Le catene gli tagliano la pelle, stringono e scottano. Il sangue scorre sulle ferite fresche e ogni movimento, ogni battito di ciglia è come morire di nuovo. Ma Dean ricorda ancora tutto, ricorda chi è e ricorda di dover aspettare, che non sarà per sempre. È questo l’importante.
*
Le ferite non si rimarginano mai, il sangue continua a scorrere senza interruzione - sempre che sia veramente sangue, Dean non lo saprebbe dire - ma le catene hanno smesso di scottare. Dean non ricorda il sapore delle patatine fritte, né la sensazione del caffè che gli accarezza la gola, ma è solo cibo, non è importante.
*
Il sangue che scivola lungo il suo corpo non gli da più fastidio, non sente più dolore - da nessuna parte - e il suo corpo (o qualunque cosa sia) gli sembra scomodo, troppo grande per lui. Dean non ricorda chi altro lo aspetti, non ricorda altro se non Sam, ma non gli importa. E sa che dovrebbe essere spaventato, ma non riesce proprio ad esserlo.
*
Un giorno è semplicemente successo. Dean non sente più nulla, le ferite si sono rimarginate da sole e, non sa bene come, sa di potersene andare, sa che un suo qualunque movimento potrebbe liberarlo. Ma Dean non si muove perché deve rimanere ad aspettare Sam, e il fatto che se ne ricordi lo fa sentire felice, anche se non ricorda perché fosse così importante ricordarsi di lui.
*
“Smettila, non c’è alcun motivo per cui tu rimanga. Puoi liberarti. Fallo, è quello che vuoi.”
Quando lei arriva, ha già cominciato a stufarsi di aspettare.
Da quanto tempo aspetta? Non lo ricorda, aveva cominciato a tenere il conto (ma continuava a dimenticarsi a quanto era arrivato) e c’è una parte di lui che non può farne a meno, che continua a ripetere “Sam” come una preghiera. Anche se non sa perché lo debba aspettare.
«Non posso, io devo…»
«Sono passati duecento anni, non pensi che sia ora di lasciare andare?» La sua voce è lieve e gli sembra di averla odiata, ma è solo una vaga sensazione.
«No, devo aspettare Sam,» anche se non ricorda davvero perché.
*
Le catene si sono spezzate da sole, è stato come cadere nel vuoto e ha chiuso gli occhi d’istinto. Quando li riapre le catene non ci sono più e lui non è più all’inferno, anche se non ha idea di che posto sia questo - è una stanza arredata semplicemente: un letto, un comodino, una lampada e un armadio. La cosa più divertente che si può fare lì dentro è inventarsi mille modi per annoiarsi a morte, ma non ci fa molto caso, troppo impegnato a cercare di capire cosa sta succedendo.
C’è un ragazzo accanto a lui, i suoi occhi sono spalancati e sembra non sapere se piangere o ridere. Lui lo guarda confuso e il ragazzo gli getta le braccia al collo.
«Dean, Dean. Grazie a Dio, Dean, ci sono riuscito, te l’avevo detto che ti avrei salvato, io… oddio,» balbetta e continua a tenerlo stretto, ma lui non ha idea di chi sia questo Dean.
*
«E chi sarebbe questo Dean?» gli esce così, con freddezza perché questo ragazzo che continua ad abbracciarlo gli dà decisamente fastidio. Anche se non riesce a spingerlo via e non sa perché.
Il nome scivola facilmente tra le sue labbra, è come se l’avesse ripetuto milioni di volte, ma in realtà non l’ha mai detto. Se lo ricorderebbe, no?
Quindi questo ragazzo è una specie di pazzo, che si getta sugli estranei appena usciti dall’inferno come un idiota.
E non sa ancora bene perché non l’ha ucciso - lui è un demone, uccidere gli umani è quello che fanno i demoni - ma è per lo stesso motivo per cui non lo sta spingendo via: semplicemente non ci riesce.
«Eh? Ma… che dici?»
