Il conto alla rovescia è iniziato!

Feb 15, 2010 12:49

I nostri omini affatto effemminati inizieranno a mostrarci le loro grazie sul ghiaccio il 16.
Avevo scritto questa terza fic vagamente p0rnica giorni fa, per il mio personalissimo countdown. Poi, con la quarta puntata del reality e Paris che ha mollato Johnny come farebbe ogni uomo di merda con la propria moglie devota e nevrotica, l'avevo accantonata, perchè non me la sentivo di pubblicarla. Ma whatever, alla fine mi hanno spinto a pubblicarla lo stesso giusto perchè sì ed eccola qui.

Titolo: Delitto e castigo
Fandom: RPS Johnny Weir
Pairing Johnny Weir/Paris Childers
Rating: NC17
Word Count: 2924
Avvertimenti: Sesso in potenza, uomini travestiti in modo vario e con accessori da donne, ghei all'ennesima potenza. Accenni a rapporti non sanissimi col cibo (ma i protagonisti non ne sono coscienti, è tutta una mia impressione).
Disclaimer: Paris e Johnny sono solo migliori amici. Quindi è tutto frutto della mia mente malata.
Note: Questa storia si riferisce sempre al periodo in cui Johnny e Paris vivevano assieme. Ahimè, i bei tempi andati... Inoltre è molto poco vagamente ispirata a questa foto. Eh, già...
Ancora una volta vi prego di leggere ogni singola battuta pronunciata da questi due con la giusta intonazione, cioè come se a parlare fosse Paris Hilton in persona, però più femmina. Vorrei anche dichiarare Patti Weir, la mamma di Johnny, santa subito, perchè sicuramente le sarà capitato qualcosa del genere e sicuramente odia Paris, ma non gli ha ancora dato fuoco (nè ha dato fuoco a suo figlio, e per questo la amiamo).
Ringrazio come sempre framianne per la beta (o dovrei dire le numerose beta?) e la foca e le mie due amykette perchè sì. Loro apprezzano. ♥


DELITTO E CASTIGO

Quando Johnny rientra e sente il chiacchiericcio indistinto del televisore sorride tra sé, perché significa che Paris è a casa e ha il sapore dolce della domesticità. È ingenuo, probabilmente, perché dovrebbe sapere che è un po’ troppo presto perché Paris sia già tornato, e se non è a un aperitivo mondano con una delle sue amiche qualche catastrofe naturale deve averne scombinato i piani. Infatti, varcata la soglia della cucina, ecco Paris arrotolato sul divano, perso in qualche reality mentre succhia assorto un cucchiaio di gelato. Che sta mangiando direttamente dal cestello.
Johnny avverte un brivido di orrore misto a odio profondo a quella vista. Paris può comprare ciò che vuole per se stesso, anche ciò che Johnny non può mangiare perché assolutamente bandito dalla sua dieta ferrea, e a Johnny è parsa una concessione straordinariamente magnanima, da parte sua. Ci sono cose che gli permette persino di mangiare in sua presenza, nonostante gli siano invise come veleno, perché non ne sente neanche particolarmente la mancanza. Altre cose, però, rappresentano una tentazione costante, e una di queste è il gelato. Se ne permette anche una pallina ogni tanto, quando stacca dagli allenamenti a fine stagione, ma di norma la sua linea gli impone di evitare i dolci e Paris lo sa bene. Come sa bene quanto abbia voglia di gelato, in quel periodo.
“Ma che fai?” gli domanda, poggiando il borsone per terra con un sospiro esausto. Gli fa male tutto. “Il gelato a cucchiaiate… Ti pare il caso?”
“Lasciami perdere che sono nero!” sbotta Paris, intingendo nuovamente il cucchiaio nel cestello.
“Non dovevi uscire con…”
“Appunto!” lo interrompe Paris prima ancora che riesca a finire la frase, sbattendo il gelato sul tavolino. “Quella stronza mi ha bidonato e non contenta quando le ho telefonato per spiegarle che poteva anche chiamarmi prima, invece di farmi saltare la serata, mi ha anche tirato una paranoia da isterica di mezz’ora. E adesso domani farà l’incazzata, lei, e se si aspetta che io vada a implorarla per farmi accompagnare a Soho si sbaglia di grosso. Piuttosto sto a casa, guarda.” Con queste ultime parole riacciuffa il gelato e ne estrae una cucchiaiata piena, cacciandosela in bocca.
