P0rn Fest 3.0 - Fatica nr. 12: Alessandro/Efestione - Un sottile gioco di potere

Jan 31, 2010 14:42

Titolo: Un sottile gioco di potere
Fandom: RPS storico (Alexander!verse)
Pairing: Alessandro/Efestione
Rating: NC17
Word Count: 2585
Avvertimenti: Sesso omosessuale descrittivo, dom/sub play, vaghi gesti di violenza, tradimento implicito (Alessandro si è appena sposato) e imprecisioni storiche di vario genere.
Note: Storia scritta per il P0rn Fest, terza edizione. Il prompt ispiratore è: RPF Storico, Alessandro/Efestione, "Non dovresti lasciare così la tua sposa.".
Ancora Efe e Ale, ma in una veste un po' diversa da quella mostrata in "L'alba su Babilonia".
Come sempre non mi attengo alle fonti storiche, ma al penoso film di Oliver Stone "Alexander", che con il reale svolgimento dei fatti non c'entra una mazza. Troverete tuttavia, almeno spero, che il mio Efestione e quello di Stone differiscono. E pure gli Alessandri, un tantino (ma non troppo, lo ammetto). La scena è ambientata durante la notte del primo matrimonio di Alessandro, quello con Roxane.
Ringrazio framianne che mi ha betato con tantissima pazienza, soprattutto perchè io sono ipercritica e lei invece no.


Quando entrò nella camera lo trovò steso sotto le coperte, i begli occhi chiusi ma il respiro leggero. Nell’udirlo le palpebre scattarono verso l’alto ed Efestione lo fissò inquisitivo, stupito.
“Che succede?” domandò, la voce più sicura di quanto l’animo di Alessandro percepisse l’amico in verità.
“Non dormi,” replicò quello, accostandosi al letto. Non era una domanda ed Efestione non si prese il disturbo di smentirlo.
Si mise a sedere, sospirando profondamente. Le coperte, ammucchiandosi attorno ai suoi fianchi, gli lasciarono scoperto il torso nudo.
“Che cosa fai qui, Alessandro?” gli chiese, con quel tono gentile e accondiscendente che apparteneva intimamente all’Efestione diplomatico, ma che riusciva a suonare impertinente quando lo usava con lui. Era un tono di voce che sottintendeva superiorità e che Efestione non avrebbe mai osato utilizzare in presenza d’altri.
“Ho bisogno di vino,” rispose Alessandro, accostandosi al tavolino sul quale ancora giaceva la coppa da cui Efestione aveva reclamato il bacio di Morfeo. La prese e bevve ciò che era rimasto sul fondo, storcendo la bocca.
Efestione lo osservò in silenzio, studiando i suoi gesti come uno scriba avrebbe scrutato le pagine del papiro che lui stesso aveva vergato, riconoscendo in ogni tratto una storia e un significato spesso oscuro a chiunque altro. Infine si alzò e lo raggiunse, fermandosi ad un passo dalle sue spalle forti. Alessandro non si volse, intento ad osservare con la massima concentrazione un punto distante ed ignoto, che racchiudeva per lui chissà quale riflessione; non finché la mano di Efestione si posò, calda, sulla sua spalla e la sua voce profonda accarezzò il suo orecchio.
“Non dovresti lasciare così la tua sposa,” sussurrò Efestione. Era serio, ragionevole, ma in sottofondo, come una luce filtrerebbe da sotto una porta chiusa rivelandosi all’osservatore attento, si intuiva una nota distorta.
Alessandro si voltò di colpo. Lo afferrò per le spalle con entrambe le mani, stringendo la presa con forza. I suoi occhi fiammeggiavano indomiti e dolorosi al contempo.
“Anche tu, Efestione?” lo aggredì. “Non basta a nessuno il re? Non ho forse svolto il mio compito a sufficienza, per oggi?”
Efestione sostenne il suo sguardo senza parlare. Nelle sue parole riconosceva la lotta disperata della fiera in gabbia. Alessandro attese una reazione, poi lo spinse via, sorpassandolo e attraversando a lunghi passi la camera.
“Loro mi attaccano per la mia scelta e lei… Lei è una regina, ora, ma ha ancora la tempra di una bestia selvaggia che non vuole essere domata. Mi darà un erede, servirà il suo re ed il nobile scopo che ci siamo prefissi di unificare queste genti sotto il mio unico impero. È questo che volevamo, non è vero?” Si voltò a cercare conferma nell’espressione grave di Efestione. “Eppure tutti hanno qualcosa da borbottare alle mie spalle, tutti sono scontenti! E ora pure tu…” Ripercorse la distanza che lo separava dall’altro, fermandosi solo quando la sua mano poté chiudersi attorno al suo viso. “Pure tu vuoi il re, Efestione? Non basta mai, dunque? Nemmeno tu vedi più l’uomo, Alessandro, che dicevi di amare?”