Il ragazzo si scosta da lui leggermente per guardarlo negli occhi, e Dean sente l’irrefrenabile bisogno di nascondere gli occhi neri - sa come si fa, gli viene naturale - e di non farglieli vedere. Ha i capelli bruni, questo tipo, lunghi fino alle spalle e davvero poco curati, come se non si fosse pettinato per anni. Lo guarda come se fosse lui il pazzo e no, lui è un demone e i demoni non sono pazzi - malvagi forse, ma pazzi proprio no.
«Dean, stai dicendo sul serio?» chiede, guardandolo con gli occhi spalancati. Si sente subito in colpa, vorrebbe dirgli che no, stava solo scherzando, che sa chi è questo Dean, quindi non ha bisogno di preoccuparsi, ma è una sensazione sgradevole e non ha voglia di ascoltare l’impulso.
Continua a guardarlo, mentre sul suo viso passano miriadi di emozioni e rimane quasi stupito quando il ragazzo pianta il suo sguardo su di lui e cancella ogni espressione dal viso.
«Sei tu, Dean… sei tu Dean, sei mio fratello. Mio fratello Dean, Dean Winchester,» dice, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non stesse dicendo un’idiozia.
Come se lui fosse mai stato umano.
«Io non sono questo… Dean Winchester. Io sono…» La verità, però, è che non ha idea di chi sia. Sa solo di essere un demone, sa semplicemente questo. È come se tutto il resto fosse stato cancellato dalla sua memoria, come se qualcosa l’avesse spazzato via.
La sua mente è solo piena delle fiamme dell’inferno, della rabbia di essere segregato là dentro, della voglia di fuggire e vendicarsi, ed è tutto quello che gli serve, davvero. Ma questo tipo sostiene che lui si chiama Dean Winchester, che è un umano - che è stato un umano, in ogni caso - e lui non ha modo di smentirlo. Ed è stupido, perché lui non è questo Dean Winchester, quel ragazzo si sta semplicemente sbagliando.
«Io sono…» mormora di nuovo, cercando di non guardare l’altro. Il silenzio che riempie la stanza è insopportabile: pesante e strano. Il discorso sta prendendo una piega che non ha previsto, ma dopo tutto non aveva previsto nemmeno di uscire dall’inferno in questo modo, quindi…
«N-non importa, non sono comunque questo Dean Winchester,» conclude, guardando storto il ragazzo davanti a lui. I suoi occhi marroni non trasmettono alcuna emozione e ha tanta voglia di ferirlo, di spezzarlo e di farlo suo. E, davvero, non sa se è normale.
Non sa nemmeno il suo nome, ma non è sicuro che ai demoni serva sapere il nome per uccidere qualcuno. Vorrebbe toglierselo di dosso, liberarsene e andare a capire come diamine vive un demone - non che lui non sia sempre stato un demone, non è semplicemente mai stato fuori, grazie - quando il rumore di una porta che si apre rompe l’attimo.
Il ragazzo volta gli occhi verso la porta e lui segue il suo sguardo.
«Sam, Sam! Dove sei? Come sta Dean?»
È una voce bassa e roca, gli sembra familiare, ma non saprebbe dire perché, l’unica cosa che sa è che questo tipo ha chiamato Sam e la parte di lui che non sta mai zitta ha ricominciato a urlare.
«Sam?» chiede, perché è l’unica cosa che ricorda. L’unica cosa che ha sempre ricordato, gli sembra di saperlo da ancora prima di nascere. Aspetta Sam, aspetta Sam, è una frase che è sempre stata con lui, sempre.
Il ragazzo si volta verso di lui quando dice quel nome e sorride. È un mezzo sorriso, un sorriso che non raggiunge gli occhi, ma che gli illumina leggermente il viso.
Sembra che stia per dire qualcosa, quando un uomo entra nella stanza. Ha un giubbotto pesante addosso e un capellino davvero poco elegante, ha le guance rosse e il fiatone e quando i loro sguardi si incontrano è come se l’uomo stia per mettersi a piangere.
E lui giura che se questo tipo si sporge per abbracciarlo sarà morto nel giuro di due minuti, davvero.
«Dean,» mormora l’uomo, e sembra voler avanzare verso di lui quando il ragazzo - Sam? - si alza e lo blocca. Gli da le spalle e non può vedere la sua espressione, ma i suoi muscoli sono tesi e il viso dell’uomo si irrigidisce quasi subito.