Johnny chiude gli occhi, si impone di stare calmo e si sforza di sorridere.
“Le sarà saltato anche questo mese,” fornisce come giustificazione, sperando di liquidare la questione con quella metaforica pacca sulla spalla.
“Quanto mi fa uscire di testa… Non te lo posso neanche spiegare…” mugugna Paris, riportando l’attenzione sul televisore. Poi si blocca, guarda il gelato e di nuovo Johnny. “Vuoi un po’?” chiede, tendendogli generoso una punta di quella che sembra crema con le arachidi.
Johnny, semplicemente, inorridisce.
“Ma sei scemo?” sbotta, allontanandosi di un passo, come se Paris avesse appena sventolato una treccia d’aglio sotto il naso di un vampiro.
L’altro solleva un sopracciglio, ritirando l’offerta.
“Scusa, non ci pensavo che non puoi…” borbotta lamentoso, rifugiandosi nell’ennesima cucchiaiata di zuccheri di conforto. “Non ti ammazza mica, eh.”
Johnny raccoglie il borsone e infila la porta della camera da letto senza dire una parola. Nella sua mente, al momento, si affollano solo ingiurie e non ha la forza fisica di dar loro voce. Tuttavia Paris non può passarla liscia. Farsi trovare a casa con del gelato e offrirgliene è decisamente troppo, per i suoi standard. Mentre lascia cadere i vestiti tutt’attorno e si infila in bagno per una doccia veloce, la sua mente rimugina frenetica la giusta punizione.
Mezz’ora più tardi, quando risbuca in salotto, quasi si scontra con Paris sulla porta.
“Io vado a dormire,” annuncia questi, all’apparenza più morto che vivo.
“Non mangi?”
“Non ho fame. E poi mi viene da vomitare…” mugugna Paris, scomparendo in camera da letto.
Per forza, pensa Johnny, se ti trangugi mezzo chilo di gelato… Non lo dice, però, ma si limita a prepararsi qualcosa di veloce. Ha già un barlume di idea che gli frulla in mente.

La luce è spenta nella camera da letto, ma c’è un bagliore nella cabina armadio e in quel chiarore soffuso Paris riesce a distinguere la stoffa chiara che gli stringe i polsi. Quella sul polso destro dev’essere la sua maglietta di Britney Spears, e Paris mormora un mezzo insulto sottovoce perché è proprio da Johnny trattare così le sue cose per ripicca. Ha sempre odiato quella maglietta e non ne ha mai fatto un segreto. Si contorce, tirando più che può, cercando di far sgusciar via le mani dai nodi che gliele costringono sopra la testa, ma Johnny sa come legarlo, quando vuole, e dovrà aspettare che gli giri di liberarlo.
“Nicky?” lo chiama, cercando di infondere speranza e gentilezza nella propria voce e di esorcizzare il tono stizzito che sente nascergli in gola. Il risultato non è granché soddisfacente, ma dall’altra stanzetta proviene qualche rumore; infine una figura si staglia controluce e Paris inspira a fondo, roteando gli occhi ma avvertendo, al contempo, l’eccitazione fluirgli al basso ventre. Odia non resistere ai giochetti di Johnny.
“Allora, ti sei svegliato?” domanda l’ombra slanciata ferma sulla porta della cabina armadio. “Stai comodo?”
“Una meraviglia…” replica Paris sarcastico, strattonando i polsi ancora un po’, per il gusto della scena. “Se hai finito la pagliacciata mi liberi?”
“Ma se ho appena cominciato…” sussurra Johnny, facendo ora qualche passo nella sua direzione, e Paris si accorge che c’è un che di strano nella sua andatura, e che tiene in mano qualcosa, ma così, controluce, è praticamente impossibile capire di cosa si tratti. Poi Johnny accende la luce nella stanza e a Paris manca il fiato.
“Oddio!” esclama, abbagliato e sbigottito, sgranando gli occhi.
