Supernatural; Bigbangitalia; Running Up That Hill 2/2

Nov 27, 2010 10:20

Non sa come funzioni, quale sia l’ordine, ma sono i suoni a ritornare per primi. Tutti assieme, lasciandolo incapace di capire, incapace di distinguerli. È una cacofonia di risate e lacrime, urla e silenzio. Non sono parole e non sono frasi, non c’è niente di coerente in quello che sente. Sono solo suoni, rumori. Dean non ricorda quando li abbia persi, non ricorda nemmeno di averli mai avuti. Non sa cosa significhino e non sa cosa vogliano da lui. Ma non riesce a smettere di piangere. Lacrime nere che non sapeva nemmeno di avere.
*
Quando si rende conto di cosa stia succedendo, capisce di stare urlando.
È una cosa strana, capire di avere urlato senza nemmeno volerlo. Come se la sua voce si sentisse intrappolata dentro di lui e cercasse di uscire, di scappare. No, quella non era la sua voce. Quella era la voce di Dean Winchester.
È questo che si prova quando l’anima dell’essere umano che abita il corpo cerca di riprendere il controllo? Vuole chiederlo a Ruby, che è alla porta, dietro una scia di sale. Sam però è accanto a lui, lo sta tenendo a terra e gli sta urlando qualcosa. Vuole dirgli di smetterla, che basta una sola persona che urla, ma non pensa di essere nella posizione adatta. Poi, ad un certo punto, tutto si zittisce dentro la sua testa. Come se qualcuno abbia spento l’interruttore.
La sua voce smette di raschiargli i polmoni e si calma. Ansima, pesantemente, mentre Sam continua a tenerlo a terra, finalmente anche lui in silenzio. Il silenzio è meraviglioso. Ama il silenzio. È meglio di quel rumore insopportabile che c’era fino a poco prima nella sua testa.
È meglio di tutto.
Rimangono per qualche secondo così, nessuno che osa muoversi fino a quando Ruby non rotea gli occhi e se ne va, lasciandoli da soli.
Passato qualche minuto la sua testa somiglia di meno ad un concerto rock e più ad una bella cripta piena di cadaveri. Si sente decisamente più a suo agio. Poi si rende conto che Sam lo sta ancora tenendo a terra e ghigna.
«Cosa c’è, Sam? Ti stai godendo la posizione?» Sam arrossisce come una scolaretta, ritraendosi velocemente, ma continua a guardare Dean come se, da un momento all’altro, dovesse saltargli addosso e ucciderlo. Dean lo farebbe anche, ma Sam ha in mano dell’acqua santa. Non è stupido, dopotutto.
Quando sono entrambi in piedi, Dean azzarda uno sguardo verso Sam. Brutta mossa.
«Cosa è successo?» chiede Sam, guardandolo fisso negli occhi. Non gli piace il modo in cui lo guarda: compassionevole, preoccupato.
Quegli umani dovrebbero temerlo. Dovrebbero odiarlo. Non considerarlo un povero idiota.
«Ho sbattuto il mignolino sul letto, non puoi capire che dolore,» risponde quindi, ghignando, e Sam lo guarda con fastidio e irritazione.
Ora va meglio.
«Dico sul serio,» quasi ringhia, e Dean per poco non scoppia a ridergli in faccia . Okay, lo fa, ma quel ragazzino ha davvero una faccia troppo assurda perché possa trattenersi.
«E infatti io ho risposto seriamente,» ripete, fingendosi offeso. «Non mi credi, Sammy? Ma io sono il tuo fratellone. Non ti mentirei mai.»
E poi il viso di Sam è a due centimetri dal suo, il respiro dell’altro che si infrange contro il suo viso. Dean adora ogni minuto di tutto questo. Sam è arrabbiato, ferito e probabilmente confuso. Sam non ha la minima idea di come debba comportarsi con lui. Con lui che non è suo fratello, ma che è comunque Dean Winchester.
È assolutamente meraviglioso.
«Non…» Sam prova a dire, prima di interrompersi, indeciso su come continuare. Dean ghigna. «Solamente non.»
«Sei patetico, sai?» mormora Dean, avvicinando i loro visi, abbastanza perché le loro labbra siano a pochi millimetri di distanza.
«Sei. Così. Patetico.» Scandisce ogni parola, provando un gusto incredibile per ogni lettera. Sam lo spinge indietro, con incredibile forza. Come se Dean fosse così caldo che la sua sola vicinanza gli procurasse dolore fisico. Dean ride, ride come non aveva mai riso in vita sua. «Patetico, Sammy. Patetico.»