A quel punto il ragazzo si volta verso di lui, i suoi occhi sembrano brillare d’ira e qualcosa dentro di lui gli dice che sta per accadere qualcosa.
Si guardano per qualche minuto - ha registrato solo distrattamente quando quell’altro è uscito dalla camera - e il ragazzo sembra sempre sul punto di dire qualcosa, apre la bocca e poi la richiude poco dopo.
È triste, ma anche arrabbiato - non sa bene come fa a saperlo, ma conosce perfettamente ogni espressione che attraversa il viso dell’altro, è come percorrere la strada di casa ad occhi chiusi, non sai bene come ma ti sembra che tutto abbia perfettamente senso, che ogni passo sia semplicemente giusto - e sembra sul punto di piangere.
Vorrebbe dirgli che gli dispiace di non essere suo fratello, anche se in realtà non dovrebbe dispiacergli, ma che ora deve andarsene - però non ne ha voglia.
Ha come la sensazione di essere nel posto giusto, di non dover essere da nessun’altra parte, ma questo non ha davvero senso.
Sta per alzarsi, quando finalmente il ragazzo parla. La sua voce è rotta, leggermente, e l’altro uomo è appena entrato dalla porta.
«Io…» dice, mordendosi il labbro inferiore e lui non riesce a distogliere lo sguardo. «Io… ti salverò Dean, davvero, ho promesso che l’avrei fatto e lo farò fino in fondo.»
Solo allora, quando il ragazzo fa qualche passo indietro e oltrepassa la porta, lui vede cosa c’è sulla soglia e porca troia.
«Ah, certo. Era ovvio,» mormora, guardando i due con occhi neri e rabbiosi. Sale, quei maledetti figli di puttana hanno messo del sale sulla porta - sulla porta di quella stanza senza finestre - e la rabbia lo colpisce come un fiume in piena.
«Avrei dovuto uccidervi subito, subito. Ma non crediate che questo possa fermarmi, vi ucciderò, figli di puttana,» mormora mentre quelli chiudono la porta. «Vi ucciderò e mi divertirò a farlo, morirete annegando nel vostro sangue. Non sarà una cosa divertente?»
«È per il tuo bene, figliolo.»
La voce dell’uomo sembra sofferente, ma non gliene importa nulla.
Questa è davvero l’uscita dall’inferno peggiore nella storia dei demoni.
*
La prima cosa ad andarsene erano stati i colori. Il giallo del sole o il blu del cielo, ogni suo ricordo era in bianco e nero e, in un certo senso, meno magico.
Dean non aveva mai dato abbastanza importanza ai colori, e ora che non li ricordava non gli mancavano.
*
Non sa precisamente quanto tempo sia passato da quando quella maledetta porta si è chiusa. Gli sembra un’eternità, ma realisticamente non saranno passate che poche ore.
Si chiede cosa, esattamente, vogliano da lui. Inizialmente aveva pensato a dilettanti che avevano trovato una qualche formula per sbaglio e avevano richiamato un demone senza volerlo, ma dei dilettanti non potevano sapere del sale.
In più, a rendere quest’attesa ancora più odiosa, c’è questo tarlo continuo: quel ragazzo è Sam?
Il Sam che doveva aspettare per nessuna ragione logica? Il Sam che un qualcosa dentro di lui continua a chiamare ad alta voce?
Perché, se lo è, come si divertirà ad ucciderlo! A fargli patire tutti gli attimi in cui aveva maledetto la sua incapacità di liberarsi dalle catene, di andare avanti, di smetterla di aspettare.
È allora, proprio mente gode nel pensare a come potrebbe ucciderlo, che la voce del ragazzo - Sam, o come si chiama - arriva da dietro la porta. Sembra stanca e arrabbiata e tante altre cose.
«Tutto… tutto bene?» chiede con un attimo d’incertezza, e gli viene da ridere.
«Oh sì, perfetto. Se potessi avere anche delle patatine sarebbe anche meglio. Rimanere rinchiuso in una stanza è decisamente il mio ideale di giornata ben trascorsa,» sputa fuori, avvicinandosi alla porta.
