Et voilà. Ho finito, promesso.

Apr 21, 2010 04:46

E con questa concludo la mia esplosione ritardata di porn. Spero che la zebra vi abbia intrattenuto a dovere, ma quello è quasi certo, visto che è una maledetta porca. Ehm, ritroviamo la serietà...
Grazie per la pazienza. Non credo che posterò altro per un bel pezzo, quindi spero che questa cosina vi lasci un buon ricordo. :)

Titolo: A friend in need
Fandom: RPS Johnny Weir
Pairing Johnny Weir/Stéphane Lambiel (past Johnny Weir/Paris Childers)
Rating: NC17
Word Count: 5450
Avvertimenti: Sesso consolatorio e uomini piangenti. Che angst...
Disclaimer: Stéphane e Johnny sono solo buoni amici. Idem dicasi per Johnny e Paris. Quindi è tutto frutto della mia mente malata e della slutness di Stéphane.
Note: Ambientata durante la Festa on Ice del 2009. Johnny era stato mollato da Paris (nella mia testa, ma anche un po' sul serio) da circa una settimana e non credo fosse il massimo dello splendore. Ciononostante la buona zebra samaritana Lambiel si è sforzato di farselo fino allo sfinimento in quei pochi giorni. Solo per tirarlo su di morale, ne sono certa.
Ringrazio framianne per l'occhiata alle cazzate che ho disseminato e le mie due amykette perchè aspettavano da tanto tempo questa fic. Grazie per l'apprezzamento indefesso a tutte e tre. ♥


A FRIEND IN NEED

Lo vede da lontano che qualcosa non va. Be’, forse da lontano è dire un po’ troppo, ma è evidente già da una decina di metri di distanza, per chi lo conosce bene, che Johnny non è del tutto in sé. Manca la scintilla che lo rende differente da qualsiasi altro atleta Stéphane abbia mai incrociato sul ghiaccio, la scioltezza nella camminata, persino un po’ della stravaganza sfacciata nei suoi modi. Eppure quando lo incrocia e si ferma a salutarlo Johnny si toglie gli occhiali da sole con i soliti modi affettati e gli rivolge un’occhiata provocante che cancella, per il momento, ogni dubbio sul suo stato di salute.
“Ça va ?” domanda, sfoggiando quel po’ di francese che si vanta, non del tutto a ragione, di sapere.
“Bien,” risponde Stéphane, reggendogli il gioco e rivolgendogli un sorriso aperto. “E tu?”
Johnny scrolla le spalle.
“Questi spostamenti mi ammazzano,” sbuffa. “Sopravviverò…” annuncia serafico, rinforcando gli occhiali.
Stéphane ridacchia, annuendo. Sa bene quanto tutti i voli intercontinentali e i lunghi trasferimenti in pullman possano incidere sul fisico e l’umore; tuttavia non si lascia incantare dalla messa in scena. Bel tentativo, comunque, lo deve ammettere.
“Stasera mangi con noi?” gli domanda, mentre l’altro raccoglie le valigie - pesantissime senza alcun dubbio, perché Johnny pare portarsi dietro casa, quando viaggia - per avviarsi alla propria stanza.
“Eh?”
Stéphane ride. Sa che il concetto di cibo è un po’ inviso a Johnny, ma la stagione di gara è finita, in fondo, quindi gli basterà dargli un po’ di tempo per processare l’informazione.
“Cena,” ribadisce, ironico.
“Ma sì, certo,” annuisce infatti Johnny. “A che ora andate?”
“Noi stiamo andando ora…”
“Oddio, no. Mi devo fare una doccia o muoio. Vi raggiungo più tardi?”
Stéphane sorride e gli fa l’occhiolino.
“Ok, ma non sparire,” gli raccomanda scherzoso, non senza buttare nel tono il pizzico di malizia che con Johnny non trattiene quasi mai.
Lui ridacchia e si allontana a testa alta, e Stéphane ha la netta sensazione che nell’aria ci sia una ventata di sesso improvvisa.

“Mi inviti a entrare o devo venirti a bussare alla porta tra una mezz’ora?” domanda Stéphane con voce languida, incrociando le braccia nel mezzo del corridoio dell’hotel.
