Parte prima Quando Natsume tornò, qualche tempo dopo, l’espressione sul suo viso era ancora seria e la fronte era segnata da una profonda ruga di preoccupazione, ma il suo sguardo pareva più sicuro e determinato.
“Scusate se vi ho fatto attendere. Spero di non essere stato via troppo a lungo,” disse rientrando ed andando a sedersi nuovamente su uno dei grandi cuscini posti attorno al tavolo.
“Non preoccupatevi, non vi è alcun problema. Anzi, scusateci se vi siamo capitati in casa all’improvviso e con storie tanto sgradevoli da sottoporvi.”
La sua espressione si addolcì di colpo.
“No, figuratevi. Anzi, sono contento di ricevere visite. Non mi accade spesso, come avrete potuto notare…”
Tanuma annuì bonario.
“È tutto a posto, dunque? Se non vi dispiace torneremmo al villaggio, ora. Dovremmo anche iniziare i preparativi per la notte e tra poco calerà il sole.”
“Non ce ne sarà bisogno,” ribatté Natsume. “Potete rimanere qui a casa mia per stanotte, se volete. Sarei onorato di avervi come ospiti.”
Tanuma lo guardò stupito.
“La vostra offerta è molto generosa, ma abbiamo un accordo con Nishimura-san e abbiamo il dovere di indagare su questa faccenda.”
“Ci penserò io. Ho già disposto tutto. Voi riposatevi. Fate una vita difficile e avrete sicuramente viaggiato a lungo prima di arrivare al villaggio. Sarete affaticati. Meritate di dormire sotto un tetto sicuro e rifocillarvi fino alla prossima partenza.”
Tanuma lo scrutò incerto.
“Io non so se…”
“Vi prego, fidatevi di me,” lo interruppe Natsume. “Naturalmente potete tornare al villaggio, se lo ritenete più opportuno, ma visti i problemi che ci sono forse sarebbe meglio se ne discutessimo domani, quando ne sapremo un po’ di più. È vero che non ho contatti col villaggio né amici che vi abitino, ma ho nondimeno i miei metodi per informarmi, quando occorre.”
Kaname volgeva il capo ora verso suo padre, ora verso Natsume, confuso e perplesso. Non capiva cosa stesse succedendo né cosa fosse andato a fare il sarto nel bosco, ma c’era qualcosa di misterioso nell’aria. Tuttavia sembrava che suo padre seguisse le parole di Natsume meglio di quanto facesse lui e il giovane, nonostante tutto, continuava a non trasmettergli nessuna sensazione negativa. In presenza di eventi innaturali aveva sempre avvertito un particolare senso di oppressione e ansietà pervaderlo, invece Natsume lo faceva sentire al sicuro, protetto persino.
“Va bene,” sospirò alla fine il monaco. “Accettiamo volentieri e con gratitudine la vostra offerta di ospitalità. Domattina, però, vi prego di mettermi al corrente di ogni vostra informazione. Magari potreste anche spiegarmi meglio la vostra posizione in tutta questa faccenda…”
Natsume annuì.
“Voglio aiutarvi. Solo questo,” disse, e Kaname si incantò a guardare il suo sorriso, uno vero stavolta, illuminare la stanza.
Suo padre trascorse le ultime ore del giorno in preghiera, seduto sotto un ampio albero. Kaname gironzolò senza meta nei dintorni della casa, dando un’occhiata ai fiori e al piccolo orto, e alla fine decise di lasciarsi cadere sul prato antistante la casa e rilassarsi un po’ ammirando il paesaggio. Aveva ancora una punta di inquietudine che gli punzecchiava lo stomaco e che gli procurava una pelle d’oca continua alla base del collo, esattamente come quando si trovava nelle vicinanze di qualche spirito, ma null’altro faceva supporre che ci fosse qualcosa di preoccupante attorno a Natsume. Lui era rimasto dentro casa, dicendo che doveva lavorare su un kimono da bambino che andava terminato il più in fretta possibile, e Kaname si era tenuto fuori dai piedi per non disturbarlo. Era così riposante starsene a rimirare il cielo imbrunire con la sola compagnia degli uccellini e dei piccoli animali del sottobosco - senza contare l’orrendo gatto obeso che ancora gli girava intorno, guardandolo storto - che trasalì quando udì la voce pacata del sarto alle sue spalle.
“È molto tranquillo, qui. È uno dei lussi di vivere così lontano dalla gente.”
Kaname fu certo che Natsume avesse notato il sussulto che l’aveva scosso, ma non si voltò, continuando a guardare fisso di fronte a sé.
“Già, è molto, molto bello. Un peccato, tuttavia, aver dovuto pagare un prezzo tanto alto.”
Natsume si sedette al suo fianco, lo sguardo perso tra gli alberi, come il suo.
“Così voi e vostro padre viaggiate di villaggio in villaggio…” disse poi. “Dev’essere una vita dura. Mi fa pensare che anche voi siate un solitario.”
Kaname volse lo sguardo sull’altro di sfuggita e colse sul suo volto un sorriso disteso. Sorrise a sua volta, senza saper bene perché.
“Sì,” rispose. “Fortunatamente non sono un amante delle città e della gente. Sarà che sono cresciuto solo, ma mi pare quasi sempre la condizione più naturale e pacifica per vivere.”
“Quasi sempre,” commentò l’altro, sottolineando la prima parola in modo però non beffardo.
“Già. Quasi…” Ridacchiò tra sé. “A volte manca non avere qualcuno con cui parlare, vero? Qualcuno della propria età, almeno. Per fortuna io ho mio padre…”
Natsume si guardò le gambe, pensoso.
“Capisco perfettamente…” mormorò infine.
Kaname si morse le labbra, accorgendosi che probabilmente aveva di nuovo sparso sale su quella ferita che pareva aperta e mai rimarginata nel cuore del giovane sarto. Lui era cresciuto solo, questo era vero, ma era sempre stato con suo padre e non aveva mai avuto bisogno di altri; Natsume invece aveva perso entrambi i genitori da piccolo, era cresciuto in un villaggio, con una casa stabile, una nonna ad occuparsi di lui e degli amichetti con cui giocare, e poi, poco a poco, aveva perso tutto, ritrovandosi nuovamente da solo. Non aveva idea di come dovesse sentirsi, ma non avrebbe voluto trovarsi nei suoi panni per nessuna ragione al mondo.
“A proposito, volevo chiedervi…” mormorò Natsume, rompendo il pesante velo di silenzio che si era creato. “Eravate voi, ieri notte, al fiume?”
Kaname sentì il sangue affluirgli copioso al viso e la gola farsi secca.
“Voi…mi avete visto?”
Natsume tenne gli occhi bassi, storcendo la bocca con fare impacciato.