Non può buttarla giù, non può attraversarla, ed è come essere di nuovo all’inferno. Intrappolato senza possibilità di movimento.
Che schifo.
«Io… Dean, Io…» balbetta il ragazzo. Lui ghigna, anche se il moccioso non lo può vedere.
«Però potrebbe andare meglio, sai? Perché non entri e mi fai compagnia?» Il suo tono è divertito più che annoiato, e si rende subito conto di quanto sia sbagliato che sia così. «Potremmo giocare ai piccoli fratellini ritrovati e prendere un tè assieme, non sarebbe fantastico?»
Il ragazzo dall’altra parte della porta rimane in silenzio, non sa nemmeno se c’è ancora, guarda la porta con decisione e quando parla di nuovo il suo non è altro che un mormorio sommesso.
«Moccioso…» chiama, stupendosi del fatto che l’altro riesca a sentirlo.
«Sì?»
«Ti chiami Sam?» La frase gli scappa dalle labbra ancora prima che se ne possa rendere conto. Ma è quello che vuole sapere - che deve sapere.
«…Sì.»
Oh. Fottutamente. Perfetto.
*
Poi era stato il turno degli odori e dei sapori. Il dopobarba di suo padre, il profumo di vaniglia di sua madre e l’intossicante odore del fuoco. Il sapore della torta di mele, di un cheeseburger, della pelle salata.
Quando scomparvero era stato come se il mondo che ricordava fosse diventato null’altro che un luogo lontano. Inesistente. Dean si sentiva triste, ma non sapeva perché.
*
Non parla più per un po', probabilmente qualche altra ora, fino a quando qualcuno non bussa alla porta.
È un suono più forte e deciso di quello di poco prima e lui capisce che probabilmente non si tratta di Sam, ma dell’altro - è ancora impressionato dalla facilità con cui riesce a capire queste piccole cose.
«Ragazzo,» chiama quello, la voce pacata e roca. Sembra stanco, ma, ancora, lui non sa bene come riesca a dirlo. «Ragazzo, ci… tutto a posto?»
C’è incertezza nelle sue parole, come se non sapesse bene come trattarlo e si chiede se è una caratteristica di quella casa lo scegliere domande così azzeccate.
«Devo davvero rispondere? O è una specie di prova per vedere se riuscite ad annoiarmi a morte?» risponde, sbadigliando - giusto per enfatizzare il concetto, anche se l’altro non lo può vedere.
L’uomo dall’altra parte della porta non risponde e gli sembra di sentire alcuni mormorii sommessi. Non se l’è mai chiesto, ma effettivamente non ha la certezza che siano solo Sam e il grassone a tenerlo qui. Potrebbero esserci anche più umani - non che si lamenti, quando uscirà di lì li ammazzerà tutti - ma questo gli rende meno chiaro il perché di tutta quella sceneggiata.
Perché non esorcizzarlo subito? Perchè non trovare un qualche modo per ucciderlo?
Oh, grandioso. Non solo continua a chiedersi le stesse cose da ore, ma ora comincia anche a trovare strano il fatto di essere vivo.
Sta cadendo davvero in basso.
«Hai bisogno di mangiare qualcosa, ragazzo?» riprende la voce, come se lui non avesse detto niente e gli pare di sentire distintamente una ragazza dire, “Oh, ma piantiamola, volete anche offrirgli un tè?”.
Aggrotta le sopracciglia - non solo perché, una ragazza? Ma dove diamine è finito? - ma anche perché quella voce gli sembra di conoscerla, non come quella di Sam e del tipo, in una maniera molto più recente e concreta.
«Ragazzo?» ripete la voce ed è strano come non ha alcuna voglia di correggerlo, di dirgli di piantarla di chiamarlo così e che se lo fanno uscire da lì ora lui ci sarebbe andato leggero con loro.
Non ha davvero la forza di discutere e, improvvisamente, ha voglia di mangiare. Giusto perché non ha davvero nient’altro da fare.