Johnny ondeggia, sorridendo lezioso dallo stipite della porta della sua camera. Ha bevuto un po’ troppo rispetto a ciò che ha mangiato e Stéphane ha imparato con gli anni che questo stato, a metà tra il sobrio e l’alticcio, è quello che più gli dona e che più l’attrae. Non che Johnny al naturale non sia spumeggiante e brillante al punto giusto, ma un pizzico di alcool gli dà una mollezza e una malleabilità che stimola gli istinti di Stéphane. Di solito utilizzerebbe questo fianco scoperto per infilarglisi tra le lenzuola - non che sia difficile di per sé, con Johnny - ma questa sera, in seguito alla cena, o meglio al dopocena, durante il quale ha avuto modo di osservare a lungo i suoi occhi tristi - verdi e bellissimi, ma in fondo terribilmente tristi - Stéphane ha altre mire. Sente che c’è qualcosa che non va, in lui, qualcosa di incrinato e che, per quanto si sforzi di nasconderlo dietro al paravento della diva, non fa che riemergere nei momenti più disparati: quando è solo, quando sta aspettando che gli portino un cocktail, quando la conversazione langue e la sua mente si perde lontano. Per quanto siano stati giovani amanti, in età ancora acerba, e non si siano fatti mancare qualche rimpatriata, negli anni, Stéphane e Johnny sono prima di tutto amici. Sente quindi come un dovere gradito quello di indagare la malinconia di Johnny e di tentare, per quanto gli sia possibile, di distrarlo. Se poi lo svago volgerà al letto… Be’, non potrà che esserne contento.
“Se lo proponi mi tenti,” mugugna Johnny, ostentando più voglia di giocare al gatto e al topo di quanta in realtà ne debba avere. “Lo sai che mi piace farmi pregare.”
“Allora entro e faccio come se fosse camera mia?” propone Stéphane, facendo già un passo in avanti.
Johnny si scosta dall’ingresso, lasciandolo passare.
“Oui, monsieur,” risponde scherzoso, seguendolo poi all’interno e chiudendo a chiave la porta dietro di sé.
Stéphane si volta a guardarlo e gli sorride, poi gli tende una mano. Johnny l’accetta volentieri e si lascia guidare in una piroetta molto elegante prima di lasciarsi cadere con grazia sul letto. Stéphane si siede sul fondo, restando a osservarlo mentre l’altro si toglie le scarpe e si mette in posa, voltandosi su un fianco.
“Ho sentito che non hai passato un bel periodo,” dice poi Stèphane. Introdurre argomenti seri non è sempre facile, in queste situazioni, ma da qualche parte deve pur iniziare. “Ho visto i nazionali.”
Johnny sospira tragico.
“Che brutta pagina della mia vita…” si lamenta, osservandosi le unghie perfettamente curate di una mano. Sul pollice spicca una buffa rappresentazione della bandiera coreana: uno di quegli slanci d’amore per i Paesi che li accolgono che solo Johnny potrebbe sfoggiare con tanta grazia e naturalezza.
“Ho letto che eri stato male. Avresti dovuto ritirarti dalla gara. Ti avrebbero mandato lo stesso…”
“…ai mondiali. Lo so, me l’hanno detto tutti. Semplicemente… Non sarebbe stato da me. Non sono così, io. E poi non era detto…”
Johnny lo fissa con un’intensità tale, nel pronunciare queste parole, che a Stéphane pare quasi voglia convincerlo. Annuisce, dunque, e Johnny sembra soddisfatto, perché gli rivolge un sorrisino teso ma amichevole.
“Dicevano anche che hai pensato di lasciare per sempre,” continua Stéphane.
Johnny si scurisce in volto per un attimo.
“Sì. Be’, tu lo dovresti sapere meglio di chiunque altro com’è quando il solo pensiero di alzarti al mattino e tornare sul ghiaccio ti fa venire la nausea.” Stéphane annuisce, silenzioso, lasciandolo continuare. “Sono stato tentato di mandare tutti al diavolo e ricominciare a farmi una vita. Ma non è facile. E poi così… Sarebbe stato troppo deprimente.” Ridacchia nervoso. “Ero messo veramente male. Però no, non potevo farmi questo. Avrei vissuto tutta la vita rimpiangendo quel momento di debolezza.” Solleva il mento, concludendo “Sono diventato molto più forte, sai?”
Stéphane sorride radioso.
“E di questo siamo molto contenti. Sarebbe stata una perdita terribile per tutti.”
Johnny si scioglie un po’ a quelle parole. La sua espressione si addolcisce, le labbra si stendono.
“Quindi adesso è tutto passato?” chiede Stéphane.
“Credo di sì. L’unica cosa che voglio è rimettermi in forma per l’anno prossimo. Saranno le mie ultime Olimpiadi, non posso perdermele.” Fissa lo sguardo sulle coperte morbide e tira con aria concentrata un angolo di tessuto, ma la sua mente sembra assente per un attimo. Poi torna vitale: l’espressione si fa di nuovo maliziosa e Johnny guarda Stéphane di sottecchi, dandogli un paio di calcetti nel sedere col piede nudo. “Perché tutte queste domande? Da quando sei così curioso?”
