Il sarto degli spiriti - parte terza (e ultima)

Aug 27, 2009 00:29



Parte seconda

“Eccoli!”
Natsume gli indicò un punto nel cielo, in lontananza, e Kaname strizzò gli occhi per scorgere qualche segno di creature in volo, ma non riuscì a vedere niente; solo dopo qualche momento individuò un punto nero sospeso molto in alto nell’aria, ma che sembrava avvicinarsi in fretta.
“Lo vedo!” esclamò, colto da improvvisa gioia nel poter condividere almeno questo con Natsume.
Il sarto gli sorrise radioso, rendendolo ancor più felice.
La sagoma prese presto dimensioni umane e quando planò, toccando terra di fronte a loro, Kaname rimase di stucco.
“Ma…è davvero un fanciullo!” esclamò con un fil di voce, osservando il bambino dai capelli corvini che lo fissava incuriosito.
“Così appare,” replicò Natsume. Si rivolse quindi al nuovo arrivato, salutandolo. “Buonasera, Kai.”
“Buonasera, Natsume! Che bello rivederti!” fu la risposta entusiasta del fanciullo. Kaname ancora non riusciva a convincersi che quello potesse essere un dio.
“Grazie per aver viaggiato così velocemente. Non so cos’avremmo fatto senza il vostro aiuto,” riprese Natsume.
“Oh, Madara mi ha spiegato tutto,” disse il bambino. Kaname si chiese chi potesse essere, ora, questo Madara, ma la cosa che attirò la sua attenzione fu l’assenza di qualcun altro.
“Dov’è Nyanko?”
“È qui di fronte a me,” rispose Natsume, sorridendo e indicando il vuoto accanto a Kai.
“Oh, non ti vede, Madara…” disse tra sé il bambino, rivolgendosi a sua volta al nulla.
Ci fu un suono simile a un frullio d’ali e di colpo, di fronte a lui, era ricomparso il grasso gatto che ben conosceva.
“Oh, Ponta, saresti tu Madara,” commentò Kaname prima di potersi trattenere.
Natsume e Kai scoppiarono a ridere di gusto, mentre l’espressione di Nyanko assumeva nuove sfumature omicide.
“ANCORA CON QUESTO STUPIDO NOMIGNOLO?” sbraitò il gatto. “MI CHIAMO NYANKO-SENSEI, PER TE, HAI CAPITO? NYANKO-SENSEI!”
“Va bene, va bene,” fece Kaname, cercando di non mettersi a ghignare.
“Devi ammettere, però, che Ponta un po’ ti si addice, come nome…” bofonchiò Kai tra le risate.
“NON TI CI METTERE PURE TU!” urlò Nyanko, decisamente meno aggressivo di quanto non fosse stato nei confronti di Kaname.
“Non abbiamo tempo di stare a confabulare,” li interruppe Natsume. “Kai, se avete compreso la situazione e siete venuto fin qui significa che ve la sentite di affrontare questo demone.”
Il ragazzetto annuì.
“Certo. Si tratta pur sempre di un solo demone, per quando abbia racimolato forza.”
“Perfetto. Allora fareste bene ad andare al villaggio.”
Kai fissò Natsume interrogativo.
“Tu non vieni, Natsume?”
Il sarto sorrise.
“Non posso avvicinarmi al villaggio, lo sapete.”
“Sciocchezze!” esclamò Kaname. “Non potete starvene qua. Siete stato voi a organizzare tutto questo, in fondo.”
“Sì, ma…”
“Voi verrete con noi,” dichiarò fermamente.
“Stranamente l’idiota ha ragione,” intervenne Nyanko.
“Se non vieni tu non ci andrò nemmeno io,” aggiunse Kai.
Natsume sospirò.
“Ma come faremo con Nishimura-san e…”
“Se vogliono liberarsi del demone dovranno accettare di avere a che fare con voi. Prendere o lasciare,” lo interruppe Kaname.