«Patatine e cheeseburger, come mi andrebbe un cheeseburger. E portami della torta, davvero, ucciderei per una torta - e no, non in senso metaforico,» esclama improvvisamente, avanzando verso la porta. «Hai sentito, Yoghi?»
Dall’altro lato sente dei rumori strani, sedie che si spostano e una risata. Non una risata divertita, più ironica e “no, dai, mi state prendendo in giro?” e lui non può fare altro che arcuare un sopracciglio.
«Ok, ragazzo,» dice il tipo, e lui decide che è davvero troppo stanco ed annoiato per mettersi a ragionare su degli umani. Certo, il fatto che non abbia la minima idea di chi sia la donna non l’aiuta a rilassarsi.
Fino ad ora ha in mente solo Sam e Yoghi, la ragazza è una totale incognita e questo non fa bene alla sua mente. Cercare di costruire visi dal nulla non è così divertente come si possa pensare.
È a questo punto che si rende conto di non avere mai visto il viso di questo corpo. Si guarda intorno cercando uno specchio, data l’assenza di finestre. Questo è davvero fastidioso: essere un demone non vuol dire che lui debba amare per forza il buio e la luce della lampada è… non sa spiegarlo, ma non gli piace.
Si allontana dalla porta per avanzare verso l’armadio. Le ante cigolano leggermente quando le apre e - davvero poco sorprendentemente - non vede alcun vestito appeso alle grucce.
C’è uno specchio però, impolverato e opaco, ma c’è.
Si guarda un po' in giro, fino a rendersi conto che non c’è davvero nulla con cui potrebbe ripulire la superficie vetrata, e quindi soffia. Non che sia stata una delle sue più grandi idee, la polvere gli va negli occhi e lui tossisce rumorosamente.
Quando apre gli occhi, però, rimane un attimo fermo.
La figura davanti a lui ha gli occhi verdi, i capelli corti e le labbra carnose. Ha una carnagione esageratamente pallida - ma probabilmente questo è dovuto a ben altre ragioni che problemi di carnagione.
Rimane un attimo fermo a fissarlo - a fissarsi - e sbatte le palpebre. Ciao, Dean,
Si tocca una guancia, fino a sfiorare le orecchie . Quando i suoi occhi diventano neri, è come se qualcuno gli dia un pugno in faccia. È così sbagliato, così sbagliato.
Il suo intero corpo si contorce dal fastidio, ma lui non li fa andare via. Continua a guardarsi, a studiarsi, fino a lasciare che un leggero ghigno gli riempia la faccia.
Quando bussano alla porta non è ancora pronto a girarsi, ma è Sam ad avergli portato il cibo e non sa bene per qualche ragione non gli va di farlo aspettare.
Fa sparire gli occhi e si guarda un’ultima volta.
«Dean, ehi… che succede?» esclama Sam dall’altra parte e lui ghigna. Dean ghigna.
È strano, ma lui può assolutamente essere questo Dean Winchester; lo è già.
«Nah, nulla Sammy,» dice, ed è una cosa naturale - è come se l’avesse sempre detto. Ma dall’altra parte non sente più alcun rumore.
Ghigna, perché ha la consapevolezza di aver toccato qualche tasto importante e non gl’importa.
«Ti ho… il pranzo,» balbetta Sam, prima di aprire la porta.
Dean non ha che una minima visione della stanza che c’è dietro la porta e di alcuni capelli biondi prima che la porta si chiuda di nuovo.
Il piatto con il cibo è davanti alla porta e mentre lo guarda scrolla le spalle.
Sì, lui è già Dean Winchester.
*
Paradossalmente Dean era stato maggiormente cosciente di quando se ne erano andati i colori, o gli odori, di quando se ne era andato il tatto.
La sua pelle non bruciava più, non ricordava cosa volesse dire sentire del calore umano, non ricordava nemmeno cosa fosse il calore umano. Ma lì, tra le fiamme dell’inferno, era stata davvero la cosa che aveva dato via più volentieri.
Era così tanto più facile non sentire.
*
Dopo che ha accettato di essere Dean, o comunque di poterlo essere senza troppi intoppi, non è che la sua situazione sia cambiata molto.