Ha ben ragione di farlo: Johnny è a torso nudo, ma le gambe sono fasciate da un paio di pantaloni di pelle nera così aderenti da sembrare cuciti direttamente su di lui. Non ha idea di come sia riuscito a infilarseli, ma la questione non ha grande rilevanza al momento: dal sorriso compiaciuto dipinto sul volto di Johnny può dedurre chiaramente che non si è trattato di un gioco da ragazzi. Come se non bastasse si è anche messo in testa il colbacco di volpe artica, una di quelle stravaganze che normalmente riserva alla camera da letto e che ormai, agli occhi di Paris, incarna un unico significato: sesso selvaggio. La cosa che lo rende così sconvolgente, però, sono le scarpe che ha ai piedi: un paio di sandali neri, chiusi alla caviglia con un cinturino e dotati di un tacco a spillo di almeno otto o nove centimetri, come se avesse bisogno di sembrare ancora più alto. Ciononostante si muove con una grazia e una naturalezza che Paris ha visto sfoggiare a poche donne e quando gli gira le spalle l’ondeggiare elegante del bacino unito alla curva perfetta del sedere - sembra scolpito, come quelle statue antiche che si vedono nei musei e che vengono dall’Italia, o posti così - gli fa perdere un paio d’anni di vita. Paris ha la segreta convinzione che Johnny potrebbe mettersi solo pantaloni neri aderenti per il resto della sua vita e questo basterebbe a renderlo felice.
È così incantato dalla visione del suo corpo che quasi non nota il frustino che tiene in mano. Non può però ignorarlo quando Johnny lo fa scivolare sulla sua gamba, partendo dal ginocchio e scendendo giù, fino alla caviglia. Si ferma in fondo al letto e si volta a fissarlo, silenzioso e imperscrutabile. Paris si sente tremare qualcosa dentro, ma ricaccia giù l’emozione e resta in attesa.
“Allora, puttana, lo sai perché sei legato lì?” domanda Johnny con voce calma e controllata, dimostrando di aver studiato bene la parte.
“Puttana? Non sono io quello conciato da Carnevale di Rio… Ahu!” Il frustino è calato sul suo polpaccio, inatteso e impietoso - o forse dovrebbe ammettere che un po’ pietoso lo è, perché non c’è poi gran forza nella sferzata; solo quanto basta per far male senza ferire. “Ma vaffanculo!”
“Hai osato sventolarmi del gelato sotto il naso; ora devi pagare,” spiega serafico Johnny, tornando ad avvicinarglisi. Il modo in cui ancheggia prosciuga il cervello di Paris di ogni barlume di intelletto e questi si chiede se sia un comportamento eticamente accettabile, quello di incapacitare l’avversario con mezzucci del genere.
“Non ho fatto niente!” si difende Paris, sempre più preoccupato dal frustino che risale sulla sua coscia. Istintivamente si chiude in posizione fetale, per quanto le mani legate glielo permettano, così da proteggere le parti intime. Eppure dentro di lui si agita la fiammella dell’eccitazione e gli viene da ridere senza alcun motivo. “Se tu sei grasso e… AHU!”
La seconda sferzata è scesa implacabile proprio sul suo sedere, punendogli l’impertinenza. Johnny lo guarda con un’intensità inquietante e Paris agita le braccia, piagnucolando.
“Piantala,” gli ordina Johnny, puntandogli il frustino al centro del petto. “E non osare mai più insinuare che sono grasso!”
“Ma lo dici tu tutto il tempo…” mugugna Paris. “Slegami, dai!” implora poi.
“Ti sembro grasso?” domanda Johnny assottigliando gli occhi e chinandosi minacciosamente su di lui.
Paris mangia la foglia.
“Devo dire la verità?” ribatte con aria innocente, la voce flebile.
“Dipende da quanto vuoi vivere…” risponde Johnny, l’ombra di un sorriso sulle labbra.
“Se vuoi la verità… Un paio di chili li dovresti perdere,” fa Paris, alzando un po’ il mento con fare altezzoso.
“Che bastardo! Ora ti ammazzo.”
“No!” grida Paris, quando Johnny lascia cadere il frustino a terra e marcia a grandi passi verso l’altra sponda del letto. Non sembra nemmeno avere quei tacchi ai piedi, eppure Paris sa che la stabilità è solo apparente e non appena comprende cos’ha in mente Johnny sente esplodere dentro di lui una bolla di ilarità.
Non può, pensa, sarebbe troppo folle, e invece Johnny appoggia un piede sul letto e sale di slancio. Il materasso si inclina pericolosamente, facendolo ondeggiare, e sul volto di Johnny, che svetta a due metri di altezza dal pavimento ormai, il sorriso sparisce per un attimo. Fa volteggiare le braccia attorno a sé, lottando per non cadere, e tenta un passo laterale.