“Va bene…” mormorò Natsume. “Faremo come dite voi. Spero solo che non sorgano altri problemi.”
“Allora andiamo!” esclamò Kai. Proprio come un bambino, era straordinariamente eccitato all’idea dell’avventurosa notte che li aspettava.
“Tanuma, voi non potete vedere Nyanko-sensei quando è nella sua vera forma, giusto?” chiese allora Natsume all’altro.
“No, mi spiace.”
“Vi fidate di me?” domandò ancora.
“Certamente.”
“Allora chiudete gli occhi,” gli ordinò gentilmente, e come a sottolineare le proprie parole gli pose una mano sul viso, esortandolo con tocco lieve ad abbassare le palpebre.
Le dita di Natsume si serrarono gentili attorno al suo polso e lo guidarono, facendolo avanzare di qualche passo. Kaname sussultò nel sentire improvvisamente le proprie mani toccare una pelliccia folta e morbida, mentre Natsume lo spingeva a salire sul dorso di quello che pareva un enorme animale. Kaname si aggrappò al pelo, stringendo le gambe attorno al corpo di quell’essere su cui stava a cavalcioni, e non osò aprire gli occhi quando il vento iniziò a fischiargli nelle orecchie e a far svolazzare i suoi capelli e i lembi dei suoi vestiti, colto dalla paura di vedere solo il vuoto sotto di sé e di perdere i sensi, o peggio di spezzare l’incanto che lo teneva sollevato in aria e di precipitare al suolo. L’unico conforto era la pressione del corpo caldo di Natsume contro la sua schiena: il sarto si era arrampicato sulla sua stessa cavalcatura e si era addossato a lui, forse nella speranza di tenerlo meglio ancorato all’animale.
“Tutto bene?” gli giunse all’orecchio la voce di Natsume, resa debole dal vento che spirava con forza in senso contrario.
“Sì,” lo rassicurò Kaname. “Non vi preoccupate.”
“È perfettamente normale avere paura, la prima volta,” rispose Natsume. “Non capita certo tutti i giorni di volare.”
Il viaggio, in verità, durò un battito di ciglia, e quando Kaname iniziò a pensare che avrebbe fatto fatica a tenersi aggrappato alla sua cavalcatura senza mai guardare di sotto - iniziava a sentirsi fortemente disorientato, anche a causa del continuo ondeggiamento in aria - di colpo il vento cessò di soffiare. L’istinto gli disse subito che dovevano essere atterrati e aprì gli occhi, trovandosi sospeso nel nulla, non molto distante dal suolo. Sotto di lui, il poderoso corpo dell’animale invisibile era freddo ma perfettamente palpabile; Kaname pensò che se quella era la vera forma di Nyanko avrebbe fatto meglio a non aizzarselo più contro: viste le dimensioni della schiena, doveva trattarsi di uno spirito veramente terribile.
“Quanto è cambiato…” sentì Natsume mormorare alle sue spalle.
Il sarto scivolò giù dalla schiena dello spirito, facendo qualche passo in direzione del villaggio. Col calare della sera il suo aspetto si faceva ancor più inquietante e spettrale.
“Era molto che non ci venivi,” osservò Kai, intento a sua volta a studiare la zona. “Sento perfettamente il potere del demone all’opera. Madara ha ragione: si è fatto molto forte.”
“Ma credete ancora che ci sia speranza,” cercò conforto Kaname, scendendo a sua volta, seppur con qualche difficoltà, dal dorso dello spirito.
Kai lo guardò e il giovane rimase per qualche attimo pietrificato dal guizzo di malevolenza e crudeltà che vide nei suoi occhi.