È ancora chiuso in una stanza di quattro metri quadrati e non sa ancora bene cosa ne vogliano fare di lui, ma è come se la consapevolezza di essere qualcuno lo renda più tranquillo.
Il piatto del cibo che gli hanno portato giace sul pavimento mentre lui, sdraiato sul letto, guarda il soffitto annoiato.
È per questo che, quando si apre la porta, è pronto a buttarsi ai piedi di chiunque stia entrando. Davvero, anche se volesse ucciderlo, lui lo amerebbe comunque.
Quando, dunque, vede che è la ragazza ad avere appena messo piede nella stanza si stupisce un poco. Ha i capelli lunghi e biondi e tiene le labbra serrate. È infastidita - ormai sta rinunciando a capire come mai è così bravo a capire tutti là dentro. Ed è un demone, cosa che lo manda assolutamente in confusione.
«Spero tu abbia gradito il pasto, le patatine fritte sono eccezionali,» biascica lei chiudendosi la porta alle spalle. Dean la guarda con curiosità e lascia che un ghigno rilassato gli increspi le labbra.
«Già, dolcezza, anche se per cena ne preferirei un po' di più,» dice, allungando le braccia e mettendosi a sedere. «Insomma, se avete intenzione di annoiarmi a morte per poi mangiare il mio cadavere almeno rendetemi grasso prima.»
La ragazza lo guarda per qualche secondo prima di parlare; ha un sopracciglio inarcato e sembra alquanto… stupefatta.
«Sei… così uguale,» mormora, prima di sospirare e attraversare lentamente la stanza. Dean la guarda curioso - è indecisa e nervosa, gli suggerisce la sua mente e lui ama rendere le persone nervose. Non ha capito molto di questo Dean Winchester, ma sta cominciando a sentirsi a suo agio dentro la sua pelle, dentro il suo corpo, quindi decide di giocare un poco, di provare ad immedesimarsi in lui.
«Anche lui era il ritratto della perfezione?» ghigna, e lei ritorna a fissarlo.
Tutto questo interesse che suscita non gli da fastidio, davvero. Gli piace essere guardato.
«Cosa ricordi dell’inferno?» sussurra e Dean non è nemmeno certo che l’abbia detto. La guarda leggermente disorientato e non ghigna nemmeno mentre risponde.
Si rende conto di aver ghignato in maniera esagerata da quando è lì, ma lo trova oscenamente divertente: sembra sempre mandare tutti in bestia.
«Perché me lo chiedi? Tu dovresti saperlo tanto quanto me,» biascica e continua a guardarla negli occhi. È strano guardare gli occhi della ragazza diventare neri - certo, riesce a vedere qual è il suo vero aspetto, ma questo non significa che non riesce a vedere anche oltre. Quando lei non risponde - continuando a guardarlo in questa maniera fastidiosa - lui scuote le spalle.
«Quindi, sei una sottospecie di spia o ci hai davvero traditi per aiutare degli esseri umani?» chiede, giusto per sapere con chi ha a che fare. «Oh, sono sicuro che ti trattano benissimo. Ti spazzolano i capelli, ti portano fuori per la passeggiata e ti danno dei biscottini in più se ti comporti bene. Ti lanciano anche la pallina a volte?»
Passano alcuni secondi in cui lei non sembra nemmeno accorgersi che lui abbia parlato, né che le abbia dato del cane, poi la sua bocca si piega in un’espressione beffarda.
«Oh sì, invece Lilith vi rispetta, vero?» sputa fuori, guardandolo dritto negli occhi. «Scommetto che lei vi compra anche gli ossi di gomma.» Dean risponderebbe a tono, se solo avesse una minima idea di cosa questa stia dicendo.
«Lilith?» ripete, ed è stupido come questo nome - che non ha mai sentito - gli provochi fitte di rabbia in tutto il corpo.
La ragazza alza gli occhi al cielo. «Lilith, la vostra demoniaca padrona o come la chiamate.»
Dean continua a guardarla come a voler dire 'Non ho la minima idea di cosa tu stia dicendo: quindi sì, penso che tu sia pazza'.