“Mi scuso per la condizione indecorosa in cui mi avete sorpreso. Spero di non avervi spaventato…”
“Spaventato?” Kaname non poteva credere che fosse Natsume a sentirsi in imbarazzo. “Veramente sono io che mi scuso. Forse vi ho dato l’impressione di stare spiando e non volevo. Mi ero solamente fermato a bere. Sapete, non riuscivo a dormire e così ho deciso di passeggiare un po’…”
“Naturalmente! Non pensavo mi steste spiando!” si affrettò a mettere in chiaro Natsume con occhi spalancati. “È una pessima abitudine che ho preso, quella di fare il bagno nel fiume di notte, ma rimango spesso sveglio fino a molto tardi e ho scoperto, in questi mesi, che il refrigerio dell’acqua ha il prodigioso potere di lavar via la stanchezza delle ore passate chino sul tavolo da lavoro.”
Kaname osservò il rossore che gli aveva colorito le guance con ammirazione e nella sua mente si stagliò, di colpo, l’immagine del suo corpo nudo sotto i raggi bluastri della luna. Ricordò i pensieri che l’avevano colto la notte precedente, mentre nascosto nell’ombra lo osservava lavarsi, credendo di aver sorpreso una fanciulla in flagrante nudità, e desiderò subito dopo di non averlo mai fatto. Era un sentimento imbarazzante e inopportuno, quello che si era svegliato dentro di lui quella notte, che non era certo di interpretare correttamente. Ad ogni modo sarebbe stato difficile sopprimerlo finché fossero rimasti ospiti in casa di Natsume.
“Credetemi,” borbottò quindi, schiarendosi la voce. “Non vi è nulla di male in ciò che stavate facendo ed è per me un disonore essere stato fonte di imbarazzo. Vi auguro che nessun incauto viandante osi nuovamente disturbare i vostri momenti di meritato riposo.”
Stettero in silenzio, uno accanto all’altro, immobili, avendo riportato lo sguardo sul paesaggio circostante ormai troppo avvolto nell’ombra per poterne scorgere i dettagli. Fu un sollievo e insieme un dolore, per Kaname, quando suo padre si presentò di fronte a loro, costringendo Natsume ad alzarsi e a far loro strada dentro casa per la seconda volta. Gli pareva che tutto il lato del corpo che era stato esposto al calore di quello del sarto formicolasse. Non riuscì a togliersi quest’impressione di dosso per tutta la cena - peraltro ottima e ricca, a ulteriore dimostrazione dell’abilità di Natsume e del suo relativo benessere economico - e quando il giovane li condusse nella camera sul retro della casa, mostrando loro dove avrebbero potuto dormire, Kaname già sapeva di non poter prendere sonno. Restò a lungo sdraiato accanto a suo padre, che invece si era addormentato profondamente quasi subito, a fissare le travi di legno del soffitto ingoiate dall’oscurità. Natsume era rimasto nell’altra stanza, lasciando che usufruissero della sua camera liberamente, ma la sua presenza era palpabile nell’aria, almeno per Kaname. Su di lui calò progressivamente una sonnolenza leggera, che non si trasformò mai in sonno profondo. Fu forse per questo motivo, quindi, che si ridestò subito sentendo le voci provenienti dall’ingresso.
Si trattava di bisbigli, niente di più, ma abbastanza chiari perché Kaname potesse coglierne qualche sillaba frammentaria. Inizialmente pensò che potesse trattarsi di uno dei misteriosi clienti del sarto, forse quello che aveva ordinato il kimono da bambino, ma il discorso continuò a lungo e più che lo scambio di battute tra cliente e artigiano parevano le chiacchiere di due amici di lunga data. Riuscì a distinguere due voci maschili, una sottile e vagamente petulante, l’altra più profonda ma musicale. Quest’ultima, si disse dopo un po’, doveva essere quella di Natsume. Di colpo ricordò il momento della notte precedente, appena prima che il giovane si voltasse e lo scorgesse: anche allora aveva sentito due voci e gli pareva in tutto e per tutto che coincidessero con quelle che discutevano in salotto. C’era dunque un’altra persona nella casa, qualcuno che frequentava Natsume nonostante il divieto e che forse proprio per questo non voleva farsi vedere. Poteva essere questa persona che Natsume era andato a cercare tra gli alberi, colui a cui aveva chiesto di indagare sugli incidenti avvenuti al villaggio.
Incuriosito, Kaname desiderò carpire qualcosa in più di quella conversazione. Lentamente e silenziosamente strisciò fino all’ingresso della stanza, restando appoggiato con il viso alla parete sottile.
“…n posso credere che tu non mi abbia detto niente,” sbottava la voce di Natsume, che non suonava pacata come al solito, ma piuttosto irritata.
“Non sono affari tuoi.”
“Questo lo deciderò io, al massimo. Sapevi quanto io...”
“Oh, quante storie!” sbuffò l’altro. “Tanto ormai hai mandato Hinoe ad indagare, no?”
“…Che osservazione brillante.”
“Hai ottenuto il tuo scopo.”
Natsume esalò un sospiro che mal celava la propria stizza.
“Sensei, non hai qualche posto in cui andare a bere, stanotte?” domandò con un tono ironico da farlo sembrare un caldo invito.
Sensei, si ripeté Kaname. Un maestro? L’unico a cui si era rivolto con un appellativo simile era stato il gatto: l’aveva chiamato Nyan-nyan-sensei, o qualcosa del genere.
“No,” rispose l’altro con superiorità. Poi aggiunse “Non mi fido a lasciare la casa con quelli là.”
Kaname rabbrividì involontariamente. Non sapeva perché, ma era certo che il misterioso sensei stesse parlando di lui e di suo padre, e il disprezzo espresso dalla sua voce l’aveva messo in allarme.
“Di che parli?” fece Natsume. “Li ho invitati io a rimanere.”
“Tu non hai cervello. Ti fidi di tutti, faresti entrare in casa tua anche un dio della morte…”
“Uno è un hijiri e l’altro è un ragazzo della mia età. Che pericolo vuoi che nascondano? Sei paranoico…”
“Comunque io non mi fido,” dichiarò l’altro risoluto.
“Come vuoi,” borbottò Natsume. “A proposito, gli ho chiesto della notte scorsa, prima. Era proprio…”
Kaname, a questo punto del discorso, moriva dalla voglia di vedere in faccia l’interlocutore di Natsume. Raccolse il coraggio e si alzò sulle ginocchia, poi appoggiò un palmo alla parete e si sporse di un filo appena, quanto sarebbe bastato ad ottenere uno scorcio dell’altra stanza. Il pavimento però, quando spostò il peso in avanti, scricchiolò debolmente.
“Zitto. È qui,” udì la voce dello sconosciuto troncare il racconto di Natsume.