E gode nel vedere lo sguardo ferito negli occhi dell’altro, la colpa e la vergogna. Questo è il suo campo. Qui sa come muoversi.
Si siede sul letto, lentamente, e Sam non se n’è ancora andato quando si è finalmente sistemato - forse deve dirgli qualcosa, forse vuole dargli un pugno.
Dean è stanco, però. Così stanco.
«Vuoi forse unirti, Sammy?» gli chiede quindi, prevedendo già che il minore dei Winchester sarebbe schizzato via da quella camera come se qualcuno ci avesse appena buttato dentro una fialetta del virus Croaton.
Quando la porta si chiude dietro di lui, Dean lascia cadere le difese. Si porta la testa tra le mani e pensa. I rumori cominciano a diventare parole nella sua mente, per quanto cerchi di fermarle, di lottare. Non dovrebbe succedere.
Non dovrebbe. E invece sono lì, a poco a poco, e lo divorano.
“Gli angeli vegliano su di te, Dean. Sempre,” dice una voce - una voce dolce e calda - e lui si rende conto che è cominciato.
Cosa sia, però, non ne ha idea

*
A tornare poi sono gli odori. Ci sono un sacco di ricordi che sono legati alla sfera dell’olfatto.
Sensazioni, più che altro, vaghe ed indistinte.
Ma quando Dean sente l’odore di una pistola si sente completo - come se quella pistola gli fosse fondamentale - e si sente vuoto quando non sente odore di polvere da sparo, sale o l’odore pungente del legno speciale che utilizzano per i paletti.
Gli manca l’odore del dopobarba di Sam e quello del sesso - quell’odore acre e meraviglioso.
Gli manca un odore particolare, poi, un miscuglio di pelle e benzina e metallo.
Le voci avevano portato con loro solo dubbi. Gli odori portano con sé nostalgia.


Non ha fatto male come con i rumori. Non è stato insopportabile. Dean si è limitato a rimanere seduto al centro esatto del letto, gli occhi fissi sull’armadio, e dopo poco tutti quegli odori così diversi hanno cominciato a prendere una forma e un significato.
Quando il processo finisce sposta gli occhi dall’armadio alla porta aperta.
Ruby lo guarda intensamente, come se cercasse una risposta ad una domanda che lei non ha posto.
Apparentemente la trova e ne è molto compiaciuta.
«Fa male, non è vero? Alcune cose più di altre,» dice, piano, godendosi il minuto.
«Non ho idea di cosa tu stia dicendo,» ringhia Dean di rimando, guardando la scia di sale davanti ai piedi di Ruby.
«Ma tu lo sai. A cosa siamo arrivati, hm? Immagino i primi siano stati i rumori, vero?» Ride, perché sa di aver colpito nel segno.
Sa di avere capito cosa sta succedendo. E Dean la odia.
«E tu come fai a saperlo?» le chiede, disprezzo che trasuda da ogni sua parola. Ruby non sembra nemmeno accorgersene.
«È successo anche a me. Un dolore insopportabile all’inizio. Poi è diventato tutto più calmo.» La sua voce è un sussurro e Dean pensa che Ruby sembra spaventata. Non da lui, da qualcos’altro. «Mi sono ritrovata ad aspettarli con trepidazione.»«Questo perché tu sei una traditrice,» le sputa addosso Dean, indignato per il paragone.
Ruby si limita a ridere. «No, sono semplicemente stata umana, un tempo.» Sorride. «E su di te l’effetto sarà ancora più devastante, sai? Tu non sei un demone, non completamente almeno.»
Dean vuole chiederle cosa intenda, ma non può, perchè Ruby riprende subito a parlare. «Credimi, la tua parte umana non ti permetterà di dormire la notte, quasi. La parte di te che ricorda cosa voglia dire essere umani si ritroverà inebriata dai ricordi.»
«Non succederà,» ripete lui, testardo.
Ruby si limita a gettare la testa all’indietro e ridere, ridere, ridere.
«Succederà, succede a tutti quelli a cui capita,» si limita a rispondere e lui la guarda.
«Quindi capita a molti?»
Lei lo guarda e poi si volta.
«No. Fino ad ora è capitato a pochissimi demoni. Solo a demoni speciali,» si limita a rispondere, prima di chiudere la porta.