E lei aggrotta le sopracciglia. «Non sai davvero chi…»
«Per quanto ne so potresti parlare anche di un clown da circo,» dice Dean, continuando a guardarla e registrando tutti i cambi di espressione del suo viso.
Passa dall’incredulità, alla rabbia, al fastidio per tornare alla rabbia e poi di nuovo all’incredulità; come se non sapesse davvero se credergli o meno.
«Se mi stai prendendo in giro…» mormora e Dean sbuffa.
«Lo so, i demoni mentono, lo sanno tutti. Ma anche tu sei un demone, tesoro, e non è che prendervi per il culo sia il mio maggior pensiero ora come ora. Ci sono cose più importanti a cui dedicarsi,» dice, alzando gli occhi verso il soffitto, «per dire, lo sapevi che ci sono ventisette macchie qui sopra?»
La ragazza continua a squadrarlo.È abbastanza divertente vedere l’irritazione sulla sua faccia: gli fa venire voglia di stappare un po' di birra ed ubriacarsi.
Passano alcuni minuti in cui la bionda continua a guardarlo insistentemente. Lo fa sentire leggermente a disagio e guardare il soffitto non è così interessante mentre qualcuno guarda te.
Quindi, pur di spezzare il silenzio, riporta l’attenzione sulla ragazza. E cerca di venire fuori con una qualsiasi frase.
Il che lo porta a sentire la sua voce mentre chiede alla ragazza: «Qual è il tuo nome?»
E, seriamente, quale sarà il prossimo passo? Chiederle di prendere un tè assieme e giocare agli amiconi?
Ma ti prego.
Comunque sia lei ignora completamente la sua domanda, cosa che lo fa andare letteralmente in bestia. È quasi sul punto di urlarle contro, e di ingaggiare una bellissima lotta che sarà ricordata nella storia, quando lei si appoggia al muro e chiude gli occhi.
La sua voce non ha nessuna emozione. «È come se tu fossi… a metà.»
Dean la guarda come se fosse pazza, ma lei sembra assolutamente certa di quello che dice. Come se il fatto che lui non ci arrivi dimostri quanto sia stupido.
«Oh, salve, qui persona sana di mente,» dice, agitando una mano come a cercare di attirare la sua attenzione.
La ragazza riapre gli occhi e lo guarda fisso.
«Non sei completamente uno di… noi,» mormora, dando una nota strana al “noi”, prima di staccarsi dal muro e dirigersi verso la porta e Dean rimane a fissarla con la bocca spalancata.
«No, cioè, te ne vai così? Questo non è il fine primo tempo di uno squallido film del cavolo. Spiegami di che diamine stavi parlando, Obi-wan Kenobi!» urla, sentendo il sangue salirgli al viso.
Lei si limita a bussare due volte alla porta e quando questa si spalanca - mentre Sam rompe la linea di sale cautamente - si volta verso di lui.
«È Ruby, comunque,» dice, ghignando. E il tempo che Dean ci mette a capire di cosa parla lei è già uscita e il sale è di nuovo al suo posto.
*
Le voci erano sparite a poco a poco, Dean ne era stato consapevole fino all’ultimo. La voce di suo padre che gli diceva che era fiero di lui, la voce di tutte quelle donne, la voce di sua madre mentre gli diceva che gli angeli vegliavano sopra di lui. La voce di Sam mentre gli diceva che lo sarebbe andato a prendere.
Le ultime voci ad andarsene erano state le urla delle anime dannate.
Poi erano rimasti solo Dean e una serie di immagini senza colori e suoni.
*
Dean non ama contare, ma non è che abbia comunque molto da fare là dentro, quindi sa che il primo urlo è stato esattamente dopo cinque minuti e quattro mississipi secondi dopo che la puttana - o Giuda, o Ruby, o in qualsiasi modo la si voglia chiamare - è uscita dalla stanza.
La voce di Sam è riecheggiata forte e decisa e Dean, che non era così ansioso di ascoltare le loro discussioni emo e depresse, non aveva proprio potuto fare a meno di ascoltare.
«Tu sei pazzo! Noi non lo diremo a nessuno!»
