avrebbero probabilmente fatto congelare sul posto chiunque. Chiunque ma non Dominc Cobb «ovviamente sono preoccupato anche io per Arthur, ma la cosa migliore da fare è andare avanti, fermare qualsiasi cosa stia succedendo e poi portarlo in infermeria, no?» disse, ed Eames annuì, suo malgrado d’accordo con lui.
Tutti annuirono, svogliatamente, prima di dirigersi verso la porta. Solo Mal rimase un attimo indietro, voltandosi verso di lui «Grazie,» disse, prima di annuire e raggiungere gli altri.
Eames rimase lì, fermo a guardare la porta anche due minuti dopo che gli altri vi erano spariti dietro e sospirò «Ma perché stai simpatico a così tante persone, eh? Sei un piccolo so-tutto-io arrogante, sai?» mormorò, cercando di sistemare meglio Arthur senza muoverlo troppo.
Non sapeva quali ossa avesse rotte, non sapeva quanto spostarlo avrebbe potuto peggiorare la situazione e non voleva creare casini.
«Ti rendi conto che la tua amica Corvonero ha minacciato di uccidermi, una volta,» rise, senza realmente emettere alcun suono «o almeno credo, qualcosa di egualmente orribile comunque, forse peggio,» poi si passò una mano dietro la testa, cercando di capire perché avesse quell’incredibile mal di testa.
Niente sangue, fortunatamente, probabilmente aveva solo sbattuto troppo forte.
«Guarda in che casini mi cacci sempre,» borbottò, piccato, e rimase fermo ad ascoltare il petto di Arthur che faceva su e giù, su e giù.
Arthur era vivo, gli stava dicendo quel fiato che gli solleticava il volto ogni volta che Arthur espirava. Arthur è vivo.
Ed Eames si sentiva incredibilmente contento e sollevato.
«Stupido Mister Scopa nel Culo,» disse, quasi con affetto, perché era vivo e stava bene e wow, Eames non sapeva di tenerci tanto.
«Vai al diavolo,» arrivò dal corpo appoggiato al suo petto. Era un suono dolorante, più un lamento che un vero insulto, ma Eames si raddrizzò immediatamente, prima di ricordarsi che era una brutta idea.
Un dolore lacerante alla schiena lo pervase, così forte che pensava seriamente sarebbe morto. Dio.
«Cosa è successo?» chiese Arthur, suonando sempre così piccolo e fragile e rotto.
«È successo che hai deciso di farti uccidere e io ti ho salvato, puoi anche chiamarmi il tuo salvatore e riverirmi per l’eternità,» lo informò, cantilenando un poco. Normalmente Arthur gli avrebbe dato un pugno a quel punto, ma ora, Eames supponeva, non riusciva a muovere il polso.
«Che schifo,» ma Eames poteva sentire quasi la risata nelle sue parole.
Ebbe l’istinto di stringersi ad Arthur un altro po’, ma non lo fece, invece si godette il silenzio.
Arthur non ricordava molto di quello che era successo dopo, doveva essere svenuto di nuovo ad un certo punto, appoggiato alla spalla di Eames. Ricordava in maniera molto ovattata quando Yusuf era tornato, dicendo che non c’era abbastanza pozione per tutti (e Arthur non aveva capito, ma pensava non fosse particolarmente importante), e quando aveva detto che andava a chiamare aiuto, quindi loro dovevano solo aspettare un altro po’.
Aveva ricordi ovattati di Eames che gli diceva qualcosa e di avere risposto a sua volta e poi più nulla.
Quando si era svegliato era nell’infermeria della scuola e non era solo. Nel letto accanto, alla sua sinistra, c’era Eames, seduto, che parlava con Yusuf, mentre in quello a destra Cobb, che parlava tranquillamente con Ariadne.
«Arthur?» bisbigliò qualcuno accanto a lui e si voltò piano - perché la testa gli faceva un male cane e c’era un po’ troppa luce per i suoi occhi - e guardò il volto di Mal, che lo osservava come se Arthur fosse appena risorto. «Oh, Arthur! Meno male!» stava dicendo, tenendogli la mano.
La guardò in viso, registrando le occhiaie e il modo in cui i suoi capelli ricadevano disordinatamente sulle sue spalle.
Quanto l’aveva fatta preoccupare?