“Quale essere impudente e presuntuoso,” mormorò il fanciullo a voce bassa e tagliente come il ferro di una lama, tornando a guardare il villaggio, “oserebbe mai arrogarsi poteri che non gli competono? Solo un demone di bassa lega sfiderebbe un dio…”
Camminarono l’uno vicino all’altro, Kaname, Natsume, Kai e Nyanko - che aveva riacquistato le usuali sembianze feline alle quali il giovane Tanuma iniziava ad abituarsi -, mentre la foschia spessa li avvolgeva e li ghermiva come lunghe dita di fumo, penetrando sottopelle con la propria viscosa umidità. Kaname si guardò intorno attentamente, i sensi allertati, alla ricerca di suo padre o, peggio, del demone responsabile di tutto ciò.
“Quello è il tempio,” disse Natsume, indicando un piccolo edificio. “Vostro padre potrebbe trovarsi là dentro.”
Kai e Nyanko si fermarono sulla soglia quando Kaname aprì la porta ed entrò, seguito da Natsume. L’unica stanza era rischiarata dalle luci di un piccolo braciere posto al centro. Seduti lì accanto, raccolti in preghiera, c’erano l’hijiri e Nishimura-san accompagnato dal figlio. Sentendoli avanzare, i tre si voltarono; Tanuma sorrise ai due nuovi arrivati, mentre l’espressione sul volto di Nishimura-san si fece cupa. Il giovane Satoru si limitò ad abbassare gli occhi, tenendoli ostinatamente fissi sul pavimento di legno per non rischiare di incrociare quelli di chi, un tempo, era un suo caro amico.
“Ben arrivati,” li accolse il monaco. Non si alzò, ma fece loro cenno di accomodarsi di fronte a sé e i due giovani raggiunsero il gruppetto e si inginocchiarono.
“La persona che ci aiuterà è arrivata,” disse Natsume. Kaname ammirò come sul suo viso non apparisse nemmeno una ruga di risentimento o amarezza, nel trovarsi faccia a faccia con chi l’aveva scacciato dalla sua stessa casa; era tranquillo e parlava a voce bassa e pacata, senza fretta né imbarazzo. “Sta aspettando qua fuori.”
“Bene, sono contento di sentirvelo dire,” fece Tanuma, il cui sorriso si fece più deciso. “Io ho parlato con Nishimura-san e gli ho raccontato quanto siate stato disponibile e quanto prezioso il vostro aiuto si sia rivelato nel cercare di risolvere questa brutta situazione. Dopo qualche discussione abbiamo concordato che tale generosità vada premiata e si è deciso che potrete tornare a vivere al villaggio da domani stesso, se lo vorrete.”
Nishimura non disse niente, ma annuì grave.
“Non sappiamo dirti quanto ti siamo riconoscenti per aver accettato di aiutarci, Natsume.”
Satoru aveva parlato con voce incerta per il nervosismo, ma carica di sincera gratitudine. Kaname osservò le labbra di Natsume serrarsi con forza, trattenendo la commozione di fronte a tali parole.
“Non avrei potuto fare altrimenti,” rispose quieto. “Questo è il mio villaggio.”
Tanuma annuì, compiaciuto.
“Dunque ditemi, Natsume, cosa dobbiamo fare?”
“Seguitemi fuori,” ribatté lui, alzandosi. “Kai vi spiegherà tutto.”
Kaname fu sollevato nel notare che non solo i Nishimura, ma persino suo padre rimase stupito nel vedere che il misterioso Kai che li avrebbe salvati altri non era che un fanciullo. Natsume non disse loro alcunché circa la sua vera natura e Kaname restò a lungo ad interrogarsi sull’effettiva potenza di quell’essere dall’aspetto innocuo, ma che poteva tranquillamente rendersi visibile ad occhi umani come se si fosse trattato di un ragazzino qualunque.