Trattenne il fiato per un momento, poi, vedendosi scoperto, si alzò in piedi e si parò in mezzo alla soglia.
“Scusate,” mormorò. “Non volevo intromettermi, solo…”
“Non riuscivate a dormire,” completò la frase per lui Natsume.
“Già…” Fece un passo avanti, scrutando di sottecchi la stanza. Non si vedevano ospiti. “Avevo sentito delle voci, così ho pensato…”
Gli occhi di Natsume si sbarrarono a quell’accenno.
“Voci? No…” Ridacchiò in modo terribilmente affettato, dimostrando ancora una volta di essere incapace di mentire. “È stato… Ero io. Sapete, stando da solo per tanto tempo si prendono strane abitudini…”
In quel momento Kaname localizzò il grasso gatto di Natsume spaparanzato su uno dei cuscini.
“Parlavate col gatto,” disse.
“Sì… Sciocco, vero?”
“Ma il gatto vi rispondeva,” aggiunse Kaname.
Di nuovo il sarto spalancò gli occhi.
“L’avete sentito?”
“Idiota! Dovevi far finta di niente!” sbottò il gatto, assumendo un cipiglio aggressivo. “Negare!”
“Ma…parla davvero,” balbettò Kaname, incredulo. Si avvicinò, chinandosi su di lui per vederlo meglio. “Questo non è un normale gatto. Può essere che si tratti di…”
“Nyanko-sensei è la mia guardia del corpo,” spiegò Natsume.
Kaname si voltò a guardarlo.
“Guardia del corpo?”
“Sono la sua guida. Tutto ciò che sa gliel’ho insegnato io,” dichiarò tronfio il gatto.
“Non esagerare, sensei,” lo ridimensionò Natsume, guardandolo storto. Kaname dovette sopprimere una risata. Era mirabile il modo in cui solo con quella strana creatura Natsume assumeva un modo di fare rilassato e casuale. “Diciamo che ci sono cose che non vi ho detto di me e che Nyanko-sensei si preoccupa di far sì che non mi accada niente.”
“Che cos’è? Una creatura magica?” domandò Kaname, sedendosi al tavolo con loro.
“È uno spirito. A questo punto credo di aver intuito che questo sia il motivo per cui vostro padre vi porta con sé nei suoi viaggi: anche voi avete il potere di vedere gli spiriti.”
Kaname rimase a bocca aperta.
“Uno spirito?” Respirò a fondo, metabolizzando l’informazione. “Non avevo mai parlato con uno di loro prima…”
“Non ci hai parlato neanche adesso,” ribatté Nyanko. “Continui a rivolgerti a quell’idiota di Natsume come se fosse l’unico dotato di intelligenza in questa stanza, il che dimostra che anche tu…”
Natsume calò un pugno sulla testa del gatto con tanta forza da lasciare Kaname di stucco.
“Non devi. Mai. Insultare. I miei ospiti,” scandì Natsume a occhi chiusi.
Kaname non poté più contenersi: scoppiò in una risata piena e spontanea, tanto che entrambi i presenti nella stanza smisero di litigare e rimasero a fissarlo perplessi.
“Scusate…” bofonchiò mentre cercava di smorzare le risate. “Non…non volevo mancare di rispetto… Ma siete…” Scosse la testa, riguadagnando la padronanza di sé. “Sono certo che siate molto amici.”
“Tsk,” sibilò il gatto, voltandosi a guardare dall’altra parte.
Natsume e Kaname rimasero a fissarlo entrambi per qualche momento, poi il primo accennò un sorriso.
“Viviamo insieme da molti anni,” ammise e nel suo tono Kaname poté percepire chiaramente l’affetto che lo legava a quella creatura.
Si soffermò a studiare con più attenzione il gatto.
“Ha l’aria strana per essere una guardia del corpo, però…” commentò poi. “Siete sicuro che sia affidabile?”
Nyanko gli scoccò un’occhiata di puro odio. Se ne fosse stato in grado probabilmente l’avrebbe fulminato, e non era da escludere che si stesse trattenendo dal farlo per riguardo nei confronti di Natsume, che ai propri ospiti pareva tenere.
“Sciocco umano, come osi sfidarmi? Con chi credi di avere a che fare?” gli starnazzò contro. “Io ho poteri che un moscerino come te nemmeno può immaginare!”
“Mi scusi, mi scusi,” fece Kaname, ma divertito ciononostante. “Sono certo che Natsume-san non vi terrebbe qui con sé se non foste un grandioso servitore.”
“Ser… Servitore?!?” sbraitò il gatto. “Basta, questo è troppo! Non sopporterò un secondo di più!”
“Nyanko-sensei…” tentò di calmarlo Natsume, ma lo spirito aveva già preso la strada della finestra aperta e non si girò nemmeno indietro. Sarebbe stato più convincente se non avesse marciato su quelle stupide gambe tozze, che mal reggevano il suo peso e che lo facevano ondeggiare da un lato all’altro come una barca in balia del mare mosso.
Kaname attese che il gatto fosse sparito nella notte, poi disse, con voce più controllata e seriosa, “Non era mia intenzione interrompere i vostri discorsi con la mia presenza. Sono oltremodo dispiaciuto.”
“Non lo dite nemmeno per scherzo, anzi lasciate che mi scusi se, con le nostre chiacchiere, vi abbiamo impedito di riposare. Non avevo idea che sareste stato in grado di udire la voce di Nyanko-sensei…”
“Sono dunque il primo a capire le sue parole?” domandò stupito Kaname.
“Dopo mia nonna e me sì,” confermò Natsume. “Le persone normalmente riescono a vederlo, ma non sentono che un miagolio quando apre bocca.”
“Capisco…”
Rimasero in silenzio, imbarazzati e tesi nel mettere a nudo i propri segreti.
“Come mai non avete mai parlato con uno spirito? Se posso chiederlo, si intende…” domandò poi Natsume.
Kaname lo fissò sorpreso.
“Oh… Be’, credo sia perché non ne avevo mai visto uno così distintamente,” rispose. “E comunque non sembrano intenzionati a parlare con me, di solito.”
“Ah.” Natsume lo osservò con un velo di tristezza nello sguardo. “Quindi non li vedete chiaramente.”
“No,” disse Kaname. “Perché, voi invece siete abituato a vederli?”
Natsume si fece nuovamente pensoso, mentre il suo sguardo si perdeva fuori dalla finestra da cui era uscito Nyanko-sensei.
“Da tutta la vita,” rispose infine, rivolgendoglisi con un sorriso mite. “È un dono con cui sono nato. L’ho ereditato da mia nonna; anche lei li vedeva e, come me, intratteneva con loro rapporti.”
“Capisco.”
“Immagino di dare l’impressione di un mostro, o di uno scherzo…”
“No!” lo interruppe Kaname con fermezza. “Assolutamente no, credetemi. Se voi siete un mostro, che dovrei pensare di me stesso?”