I colori fanno male, forse anche più dei rumori. Gli fulminano gli occhi, gli tolgono il respiro, lo rendono incapace di muoversi.
Non urla, non ci riesce, non c’è nulla che voglia scappare da lui.
I colori sono sgargianti e pallidi, freddi e caldi. I colori sono rossi - tante, tante variazioni di rosso, rosso su qualsiasi altro colore, sempre e solo rosso.
È come se qualcuno abbia preso tutti i colori a tempera e li abbia gettati sulla tavolozza, senza starci attento.
Sono orrendi e male amalgamati, stridono.
Poi arriva un pennello e li mette tutti al posto giusto sulla tela.
E allora diventano meravigliosi.


Apparentemente i colori sono tornati mentre dormiva - non ha bisogno di dormire, ma a volte la noia è così grande che lo fa comunque - o forse si è riaddormentato dopo che sono tornati. I suoi ricordi sull’argomento sono un po’ confusi.
Sono passati dodici pasti da quando sono arrivati gli odori e più di venti da quando sono arrivati i rumori.
Probabilmente entro altri dieci pasti tornerà la consistenza. La sensazione del freddo metallo, del ruvido legno. E tutte le memorie collegate ad esse.
Quando si sveglia  improvvisamente cosciente che la sua macchina era nera (anche se non sapeva che macchina fosse) e che, invece, i capelli di Sam, quando era piccolo, erano molto più chiari di ora,Sam è accanto a lui, seduto su una sedia accanto al suo letto.
Ed è ridicolo, perché la sua pelle è così pallida. Sam aveva una bella carnagione, prima, ora è cinerea ed è tutta colpa sua.
Poi si rende conto di cosa abbia pensato. Di cosa tutto questo voglia dire. E improvvisamente ha voglia di fare male.
Di ferire e graffiare.
«Il mignolo anche questa volta?» chiede Sam, probabilmente pensa di essere spiritoso. Dean lo guarda e poi sorride, un sorriso sensuale e lascivo.
Un sorriso invitante.
«La lingua a dire il vero. Me la sono morsa, sai? Vorresti controllarla?» Si rende conto di quanto sia stupida questa domanda. Di quanto sia squallido quell’intero scambio, ma serve al suo scopo.
E l’espressione sul viso di Sam ne fa valere la pena.
Prima che Sam possa allontanarsi o andarsene, Dean di mette a sedere, posandogli una mano sulla nuca e cominciando a spingerlo verso di lui.
È facile convincere Sam ad avvicinarsi, non si ribella nemmeno troppo. Fin troppo facile, a dire il vero, avrebbe preferito un po’ più di resistenza. Poi le loro bocche si incontrano.
Sam non apre le labbra immediatamente, Dean deve forzarle e lo fa con decisione ignorando quella parte del suo essere che gli dice di smetterla, che gli urla che quello è sbagliato.
Dean lo sa che è sbagliato, lo sa che non deve farlo, ma non gli importa. Lui non è Dean Winchester. Lui non è Dean Winchester. Lui può fare quello che vuole.
Dean non sa di cosa sa la bocca di Sam - non gli interessa - non fa caso al fatto che sia calda, fredda, appiccicosa o grande.
Non è quello il centro della questione. Dean porta la mano libera sotto la maglietta di Sam, accarezzandogli gli addominali scolpiti e sa che si fa così - sono ricordi che questo corpo sembra possedere di suo, come se fosse abituato a fare cose simili.
Sam non si muove sotto il suo tocco. Non geme, ma nemmeno si ritrae; non lo tocca, ma non lo spinge via.
Sam accetta, passivamente, e Dean potrebbe anche pensare che a Sam non importi se non fosse per l’erezione che spunta dai suoi pantaloni.
Povero, povero Sammy.
Quindi spinge più in basso la mano, aprendogli la cerniera dei pantaloni. E finalmente Sam si muove, cerca di allontanarsi, cerca di spingerlo via.
Dean è un demone, però, e Sam non arriva a lanciargli addosso l’acqua santa che ha nella tasca. Dean è più forte e più veloce e gli basta poco per prendere l’erezione dell’altro nella sua mano.
Non c'è alcuna dolcezza, a Dean non interessa fare stare bene Sam, farlo durare a lungo. A Dean interessa umiliarlo. Esattamente come si sente lui.