Fu tracciato un perimetro di contenimento per il demone, cosicché una volta entrato all’interno del villaggio non ne potesse più uscire, e Natsume aiutò Tanuma a comporre sul terreno antistante il tempio un grosso sigillo di esorcismo, che sarebbe servito a spazzar via ogni resto del demone se fosse scampato alla furia di Kai. Dopodiché non si trattò che di aspettare. Le tenebre calarono velocemente e gli abitanti si sbarrarono nelle loro case, tremando di paura. I Nishimura si rifugiarono all’interno del tempio, tenendo l’uscio scostato quanto bastava a spiare ciò che accadeva all’esterno. Tanuma, suo figlio e Natsume si posizionarono attorno al sigillo, pronti ad ogni evenienza, Nyanko si tenne un po’ discosto per non rischiare di attivare involontariamente la trappola studiata per il demone e Kai si sedette accanto al pozzo, fischiettando tranquillo. La nebbia e il buio rendevano quasi impossibile identificare la sua sagoma, nonostante fosse a pochi chou di distanza da dove si trovavano gli altri.
Quando il demone si fece avanti, varcando il perimetro delle prime case del villaggio, Kaname represse a malapena un grido di panico: si trattava di una creatura mostruosa, che in nulla ricordava l’aspetto umano, alta come una casa e dal corpo nero come la pece, eppure innaturalmente visibile anche tra le ombre notturne.
“È qui…” sussurrò tremante senza staccargli gli occhi di dosso.
Per qualche secondo Kaname temette che l’avesse sentito, o che presto li avrebbe individuati e si sarebbe gettato su di loro, divorandoli prima che riuscissero a fare qualsiasi cosa. Di certo il sigillo era troppo piccolo per una creatura di quelle dimensioni, che si sarebbe liberata dai vincoli senza il minimo sforzo. Tuttavia il demone non li degnò di uno sguardo, attirato da qualcosa al centro del villaggio, e Kaname si rese conto del perché solo quando riuscì a mettere a tacere il proprio cuore quanto bastava da non udire il suo battito assordante. Kai aveva ripreso a fischiettare, ma ora la melodia era molto più forte e sicura, perfettamente udibile in tutto il villaggio. Il demone si fece avanti a grandi passi, sogghignando sinistramente con l’enorme bocca bavosa e piena di denti aguzzi, ma il suono del fischiettio di Kai continuava senza la minima sbavatura, trasmettendo invece un senso di potenza in chi lo ascoltava. Quando il demone fu di fronte a lui, la melodia si interruppe di colpo e Kai si alzò in piedi.
“Chi sei?” gli domandò, scostandosi altezzosamente i capelli dal viso.
“Bambino, come osi interrogarmi in modo così insolente?” replicò il mostro, aprendo e chiudendo la bocca nel pregustare il prossimo pasto.
“Io qui vedo un solo insolente, e questo sei tu,” ribatté Kai senza esitazione.
“Piccolo moscerino…” ringhiò il demone, digrignando i denti con rabbia. “Avresti fatto meglio a restartene chiuso in casa con la tua inutile famigliola. Ora ti insegnerò io a sfidarmi!”
Un enorme pugno si abbatté sul punto in cui, fino a un attimo prima, c’era stato Kai, ma il bambino aveva fatto un salto indietro, atterrando con agilità sul bordo del pozzo. Guardò il suo avversario con sufficienza, incrociando le braccia sul petto.
“Ti ho chiesto chi sei, ma forse non ricordi nemmeno più il tuo nome, dopo tanto tempo trascorso a opprimere questo villaggio. Andrò dunque dritto al punto: questo posto è la casa di un mio amico. La tua presenza qui è molesta. Ti ordino di andartene e di non farti vedere mai più da queste parti.”
Il demone scoppiò a ridere, un rumore che ghiacciava il sangue nelle vene.
“Tu ordini a me?” ululò. “Ora ti divorerò!”
Di nuovo la mano del demone colpì con violenza il terreno, riducendo in polvere le pietre che avevano costituito una parte del bordo del pozzo, ma mancò Kai, che si era alzato in volo.
“Tu…non sei un bambino…” mormorò il demone.
Gli occhi di Kai erano diventati più freddi e brillavano di una sinistra luce bluastra.
“Sei davvero un idiota…” sibilò con rabbia. “Non riconosci nemmeno la potenza di chi ti parla…”
“Non mi importa chi sei, spiritello. Ti divorerò comunque!” gridò il demone, ma rimase immobile nel vedere Kai portare le braccia tese davanti a sé e un accecante bagliore blu iniziare ad illuminare i palmi delle sue mani.