Una delle mani di Efestione andò a coprire quella di Alessandro, allentandone la presa con una carezza gentile.
“Calmati, Alessandro,” gli mormorò, risalendo con la mano il braccio teso dell’altro, il suo bicipite poderoso, la spalla tornita, il collo.
Alessandro chiuse gli occhi e piegò la testa fino a raggiungere con le labbra il polso di Efestione; lì posò un bacio. Efestione gli sollevò il mento con le dita, facendole poi scivolare in una carezza decisa sulla guancia di Alessandro, così da annidarsi tra i suoi capelli chiari. Le chiuse attorno ai riccioli, tirandoli senza pietà, ma sapeva che Alessandro non si sarebbe lamentato, non si sarebbe sottratto alla sua presa. Erano uomini di potere, combattenti indomiti e spietati; aveva baciato le labbra carnose di Alessandro ancora sporche del sangue dei nemici più volte di quante potesse ricordare e durante i loro litigi non si erano mai trattenuti dal colpirsi. Li avevano addestrati ed educati ai costumi greci, ma non lo erano: il sangue dei Dori che scorreva nelle loro vene ribolliva, rifiutando i concetti di moderazione ed estetica che il buon Aristotele aveva cercato di imprimere nella loro mente. I loro cuori volevano la carne, il sangue, l’esaltazione dei sensi e, all’occorrenza, lo scricchiolio delle ossa, il dolore e i lamenti. Era amicizia, certo, amore fedele e premuroso, stima e rispetto ciò che lo legava ad Alessandro, ma anche passione bruciante, violenta e pericolosa. Quella notte, il re non era certo andato nelle sue stanza a cercare il generale fidato: era Alessandro, di fronte a lui, che anelava la follia amorosa che li legava, e si aspettava che Efestione gli facesse anche male.
Alessandro finalmente riaprì gli occhi e rilasciò un respiro sibilante attraverso i denti serrati. Rimasero immobili a fissarsi, Efestione impassibile, Alessandro ardente nonostante il volto inclinato di lato, là dove la mano del compagno lo aveva ghermito, ed il mento sollevato, poiché Efestione lo sorpassava in altezza. Quella posizione, tanto familiare e connaturata ad Alessandro fin dalla fanciullezza, colpì Efestione con una naturalezza tale da sciogliere, per una frazione di secondo, la durezza della sua espressione. Tanto bastò perché Alessandro trovasse il varco e si gettasse sulle sue labbra, baciandolo con ferocia.
Efestione rispose con il medesimo slancio, cingendogli le spalle in un abbraccio disperato. Le labbra di Alessandro premevano sulle sue con furia cieca, fino a schiacciarle contro i denti. Efestione aspettò di sentire il lieve retrogusto ferroso del sangue nel suo bacio prima di dischiudere le labbra e di lasciare che la sua lingua lo possedesse. Si voltò e senza smettere di baciarlo, alla cieca, spinse Alessandro verso il letto. Questi si fermò quando avvertì la sponda scontrarsi con il retro delle sue gambe, il tempo necessario a scrollarsi dalle spalle la veste che lo riparava dall’aria notturna. Sotto era nudo, come si era presentato alla novella sposa, ed Efestione sentì il fuoco del desiderio possederlo selvaggiamente. Non gli importava cos’aveva fatto il re, né chi aveva avuto l’onore di aggrapparsi alle sue spalle forti prima di lui, quella notte: nessuno poteva permettersi di toccarlo come lui l’avrebbe toccato, di prenderlo come lui l’avrebbe preso. Alessandro era suo, così come le unghie corte che gli scavavano nei fianchi fino a lasciarvi il segno gli ricordavano che Efestione era di Alessandro, e di nessun altro.
“Stenditi,” gli ordinò, la voce calma ma ferma.
Alessandro lo fissò, scoprendo i denti in un mezzo sogghigno, poi alzò il braccio e lo colpì. Lo schiaffo avrebbe gettato a terra uno schiavo qualunque, ma Efestione voltò appena la testa. Restò immobile ad aspettare che l’eco dello schiocco si perdesse, massaggiandosi l’interno della guancia con la lingua.
“Non darmi ordini,” sibilò Alessandro, continuando a sorridere segretamente.
Efestione lo spinse all’indietro, con una forza tale da sbilanciarlo e farlo crollare sul letto. Alessandro arretrò tra le coperte mentre Efestione incombeva su di lui.
“Efestione darà anche ordini ad Alessandro, se vorrà,” disse, appoggiando un ginocchio sul letto e avvicinandosi al compagno. “Ti ho mai dato ragione di dubitare di me?”
“Mai,” rispose Alessandro, sporgendosi in avanti per risalire con una mano sulla sua coscia tesa, poi sul fianco magro.