«Ehi,» provò, cercando di capire quanto gli avrebbe fatto male parlare. Molto, a quanto pareva, ma poteva sopportarlo «cosa è successo?» chiese, prima di sentire qualcun altro gettarsi sul suo letto.
Quando Ariadne gli si attaccò al collo, Arthur fece tutto il possibile per non urlare di dolore, ma probabilmente non riuscì a nascondere lo sguardo dolorante.
«Ari, gli fai male,» la rimproverò Mal e la Grifondoro scattò all’indietro come se Arthur scottasse. Le sorrise, sperando di farla sentire meno in colpa, ma probabilmente non ottenne l’effetto sperato.
«Oh, scusa Arthur, scusa! Stai bene? Cioè non è che… voglio dire, stai bene?» balbettò Ariadne e Arthur rise, prima di cominciare a tossire.
Madama Chips ha detto che devi riposarti, avevi un bel po’ di ossa rotte e la pozione ci metterà un poco a ricostruirle tutte,» lo informò Mal, e Arthur annuì.
«Allora, cosa è successo?» chiese, di nuovo, «alla fine per cosa ho quasi rischiato la vita?»
Eames rise, dall’altra parte della stanza «Oh, non ne hai la minima idea! Ci siamo persi la parte più divertente!» Arthur si fermò a guardare Eames per la prima volta. Non sembrava messo troppo male, aveva cerotti un po’ ovunque e non riusciva a muoversi troppo - probabilmente aveva qualche osso rotto anche lui - ma tutto sommato non sembrava essersela cavata abbastanza bene.
Poi c’era Cobb, si voltò verso di lui, che aveva tenuto gli occhi bassi tutto il tempo. Aveva varie ferite sul viso, ematomi che Arthur non ricordava, e una bruciatura alla mano.
«Era la pietra filosofale,» gli bisbigliò Ariadne, eccitata, e Arthur si voltò di nuovo verso di lei. La pietra filosofale, sì, ne aveva sentito parlare. Ne aveva letto.
La pietra filosofale.
Aveva pensato potesse essere qualcosa di simile, ma non avrebbe mai potuto pensare…
«E dov’era?» chiese, incapace di trattenere la curiosità, e fu Cobb a rispondergli.
«In uno specchio. Quello specchio la custodiva. Solo qualcuno che, specchiatosi al suo interno, non avesse voluto usare la pietra avrebbe potuto usarla,» cominciò, guardandosi la mano. «Quando mi sono specchiato mi sono ritrovato la pietra in tasca e…» poi si fermò, ricominciando a guardare la sua mano come se potesse rispondere a qualsiasi quesito «e Voldemort la voleva. C’era Voldemort, dietro la testa di Raptor…»
Arthur guardò Cobb e poi Mal e Ariadne e poi Yusuf e infine Eames, che era l’unico che sembrava eccitato dalla notizia.
Ariadne o Mal o Cobb - e magari anche Yusuf - lo avrebbero accusato di essere dalla parte di Chi-Non-Deve-Essere-Nominato, ma Arthur conosceva quello sguardo. Lo conosceva perché l’aveva sempre anche lui.
L’eccitazione che procurava qualcosa di interessante, qualcosa che gli avrebbe permesso di uscire dalla noiosa routine.
Lo conosceva e sapeva che, magari, avrebbe potuto averlo anche lui, ora. Non poteva frenare la sua curiosità, dopotutto, non poteva frenare la sua voglia di conoscenza.
«Non poteva toccarmi,» stava continuando perché Cobb, «ogni volta che mi sfiorava la mano cominciava a bruciare, a bruciare e…» e poi era ovvio che Cobb non sarebbe stato in grado di dire altro, non ancora almeno.
Ad Arthur non importava, quindi cambiò discorso, guardando mentre Cobb lo ringraziava con un cenno.
Eames era stato dimesso quella mattina, ma era ancora fuori dall’infermeria, senza nessuna ragione particolare. Mal, quando l’aveva visto, aveva riso e gli aveva scombinato i capelli, dicendo che era una cosa incredibilmente carina - ma Eames non sapeva cosa volesse dire e non ci teneva a scoprirlo.
Non era lì per vedere Arthur, no, era lì solo per… per ricevere i suoi ringraziamenti. Dopotutto aveva probabilmente salvato la vita di quel bastardo, no? Si meritava almeno un grazie, no?