“Non riconosci nemmeno un dio quando ce l’hai davanti!” esclamò e dalle sue mani si sprigionò un fascio di luce così forte e abbagliante che tutti gli umani presenti dovettero schermarsi gli occhi.
Si udì un urlo disumano e terribile tuonare nella notte e risuonare tutto intorno a loro, poi di colpo la luce svanì e, al posto dell’enorme demone, non rimase che una minuscola ombra nera che aleggiava, lanciando il proprio stridulo lamento. Kaname la vide saettare all’indietro, nell’estremo tentativo di battere in ritirata, ma un attimo dopo era bloccata in mezzo al cielo, urlante, e si contorceva mentre qualcosa di invisibile la tratteneva, spingendola verso di loro. Facendo scattare gli occhi attorno vide che Nyanko era sparito.
“Grande, Nyanko-sensei!” esclamò Natsume, quando il demone venne lanciato con inaudita violenza proprio al centro del sigillo preparato per terra. Sfrigolò, fu avvolto da una nuova ondata di luce, bianca stavolta, e con un ultimo grido straziante sparì nel nulla.
“Sembra che ce l’abbiate fatta,” mormorò Tanuma, fissando ammirato il sigillo, ora non più ben visibile.
“Kai ce l’ha fatta,” rettificò Natsume, fissando il bambino che si stava dirigendo verso di loro. “Siete stato fantastico!” si complimentò.
Il fanciullo scrollò le spalle, ma si aprì in un sorriso smagliante, segno che l’elogio era andato a segno.
“L’ho fatto per te, Natsume!” esclamò. “Te l’ho detto: verrò sempre quando avrai bisogno di aiuto,” e detto questo l’abbracciò di slancio, stringendosi alla sua vita.
Kaname si ritrovò a sorridere di tenerezza senza nemmeno accorgersene. Era pazzesco come quel bambino, che un secondo prima aveva dato prova di essere un dio in tutta la sua potenza, si comportasse con Natsume come avrebbe fatto con un fratello maggiore o con un caro, giovane zio a cui era particolarmente affezionato. Gli sarebbe piaciuto sapere come quei due si fossero conosciuti e come fossero diventati così intimi e legati, come avesse fatto Natsume a farsi amare tanto da spiriti così potenti e diversi tra loro, ma pronti a servirlo e a mettere in pericolo la propria esistenza per lui. Gli era chiaro, però, che Natsume avesse un dono e che ciò che lo rendeva tanto speciale nel cuore degli spiriti che aveva conosciuto in quell’incredibile giorno avesse fatto breccia anche nel suo animo. Natsume era a tutti gli effetti una creatura straordinaria e Kaname non si sarebbe mai stancato di scoprire qualcosa in più su di lui.
“Nishimura-san!” Tanuma chiamò il capo villaggio a gran voce, senza staccare gli occhi da Natsume, che ora ricambiava con tenerezza fraterna l’abbraccio di Kai. “Il demone è stato sconfitto. Siete liberi!”
I due uomini uscirono circospetti dal tempio, scrutando la scena avvolta nell’oscurità.
“Ne siete proprio sicuro?” domandò il più anziano, rivolgendosi al monaco. “Non abbiamo sentito altro che una strana melodia e poi abbiamo visto un bagliore accecante e tutto è tornato silenzioso.”
“Vi assicuro che il vostro villaggio è tornato alla normalità,” disse Tanuma, “ed è tutto merito di Natsume e del suo buon amico Kai. Siete fortunati ad avere un giovane così caro tra i vostri cittadini.”
Nishimura fissò dubbioso il giovane sarto per qualche secondo, poi lo raggiunse a grandi falcate e gli si fermò di fronte. Natsume, che si era staccato da Kai sentendolo sopraggiungere, lo guardò sconcertato mentre l’uomo si inginocchiava di fronte a lui e si prostrava.