Stéphane scrolla le spalle.
“Nessun motivo in particolare. Mi chiedevo solamente come mai fossi così giù di morale. Ma visto che non è per il pattinaggio dev’essere qualcos’altro.”
Il sorriso sul volto di Johnny si gela, trasformandosi quasi in un’espressione dolorosa. È questione di un istante, poi lo sconcerto scompare, lasciando il posto a un’esagerata dimostrazione di allegria.
“Non so di cosa tu stia parlando,” annuncia candido, sventolando una mano a mezz’aria. “Non mi trovi scintillante?” domanda poi retorico, inarcando vezzosamente un sopracciglio.
Stéphane lo scruta per un paio di secondi.
“No, non direi proprio,” replica quindi, crudelmente sincero. “Non che tu non sia in grande forma, ma la versione scintillante che ho visto io era tutta un’altra cosa.”
Sa di esserci andato pesante, di aver forzato la mano un po’ troppo. Johnny non prende bene questo genere di cose. È probabile che finisca per sbatterlo fuori dalla camera e che gli tenga il muso per il resto della Festa On Ice; eppure c’è anche la vaga possibilità che le sue attenzioni scuotano le fondamenta ben radicate della diva e ne facciano crollare la facciata.
La sensazione è esattamente quella, nel momento in cui il sorriso di Johnny scompare completamente dal suo volto e lui sospira e si lascia rotolare di schiena sul letto, di colpo spossato, lo sguardo perso sul soffitto.
“Mi ha mollato,” mormora, così piano che la sua voce è a malapena udibile nonostante il silenzio che li attornia.
Stéphane si irrigidisce e si ritrova ad osservare inerme gli occhi di Johnny farsi lucidi, mentre lui si morde le labbra furiosamente per trattenersi dal piangere. Vorrebbe quasi complimentarsi con Johnny per la calma e la disinvoltura con cui ha nascosto tutto quel malessere per tante ore, di fronte ad amici, giornalisti e curiosi: scoppiare a piangere al minimo accenno della questione è un pessimo segno e solo ora Stéphane si accorge di quanto Johnny deve stare male.
“Chi?” sussurra, ancora stordito dalla rivelazione e per questo incapace di frenarsi.
“Paris,” risponde Johnny con voce roca, mentre una lacrima si fa strada, suo malgrado, lungo la sua guancia. Se la asciuga velocemente, ma due dita non bastano a bloccare il tremolio che gli ostacola il respiro e quando sbatte di nuovo le palpebre altre due gocce limpide traboccano dall’angolo dei suoi occhi verdi.
Nella mente di Stéphane l’informazione si fissa immediatamente al ricordo di un volto. Gli torna davanti agli occhi l’immagine di Paris, quel tizio bruttino che vive con Johnny e che è stato la sua ombra, più o meno silenziosa e discreta ma più o meno costante, negli ultimi tre anni, da quando cioè la sua storia con Drew è finita; gli torna in mente un sorriso timido e un’occhiata furtiva durante una cena, quando ancora vivevano tutti in New Jersey. Ai tempi Johnny ha giurato e spergiurato che Paris fosse solo il suo migliore amico, senza alcuna implicazione, ma Stéphane non se l’è mai bevuta del tutto. Lui e Johnny non possono tenersi in contatto costante, né vedersi con regolarità, ma Stéphane sa ancora distinguere un paio di occhi innamorati, quando li vede. Per questo è tanto più allarmato, ora, trovandolo in quello stato.
“Oh,” mormora soltanto, perché in fondo non c’è molto da dire in questi casi. “Mi spiace.” Deglutisce, perché non sa se sia il caso di indagare oltre, poi si limita a “È una cosa…recente?”
“La settimana scorsa,” sibila Johnny. Tira su col naso, mentre piange quietamente, ormai. “Ti rendi conto? Il giorno prima di venire qui! E lo sapeva, lo sapeva che dovevo partire e non avremmo potuto parlarne e lui cosa fa? Prende tutta la sua roba e se ne va! Va via! Mentre sono qui!” Sussulta e inspira una boccata d’ossigeno, prima di gemere “Io non capisco perché… Le cose andavano male e va bene, ma non può stare con me lo stesso? Cos’ho fatto per meritarmi…”
Si interrompe di colpo, perché Stéphane si è chinato su di lui e gli ha messo una mano sul fianco. Ora lo fissa serio, intercettando il suo sguardo perché si calmi, perché fermi il fiume di parole e ritrovi un minimo di controllo. Stéphane non conosce i retroscena, ma chiunque molli il proprio compagno in un momento come quello che Johnny sta passando non è altro che un bastardo. Che poi, con tutte le sue mattane, per rinunciare a uno come Johnny ce ne vuole…
Quello intanto si è zittito e ricambia il suo sguardo, mentre continua a piangere silenziosamente. Respira con affanno, attraverso le labbra leggermente dischiuse, e Stéphane quasi si sente in colpa, perché la sua mente non riesce a formulare altro che commenti su quanto sia bello anche in questo stato e quanto in fondo vorrebbe continuare a sentirlo ansimare così, contro il suo orecchio, ma per tutt’altro motivo.