“Voi stesso avete detto che non li vedete abitualmente,” si difese Natsume.
“Ma li percepisco. Vedo delle ombre e a volte mi capita di individuare una mano o dei piedi scorporati; nella migliore delle ipotesi avverto la loro presenza sotto pelle, come un brivido. E poi non dimenticate che anch’io sono in grado di comprendere Nyanko-sensei,” terminò con un sorriso complice.
Natsume rispose addolcendo la propria espressione.
“Potete dunque capire in parte la mia sfortuna e il motivo per cui sono stato isolato dalla comunità del villaggio ancor prima di esserne allontanato.”
“Loro sanno?”
Natsume scrollò le spalle.
“Non so dire quanto abbiano realmente capito, ma di certo si sono fatti delle idee sulla stranezza della mia famiglia. Immagino sia impossibile da non notare… A volte, quando ero piccolo e mi capitava di rivolgermi a qualcuno che non si trovava di fronte a me in carne e ossa o di trasalire per la visione di uno spirito più truce degli altri, desideravo ardentemente che mi credessero solamente pazzo. Oggi, però, ho imparato ad amare gli spiriti quanto amo la mia gente e sono grato di possedere questo dono. Se non ci fossero stati alcuni di loro al mio fianco, come Nyanko-sensei, non so cosa ne sarebbe stato di me.”
Kaname non sapeva che dire. Era una confessione scottante e gravosa, ma condivisa con una sincerità e una semplicità disarmanti. Si sentiva speciale solo per esserne stato messo a parte e la sua strana peculiarità, ora, gli pareva una sciocchezza nemmeno degna di essere nominata. Per cavarsi dall’impaccio che l’aveva colto fissò lo sguardo sul tavolo, sui quali erano piegati o disposti con cura alcuni ritagli di stoffa pregiata e del filo.
“Dunque non siete veramente un sarto?” chiese, abbassando la voce per poterla meglio controllare.
“Oh, sì. Anche questa è una professione che ho ereditato da mia nonna.”
“E per chi sono i vestiti che cucite?”
“Per loro,” rispose semplicemente Natsume. “Per gli spiriti.”
Kaname non poté fare a meno di fissarlo, affascinato.
“Per gli spiriti?” ripeté poi.
“Sì.”
“Ah. Capisco.”
Natsume annuì, sorridendo apertamente.
“Suona strano? Non me ne rendo più conto, ma immagino di sì.”
“Non lo so,” disse Kaname con schiettezza. “Non ci avevo mai pensato, ma presumo che anche loro necessitino di abiti degni del loro rango, se così si può definire.”
“È così,” confermò Natsume. “Mia nonna ha vestito tutti i più potenti spiriti e persino alcuni dei con la loro corte. Io cerco di essere all’altezza del suo nome, anche se non sempre sono sicuro di riuscirci. Ho ancora molto da imparare, temo.”
“Dei, dite?”
“Certo, non parlo degli dei supremi,” minimizzò Natsume, schermendosi, “ma ci sono divinità dei fiumi, delle montagne e dei boschi dallo sconfinato potere in tutto il Giappone e tutti conoscono il nome di Natsume Reiko.”
Natsume Reiko. Kaname ricordava il nome della nonna del giovane sarto dal racconto di Nishimura-san. Doveva essere stata una donna incredibile.
“È fantastico,” mormorò.
Natsume parve colto alla sprovvista.
“Dite?”
“Certo,” rispose Kaname. “Vi ha lasciato una grande eredità, la sua memoria e il suo talento, e questo vale più di qualsiasi tesoro.”
Natsume arrossì vistosamente a quelle parole. Riportò in fretta gli occhi sulla finestra.
“Vedete il pendaglio appeso là fuori?”
Kaname osservò l’angolo della finestra aperta, dal quale si scorgeva un singolare oggetto, che a prima vista aveva scambiato per un amuleto protettivo.
“Era di mia nonna,” riprese la spiegazione Natsume.
In quel momento, come richiamato da quelle parole, un sottile alito di vento mosse i pendenti e questi, andando a sbattere gli uni contro gli altri, produssero un delicato e armonioso tintinnio. Kaname allora capì ciò che Natsume voleva dirgli: in un istante vide distintamente in questo giovane troppo solo la sofferenza dell’emarginazione e il grande animo in cui la celava, l’impressionante segreto che condivideva solamente con la memoria dell’unica persona cara che avesse mai avuto accanto, rimasta viva in lui attraverso la sua professione e poco altro, e si commosse infinitamente. Che creatura straordinaria aveva incontrato in condizioni tanto inaspettate! Avrebbe voluto poter dare sollievo al suo animo, colmare il vuoto della sua solitudine e della propria al contempo, dividendo il peso del segreto che serbava tanto gelosamente. Si chiese se Natsume avesse mai incontrato un’altra persona con cui aveva così tanto in comune, con cui poter parlare delle proprie esperienze e dei propri sentimenti con serenità e sincerità, senza difendersi dietro a mille paraventi, e sperò allo stesso tempo, in modo odioso ed egoistico, che la risposta fosse negativa. Gli dava forza l’idea di aver creato con lui un legame che lo distinguesse da tutti gli altri giovani conosciuti fino ad allora.
“Capisco,” disse quindi, con voce profonda e colma di tenerezza. “È innegabilmente un suono celestiale.”
Il sorriso sul viso di Natsume si distese, allargandosi, e a Kaname parve che le sue guance si imporporassero maggiormente. Il suo cuore si fermò, rapito da quella visione.
Rimasero in silenzio, gli occhi di Natsume fissi sulla finestra e quelli di Kaname persi sulla sua figura, per svariati minuti. Quando Kaname riuscì a staccarsi dalla sua compagnia e si congedò, dicendo che l’avrebbe lasciato al suo lavoro e al riposo notturno ritirandosi lui stesso, il cuore gli batteva ancora furiosamente nel petto e lui non sapeva nemmeno perché.
Con l’arrivo del mattino giunsero notizie dal villaggio. Kaname si svegliò tardi, ma quando si alzò suo padre era già seduto nell’altra stanza con Natsume e sembravano intenti a discutere. Vedendolo arrivare Natsume sorrise, illuminandosi, e Kaname si rese conto che i problemi che aveva avuto ad addormentarsi la notte precedente non si erano minimamente risolti.