“Sei pazzo! Se ti rompi una caviglia glielo spieghi tu a Galina cosa stavi facendo,” lo rimprovera Paris, senza riuscire a trattenere una smorfia di divertimento. Johnny è folle, così folle che fa perdere la testa anche a chi gli sta attorno.
Johnny si appoggia con una mano al muro, cercando e ritrovando l’equilibrio, seppur precario, sui trampoli che indossa. Allora l’espressione superba e ironica torna a insediarsi sul suo volto e lentamente - molto lentamente, e con estrema cautela - Johnny avanza verso il corpo di Paris. Così, steso sotto di lui, Paris si sente un po’ come un bambino nel paese dei giganti, completamente impotente in balia delle mattane di Johnny; d’altronde è sicuramente questo che voleva lui, questo e che potesse ammirare il suo culo perfetto anche da quell’angolazione insolita.
“Non è che fai questa grande figura sexy, attaccato al muro per stare in piedi…” mente, inspirando a fondo mentre l’eccitazione cresce in lui più in fretta di quanto immaginasse possibile in una situazione simile.
“Ah no?” replica Johnny, rivolgendogli un sogghigno sarcastico. Paris vede i suoi occhi scivolare sul proprio corpo e fermarsi per un secondo di troppo a soppesare lo stato delle sue parti basse. Johnny sa quanto il nuovo giochino l’abbia stuzzicato, ora; Paris ipotizza che il suo ego abbia raggiunto le dimensioni di un ippopotamo obeso. “Stasera tu vuoi essere punito… Vuoi che ti cammini un po’ addosso?”
Johnny ridacchia e alza una gamba, attento a non sbilanciarsi, poi posa la punta del piede sulla pancia di Paris, il quale contrae gli addominali all’istante, ora seriamente preoccupato.
“Non è divertente,” mugugna, mentre anche il tacco della scarpa sfiora il suo ventre. Paris è consapevole del fatto che Johnny non sta poggiando seriamente il peso su di lui, avverte il modo cauto in cui sfiora la sua pelle con la scarpa, ma un angoletto della sua mente non fa che ripetergli che basterebbe un nonnulla per fargli perdere l’equilibrio, e allora tutto il divertimento e l’eccitazione lascerebbero il posto a una bella corsettina in ospedale con un buco nella pancia.
“Invece sì,” sogghigna Johnny, pestandolo con un po’ più di forza. “Peso?”
“No, sei magro come uno stecchino,” sbotta Paris, trattenendo quasi il respiro per la tensione. “Slegami!”
Johnny lo guarda perplesso, vagamente serio.
“Non avrai mica davvero paura che ti faccia male…” gli dice poi, tornando a sfoderare il suo sorrisone sornione.
È quasi per sfida che alza il piede. Paris lo sente sollevarsi appena, tanto da lambire la sua pelle ma senza creare attrito, e sente la punta risalire lungo il suo petto, solleticandolo. Sfiora un capezzolo, vi gira attorno leggero come una piuma, e Paris si perde un po’ nella curva elegante del suo piede, su per la linea delineata con forza dalla pelle nera che gli stringe i polpacci, le ginocchia, e le cosce magre ma muscolose. Avverte l’eccitazione tornare a svegliarsi al pieno delle energie, mentre il suo sguardo si fissa sul cavallo dei pantaloni, che aderisce perfettamente all’inguine di Johnny. Il tocco della scarpa sul suo sterno diventa quasi una carezza e Paris chiude gli occhi, deglutendo e inspirando a fondo, mentre serra tra i denti il labbro inferiore.
Li riapre, o per meglio dire li spalanca, qualche secondo più tardi, quando sente la pelle della scarpa sfiorargli la guancia.
“Che…”
Non lo fa apposta, ma per la sorpresa sussulta e la vibrazione riverbera per tutto il letto. Johnny fa appena in tempo a urlare “Paris!”, poi perde l’equilibrio, la caviglia cede e, nella disperata impresa di non farsi male, si lascia cadere a peso morto sul letto. Nel tonfo impressionante che segue, un ginocchio va a cozzare contro il fianco di Paris, che, unendosi all’orchestra delle molle cigolanti, ulula di dolore, ma Johnny non se ne accorge quasi, perché sta ridendo talmente tanto da non riuscire a respirare.
“Cosa c’è da ridere? Non c’è niente da ridere!” piagnucola Paris, voltando il viso per guardarlo dritto in faccia. “Sei un idiota!”