“Laisse tomber,” gli sussurra sottovoce, senza nemmeno pensarci.
“Mi spiace…” biascica lui, leccandosi le labbra nervosamente.
“Sssh…” Stéphane scuote la testa, poi sorride per rincuorarlo. “Non ci pensare ora.”
Johnny corruga la fronte, ma chiude gli occhi e inspira a fondo. Ciò che riesce a regalargli è una triste increspatura di labbra.
“Stéphane…” mormora ed è così dolce e indifeso e violentemente bello che tutto ciò che l’altro può fare è chinarsi su di lui un altro po’ e baciarlo.
Lo avverte distintamente irrigidirsi per un istante, ma non fa in tempo ad interrogarsi sull’eventualità di aver commesso un errore, perché Johnny si scioglie sotto le sue labbra come un cubetto di ghiaccio in mezzo al deserto. Le sue labbra si schiudono e subito la sua lingua va a cercare, o per meglio dire pretende, un contatto più profondo. Stéphane si lascia trascinare nel vortice di quel bacio, nato consolatorio e divenuto istantaneamente di fuoco. Non è stupido: sa cosa sta per succedere ed è perfettamente cosciente che ciò non significa niente di più di un abbraccio di conforto; avverte il modo in cui le mani di Johnny già gli arpionano le spalle, quasi che aggrappandosi a lui possa salvarsi dal ghiaccio sottile della depressione sul quale si destreggia a fatica. Non vi trova nulla di strano: è successo tante volte, in passato, che fosse per sperimentazione, per divertimento, per una cotta che sembrava amore o per amicizia e consolazione. Tante volte è stato Johnny a cavarlo dalla sua piccola buca di dolore, ora sarà Stéphane a ricambiare il favore. Però è eccezionalmente bello sentire che, anche a distanza di tempo, la scintilla attecchisce tra loro con la medesima facilità di allora. È una sintonia naturale, a pelle; Johnny l’ha sempre sostenuto.
La mano sul fianco di Johnny si stringe e le dita scavano nel tessuto della sua maglia, tastando la solidità familiare e rassicurante dei suoi muscoli. Johnny veste corto e attillato: non ci vuole che un attimo a disfarsi di quell’unica, fragile barriera e ad infilarvi sotto le dita, facendole scorrere sulla pelle calda e incredibilmente liscia. Stéphane lo sente gemere contro le sue labbra e poco dopo una gamba si avvinghia con forza alla sua coscia. Le mani di Johnny sembrano essere dappertutto: sui suoi fianchi, tra i suoi capelli, sulla sua schiena; gli afferrano il maglione e glielo strattonano via di dosso senza gentilezza, sbrigativamente, perché la priorità ora è solo avvertire il contatto tra la loro pelle nuda. Stéphane lo lascia fare, gli permette di spogliarlo, ma quando Johnny getta a terra l’indumento e gli afferra la testa per riportare con urgenza la sua bocca sulla propria Stéphane fa resistenza. Si ritrovano a fissarsi di nuovo, occhi negli occhi, e di nuovo Stéphane viene risucchiato da quei pozzi di solitudine ancora umidi. Gli pare di sentirlo gridare, dentro la sua testa. Non ti fermare. Amami, almeno tu, amami.
Con gentile fermezza gli afferra i polsi, uno alla volta, e gli porta le braccia all’indietro, sul cuscino, oltre la testa. Johnny si fa guidare, docile, e Stéphane lo vede tremare leggermente quando con la punta di due dita scivola lungo l’interno del suo avambraccio, nell’incavo del gomito e su per la spalla, fino a toccare di nuovo la pelle della sua guancia, là dove si fa più ruvida perché Johnny non ha mai imparato davvero a farsi la barba. Lo accarezza col pollice, lentamente, poi affonda il viso nel suo collo e lo morde piano. Johnny si inarca sotto di lui e sospira, mentre la lingua di Stéphane percorre la curva della sua spalla, disseminandola di baci. Torna a sprofondare il naso nei suoi capelli, così profumati e morbidi, una volta tanto, perché se non deve posare per le interviste o esibirsi su una pista sono davvero una delle cose più soffici che Stéphane abbia mai accarezzato. Glieli bacia, poi tocca alla sottile mezzaluna di pelle dietro all’orecchio, la conchiglia e il lobo. Scende di nuovo sul collo e sulla gola, sul suo pomo d’Adamo e tuffa la lingua nell’avvallamento sottostante. Solo alla fine di questo pellegrinaggio torna alle sue labbra, sfiorandole brevemente prima di sorridergli e, con un unico movimento sciolto, sfilargli la maglia che ancora indossa. Johnny risponde con un sorriso, per la prima volta senza pensieri o affettazioni da quando hanno varcato la porta della sua stanza, ed è un sollievo vedere che i suoi occhi sono tornati brillanti ma asciutti. È solo una parentesi e non potrà durare, ma Stéphane si sente pervaso da un nuovo calore nel chinarsi a baciarlo.
