P0rn Fest 3.0 - Fatica nr. 7: Ade/Persefone - Sindrome di Stoccolma

Jan 06, 2010 14:18

Titolo: Sindrome di Stoccolma
Fandom: Mitologia greca
Pairing: Ade/Persefone
Rating: NC17
Word Count: 986 (Non ci credete, eh?)
Avvertimenti: Sesso eterosessuale (divino) descrittivo, vago accenno a disturbi psicologici (il titolo non è lì a caso, diciamo).
Note: Storia scritta per il P0rn Fest, terza edizione. Il prompt che l'ha generato è: Mitologia greca, Ade/Persefone, sindrome di stoccolma.
Spero di non aver stravolto troppo il canon (se così vogliamo chiamarlo) e di aver reso giustizia al prompt. Un ringraziamento a ellepi e koorime_yu, che sfidandomi mi hanno aizzato a scrivere, e a framianne che mi ha riletta.


Le nere volte del regno degli Inferi sprofondano la sua anima nella più cupa disperazione. Dopo i sei mesi trascorsi al fianco della madre, tra i campi fioriti e gli alberi carichi di frutti maturi, quel luogo di terrore pare avvinghiarla in una morsa gelida, crudele, che le strappa ogni briciola di felicità dal cuore. La sua mente ritorna al giorno maledetto in cui la terra si aprì sotto i suoi piedi e Ade, l’orribile dio dell’Oltretomba, sorse per rapirla e portarla con sé, come sposa, nelle viscere della terra. Ora è condannata a rimanervi, legata dai semi di melograno che gustò controvoglia dalla mano dello sposo, e Persefone sente gli occhi bagnarsi di lacrime al ricordo della vita che ha lasciato dietro sé.
Eppure, quando ode i suoi passi in avvicinamento nel corridoio, qualcosa si muove nel suo petto. Un desiderio oscuro, che nemmeno lei comprende, pare pervaderla mentre la presenza del dio si fa più tangibile, quasi percettibile nell’aria fredda che la attornia. Poi Ade compare sulla soglia: è terribile, più di quanto ricordasse. Il suo viso feroce, coperto dalla barba ispida e nera, spande attorno a sé un’aura oscura, di morte e predominio; i suoi occhi rossi bruciano come carboni nel nero della stanza mentre le si avvicina e la fissa con sguardo predatore.
“La mia regina è tornata…” osserva compiaciuto e la sua voce è un tuono che scuote la terra come un sisma. “Ci sei mancata molto durante la tua assenza. Il mio regno, senza di te, sembra ancora più aspro e cupo.”
“Non ho notato alcuna differenza nel tuo regno in tutto il tempo che trascorsi qui,” mormora lei con voce tremante ma ostentando forza e contegno. “Né mi pare più cupo ora, che lo rivedo dopo sei mesi.”
Ma è una menzogna e Persefone lo sa bene. Anche a distanza sente le urla delle Erinni ghiacciarle il sangue nelle vene e i fumi del Piriflegetonte avvelenare l’aria che respira. Il cuore le batte furiosamente in petto nell’osservare il suo sposo avvicinarsi al talamo nuziale e Persefone teme ciò che l’attende. Eppure, mentre una parte di lei urla e si dibatte, l’altra anela a quello stesso orrore.
Ade sogghigna e l’espressione gli deforma il viso, rendendolo ancor più osceno. Persefone fissa il dio spogliarsi con ansia crescente, eppure la sua pelle si riscalda, i suoi seni si tendono, le sue gambe si sciolgono.
“Fidati di me, dolce sposa,” ringhia Ade, mentre si china su di lei, rapace, salendo sul talamo come una fiera mostruosa che si accinge al pasto. “Da quando ti vidi e saggiai per la prima volta il dolce nettare della tua pelle niente è rimasto immutato, in queste stanze desolate. Tu hai portato l’amore nel regno della morte.”
Ed è vero, pensa Persefone, mentre la mano di Ade si posa sulle sue ginocchia e risale lungo la sua coscia. È terribile e mai avrebbe acconsentito a concedersi a un essere simile di sua spontanea volontà, ma Ade sa essere uno sposo gentile. È stato solo per amore che l’ha ingannata, porgendole il frutto che l’ha legata a lui per sempre. È stato paziente quando lei piangeva disperata la perdita della sua libertà; è stato generoso quando ha deciso di renderla indispensabile nel cammino delle anime verso la morte. Per i suoi bei capelli, che Ade copre di baci lascivi e famelici mentre le schiude le gambe con entrambe le mani e la costringe sotto di sé, le ha concesso di strappare agli uomini quell’unico capello che li lega alla vita. Le ha regalato un regno, l’ha elevata ad un trono che non vede rivali, che persino la grande Era, segretamente, guarda con deferenza e apprensione.
Dalla gola di Persefone sgorga un grido quando Ade la prende, sprofondando con tutto se stesso nel calore che le infiamma il ventre. Lei inarca la schiena e chiude gli occhi, mentre il corpo del dio possente le grava addosso, togliendole il respiro, e il suo sesso la penetra senza pietà, strappandole i gemiti a uno a uno, fino a lasciarla senza fiato né voce. Le grandi mani di Ade stringono i suoi seni, le dita che sfiorano i suoi capezzoli con insistenza paiono infuocarli. La sua bocca scende a baciarle il collo, poi a succhiarlo, e Persefone sente la sua barba ispida graffiarle la pelle, irritandola, pizzicandola; ciononostante il languore monta in lei ad ogni spinta dei fianchi possenti dello sposo, cresce a dismisura nel punto più segreto del suo ventre, si tende fino allo spasimo e alla fine trabocca, scuotendola e colmandola tutta. I sensi si annebbiano, l’oscurità attorno a lei solleva per qualche secondo il velo grigio che l’ha intrappolata da quando ha varcato la soglia degli Inferi, facendole scorgere la luce, e Persefone pensa, in uno sprazzo di follia, che nella sua virginale gaiezza non si è mai sentita tanto felice. Tanto viva.
Quando riapre gli occhi la stanza attorno a lei è nuovamente buia e le sue mani artigliano le spalle nude dello sposo. Ade, soddisfatto il desiderio, lambisce il lobo del suo orecchio con le labbra, leccandolo e succhiandolo in modo sottilmente sensuale. Persefone guarda la volta oscura sopra di lei, confusa e stordita dal piacere, senza nemmeno accorgersi del tutto di quanto quel dio mostruoso non le faccia più repulsione alcuna, ora.
“Ho atteso pazientemente,” mormora Ade al suo orecchio. La sua voce la fa rabbrividire e sospirare al contempo, mentre si accorge del sesso del dio che torna ad indurirsi prepotentemente dentro di lei. “Ora sarai tu a dover essere paziente fino a che non avrò saziato la mia fame,” la ammonisce, dondolando i fianchi e travolgendola con una nuova ondata di calore. “Mia bellissima Persefone…”
La giovane torna a chiudere gli occhi, sopraffatta. Sa già che tra sei mesi, quando giungerà nuovamente per lei il momento di lasciare quegli antri, dovrà nascondere le lacrime alla presenza della madre; tuttavia non sarà affatto facile.

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