La prima cosa che gli comunicarono fu che l’informatore - o informatrice, a quanto pareva, e Kaname ne prese atto con una punta di gelosia - era stato al villaggio e aveva osservato il fenomeno che lo affliggeva. La conferma era allarmante: si trattava, come avevano ipotizzato in un primo momento, di un demone e anche piuttosto potente. Dalle informazioni raccolte il demone era apparso qualche mese dopo l’allontanamento di Natsume e si era insediato nel villaggio, all’inizio di nascosto, limitando i propri danni per non essere scoperto; col passare del tempo, però, aveva guadagnato forza e, sentendosi più sicuro, aveva iniziato a distruggere e rubare alla popolazione tutto ciò che gli pareva. Più imperversava più la sua potenza distruttiva si accresceva e, dopo quasi due anni di attività, le sue capacità si erano ingigantite in modo totalmente sproporzionato, rendendolo quasi inarrestabile. Di certo non pareva un avversario che un umile monaco hijiri e un ragazzo con scarsi poteri extrasensoriali potessero affrontare da soli.
“Questo è un vero problema,” commentò Kaname, stringendo le labbra.
Si voltò verso Natsume, che osservava lui e suo padre con sguardo triste e preoccupato. Dopo aver scoperto dei suoi poteri avrebbe voluto chiedergli se c’era qualcosa che lui potesse fare, o se conoscesse qualcuno che li potesse aiutare, ma non sapeva come esordire, come porre la domanda, soprattutto con suo padre presente. Natsume aveva dato l’impressione di non essere incline a diffondere il proprio segreto e lui era intenzionato a mantenerlo.
“Ho parlato con Natsume, prima che tu ti alzassi, e gli ho chiesto se sarebbe disposto ad aiutarci,” disse il monaco.
Kaname lo guardò con stupore.
“Natsume? E come potrebbe aiutarci?”
Tanuma sorrise.
“Natsume mi ha detto del suo dono,” spiegò. Un’irrazionale vampata di delusione colse Kaname, ma la nascose perfettamente. “Mi ha raccontato della vostra conversazione di stanotte e di come scoprire del tuo potere l’abbia convinto a renderci partecipi delle sue capacità.” La sensazione negativa dentro al petto di Kaname si alleviò leggermente. “Mi ha detto che può parlare con gli spiriti e che è proprio uno di questi che ha mandato in avanscoperta.”
Non gli ha detto del suo lavoro, fu il primo, assurdo pensiero di Kaname. Il secondo, invece, fu decisamente più razionale.
“Oh,” esclamò. “Non mi avevate detto che si trattava di uno spirito.”
Natsume annuì.
“Hinoe,” disse, e Kaname si ricordò di aver udito quel nome pronunciato da Nyanko-sensei. “È uno spirito che vive qui nel bosco e che ha servito fedelmente mia nonna per tutta la vita. Ne capisce molto più di me, su queste faccende, ed è abbastanza potente da sapersi difendere, all’occorrenza. È stata un prezioso aiuto anche in questo caso, viste tutte le notizie che è riuscita a raggranellare.”
“Così avete più di uno spirito servitore,” sussurrò Kaname, ammirato.
“No, Hinoe non è al mio servizio,” si affrettò a mettere in chiaro Natsume. “Non potrebbe mai. È… Mi aiuta, di tanto in tanto, per l’affetto che portava a mia nonna. Tutto qui.”
Tanuma annuì.
“Dunque, Natsume-san, siamo giunti alla vera questione: sareste in grado di aiutarci a sconfiggere e allontanare questo demone nefasto dal villaggio?” domandò compito.
Natsume abbassò gli occhi sulle proprie mani, pensoso e amareggiato.
“Sono spiacente,” mormorò, “ma per quanto sia dotato di un grande potere spirituale non sono mai stato molto forte come esorcista. Se si trattasse di qualche spiritello da poco lo potrei convincere a lasciar stare la popolazione, ma così… Non ho paura di affrontarlo, ma temo che ne avrei solamente la peggio e riuscirei a farlo infuriare ancora di più.”
Tanuma scosse la testa.
“Questo vuol dire che non abbiamo speranze.”
“Vi prego, non ho detto che non me ne occuperò,” intervenne Natsume.
Kaname lo guardò confuso.
“E come pensate di fare, se avete appena detto che…”
“Ho amici molto più potenti di me,” rispose. “Aspettate che interroghi Nyanko-sensei in proposito.”
Si alzò e uscì velocemente.
“È un caro giovane e una persona onesta e coraggiosa,” commentò il monaco non appena si fu allontanato.
Kaname annuì.
“Non capisco come abbiano potuto cacciarlo dal villaggio. È così assurdo…”
L’hijiri sospirò.
“Non tutti gli uomini sono portati a vedere la grandezza di chi hanno di fronte. Ci vuole un animo sensibile e onesto con se stesso per aprirsi all’altro, soprattutto a chi è diverso da noi.” Sorrise, aggiungendo “In questo caso tu sei stato avvantaggiato, poiché tu e Natsume non siete poi tanto diversi.”
Kaname si sentì nudo sotto gli occhi inquisitivi e saggi del padre, ma sostenne il suo sguardo vincendo l’imbarazzo, lasciando che questi gli leggesse l’anima fino nel profondo. Dopo qualche secondo, Tanuma sospirò nuovamente.
“Forse l’incontro con Natsume ti farà bene. Potrebbe persino cambiarti la vita.”
“La vita?” biascicò Kaname, che faticava a capire, ma in quel momento Natsume ritornò, seguito dal grosso gatto. La prima cosa che l’animale fece fu rivolgere uno sguardo carico d’astio a Kaname, dopodiché andò a spaparanzarsi placidamente su uno dei cuscini.
“Nyanko-sensei, ora che sei al corrente della situazione, ritieni che saresti in grado di affrontare il demone e di scacciarlo?” gli chiese Natsume, sedendosi a sua volta.
Il gatto sbuffò.
“Che angoscia…” si lamentò pigramente. “Non capisco perché dobbiamo discutere di questo demone quando non ci riguarda minimamente.”
“Sensei, per favore…” lo esortò Natsume.
“Uff…” Con fatica si erse sulle zampette, mettendosi seduto in modo più composto. “Da ciò che ha detto Hinoe direi che nessuno di noi è in grado di allontanare quell’essere dal villaggio.”
Kaname sgranò gli occhi. Dunque si trattava di un demone tanto potente?
“Potresti provare, però?” insisté Natsume. “So cos’ha detto Hinoe, ma…”
“Il potere spirituale di quell’essere è forse pari a quello mio, di Hinoe e di Misuzu messi assieme, forse leggermente superiore. Non ho alcuna intenzione di rischiare la pelle per uno stupido villaggio di ingrati.”
Natsume serrò le labbra.
“Posso sapere che dice?”
Kaname guardò suo padre stranito, prima di ricordarsi che in quella stanza era rimasto l’unico a non comprendere il linguaggio del gatto. Dopo così poche ore di permanenza si era già abituato a quella nuova, peculiare normalità.
“Non lo farà. Sarebbe troppo rischioso, dice, e dovrei comunque chiedere l’aiuto di altri due spiriti incredibilmente potenti. Non possiamo farlo, nella condizione attuale. Mi spiace.”