La mano che si annida tra i suoi capelli è delicata mentre Stéphane succhia piano il labbro di Johnny, lasciandolo con riluttanza solo per spostarsi più giù, a leccare e mordere i suoi capezzoli piccoli e scuri, che spiccano in modo straordinariamente sensuale sulla carnagione appena dorata dall’abbronzatura. È magro ma perfetto, i suoi addominali sono come una pianura compatta e definita per le sue labbra che scorrono lievi, in cerca del piccolo incavo dell’ombelico dove tuffare la lingua. Pochi centimetri più in basso la cerniera dei pantaloni eccessivamente aderenti di Johnny lo attira come il canto di una sirena. Stéphane si attarda sui solchi marcati dei muscoli sui suoi fianchi, ma anche quelli lo conducono inevitabilmente all’unico bottone, sotto il quale scorge uno spicchio degli slip bianchi e neri. Sono assolutamente orribili, peraltro, ma a Stéphane, in questo momento, sembrano la cosa più erotica che abbia mai visto.
Si risolve a slacciargli i pantaloni e Johnny risponde con un sospiro di pura liberazione. Stéphane abbassa l’elastico degli slip con lentezza, la fronte appoggiata contro la sua pancia piatta, il naso affondato nei peli cortissimi del suo pube. È una posizione da cui non si sposterebbe mai, se non fosse che, arrivati a un certo punto, i pantaloni di Johnny smettono di collaborare e restano ancorati alle sue anche con più determinazione di quanta potrebbe mettercene lui stesso tra una ventina di minuti - sempre che riesca a spogliarlo, si intende. Stéphane sospira e infrange a malincuore l’atmosfera sensuale, strattonando malamente gli indumenti riottosi.
Johnny, parecchio più su, dà voce a un mezzo gemito, poi esplode in una risatina scema. Stéphane rialza la testa per godersi la scena, ma non manca di ribadire il punto riservando un nuovo strattone ai pantaloni.
“Come pretendi di togliermeli, se ci stai inginocchiato in mezzo?” lo provoca Johnny, strappandogli un ringhio che somiglia più a una risata. “Lasciami fare…” borbotta quindi, sollevando una gamba con assoluta naturalezza fino a scansarlo e procedendo a districarsi da quell’attraente ma decisamente poco funzionale scatola di sardine.
Stéphane ne approfitta per fare lo stesso, spogliandosi completamente e posizionandosi in ginocchio dietro di lui, cosicché, non appena Johnny pare libero dalle costrizioni e bello come mamma l’ha fatto, Stéphane può prendergli il volto tra le mani e inclinarglielo all’indietro, baciandolo. Johnny gli lecca le labbra, poi il naso e Stéphane ride, ma non smette di baciargli lo zigomo e la guancia, attardandosi a mordicchiare la linea fine della mandibola e tornando a baciargli l’angolo della bocca. Johnny gli avvolge un braccio attorno al collo per attirarlo maggiormente a sé e riuscire a baciarlo profondamente, inarcandosi all’indietro in modo tanto sensuale da far sussultare la sua erezione ormai ben visibile. Stéphane l’avverte sbattere per la contrazione involontaria contro le natiche sode di Johnny, particolare che non fa che infiammare ancor maggiormente la sua eccitazione. Anche Johnny se ne accorge, perché Stéphane avverte le sue labbra tendersi e il suo respiro leggermente accelerato spezzarsi in un accesso di riso trattenuto.