“Vi prego di perdonare i torti che questo villaggio ha commesso nei vostri confronti in passato,” implorò. “Non so trovare le parole per ringraziarvi di ciò che avete fatto questa notte per noi.”
“Vi prego, alzatevi,” replicò Natsume. “È tutto dimenticato. Non discutiamone più.”
L’uomo drizzò la testa e guardò il giovane con rispetto per la prima volta da quando era giunto al villaggio, quella sera.
“Se vorrete rimanere qui vi riserveremo ogni onore. Nessuno oserà mai più mancarvi di rispetto o farvi del male, avete la mia parola.”
“Non è necessario. Io… Non credo di voler tornare a vivere qui al villaggio. La casa dove sto ora è piccola ma accogliente, quanto basta per me. L’unica cosa che vi chiedo è il permesso di poter venir qui in visita, quando vorrò, per acquistare ciò di cui ho bisogno. E che chiunque voglia rivolgersi a me per qualsiasi motivo sia libero di farlo.”
“Sarà come dite da oggi in poi,” garantì l’uomo.
“Natsume.” Il giovane Nishimura si fece avanti e gli rivolse un amichevole cenno di saluto. “Sarà un piacere rivederti al villaggio. Ci sei molto mancato. Anche Kitamoto vorrà salutarti.”
“Domani, giovani,” li interruppe Tanuma. “Domani. Ora è tempo che ci ritiriamo per la notte. Nishimura-san, potreste gentilmente dirci dove coricarci?”
“Restate in casa mia!” esclamò questi. “Restate ancora un paio di giorni. Avete il diritto di rilassarvi, dopo ciò che avete fatto per noi.”
“Non abbiamo fatto granché, se non riportare tra voi chi aveva il potere di salvarvi fin dall’inizio,” ribatté Tanuma. Kaname, che all’udire l’offerta del capo villaggio si era sentito esultare, perse immediatamente le speranze: suo padre non era solito trattenersi in un villaggio, dopo avervi reso servizio. Ripartiva la mattina seguente, diretto sul sentiero che l’avrebbe condotto a nuovi paesi e altre persone bisognose di aiuto o di una semplice preghiera di benedizione. “Ciononostante accetterò volentieri la vostra gentile offerta.”
Kaname restò a bocca aperta.
“E anche voi, Natsume-san, vi prego di accettare di trascorrere la notte nella mia umile casa con il vostro amico, fino a che non farà giorno.”
“Vi ringrazio molto. Rimarrò volentieri.”
Mentre si incamminavano in direzione dell’abitazione dei Nishimura, Kaname accostò suo padre, che era rimasto leggermente più indietro.
“Perché hai deciso di trattenerti?” gli domandò sottovoce, cosicché gli altri non sentissero.
“Sei scontento della mia decisione, dunque?” chiese quello di rimando.
“No, anzi, ma mi ha sorpreso.”
Il monaco annuì.
“Non eri pronto per ripartire,” rispose infine solamente.
Kaname lo fissò, confuso, ma suo padre non disse nient’altro e lui, turbato da molti pensieri, non ebbe il coraggio di chiedere spiegazioni.

Il mattino seguente fu riservato agli annunci e ai festeggiamenti. Kaname si tenne un po’ in disparte, osservando in silenzio Natsume che si riconciliava con la comunità, che ritrovava i suoi amici e godeva della gioia generale. Attorno all’ora nona Kai ripartì. Lo accompagnarono fino ad una collinetta un po’ discosta dal villaggio. Natsume e il bambino si dilungarono in abbracci e promesse di rivedersi prima che quest’ultimo spiccasse il volo e, in pochi secondi, divenisse un puntino scuro nell’azzurro del cielo terso.