“Oddio… Oddio, scusa…” biascica Johnny tra le risate, boccheggiando. “Che male…”
Paris scuote la testa e sospira drammaticamente, alzando gli occhi al soffitto.
“Ti ho fatto male?” domanda la voce ilare di Johnny, al suo fianco.
“Secondo te?” replica lui, petulante, scoccandogli un’occhiataccia.
“Dove ti ho preso?” chiede Johnny, ora più calmo, sorridendogli. “Qui?” fa, passandogli una mano sul fianco in una lenta carezza, che ha poco di ansioso e molto di sensuale.
Paris fa una smorfia, storcendo le labbra.
“Più su,” bofonchia, occhieggiandolo cauto. Osserva con piacere i lati delle labbra di Johnny incurvarsi maggiormente, trasformando il sorriso affettuoso in uno più carico di malizia. La mano di Johnny passa con gentilezza sul suo petto e le dita si insinuano tra le sue costole, tracciandone i contorni. “Lì,” conferma Paris, allungandosi appena verso di lui per godere ancora del tocco delle sue mani.
Johnny abbassa la testa e posa le labbra sul suo fianco, lasciandovi un bacio.
“Meglio?” sussurra, risalendo verso il petto e fermandosi a baciare il capezzolo.
Rialza la testa, facendo ondeggiare il pelo morbido del colbacco, e con un movimento fluido gli si mette a cavalcioni. Lascia che le mani scivolino sulle braccia indolenzite di Paris, chinandosi su di lui, e questi allunga un po’ il collo, andandogli incontro. Johnny lo bacia lentamente, senza fretta, soffermandosi a mordicchiare con delicatezza il labbro inferiore e succhiandolo piano. La lingua affonda nella sua bocca nello stesso momento in cui Johnny inizia a muovere il bacino, strofinandosi contro l’erezione mai completamente scomparsa dell’altro. Paris geme, andandogli incontro, inarcando la schiena nel tentativo di aumentare il contatto col suo corpo caldo, e il cellulare di Johnny, abbandonato e dimenticato di fianco al letto fino a quel momento, squilla.
Paris mugugna tutto il proprio fastidio, mentre Johnny si sottrae alle sue labbra e recupera il malefico aggeggio.
“È mamma,” annuncia, prima di schiacciare il tasto di risposta e mettere fine alla musica. “Ciao,” risponde, abbandonando la propria posizione con grande risentimento di Paris per sedersi al centro del letto. Ascolta la voce dall’altra parte del telefono annuendo piano, lasciando vagare gli occhi sulla parete opposta senza realmente vederne i dettagli. “No, stavo per andare a letto,” dice e quando guarda in direzione di Paris questo inarca un sopracciglio, provocandogli una risatina trattenuta a malapena. “Mam… Mamma, non posso ora. C’è Paris legato al letto e non è che lo posso lasciare lì così.” Sogghigna, aggiungendo “Aspetta che te lo passo, così te lo dice lui.”
Paris lo fulmina con lo sguardo, ma Johnny non scherza e un istante dopo sente la voce di Patti Weir domandare “Ragazzi, che state combinando?” attraverso il vivavoce.
“Saluta mamma,” lo incoraggia Johnny sottovoce.
“Ciao, Patti,” dice Paris nel microfono che Johnny gli ha accostato all’orecchio, mentre quello sghignazza in silenzio. “Lo sai che hai un figlio idiota, vero? Sono legato al letto, Johnny si è messo delle scarpe col tacco da dieci centimetri ed è caduto e a momenti si rompeva una gamba. Gli dici di slegarmi?”
Johnny gli allontana il telefono dalla bocca sbellicandosi e Paris sente la donna dall’altro capo dire “Paris… Ragazzi, non fate gli stupidi. Johnny?”
Johnny toglie il vivavoce e si riporta il cellulare all’orecchio.
“Sì. No, mamma, non facciamo tardi. Sì, lo so che devo stare attento! Non sto… Posso andare?” Sospira, ma sorride tra sé. “Ti voglio bene. Sì, anch’io. Buonanotte.”
Riaggancia e si sporge per riposare il telefono. Poi si blocca e si volta a osservare Paris sorridendo provocante, una luce divertita negli occhi.
“Allora,” mormora, tornando a chinarsi con fare predatore sopra di lui, “dove eravamo rimasti?”

fanfic, rps, the gay

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