Con un moto di rivalsa, Stéphane allunga una mano verso il basso, allora, andando a cercare l’erezione dell’altro. La avvolge nel proprio pugno, accarezzandolo un paio di volte. Johnny quasi sobbalza, sfuggendo a quello strano abbraccio. Invece finisce per premersi ancor maggiormente contro di lui, abbandonando la testa all’indietro contro la sua spalla e lasciando scoperta la curva del collo, che Stéphane si china a mordere senza forza, tanto da far scorrere i denti sulla pelle senza segnarla. I fianchi di Johnny si muovono in avanti, andando incontro alla sua mano e strappandogli un’altra carezza lenta. Johnny sussurra un gemito contro la sua gola e Stéphane comprende che, se vuole arrivare vivo alla fine della serata, le cose devono accelerare lievemente. Volge quindi la mente a problemi più pratici e per la prima volta da quando ha posato le labbra su quelle di Johnny si ricorda di essere in camera sua - e se ne duole. Per qualche motivo è sempre più facile estrarre il coniglio dal proprio cappello magico, piuttosto che domandare agli altri se hanno assi su per la manica.
“Johnny,” lo chiama piano, senza però allontanare la mano dalla sua erezione. “Ce li hai…?”
La domanda vaga per la stanza per qualche secondo, ignorata; poi Johnny sembra ritornare in sé quanto basta a fare mente locale. L’espressione sul suo volto si oscura all’improvviso.
“Non lo so,” risponde con voce confusa, vagamente mesta. “Non ero molto in me, quando ho fatto la valigia, ed ero con mia madre al telefono. Dio, questo è il discorso più ammosciante che abbia mai fatto… Non posso credere di essere caduto così in basso.”
Fa per scostarsi da Stéphane, ma questi lo prende al volo, avvolgendogli un braccio attorno alla vita per trattenerlo contro di sé.
“Controlla,” gli sussurra all’orecchio, tenendo la voce bassa quanto basta perché suoni sensuale. “Magari in qualche tasca… O nel beauty… Ce n’è sempre qualcuno che sbuca fuori quando meno te l’aspetti.”
Johnny sospira, perché la voce pare fargli effetto, e le carezze sono comunque un ricordo ancora vivido e caldo sul suo corpo.
“Ok…” mormora, muovendosi poi verso la valigia.
Stéphane si sposta con lui, attento a fare in modo che i loro corpi non si scostino mai troppo e riprendendo, anzi, a masturbarlo lentamente. Le mani di Johnny si muovono con una certa inusuale incertezza tra le sue cose e Stéphane ha il legittimo sospetto che le sue attenzioni non lo stiano aiutando. Nelle tasche nulla è stato dimenticato, perché sicuramente Johnny ha provveduto a svuotare per bene la valigia al rientro dall’ultimo viaggio, ma alla fine, tra una crema per le mani e una per i traumi da caduta, ecco spuntare un minuscolo tubetto di lubrificante e addirittura tre preservativi. Stéphane allunga una mano e si serve senza chiedere il permesso, ansioso di tornare a letto.
“È un’eternità che non ho il piacere,” gli sussurra all’orecchio, passandogli con decisione una mano sulla curva perfetta dei glutei. “Stenditi su quel letto e apri le gambe e io giuro, giuro che ti faccio urlare.”
Lo tira per un braccio, tanto per sottolineare il concetto, e Johnny si dimostra ben felice di lasciarsi ricadere sul letto, togliendo di mezzo le coperte e aprendogli le gambe davanti agli occhi, proprio quando Stéphane vi torna a sua volta.
È stato con parecchi uomini, Stéphane, la maggior parte dei quali, per un motivo o per l’altro, pattinatori come lui. È abituato a fisici perfetti e scolpiti dagli allenamenti giornalieri e a membra agili, forti e snodate; lui per primo è in grado di assumere posizioni che il novanta percento della popolazione maschile inorridirebbe all’idea di tentare. Eppure c’è qualcosa, nel modo osceno e provocante in cui Johnny apre le gambe, offrendosi, che lo differenzia da qualsiasi altro uomo con cui sia stato. Forse sono le cosce, o quel sedere così tondo da farlo sembrare quasi una donna, di spalle; Stéphane non lo sa, ma per quanto Johnny non sia l’uomo più bello ed eccitante con cui si sia mai accompagnato quella mossa resta comunque uno dei suoi pezzi forti.
Di fronte a quello spettacolo, dunque, Stéphane non può far altro che prostrarsi e, inginocchiato tra le sue cosce, impadronirsi dell’erezione dell’altro, facendosela scivolare tra le labbra. Johnny ansima piano e alzando lo sguardo Stéphane lo vede portarsi una mano tra i capelli, mentre l’altra scivola verso il basso, sul ventre. Stéphane la intercetta con la propria e non si stupisce quando Johnny la stringe con forza, gemendo subito dopo in risposta alle cure esperte della sua lingua. Stéphane lo rilascia sorridendo, accarezzandolo qualche volta prima di riaccostarvi la bocca e farlo scorrere sulla propria lingua per tutta la lunghezza. Si sofferma sulla punta, succhiandola con dedizione, facendovi aderire le labbra e rilasciandola con un pop che strappa a Johnny una risatina affannosa.