Si stacca dalla bocca di Sam, mordendogli il labbro inferiore, mentre con la mano accarezza tutta la sua lunghezza, arrivando alla punta e stringendo.
«Oh, piccolo Sammy, chissà cosa direbbe Dean davanti a tutto questo,» gli soffia, all’orecchio, cominciando poi a muovere la mano.
«L’hai sempre voluto, vero? Posso vederti, lì a struggerti d’amore per il tuo fratellone. Pietoso.» C’è veleno nelle sue parole, perché vuole fare male, così male che Sam non sarà più in grado di guardarlo.
«Avresti voluto che ti toccasse esattamente così, vero? E che poi ti penetrasse, fino in fondo, vero?» Gli morde il lobo dell’orecchio, mentre Sam geme e si lamenta ma non si allontana.
«Avresti voluto che ti facesse stendere sul letto, che ti baciasse il collo, mordendo leggermente sotto la mascella, magari.» Mentre lo dice sposta la bocca proprio lì, mordendo un lembo di pelle e succhiando e Sam geme ad alta voce. «E che poi spingesse più forte, così forte da farti quasi male, dentro di te. Eh, Sammy?» E rafforza la presa sul suo pene, godendosi il saltello di Sam e i suoi respiri accelerati.
«E poi sarebbe venuto dentro di te, eh? Con un colpo più forte.» Muove la mano velocemente, con forza, e sente Sam raggiungere il limite. «Penetrando fino in fondo, fino in fondo.»
Sam viene, nella sua mano, di getto.
Dean si porta la mano alla bocca, leccando via lo sperma con gusto, ghignando sotto i baffi. «Incestuoso, Sammy. Ma, dopotutto, sei sempre stato il golden boy dell’inferno, no?»
E Dean realizza semplicemente che Sam gli ha dato un pugno - non gli ha fatto particolarmente male, Sam è forte, ma Dean è un demone - prima di vederlo correre via verso la porta.
«Devo essermi sbagliato. Tu non sei mio fratello,» gli urla dietro e Dean lo guarda.
È esattamente questo il problema, Sammy, pensa, vedendo la porta chiudersi, il fatto è che credo di esserlo.


Il freddo metallo di una pistola. La dolcezza della seta. La sensazione di pelle che sfiora altra pelle.
Dean ricorda tutto, pian piano. Ricorda la durezza del manico di un coltello e la sensazione del legno dei paletti che usavano per cacciare.
Ricorda la sensazione di sfregare le mani sui seni di una donna, morbidi e dolci, e ricorda tante altre piccole cose.
Comincia a ricordare pian piano, e si sente risucchiato.
Sa come è toccare cose che non ricorda di aver mai toccato. Ricorda momenti della sua vita di cui non ricorda le immagini.
Più che con gli odori, più che con i colori è con l’arrivo del tatto che i ricordi sembrano più completi. Ha bisogno delle immagini per mettere tutto a posto, per sapere com’è fatta quella macchina che ha i sedili fatti di pelle e il volante solido sotto le sue dita.
Ha bisogno delle immagini per dare a tutte quelle consistenze una forma.


Quando il giorno dopo Ruby va a portagli da mangiare - e non Sammy - Dean non si sorprende più di tanto. Se l’aspetta, sa anche che Sam lo eviterà da quel minuto in poi, un po’ come la peste.
Ruby poggia il cibo sul comodino accanto al letto e poi lo guarda, senza dire assolutamente nulla.
Dean però non ha tempo di pensare a cosa voglia dire. Dean non ha nemmeno voglia di mangiare, a dirla tutta - e non ne ha bisogno, quindi non è un grande problema.
Dean si guarda la mano e continua a rivisitare nella sua mente tutte quelle sensazioni, tutte quelle consistenze.
Ferro, seta, cotone, pelle. È così difficile mettere tutto in ordine senza immagini a cui collegare i ricordi che da ieri sera gli hanno invaso il cervello.
Il processo sta diventando più veloce. Dean sa cosa vuol dire, non è stupido.
Sta per arrivare la fine. Dean sta per ricordare tutto.
Ne ha paura, certo. Ma non c’è niente al mondo che voglia di più.
«C’è un modo per tornare indietro?» mormora ad un certo punto. «Per…» Sa che Ruby non ha lasciato la stanza, che è ancora lì che lo guarda con un’espressione indecifrabile sul viso.
«No. Una volta che qualcuno è stato all’inferno non c’è modo per tornare indietro,» dice. «Non si può tornare ad essere umani.»