«Figliolo, capisco quello che… ma non possiamo affrontare questa cosa da soli.» Ora è Yoghi a parlare. E, quando anche la voce di Ruby si unisce a quelle degli altri due, Dean si dice che probabilmente ci sarà da divertirsi.
«Sono d’accordo con il fratello perfetto qui. Non si può, non possiamo permettercelo.» La sua voce è squillante, e Dean se la immagina in piedi con i pugni su un tavolo - ma la sua mente gli proietta anche immagini di Sam e Yoghi in giacca e cravatta quindi non è che sia molto attendibile.
Non ha comunque tempo di pensare ad altro perché Yoghi parla di nuovo, la sua voce più roca e più stanca.
«Credete che non lo sappia? Ma non possiamo gestirlo. Un demone?» urla. «Un demone possiamo tenerlo a bada, ma un semi-demone o qualunque diavoleria ora è Dean?» Dean non sa se essere felice di poter finalmente capire cosa diamine sta succedendo o essere offeso perché, beh, che diamine vorrebbe dire semi-demone? «Non sappiamo di cosa sia capace, non sappiamo quali siano i suoi punti deboli. Per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere immune al sale e divertirsi a farci andare in bestia!»
Dean rotea gli occhi istantaneamente: magari fosse stato così, non sarebbe rimasto lì dentro un minuto in più. Però sì, si divertiva a farli uscire fuori di testa.
«Non m’importa, Bobby. Non m’importa. È Dean, ok? È Dean, cazzo. Tutto il resto può andare a quel paese.» La voce di Sam è rotta e una parte di lui pensa che stia per piangere, mentre l’altra parte - quella che sembrava sempre sapere tutto - era assolutamente convinta che gli occhi di Sam fossero più scuri del normale e che la sua bocca fosse contratta per il fastidio.
«Figliolo… tu lo sai cosa significa Dean per me, è come un figlio… è…» Dean è sicuro che sta per dire qualcos’altro, qualcosa di decisamente melenso e orrendamente dolce, quando Sam lo blocca.
La sua voce è stanca, ancora più di prima. «E allora fa qualcosa per salvarlo, cazzo.»
Dean sente solo un rumore di sedie che vengono spostate, ma nessun passo. Probabilmente si sono solamente seduti ed è allora che Ruby parla.
Nonostante non stia urlando Dean riesce a sentirla comunque, il che prova quanto essere un demone sia decisamente meglio.
«In realtà… credo che questo giochi a nostro favore. Non so se capite, ma Dean non è completamente un demone, è…»
Prima che possa finalmente dire qualcosa di utile viene fermata dal panzone - che Dean decisamente odia.
«Anche questo, come fai a esserne così sicura? E credi davvero che possiamo crederti?» chiede e dopo questa domanda seguono alcuni secondi di silenzio.
«Se non fosse che a volte hai una qualche utilità saresti già morto.» Ruby parla piano, Dean fa fatica a cogliere le parole, ma il tono omicida che usa ne vale la pena. «Non sto mentendo, non avrebbe senso. Vi ho aiutato a riportarlo indietro, Lilith probabilmente vorrà la mia testa ora e, in ogni caso, è il suo aspetto, è diverso. Non così tanto da essere evidente, ma lo è.»
Lo dice con calma e Dean aggrotta le sopracciglia.
«Diverso?» la voce di Sam è incerta e tremolante.
«Non è una cosa che si può spiegare, non a chi non ha mai visto un demone, ma sì, ha qualcosa di… non demoniaco,» risponde Ruby. Poi cala il silenzio.
Dean vorrebbe saperne di più, capire cosa diamine vuol dire, ma quando capisce che nessuno dirà più nulla sbuffa e il silenzio gli sembra insostenibile.
«Se avete finito di urlare, di là,» urla, «che ne dite di portarmi delle patatine?»
*
L’ultima cosa erano state le immagini. Il volto di suo padre, il sorriso di sua madre, l’Impala e il luccichio del suo parabrezza.
Sam e ogni singolo momento passato assieme.
C’era solo il buio e una parte di lui che doveva aspettare Sam. Anche se lui non sapeva chi fosse Sam.
Né chi fosse lui stesso.
*
Part2»