Mentre lo fa scivolare di nuovo nella propria bocca, iniziando a muovere la testa su e giù con regolarità, Stéphane va a recuperare con la mano il tubetto di lubrificante. Aprirlo non è facile, con una mano sola, ma Johnny non pare incline a mollare la presa sull’altra. Stéphane si arrabatta come può - non è solo sul ghiaccio che si resta in piedi con la forza della volontà e dell’esperienza - e si assicura che le sue dita siano ben cosparse e calde prima di farle scivolare tra le sue natiche, percorrendo con l’indice il sentiero diritto che lo conduce all’apertura. Johnny alza la voce e serra la presa sulla mano di Stéphane, quando avverte la punta di un dito farsi strada dentro di sé. È eccitatissimo, tanto che già Stéphane avverte in bocca il suo sapore, e spinge il bacino verso di lui, esigendo di più. Stéphane non si tira indietro, allargandolo e preparandolo fino a che sente le sue dita affondare senza sforzo nella stretta di quei muscoli. Allontana la bocca dalla sua erezione, allora, e sfila le dita con cautela, per non dargli la sensazione di essere abbandonato di colpo.
Johnny apre gli occhi e lo osserva da sotto le ciglia lunghe e nere mentre Stéphane si accarezza velocemente e si infila il preservativo. È bellissimo, ora, con le guance rosse per l’eccitazione e le labbra lucide e gonfie, scarlatte. Una ciocca di capelli gli è caduta sulla fronte e Stéphane allunga una mano per scostargliela, estorcendo alle sue labbra un sorriso rilassato e aperto, di quelli che abbagliano chiunque lo incontri in una giornata positiva. Stéphane si china a baciarlo, lasciandosi assorbire completamente dal profumo penetrante della sua pelle e dal calore della sua bocca fino a che non sente le sue gambe serrarglisi attorno ai fianchi. Allora allunga una mano tra di loro, la fa scivolare sotto il corpo magro di Johnny e, sollevandogli appena il bacino con la facilità con cui sposterebbe una foglia, si spinge dentro di lui.
Si ritrova sospeso in estasi per qualche secondo. I suoi occhi rimangono fissi sul volto di Johnny, ma perdono fuoco, abbagliati dal piacere. I muscoli dei polpacci di Johnny gli premono sulla schiena, mentre Stéphane si muove lentamente indietro, e quando si spinge di nuovo in avanti Johnny inarca il bacino, andandogli incontro con tanto entusiasmo da farlo gemere a gran voce. Stéphane ansima, ritrovandosi completamente affondato dentro di lui, stretto in una morsa che gli azzera la capacità di pensare e gli fa ronzare le orecchie. La cosa più intelligente che riesce a fare è baciarlo, con un trasporto che lo lascia senza fiato, prima di risollevarsi, afferrargli saldamente i fianchi con entrambe le mani e iniziare a muoversi. Johnny gli punta i talloni nelle reni e mugugna qualcosa, quando sente il suo petto allontanarsi, ma non si ribella. Allunga le braccia, però, verso il suo collo, aggrappandovisi con entrambe le mani, e chiude gli occhi, la testa riversa all’indietro.
Stéphane lo guarda incantato. In tutti quegli anni ha imparato che Johnny non riuscirà mai a fare l’attivo, tra le lenzuola, ma di certo non può essere definito uno di quei passivi inermi, che ti lasciano fare senza muovere un dito. Lui è sempre partecipe, sempre sicuro di ciò che vuole e di come prenderselo; raramente se ne sta buono con la schiena schiacciata contro il materasso e non succede mai che non sia lui a guidare il gioco. È uno di quegli uomini che sono una costante sfida ed è questa una delle caratteristiche che più ha fatto perdere la testa a Stéphane, in passato. È stato divertente misurare con lui la propria forza di carattere, sovrastandolo e incalzandolo fino a fargli cedere lo scettro del comando. Eppure mai, in tutto questo tempo, Stéphane se l’è ritrovato tra le braccia così abbandonato, così in balia delle altrui voglie. È lusingante, da un certo punto di vista, perché è certamente un segno di estrema fiducia; tuttavia, per qualche ragione, lo deprime terribilmente.
“Johnny…” lo chiama piano, mollando la presa sui fianchi per chinarsi su di lui.
L’altro apre gli occhi e lo fissa, intensamente. Stéphane resta incantato, quasi immobile se non fosse per il lento dondolare dei fianchi che non riesce a frenare. Poi Johnny allunga il collo e gli bacia le labbra, e le sue mani scorrono giù, lungo il petto di Stéphane, poi dietro, ad accarezzargli le reni. Stéphane chiude gli occhi per qualche secondo, cercando alla cieca la bocca di Johnny per un nuovo bacio, respirando contro le sue labbra umide e dischiuse.