“Perché non mi dai ascolto, allora?” mormorò Efestione, chinandosi a congiungere le loro labbra in un nuovo bacio.
Alessandro si aggrappò alla sua schiena, lasciandosi annegare nel dolce fuoco della sua bocca. Efestione si piegò su di lui fino a che l’altro non si fu completamente steso sul letto; allora si accomodò sulle sue cosce, così da stringerle tra le ginocchia, e mosse lentamente i fianchi in avanti. Lo scatto fu fulmineo, il colpo di reni potente: Efestione si ritrovò rovesciato sulle coperte, schiacciato dal peso del corpo dell’altro, che iniziava ad ondeggiare i fianchi su di lui facendo scontrare i loro sessi già tesi. La bocca di Alessandro scese sul suo collo, mordendolo e baciandolo lungo la giugulare pulsante. Non era questo, però, che Efestione aveva in mente, né ciò che voleva davvero Alessandro. Efestione rotolò di lato, sottomettendolo per un secondo, ma Alessandro si divincolò, trasformando velocemente la schermaglia amorosa in lotta. Non che questo spaventasse Efestione: la passione era anche un duello e nella lotta corpo a corpo, tra lui e Alessandro, la disparità non si era mai del tutto colmata. Quando quello gli afferrò il polso Efestione ribaltò le loro posizioni, gli torse il braccio e gli piantò una mano sul collo, costringendolo sotto di sé. Alessandro si ribellò, ma invano: la presa ferrea delle cosce di Efestione attorno alle sue gambe gli impediva ogni movimento.
Le dita di Efestione si strinsero maggiormente sul collo di Alessandro, affondando appena nei muscoli contratti. Il suo volto era rosso per lo sforzo e le labbra tirate a scoprire i denti in un sogghigno nervoso, ma Efestione colse il sussulto dell’erezione di Alessandro con la coda dell’occhio e sorrise compiaciuto. Era un gioco di potere sottile, che reggeva proprio perché la fiducia tra loro era così assoluta - e ben riposta. I polsi di Alessandro, bloccati dalla sua mano, avrebbero potuto liberarsi facilmente, ma Alessandro non ci provava nemmeno; allo stesso modo sarebbe stato facile per Efestione stringere la presa poco di più, impedendogli di respirare, o dare un colpo secco col polso, e la vita di Alessandro si sarebbe spezzata come un fiore reciso. Sarebbe stato così facile, per lui, e probabilmente erano in molti ad invidiargli quel potere. Non capivano che il motivo per cui possedeva quel privilegio era proprio la consapevolezza di Alessandro che Efestione non gli avrebbe mai fatto del male, a costo della propria vita. Cioè che Efestione si limitava a fare era amarlo e lasciarsi amare, sollevando dalle spalle ancora giovani di Alessandro il carico dell’impero per qualche ora. C’erano giorni in cui sottostava alle sue voglie e le fomentava, dimostrandosi compiacente; altri giorni il gioco cambiava e Alessandro aveva bisogno di un uomo forte accanto, cosa che a Efestione riusciva alla perfezione in ogni momento della sua vita.
“Mi basterebbe stringere un po’ di più…” sussurrò Efestione, piegandosi in avanti fino a trovarsi a pochi millimetri dalle sue labbra, lo sguardo fisso negli occhi ineguali. “Ti amo,” sussurrò poi sulla sua pelle, baciandolo senza gentilezza alcuna.
Quando si allontanò dalle sue labbra Alessandro ansimò, eccitato e provato dal senso di soffocamento che andava facendosi sempre più intenso. Efestione gli rilasciò prima i polsi, poi allentò la presa sul suo collo. Le sue dita, notò compiaciuto, avevano lasciato un lieve segno nella carne.
“Non potresti mai stringere di più,” mormorò Alessandro, divertito, portando subito le mani, finalmente libere, sul corpo di Efestione. Afferrò l’erezione che ondeggiava sul suo ventre, prendendo ad accarezzarla con brevi movimenti decisi, ed Efestione inspirò a denti stretti, scrollando per un attimo i capelli dalle spalle nude.
“Girati,” ordinò Efestione, la voce malferma.
“È così che me lo chiedi?” rispose Alessandro sarcastico, senza rallentare le carezze.
“Voglio che tu ti giri,” ripeté Efestione, cercando di mantenere la lucidità e il controllo sul proprio corpo, “e che ti metta in ginocchio.”
“Chiedi troppo, Efestione. Prendi ciò che è tuo e taci, una buona volta. Non sono venuto qui a esaudire suppliche.”