Il monaco sospirò.
“Ebbene, almeno ci abbiamo provato,” disse senza perdere il sorriso. “Torneremo al villaggio e cercherò di trovare un sistema per intervenire comunque.”
“Ma padre, se…”
“Gli abitanti del villaggio hanno bisogno di aiuto. Prima di consigliare loro di abbandonare le proprie case e di cercare rifugio lontano da qui lotterò fino alla fine.”
Sulla stanza calò un silenzio pesante. Kaname si sentiva egoista e superficiale, di fronte alla risposta di suo padre, e anche Natsume, per qualche motivo, sembrava turbato.
“Che assurdità…” borbottò il gatto tra sé, girando in tondo e accoccolandosi sull’altro fianco. “Tutta questa fatica per uno stupido villaggio…”
“Non permetterò che il demone l’abbia vinta,” dichiarò con voce ferma Natsume. Di nuovo l’espressione sul suo volto era di irremovibile risoluzione.
“E che credi di poter fare? Sei solo un ragazzino…” biascicò Nyanko.
“Se noi non siamo abbastanza potenti, allora cercherò l’aiuto di qualcuno che sia molto più forte di tutti noi.”
“Esiste un tale essere?” domandò di getto Kaname. Poi, rendendosi conto della sciocchezza detta, aggiunse “Voglio dire, avete servitori tanto potenti?”
“Ancora con questa storia dei servitori…” borbottò il gatto con voce lamentosa.
“Vi prego di smettere di usare quella parola,” disse però Natsume rivolgendosi a Kaname, stupendolo. “Io non ho servitori; solo amici. Mi rifiuto di usare gli spiriti che sono legati a me da vincoli d’affetto come strumenti e non ammetto che lo si faccia. Nyanko-sensei, come tutti coloro che mi hanno dato una mano finora, non sono tenuti a rispondere alle mie necessità in alcuna maniera, se non per disposizione personale e gentilezza.”
“Non volevo offendervi…” sussurrò Kaname. La mattinata gli aveva già riservato un gran numero di emozioni e il suo animo, a questo punto, era fortemente mortificato.
“Non mi avete offeso,” replicò Natsume sorridendo. “Vi prego solo di comprendere il rapporto che c’è tra me e queste creature. A loro non fa piacere essere trattati come servi.”
“Certo, lo capisco.”
“Sono sicuro che mio figlio non intendesse sminuire il loro ruolo né la loro indipendenza,” intervenne Tanuma.
“Oh, lo so bene,” lo rassicurò Natsume. “Credetemi, l’ho detto solo per Nyanko-sensei. È piuttosto suscettibile.”
Il gatto arruffò il pelo visibilmente.
“Non è affatto vero!” esclamò.
“Ciò che volevo dire prima,” riprese Natsume, ignorandolo completamente, “è che ho un alleato che forse potrebbe essere in grado di annientare questo demone malvagio. L’unico problema è che si trova a una lunga distanza da qui.”
“Di chi parli?” chiese Nyanko.
“Kai.”
“Oh.” Si stiracchiò, assumendo un’aria peculiarmente pensosa. “Non è male come idea. Potrebbe anche esserne in grado.”
Kaname li fissò a turno, perplesso.
“Chi è questo Kai?”
“È un dio delle montagne,” rispose Natsume. Poi, vedendo l’espressione dei suoi interlocutori, disse “Non dovete preoccuparvi, non è per nulla terrificante come potreste immaginare. In realtà è un fanciullo adorabile.”
“Un fanciullo, dite?” ribatté Kaname. “Sembra incredibile davvero, ma se lo dite voi ci fideremo ciecamente della vostra scelta.”
Le guance di Natsume si tinsero di un rosa appena più marcato.
“Vi ringrazio per la fiducia,” mormorò, abbassando il capo. “È bello poter collaborare con voi. Da molto non avevo modo di rendermi utile.”
“Non ce l’hai nemmeno ora. Stai dando il tormento a tutti noi e basta,” puntualizzò Nyanko-sensei, ma ancora una volta il suo acido commento rimase inascoltato.
“Dove vive questo Kai?” domandò Tanuma, riportando il discorso sul lato pratico della vicenda. “Le montagne distano centinaia di ri da qui, ci vorranno giorni per raggiungerle e altrettanti per tornare indietro.”
“A piedi, certo,” rispose Natsume. “Ma in volo molto meno, e ancor meno se si vola a grande velocità.” Così dicendo si voltò a guardare il gatto, che fingeva di ronfare indisturbato. Rimase in silenzio qualche secondo, poi lo pungolò con un dito. L’animale si scrollò, riprendendo a dormire. “Conosco lo spirito che farebbe proprio al caso nostro,” riprese Natsume, più vicino alle sue orecchie. Quello, per tutta risposta, le mosse un paio di volte, infastidito. “Nyanko-sensei, lo so che mi stai ascoltando.” Di nuovo trascorsero alcuni secondi nella totale immobilità. Natsume iniziava a dar segni di imbarazzo. “Come vuoi, ma niente più polpettine di riso al latte,” sospirò infine il giovane, tornando a sedersi diritto.
Nyanko aprì un occhio.
“Cosa vorresti dire?” gracchiò.
“Niente, solamente che un gatto tanto obeso non ha bisogno di mangiare leccornie, soprattutto se non muove mai un dito.”
“Sarebbe un ricatto?” chiese, alzando la testa.
“In verità,” rispose Natsume pacato, “credo semplicemente che tu non abbia più il fisico per farti tutta quella strada in volo e tornare entro stanotte, solo che non vuoi ammetterlo e così fai il finto tonto.”
“Come ti permetti, mucchio d’ossa!” sbottò il gatto, balzando su tutte e quattro le zampe. “Non ti ricordi con chi stai parlando, forse! Nessuno spirito sarebbe in grado di starmi dietro nell’intera regione!”
“Sì, certo…” borbottò Natsume.
“Ah sì? Non ci credi? Vuoi che te lo dimostri? Posso arrivare alle montagne e tornare prima che faccia buio!”
“Davvero? Vedremo…”
Il gatto stava già per scattare in direzione della finestra socchiusa, ma si bloccò a mezz’asta.
“Non ci casco,” disse, rimettendosi sul cuscino. “Volevi solo provocarmi per farmi fare quella sciocchezza, ma sono troppo intelligente per questi mezzucci.”
“Ahimè…” sospirò Natsume. Batté le mani sul tavolo, guardando i suoi ospiti. “Dunque non abbiamo tempo da perdere. Se Nyanko non ci aiuterà andando a chiamare Kai dovremo pensare noi stessi ad affrontare questo demone. Sarà meglio metterci in cammino. Ci sono molti preparativi da fare, al villaggio.” Così dicendo si alzò in piedi, subito imitato dall’hijiri e dal figlio.