Dean sente il letto piegarsi sotto il peso della demone, mentre poggia il ginocchio sul materasso e si piega in avanti verso di lui.
«Se sei stato all’inferno ci sono poche possibilità, Dean,» mormora. «Un umano non può reggere l’inferno.» Dean chiude gli occhi perché sa che è vero.
Dean Winchester non sarebbe stato in grado di uscire dall’inferno e mantenere un minimo di sanità. La parte umana che c’è dentro di lui ancora trema quando ripensa all’inferno, alle urla, all’odore di bruciato.
Per lui, invece, per lui sono cose normali, non gli danno alcun fastidio.
Lui e Dean non sono la stessa persona, sono esseri completamente diversi, ma per una qualche strana ragione Dean non vuole sparire e continua a tormentarlo, ricordo dopo ricordo.
«Dopo che sei stato all’inferno, Dean,» riprende Ruby, posandogli una mano sul petto e facendola scivolare verso il basso, «non hai altra possibilità che essere un demone.»
Si è avvicinata così tanto che i loro visi sono a pochi centimetri di distanza. Così tanto che ogni respiro di Dean fa spostare una ciocca di capelli biondi. Così tanto che Dean può sentire l’odore della pelle di Ruby.
Non è un bell’odore: è un odore di pietra tombale e di putrefazione.
«E quando sei un demone, Dean, e cominci a ricordare cosa voglia dire essere un umano…»
Dean rimane in ascolto, aspettando, ma Ruby non finisce la frase.
Si sporge in avanti e improvvisamente la sua bocca entra in contatto con quella di Dean, e poi si stanno baciando e Dean non sa nemmeno bene come sia successo.
Ruby è decisa e pratica, bacia come se ne avesse bisogno, come se non potesse averne abbastanza, come se ci fosse qualcosa nel suo petto che la costringe a divorare e distruggere.
Ruby morde il suo labbro inferiore come se volesse staccarglielo e Dean porta una mano alla sua nuca, per avvicinarsela addosso.
Va bene, baciare Ruby va bene. Lei è un demone, lei è un demone e Dean può baciare demoni. È qualcosa che un demone completo farebbe, no? Qualcosa che un vero demone non avrebbe problemi a fare.
Ruby passa una mano sotto la sua maglietta, graffiandogli la pelle. Dean nemmeno lo sente e la tira più a se, lasciando che i loro bacini si incontrino, portandosela completamente addosso.
Lei non si ribella, si lascia portare e trascinare e si struscia contro la sua erezione lasciando Dean a mugugnare nel bacio.
Poi, improvvisamente, Ruby si tira indietro. Punta le mani sul petto di Dean e si spinge indietro e lui, preso in contropiede, non riesce a fermarla.
Stanno ansimando entrambi, pesantemente.
«Quando cominci a ricordare vuoi tutto. Hai bisogno di sentire e provare e ricordare. Cominci ad avere fame, fame di sensazioni. Ma non sarai mai sazio.»
La sua voce è roca e Ruby si riavvicina alla bocca di Dean, senza mai toccarla. «Non sarà mai abbastanza.»
Poi si alza, togliendosi dal letto, lasciando Dean lì, l’erezione pulsante evidente dai pantaloni.
«Mi lasci qui così?» ringhia lui, e Ruby si volta ridacchiando.
«No, te l’ho detto, non è mai abbastanza… Ma prima devo chiederti una cosa, Dean. O meglio, devo rispondere alla domanda che ancora non mi hai fatto.»
Lo dice come se sapesse tutto, come se avesse qualsiasi risposta a qualsiasi domanda Dean potesse mai farle.
Dean però ha un’erezione che ha decisamente bisogno d’attenzione e una domanda sulla punta della lingua.
«Che cosa vuol dire che sono un mezzo demone?» chiede, sputandolo fuori velocemente, come se il solo fatto di dirlo voglia dire ammetterlo. E Dean non è ancora completamente pronto.
«Sapevo che avevi sentito,» commenta Ruby, guardandolo. Dean si concede un ghigno mediamente divertito.
«Se non volete farvi sentire provate a non urlare,» risponde. «Ho sentito dire che a volte funziona.» Ruby non reagisce, piega la testa di lato e chiude gli occhi.
«Tu non hai mai lasciato andare le catene, vero Dean?» chiede infine, riaprendo gli occhi e puntandoli su di lui.