Invece aveva davanti Cobb e già sapeva che quella conversazione sarebbe finita male. Già lo sapeva. Poi Cobb cominciò a parlare.
«Grazie,» disse, annuendo nella sua direzione.
Eames bloccò la risposta velenosa che aveva sulla punta della lingua e si fermò a guardarlo. «Prego?» chiese, perché magari aveva capito male.
«Grazie, ho detto,» gli ringhiò invece addosso Cobb, prima di distogliere lo sguardo «per… sai, avere… per Arthur,» borbottò pietosamente, grattandosi la punta del naso per l’imbarazzo.
Eames rimase lì a guardarlo, indeciso su cosa dire, su cosa fare. E poi lo chiese.
«Perché mi stai ringraziando?» sbottò, incapace di comprendere. Non aveva salvato la sua vita, non aveva… perché lo stava ringraziando?
Cobb lo guardò per qualche secondo, prima di scuotere le spalle «Ariadne e Arthur… non ho… non ho mai avuto molti amici e loro sono… sono i primi veri amici che…» e poi si bloccò, evidentemente rosso fino alla punta dei capelli «non sono affari tuoi, ti ho ringraziato, ma questo non vuol dire che tu mi stia più simpatico,» concluse, prima di voltarsi e andarsene vita.
Eames rimase lì per qualche minuto, prima che Ariadne uscisse dall’infermeria e lo trovasse lì, congelato come una statua.
«Cosa è successo?» gli aveva chiesto ed Eames l’aveva guardata.
«Non ne sono sicuro,» aveva risposto e Ariadne aveva riso. Maledetta Grifondoro.
La festa di fine anno si era conclusa con la vittoria dei Grifondoro. Nessuno si era sorpreso, a dire il vero, ma il punto era stato il modo in cui avevano vinto la coppa della case.
«Io non ci posso credere,» sbraitò Eames quando si posizionò accanto ad Arthur in riva al lago, «quel maledetto bastardo avrebbe dovuto dare a me almeno sessanta punti! E a te almeno cinquanta!» stava dicendo, ma Arthur non lo stava davvero ascoltando.
Non gli interessava vincere la coppa delle case, c’era rimasto male, ma più per una questione di orgoglio che per altro. Eames, invece, sembrava essersela presa a cuore.
Quello che interessava ora al Corvonero era il perché, esattamente, Eames l’avesse seguito (anche se, ormai, avrebbe dovuto esserci davvero abituato).
Sospirò, passandosi una mano in mezzo ai capelli e poi si voltò, finalmente, verso Eames.
«Perché sei qui?» gli chiese, guardandolo mentre, interrotto nella sua tirata, si voltava verso di lui, quasi sorpreso.
«Pensavo che dopo un anno, specialmente tu, avessi compreso che siamo qui per stud- AHI!» saltò, quando Arthur gli pestò accidentalmente il piede «non picchiarmi solo perché rispondo alle tue domande!»
«Perché sei qui, sul lago, con me quando dovresti essere dentro con tutti gli altri Serpeverde?» chiese allora, cercando di ricordarsi che avrebbe dovuto essere molto più specifico nelle sue domande, d’ora in avanti, mentre parlava con Eames.
Il Serpeverde si voltò a guardarlo, preso in contropiede. «Voglio i miei ringraziamenti,» disse alla fine.
Arthur sbatté le palpebre un paio di volte, prima di arcuare un sopracciglio «Sul serio?» chiese ed Eames annuì.
«Prendo molto seriamente i miei ringraziamenti,» gli spiegò e Arthur stava per dirgli che avrebbe potuto dire qualcosa prima, se ci teneva così tanto, invece di rimandare tutto fino all’ultimo giorno. Invece annuì.
«Grazie,» disse, guardando Eames che si metteva le mani in tasca e annuiva.
«Sì, molto importanti, ecco,» mormorò, prima di cominciare ad indietreggiare «allora io, beh sì.»
Arthur si voltò a guardarlo borbottare e non riuscì a fare a meno di sorridere «Non è stato un anno completamente buttato,» gli disse annuendo ed Eames rise.
«Vai a quel paese, so-tutto-io,» rispose il Serpeverde andando via e Arthur non gli rispose.
Il giorno dopo sarebbero tornati a casa, ma l’anno successivo sarebbero stati di nuovo lì. Dopotutto l’idea non gli dispiaceva troppo.
«Part 3 ||
Note Post»