Mentre Nyanko trotterellava per i prati, rincorrendo qualche farfalla colorata con animo giocoso - era incredibile che quella stessa creatura fosse stata capace di trasformarsi, poche ore prima, in un enorme e pericoloso animale volante -, Kaname camminava lentamente al fianco di Natsume. Era silenzioso più del solito, chiuso nei suoi pensieri, e i suoi occhi neri scivolavano sul paesaggio campestre senza realmente vederlo. Natsume non pareva essersene accorto, perché sorrideva beatamente e alzava il viso per catturare la luce del sole, respirando profondamente l’aria tiepida del pomeriggio. Non si rese conto del suo umore cupo finché Kaname non emise per l’ennesima un tenue sospiro.
“Così partite domattina?” gli chiese allora cortese.
Kaname, che non si era nemmeno accorto di aver sospirato tanto a lungo, si riscosse dalle proprie meditazioni.
“Sì,” annuì, “mio padre ha deciso così.”
“Aveva detto che vi sareste fermati un paio di giorni.”
Kaname ridacchiò senza reale allegria.
“Mio padre ha una visione un po’ relativa di due giorni,” spiegò. “È già un grande sforzo per lui trattenersi una notte in più. A volte mi pare che il rimanere in un punto fisso lo turbi, come se si sentisse prigioniero ad avere un tetto sopra la testa. Dev’essere per questo che ha scelto una vita senza radici.”
L’aveva detto senza acrimonia e Natsume lo fissò con attenzione, cercando di comprendere quanto questo stile di vita fosse invece inviso all’altro giovane.
“Voi invece vorreste qualcosa di diverso?” chiese infine.
Kaname scrollò le spalle.
“Non ho mai avuto una vita diversa. Non so se sarei capace di adattarmici. Tuttavia sì, inizio a pensare che mi piacerebbe provare, almeno.”
Natsume annuì.
“Se doveste scegliere di rimanere in un luogo come preferireste che fosse?”
Kaname non dovette riflettere a lungo.
“Ho visto grandi città e paesi piccolissimi, montagne, laghi e porti sul mare sconfinato, ma se dovessi immaginarmi una casa credo che sceglierei un posto come questo, un villaggio di contadini nella pianura. Qui è bellissimo, con il fiume che scorre limpido a pochi passi e il bosco alle spalle.” Ridacchiò, aggiungendo “Certo, avrei il problema di dovermi inventare un lavoro, perché viaggiando in continuazione ho visto molte cose, ma non ho appreso alcuna professione se non quella del monaco e vi posso assicurare che non è la mia aspirazione di vita.”
Natsume sorrise divertito.
“Non credo che avreste problemi…”
“Voi, piuttosto? Perché avete rifiutato l’invito a tornare a vivere al villaggio?”
Natsume inspirò a fondo, guardandosi attorno.
“Sapete, in questi due anni ho avuto modo di pensare a lungo ad una simile opzione, e alla fine mi sono reso conto che, in fondo, nella casa in cui vivo ora mi trovo bene, sono felice. Nessuno mi tiene d’occhio e sono libero di parlare con i miei clienti e amici senza dovermi nascondere. E poi l’avete detto voi stesso: il luogo è magnifico.”
“Questo è vero,” concordò Kaname. “Ma non vi manca la compagnia dei vostri simili?”
“A voi non manca?” rilanciò Natsume.
Kaname si morse il labbro inferiore.
“A volte, sì. Ultimamente soprattutto.”
Natsume piegò il capo di lato.
“Ora che ho avuto il permesso di tornare al villaggio ogni volta che vorrò, potrò vedere i pochi amici che mi ero fatto prima di andarmene liberamente.” Fece una breve pausa, prima di domandare “Temete che rimanga solo?”
Kaname lo guardò sorpreso.
“No…”
“Ho vissuto così per due anni. So prendermi cura di me stesso.”
Kaname abbassò la testa, annuendo piano.
“Certo. Non intendevo minimamente mettere in dubbio la vostra autonomia.”