«Che te ne frega? Rispondi alla fottuta domanda!» risponde Dean, mettendosi a sedere, la rabbia che comincia a prendere il posto della lussuria.
«Sto rispondendo, Dean. Dovresti solo lasciarmi finire.» È un sibilo quello che esce dalla bocca di Ruby, annoiato e minaccioso, ma Dean è un demone come lei. E con lui non funziona. «Il momento in cui diventiamo davvero dei demoni, Dean, è il momento in cui scegliamo volontariamente di lasciare andare le nostre catene.»
Dean continua a guardarla, cercando di seguirla. Ricorda, ricorda di qualcuno che gli diceva di lasciare andare quelle catene.
Che poteva essere libero.
E ricorda di non avere mai ascoltato quella voce.
«Quindi, siccome non ho mai lasciato andare le catene,» riflette Dean. Ruby annuisce.
«Non sei completamente un umano e non sei completamente un demone. La tua anima è diversa dalla nostra,» Ruby conclude per lui.
«E cosa vuol dire? Cosa vuole dannatamente dire?» chiede Dean, sbattendo il pugno sulla parete dietro di lui, forte.
Ruby lo guarda mentre lo fa ancora e ancora e ancora, ma rimane in silenzio, per non disturbarlo. Ed è stupido, è umiliante, perché lui non ha bisogno della pietà di quella puttana.
Lui non ha bisogno di nulla.
Quindi si sporge in avanti, di scatto, allungando un braccio per prendere quello di Ruby e spingerla di nuovo sul letto. «Cosa vuol dire?» le ringhia in faccia e Ruby ride, sistemandosi a cavalcioni su di lui.
«Vuol dire che sei legato a questo corpo. Vuol dire che sei probabilmente immortale come noi, che l’acqua benedetta ti fa male, che il sale può contenerti, ma che non puoi essere esorcizzato,» mormora, aprendogli la zip dei pantaloni e portando una mano a giocare con l’elastico dei boxer.
«Significa che puoi provare qualcosa. Non è vero, Dean? Tu riesci a sentire, non è vero?» mormora poi, infilando la mano dentro le sue mutande.
«Cosa avresti fatto, tu? Se avessi avuto una scelta, se avessi saputo?» chiede Dean, guardando gli occhi di Ruby che sembrano così vivi, anche se appartengono ad un morto.
«Mi sarei aggrappata a quelle fottute catene con tutta me stessa.» Poi nessuno dei due ha più molta voglia di parlare. E Dean chiude gli occhi, spingendo Ruby verso di sé e prende la sua decisione.
Dean chiude gli occhi e si aggrappa a quelle fottute catene.


Le immagini ritornano in uno sfolgorio di colori e suoni e odori.
Le immagini ritornano e Dean comincia a mettere finalmente a fuoco tutto quello che aveva ricordato in quelle settimane.
Dean ricorda la sua macchina - la sua bambina - con la sua carrozzeria nera e i suoi sedili in pelle. Dean ricorda la loro casa a Lawrence, bellissima e perfetta. Dean ricorda i capelli di sua madre, e il suo sorriso.
Dean ricorda anche il sangue, però, e i coltelli e le pistole e Jess che brucia sul soffitto. Dean ricorda suo padre, così forte e così rotto.
Ricorda le fiamme che danzano davanti a lui, così ordinate e così rosse.
Le immagini ritornano ricollegando a poco a poco tutti i pezzi del puzzle, facilmente.
E per la prima volta Dean sente di non volere lasciare andare nulla, per la prima volta Dean capisce perfettamente di cosa parlasse Ruby.


La settimana seguente, Sam non entra. Mai.
A volte è Yoghi - Bobby - a portargli da mangiare e ogni volta lo guarda con rimorso e tristezza. Dean vorrebbe dirgli che va tutto bene, che ricorda, e cosa ha fatto Sammy mentre io non c’ero? L’hai tenuto d’occhio?
Ma non sarebbe giusto, perché lui non è solo Dean Winchester; lui non potrà mai essere quel Dean che loro conoscevano. Ha i suoi ricordi, certo, ma non prova quello che provava lui.
Vorrebbe, Dio se vorrebbe, ma non è così.
Quindi rimane in silenzio a guardarlo, mentre Bobby sfila davanti a lui e continua a pensare, probabilmente, che non c’è riuscito, che non è riuscito a proteggere Dean - il Dean che per lui era come un figlio.