Efestione non se lo fece ripetere: si ritirò quando bastava perché il corpo di Alessandro fosse libero di voltarsi, poi lo abbrancò per i fianchi e lo girò. Lo afferrò per i capelli, tirandoli verso l’alto finché Alessandro non assunse la posizione desiderata, e scese con la bocca a baciargli la nuca, le spalle. Lo morse appena sopra la scapola mentre una mano scorreva sulla sua pelle accaldata, scivolando tra le natiche. Alessandro sospirò e piegò la testa da un lato. Efestione vide la sua mano allungarsi all’indietro, cercandolo, e sorrise tra sé mentre si faceva un po’ più avanti, così da lasciare che il tocco dell’amante vagasse senza una meta precisa sul suo fianco. Staccò le labbra dalla pelle di Alessandro solo per un attimo, il tempo di uno sputo, poi la bocca si serrò di nuovo sul battito accelerato del suo cuore e le dita si mossero con decisione dentro di lui. Alessandro gemette, tendendosi per un istante e andandogli incontro. Si offriva così, il grande re, senza remore né paure.
Efestione si accarezzò velocemente qualche volta prima di accostarsi al corpo invitante di Alessandro e spingersi in lui. Avvertì la resistenza inconscia dei muscoli, poi, di botto, la cedevolezza e il calore tanto amato lo avvolse, offuscandogli la mente. Come ogni volta il suo animo si infiammò, attraversato dal pensiero di ciò che gli era concesso di fare. Non c’era amante, schiavo, maestro o sposa che tenesse, nessuno aveva mai osato tanto - e con il benestare del re. Era stato il primo e sarebbe stato l’ultimo, con ogni probabilità. La sola consapevolezza bastava a fargli bollire il sangue.
Portò una mano sul ventre teso di Alessandro, cercando la sua erezione. La trovò turgida, affatto fiaccata dalla mancanza di attenzioni. Vi avvolse il pugno attorno, tenendo la mano ferma mentre iniziava a muovere i fianchi avanti e indietro. Ad ogni spinta penetrava sempre più a fondo in quel mistero di carne e sangue che era Alessandro, e ogni volta che si ritraeva gli sembrava di lasciare un pezzo della propria consapevolezza dietro di sé, dimenticando a poco a poco chi fosse e quali sentimenti avessero guidato i loro gesti quella notte. Non esisteva alcun regno, fuori da quella stanza, che non fosse il corpo bollente e pulsante di Alessandro, il suo odore intossicante, che lo conduceva verso una veloce conclusione.
I fianchi di Alessandro si animarono sotto le sue spinte, rispondendo con impeto alla passione di Efestione. Presto a ogni colpo corrispose lo schiocco secco delle loro carni che si scontravano; l’ansimare costante di Efestione si fondeva ai gemiti di godimento di Alessandro al punto che le loro voci non erano più distinguibili. L’orgasmo colse Efestione impreparato, quasi: i colpi del bacino accelerarono bruscamente, facendosi brutali, e con un ultimo mugugno roco lasciò che il piacere esplodesse, scuotendolo fin nelle viscere.
La sua mano prese a muoversi in quello stesso momento, ansiosa di condurre il compagno alla medesima risoluzione il più rapidamente possibile. Gli passò il braccio libero attorno al collo, costringendolo a raddrizzare la schiena fino a che questa non aderì al suo petto; allora la presa divenne un abbraccio che gli cingeva le spalle, e le sue labbra bisbigliarono inintelligibili promesse d’amore contro la pelle sudata di Alessandro. Quando sentì l’orgasmo bagnargli le dita, Efestione ringhiò di soddisfazione e finalmente si concesse un lungo e profondo respiro.
Rimasero a lungo abbracciati senza parlare. Inginocchiati sul letto in quella strana e scomoda posizione, attesero che il sudore iniziasse a raffreddarsi sulla loro pelle. Allora Alessandro parlò.
“Mi porti rancore, Efestione?” domandò con voce tornata ferma.
Efestione strinse maggiormente l’abbraccio, affondando il viso tra i capelli dell’altro.
“Mai. Come puoi chiedermelo?”
“Era giusto che lo facessi.”
Efestione non sapeva se Alessandro intendesse riferirsi a quella domanda, posta un po’ a sorpresa, o al matrimonio che si era consumato in giornata. In entrambi i casi, vi era un’unica risposta possibile.
“Dovrà cadere il cielo prima che io giaccia con te portandoti rancore.”
“Se qualcosa ti turba, di ciò che faccio, tu me lo dirai, non è vero?”
Alessandro voltò la testa, cercando gli occhi di Efestione, e questo lo ricambiò con uno sguardo serio e profondo.
“Sempre.”
“Non sopporterei che tu mi tradissi.”
“Mai.”
Alessandro annuì e finalmente la sua espressione si sciolse in un sorriso.
“Baciami, allora. Abbiamo poche ore da trascorrere in riposo, prima dell’alba. Poi Alessandro tornerà re.”

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