“Dove credi di andare, idiota?” lo richiamò Nyanko, intento ad osservare il giovane che si preparava a lasciare la casa.
“Te l’ho appena detto,” replicò Natsume.
“Ti ucciderà.”
“Non conta granché. Non potrei più avere rispetto di me stesso, se non ci provassi almeno.”
“Peggio per te,” grugnì la creatura, girandosi dall’altra parte.
Natsume uscì dalla casa seguito dai suoi ospiti. Non si erano allontanati di dieci passi che la figura tozza del gatto si parò sul loro cammino.
“Che seccatura incredibile sei, Natsume!” sbottò l’animale. “Va bene, andrò a cercare Kai e lo porterò qui, ma non andare al villaggio prima che sia tornato con lui.”
Natsume sorrise.
“È davvero generoso da parte tua, Nyanko-sensei. Ti ringrazio di cuore.”
Di colpo la figura del gatto scomparve nel nulla. Kaname sentì una forte raffica di vento e la sensazione di irrigidimento dovuto agli spiriti aumentare esponenzialmente, tanto che tutto il suo corpo si coprì di pelle d’oca all’istante. Si voltò a guardare Natsume, che teneva gli occhi puntati sullo spazio dove fino a pochi minuti si trovava Nyanko-sensei, ma si accorse presto che il suo sguardo accarezzava una porzione d’aria molto più ampia di quella occupata prima dal gatto. La realizzazione fu immediata: Nyanko non se n’era ancora andato, ma aveva assunto una forma più spirituale, più consona al volo e, da quel che poteva capire, decisamente più grande. Si stava ancora chiedendo che aspetto potesse avere quello stupido gatto in quel momento quando una seconda folata, più intensa della prima, li travolse, obbligandolo a farsi schermo con una mano e facendolo addirittura arretrare di un passo, mentre gli occhi di Natsume si levavano al cielo e si perdevano lontano all’orizzonte.
“Se n’è andato?” domandò Tanuma.
“Tornerà il più in fretta possibile,” rispose Natsume, annuendo. “Ancora una volta non ci resta che aspettare.”
Non disse altro, ma si voltò e, con grande calma, rientrò in casa.
Il bosco era fitto e ombroso, ma non inquietante. Camminare fianco a fianco con Natsume sotto gli alti alberi gli dava un senso di pace e tranquillità che forse stonava un po’ con le vicende del villaggio, ma che Kaname trovava inestimabile. Natsume accarezzava con lo sguardo i fusti e le fronde come se le conoscesse una a una e di tanto in tanto Kaname aveva l’impressione che i suoi occhi sostassero più a lungo del normale in un punto a lui invisibile, ma non diceva mai nulla e continuava a passeggiare placidamente.
Improvvisamente, forse avvertendo lo sguardo fisso su di lui, Natsume si voltò.
“Oh, ma vi state annoiando? Mi rendo conto che probabilmente non sono il massimo della conversazione…”
“No, per nulla,” rispose Kaname.
“È che questo bosco ormai è diventato per me come una seconda casa.”
“Non vi biasimo. Io stesso, se vivessi qui, trascorrerei più tempo possibile tra questi alberi. Sembrano dotati di pensieri, come i custodi di una sapienza millenaria…”
“Be’, in un certo senso…” commentò Natsume, misterioso.
Kaname sorrise.
“E poi chi non gioirebbe nel poter rimandare di qualche ora il ritorno a quel villaggio? In tutta sincerità, mi mette i brividi.”
“Non siete pentito, dunque, di non essere tornato indietro con vostro padre?”
“Assolutamente no. Mio padre se la caverà sicuramente meglio da solo, nel parlare con Nishimura-san, di quanto potesse fare con me attorno. E poi lo raggiungeremo presto.”
“Capisco…”
“Non che sia solo per questo che ho preferito rimandare,” aggiunse Kaname di fretta.
“Che volete dire?”
“Voglio dire che certamente la vostra compagnia mi è molto gradita. Sarà un peccato, quando tutta questa storia sarà conclusa, lasciare il villaggio. Sento che avrei potuto trovare un buon amico, in voi.”
Natsume abbassò gli occhi, pensoso, poi sorrise.
“Sì, lo penso anch’io,” disse. “È un vero peccato.”
Camminarono in silenzio per qualche tempo, godendo della natura che li attorniava. Kaname sentiva la propria pelle formicolare piacevolmente ogni volta che sfiorava con la propria manica quella dell’abito di Natsume, e la strana apprensione che gli attanagliava le viscere quando rimaneva solo con lui era tornata a tormentarlo. Si chiese cos’avrebbe dovuto significare, se fosse solo il potere spirituale di Natsume, quello che sentiva, o se si trattasse invece di un altro genere di sintonia, che si era instaurata tra loro naturalmente ma del tutto slegata dalle loro affinità.
Intanto gli alberi si stavano diradando, aprendosi su una piccola radura circolare al cui centro si trovava un grosso masso. Lo spiazzo era attraversato da un minuscolo ruscelletto, che si allargava al centro cosicché la pietra era posta proprio nel mezzo, attorniata dall’acqua corrente. Nell’ombra perpetua di quell’angolo di pace incontaminata l’unico rumore era quello dell’allegro scorrere del fiumiciattolo.
“Wow,” mormorò Kaname, bloccandosi. “È meraviglioso.”
Natsume si era fermato qualche passo indietro rispetto a lui e rimirava la radura con soddisfazione e affetto.
“Già,” disse, tenendo la voce bassa, quasi che il loro chiacchiericcio potesse rompere l’incantesimo del posto. “Questa radura non è raggiungibile dagli esseri umani. Ci si arriva attraverso un sentiero segnato per gli spiriti e solo chi ha la capacità di riconoscerlo può seguirlo. Siamo fortunati, non è vero?”
Kaname annuì, ammirando lo spettacolo ancora a bocca aperta.
“È veramente incredibile,” sussurrò alla fine. “Ma come avete fatto a trovarla?” domandò, voltandosi per rivolgersi a Natsume.
“Oh, non è stato merito mio,” rispose questi. Fece un passo avanti, aprendo la bocca per parlare ancora, ma la voce gli uscì in un’esclamazione strozzata quando, per nessun motivo apparente, cadde in avanti.