La maggior parte delle volte è Ruby a portargli i pasti e spesso finiscono a letto, di nuovo, solamente perché non hanno nulla da fare.
Sam non è mai a casa - anche se Dean non può chiamarla casa, ormai sa dove si trova, è una capanna vicino casa di Bobby. Dean si chiede se è perché Sam sta cercando un modo per riportare suo fratello indietro o se è perché non riesce a stare sotto il suo stesso tetto.
Un poco di entrambi, probabilmente.
Dean ha problemi più grandi di cui preoccuparsi.
Non è cambiato nulla intorno a lui - sul soffitto ci sono ancora ventisette macchie, l’armadio continua ad essere un po’ troppo polveroso e la stanza un po’ troppo spoglia - ma è stato lui a cambiare e non sa ancora cosa voglia fare.
Non sa ancora se vuole passare tutta la sua vita a rincorrere qualcosa che non potrà avere mai come fa Ruby. Non sa se ne sarebbe capace.
Non sa se vuole essere un demone o un umano - anche se non potrebbe mai realmente esserlo, un umano - non sa se vuole rimanere con Sam, che continuerebbe a cercare in lui quel fratello che ha perso.
La verità è che Dean non sa assolutamente nulla.
La verità è che Dean vuole essere un demone e vuole essere un umano. La verità è che Dean vuole - vuole così tanto, vuole tutto - e non potrà mai avere.


Non sa perché siano i sapori a tornare per ultimi - non sono particolarmente importanti, non dovrebbero essere ultimi - ma lo fanno.
Dean ricorda la torta di mele. E quella pappetta che faceva per Sam, quand’erano piccoli, che aveva un sapore orribile e che finiva sempre a mangiare lui, perché Sam si prendeva i cereali buoni, quelli che aveva messo da parte per sé stesso.
Ricorda il toast che gli faceva sua madre, con un po’ troppa marmellata ma buono lo stesso.
Ricorda il sapore del sangue, ferroso e acre contro il suo palato.
E quando finalmente smette di ricordare, si accorge che la patina che aveva ricoperto tutti i suoi ricordi fino a quel momento è scomparsa.
Dean capisce che è finita.
Quando i sapori ritornano portano con sé anche il sapore della rassegnazione e della sconfitta. Portano con sé il sapore acre della tragedia.


Una settimana e tutto cambia.
Non ci sono segnali, Dean non ha nemmeno il tempo di prepararsi, a dirla tutta.
Si sveglia pensando che sarà un’altra giornata come le altre, che verrà Ruby o Bobby e che faranno tutti finta che vada tutto bene, che sono tutti a posto.
È sdraiato sul letto con gli occhi chiusi e quando la porta si apre non fa nemmeno lo sforzo di aprirli e controllare chi sia - se è Bobby lo ignorerà, se è Ruby salirà sul letto. Invece qualcuno sta gettando del sale all’interno della stanza, una striscia davanti la porta per bloccare qualunque demone, o essere soprannaturale, voglia entrare - o uscire -e Dean si mette a sedere sul letto per vedere cosa sta succedendo.
C’è Sam, sacchetto di sale in una mano e acqua benedetta nell’altra, che non gli rivolge nemmeno uno sguardo, mantenendo gli occhi fissi sulla porta.
«Cosa c’è, Sam? Sei qui per un altro round? Con acqua santa e sale? Mi piace, fa molto alla famolo strano,» ridacchia, ma Sam non apprezza molto il commento e presto Dean si ritrova delle gocce di acqua benedetta sul braccio. La pelle che si scioglie fa un male cane.
«Figlio di puttana,» mormora, chiudendo gli occhi e cercando di far passare il dolore accecante.
Sam ghigna da davanti la porta - Dean non ha bisogno di vederlo per saperlo, Dean lo conosce fin troppo bene.
«Se non sei qui per il bis, Sam, cosa ci fai qui?» chiede finalmente, e Sam si volta verso di lui, indecisione che gli attraversa gli occhi. Qualunque cosa volesse dire, però, sembra ripensarci e scuote le spalle.
«Non sono cose che ti riguardano,» dice, ma Dean ora li sente.
Rumori, persone che parlano, pallottole che vengono sparate, cose che vengono sbattute contro il muro. C’è una lotta dall’altra parte della stanza, lo sa, riconosce i rumori.
E improvvisamente tutto diventa chiaro.
«Lilith.»