“Scopami,” mormora sulla sua bocca Johnny, così piano che Stéphane pensa di esserselo sognato. “Ste… Ah!”
La voce gli si spezza per una spinta più decisa, che lo fa boccheggiare. Stéphane non rallenta più, ma aumenta anzi la rapidità e la forza dei colpi in modo graduale; resta chino su di lui, i petti che si sfiorano ad ogni movimento, le ginocchia di Johnny strette attorno al suo torso sempre più in alto, contro le costole, e gli preme il viso sul collo sudato, leccandolo e baciandolo e stordendosi dei suoi gemiti sempre più alti fino a che la tensione si spezza di colpo e, finalmente, viene. Si spinge dentro di lui con tutte le sue forze, sussultando incontrollatamente, e lo sente contrarsi attorno a sé, come a volergli impedire di allontanarsi. Stéphane boccheggia contro la tempia sudata di Johnny e la bacia, ma strizzando gli occhi riesce a trovare la lucidità necessaria a sollevarsi un poco, quanto basta a infilare una mano tra di loro e afferrarne l’erezione. Ondeggia ancora i fianchi, sibilando tra i denti, e muove il polso velocemente, fino a che avverte la familiare sensazione dell’orgasmo dell’altro che gli cola tra le dita. Johnny è venuto quasi in silenzio, ma adesso emette un gemito roco, appagato ed esausto, che fa venire a Stéphane la pelle d’oca e gli spreme un’ultima contrazione di piacere.
Stéphane si allunga sul corpo di Johnny, che va facendosi più molle e rilassato a ogni secondo che passa. Fa vagare il naso sulla sua guancia, pigramente, inspirando a fondo in attesa che il cuore smetta di battergli così forte da assordarlo. Scivola via dal corpo di Johnny con naturalezza, quasi, e si sbarazza dei resti di quell’amplesso con pochi gesti meccanici e frettolosi, impaziente di tornare a godersi la quiete. Johnny respira a fondo, perso anche lui in quello stato di semi-incoscienza generato dall’orgasmo. Stéphane osserva le sue palpebre alzarsi e abbassarsi piano, le ciglia sfiorare le guance per poi svelare di nuovo il verde chiaro degli occhi. Sorride tra sé, contento e dimentico di come siano arrivati a tutto questo, di come sia stata l’ombra depressa in quegli stessi occhi ad accendere la miccia. Gli passa una mano sull’addome, una lenta carezza intrisa d’affetto, e Johnny finalmente si volta a guardarlo.
“Se vuoi fermati,” gli sussurra sorridendo. La sua espressione è dolce, intima e rilassata; non ha niente a che fare con il Johnny su di giri ed esaltato che mostra i canini al mondo, ma a parere di Stéphane è molto più bello, così.
“Se me lo dici così non posso dire di no,” scherza Stéphane, passandogli una mano tra i capelli, ridotti a una massa informe.
Johnny tende le labbra in un nuovo sorriso, ma Stéphane la vede: l’ombra che torna ad aleggiare dietro alla facciata, composta da tutti i pensieri e le preoccupazioni che ancora gli martellano in testa e nel cuore e che quell’impennata di euforia è riuscita a scacciare solo per poco. Stéphane lo osserva allungarsi verso il comodino per recuperare e buttar giù due pillole e un bicchiere d’acqua che parevano essere rimasti lì in attesa per tutto quel tempo; poi si arrotola su un lato, dandogli le spalle. Quando gli si fa più vicino, facendo aderire il proprio petto alla sua schiena, Johnny gli si appoggia contro e intreccia le dita con quelle della mano che gli ha buttato mollemente attorno alla vita; tuttavia i suoi occhi rimangono aperti e lo sguardo perso lontano, su un punto che di certo non è lì in quella stanza, ma distante migliaia di chilometri. Stéphane si sente stringere il cuore e rafforza la stretta attorno alla sua vita per reazione.
“Domani alle prove non riuscirai a togliermi gli occhi di dosso,” mormora scherzosamente ai suoi capelli.
Gli pare di sentire gli angoli della sua bocca sollevarsi.
“Ah sì?”
“Se fai il bravo chiedo se ci fanno fare un pezzo in coppia,” continua Stéphane. “Anzi, preparati a provare qualche presa…”
Johnny rimane in silenzio per un istante, poi l’idea gli si materializza nella mente e scoppia in un risolino mal trattenuto.
“Lo sai che io ci sto,” replica, sbadigliando subito dopo, e Stéphane è certo che non si farà sfuggire l’occasione.

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