Kaname fece appena in tempo a chinarsi verso di lui per trattenerlo dal crollare a terra. Prima ancora che ne fosse totalmente cosciente le sue braccia si erano insinuate sotto quelle di Natsume per sostenerlo e le loro labbra, scivolate accidentalmente le une sulle altre, si trovavano alla distanza di un respiro. Kaname guardò negli occhi spalancati di Natsume, rimasto immobile tra le sue braccia, quasi che la sorpresa l’avesse paralizzato, e non seppe che fare. Deglutì, incapace di risollevarsi e di scostare il viso da quello dell’altro. Il respiro caldo e leggermente accelerato di Natsume gli accarezzò le labbra, facendogli fermare il cuore per un secondo, e pensò che sarebbe bastato pochissimo perché un incidente divenisse un bacio. Niente di più semplice che un movimento lieve e accorto, gli sarebbe bastato spostare il peso e chiudere gli occhi, pregando che le labbra di Natsume non si muovessero da dov’erano. Eppure non riuscì a contrarre un muscolo, fino a che non fu Natsume stesso a riacquistare l’equilibrio e a rialzarsi sulle proprie gambe, allontanandosi da lui. Kaname sentì le braccia svuotarsi e di colpo non seppe che fare delle proprie mani, mentre l’imbarazzo sorgeva velocemente, sommergendo ogni altra sensazione. Strinse i pugni, raddrizzando la schiena.
“Tutto bene?” chiese con voce un po’ roca.
“Sì…” sussurrò Natsume, fissandolo ancora con gli occhi leggermente sgranati. “Scusate. Non intendevo…”
“Non è successo niente,” si affrettò ad accorrere in suo aiuto Kaname.
“Mi spiace davvero,” insisté ciononostante Natsume, palesemente innervosito dall’accaduto. “Sono costernato. È tutta colpa di Hinoe. Mi ha fatto lo sgambetto.”
Kaname si accigliò.
“Hinoe? La stessa Hinoe che…”
“Sì. Ci ha seguito per gran parte del tempo. Avevo il dubbio che voi non riusciste a scorgerla; dev’essere per questo che di tanto in tanto mi guardavate in modo strano.”
“Era con noi fin da prima?” mormorò confuso Kaname, guardandosi intorno.
“È qui,” disse Natsume, indicando il vuoto accanto a sé.
Kaname sentì scioccamente il proprio cuore sprofondare. Non riusciva a percepire assolutamente nulla.
“Sono spiacente,” fece, scuotendo la testa. “Non riesco a vederla.”
Natsume parve rattristarsi per un attimo, poi rialzò il capo.
“Forse so come posso mostrarvela,” disse e, con la tenacia che ormai Kaname sapeva riconoscere in lui quando si metteva in testa una cosa, lo condusse fuori dalla radura, tornando sul sentiero. Si fermò in un punto in cui la strada era un po’ più larga e con l’aiuto di un ramo secco si mise a tracciare un complesso sigillo per terra. Quando ebbe finito lo esaminò soddisfatto. “Ecco, così dovrebbe andare. Hinoe, se foste così gentile da entrare nel cerchio…”
Kaname osservava il sentiero con attenzione, in attesa. Per qualche secondo non accadde niente, poi, come materializzandosi dal nulla, un’alta figura di donna entrò nel perimetro del sigillo e rimase immobile al centro, fissandolo con aria annoiata e distaccata mentre fumava elegantemente. Infine espirò una grossa nube di fumo nella sua direzione e disse “Così tu saresti quel giovane scocciatore per il quale Natsume, qui, mi ha pregato di fare quella sfacchinata giù al villaggio. Speravo meglio.”
Kaname sbatté gli occhi.
“Scusate? Temo di non aver capito.”
Lo spirito alzò gli occhi al cielo con aria sofferente. Natsume, al suo fianco, aveva assunto una curiosa tonalità rosa acceso.
“Tanuma, questa è Hinoe. Non fate caso ai suoi modi. È un po’ scontrosa con gli uomini.”
“Solo con gli uomini?” domandò Kaname, incuriosito e intimorito da quella donna dall’aspetto forte e gelido. Il trucco che le adornava il viso non aiutava a conferirle un’espressione più dolce.
“Puoi dirlo forte,” rispose Hinoe con un’altra boccata di fumo. “Sto facendo un grande strappo alla mia morale nel rivolgerti la parola. Dovrei divorarti, come faccio solitamente.”
Kaname sentì un brivido scendere lungo la schiena, ma celò la propria inquietudine.
Natsume si mise a ridacchiare senza grande allegria.
“Suvvia, Hinoe, siate gentile. Tanuma è un mio ospite, sarebbe estremamente sconveniente se a causa mia dovesse subire torti.”
“Perché è un tuo ospite, eh?” fece lei, squadrandolo maliziosa. “E io che mi sono data tanto da fare a consigliarti di portarlo qui e tutto il resto…”
Le guance di Natsume si colorarono ancor maggiormente.
“Vi prego,” mormorò, “lo scherzo di prima è stato già piuttosto sopra le righe…”
Hinoe si mise a ridere. La sua era una risata chioccia e cattiva, ma non per questo meno femminile, e nonostante tutto, col passare dei minuti, Kaname si sentiva sempre meno minacciato dalla sua presenza.
“Suvvia, Natsume, per una sciocchezza simile. Volevo solo darti una mano. In nome delle antiche usanze…”
Natsume sospirò e Kaname corrugò la fronte, incapace di cogliere l’interezza del discorso.
“Ma se pensi di poter fare di meglio da solo non sarò io a imporvi la mia presenza. Me ne vado.” Trasse una boccata di fumo e tornò a rivolgersi a Kaname. “Tanuma, eh? È stato un incontro interessante. Credo che avremo modo di vederci ancora.”
“Il piacere è…” iniziò Kaname, ma lo spirito uscì dal sigillo, sparendo nel nulla, prima che avesse finito. “…stato mio,” concluse, fissando il punto in cui era scomparsa.
Natsume sospirò nuovamente, scuotendo appena la testa.
“Mi scuso ancora per il modo in cui vi ha trattato,” borbottò.
“Non vi preoccupate, non l’ho trovata affatto sgarbata,” mentì Kaname. “Piuttosto è stato un incontro affascinante.” Guardò a terra, dove ancora era tracciato il sigillo. “Cos’è questo?”
“Oh, nulla di straordinario. Serve a mostrare gli spiriti ad occhi umani.”
“Ah. Non sapevo esistesse un sistema simile.”
“L’ho imparato da qualcuno che aveva più esperienza di me. Se volete, ve lo insegnerò,” spiegò Natsume, facendo sfoggio della consueta umiltà. Poi alzò gli occhi, cercando il cielo oltre le fronde. “Credo sia tempo di tornare a casa. Non vorrei che Nyanko-sensei arrivasse e non mi trovasse ad aspettarlo. Non smetterebbe di lamentarsi per i prossimi sei mesi…”
Kaname annuì, mettendosi sulla via del ritorno. Questa volta, però, rimase un passo dietro a Natsume e per tutto il tragitto osservò la sua schiena diritta, cercando di far chiarezza nella confusione che aveva in testa.
Parte terza (e ultima)