Ma certo, Lilith l’ha trovato, e ora è lì per… riportarlo indietro? Finire il lavoro?
«Già, ma non scodinzolare troppo, non tornerai dalla tua padrona troppo facilmente,» sibila Sam, frustrato ed arrabbiato, e Dean rimane lì a processare la nuova situazione.
Lilith è la reginetta del ballo dell’inferno, ma lui la ricorda solo grazie alla sua parte umana, la sua parte demoniaca non ha ricordi di lei, non sente soggezione verso di lei.
Eppure dovrebbe e il fatto che non la prova è solo un altro segno di quanto incompleto sia Dean.
Dovrebbe uccidere Sam, ora. Lui è un demone, come demone dovrebbe aiutare la sua padrona e facilitarle il lavoro. Sam è lì dentro con lui e le uniche armi che ha sono il sale, l’acqua benedetta e qualsiasi esorcismo ricordi a mente.
L’acqua benedetta e il sale fanno un male del diavolo, certo, ma può sopravvivere al dolore. L’esorcismo non avrà probabilmente molto effetto su di lui, che è incatenato a quel corpo.
Potrebbe farlo, potrebbe muoversi ora e uccidere Sam, sarebbe così facile.
Invece Dean butta la testa all’indietro e inspira, senza muoversi per alcuni minuti.
I rumori dall’altro lato della porta aumentano e poi si affievoliscono, per poi tornare nuovamente a tutta forza.
Probabilmente hanno trappole per tenere fuori Lilith, una quantità di munizioni davvero incredibile e qualsiasi trucchetto Ruby riesca ad inventarsi.
Dean non ha voglia di aspettare però, non ha voglia di rimanere fermo a non fare nulla.
«E tu perché sei qui, Sammy? Dopotutto hai detto che non sono tuo fratello,» mormora, ghignando. Ha voglia di fare qualcosa, ha voglia di far arrabbiare Sam e vederlo diventare rosso dalla rabbia e poi magari rosso per qualcos’altro.
Sam si irrigidisce a quella domanda. «Purtroppo sei ancora attaccato al suo corpo,» è la migliore scusa che riesce ad inventarsi. Dean si alza dal letto, avanzando verso di lui con un sorriso predatorio sul viso.
«Io non credo sia così, Sammy. Io credo ci sia un qualche altro motivo, sai.» Gli passa una mano sulla schiena, passando poi ad accarezzargli l’addome, lentamente.
«Un’altra ragione per questa tua decisione,» conclude, girando Sam e spingendolo contro il muro.
Sam non oppone troppa resistenza, si lascia guidare facilmente - o è anche possibile che Dean abbia messo un po’ troppa forza, non è completamente abituato a questi poteri di demone.
«Tu credi sempre di sapere tutto, eh?» sibila Sam, mentre Dean scende a mordicchiargli e leccargli e torturargli il collo.
Dean sorride, mentre lascia andare un lembo di pelle dell’altro, soffiandogli poi sopra.
«Io so tutto quello che c’è da sapere su di te, fratellino,» mormora. Poi Sam lo sta baciando e, sì, è stato Sam ad iniziare il contatto, ne è sicuro.
Questa volta il bacio di Sam è violento e c’è qualcosa di possessivo nel modo in cui spinge la lingua dentro la sua bocca - ma a Dean non interessa, Dean ha solo voglia di prendere e prendere e avere ancora.
Si lascia prendere, si rilassa contro il corpo dell’altro, ed è a quel punto che Sam ribalta le loro posizioni e improvvisamente Dean ha un coltello - quello di Ruby - piantato al collo.
«Tu non sai assolutamente un cazzo di me,» è la risposta di Sam, con il fiatone e le labbra rosse per il bacio, il collo ancora rosso per il lavoretto di Dean di poco prima.
Dean vorrebbe dirgli che si sbaglia, che lui sa che la pagina più visitata sul computer di Sam è Wikipedia; che Jess era l’amore della sua vita; che Sam ha paura del suo stesso sangue; che a Sam non è mai piaciuto il porridge che gli preparava Dean; che Stanford era la casa a cui aveva dovuto rinunciare, l’unico approdo sicuro; che Sam vuole Dean e che questo lo spaventa più di qualsiasi altra cosa.
Invece alza le mani, si arrende e Sam ritorna a guardare la porta, mentre i rumori si fanno più scarsi.
Dean va a sedersi di nuovo sul letto e chiude gli occhi.

«Part1 | Part3» 

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