“Ciononostante mi dispiacerà dovervi salutare,” riprese Natsume senza guardarlo. “Avevo trovato un amico in voi, credo. È strano, ma non mi sono mai fidato di qualcuno tanto prontamente quanto ho fatto con voi. Non penso che racconterò mai ad altri ciò che vi ho detto della mia vita.”
Kaname lo fissò in silenzio, incerto sul da farsi. Aveva un turbinio di emozioni che gli scuotevano l’animo in petto e mille idee che gli frullavano in testa, ma non riusciva a risolversi. Poi si fermò, di colpo. Natsume rallentò il passo, rimanendo in piedi in mezzo al sentiero, girato per metà a guardarlo con perplessità. Kaname cercò con gli occhi Nyanko, individuandolo molto più avanti, intento a giocare come un qualsiasi gatto.
“State bene?” gli domandò Natsume, facendosi preoccupato.
L’altro strinse i denti.
“Non voglio partire, domani,” ammise con un fil di voce.
“Oh.” Natsume lo fissò stupito. “È questo che vi turba.” Kaname annuì. “Restate, allora.”
L’altro lo guardò sconcertato.
“Restare? Non posso.”
“E perché no?”
La domanda era lecita, eppure alle orecchie di Kaname suonava retorica.
“Dovrei abbandonare mio padre, lasciare che vaghi da solo per queste terre senza più sapere niente di lui?”
“Voi stesso avete detto che una vita da ramingo non vi interessa,” obiettò Natsume: Kaname gli aveva fatto quella confidenza poco prima ed era naturale che trovasse tante incertezze insensate.
“Ma mio padre è l’unica persona che mi sia rimasta al mondo…” mormorò dunque, cercando di dar voce ad uno dei pensieri che lo affliggevano e che era solo una piccola parte del più vasto dilemma in cui si era cacciato.
“Be’, comprendo le vostre ragioni…”
“Semplicemente non posso,” lo interruppe Kaname. “Le mie ragioni…” Si bloccò, prima di dire una parola di troppo.
“Le vostre ragioni?” lo esortò a continuare Natsume, facendoglisi più vicino.
“Lasciate perdere. Lo farei per le ragioni sbagliate, tutto qui.”
“Sbagliate, dite? Non mi parete persona da prendere decisioni avventate.”
Kaname sorrise ironicamente. Anche lui ne era sempre stato convinto, eppure ultimamente doveva ricredersi; tuttavia negli ultimi giorni non era più certo nemmeno di conoscere se stesso approssimativamente.
“In questo caso, fidatevi, sarebbe così.”
“Posso chiedere quali sarebbero tali ragioni?”
Kaname si guardò attorno, le spalle curve come sotto un peso troppo gravoso.
“Possiamo sederci un attimo?” domandò, facendo cenno con la testa verso il leggero pendio che si stendeva da un lato del sentiero.
Natsume non rispose; in silenzio abbandonò la strada e fece qualche passo nell’erba alta che gli sfiorava le ginocchia, poi vi si accomodò sopra. Kaname lo seguì, prendendo posto a poco più di un passo di distanza. Fissò Natsume giocherellare distrattamente con un fiore, nell’attesa che lui si sentisse pronto ad aprirgli il proprio cuore e a dar voce a ciò che lo opprimeva.
“Qual è, secondo voi, la ragione giusta per abbandonare la vita che conduco ora?” domandò Kaname sottovoce.
Natsume sospirò.
“Qualsiasi ragione, purché sia seriamente motivata. Che si tratti di stanchezza, desiderio di libertà o aspirazioni per il futuro, sono certo che vostro padre capirà.”
“Oh, questo è certo,” mormorò Kaname, con un filo di amarezza. “Mio padre capisce sempre tutto, anche meglio e soprattutto prima di me. È per me che ha deciso di trattenersi un giorno di più.”
“Per voi?”
“Per darmi il tempo di fare chiarezza dentro di me, suppongo. Per darmi il tempo di decidere.”
“Ah.” Natsume meditò la rivelazione per qualche momento. “Allora dite seriamente, davvero stavate pensando di fermarvi qui al villaggio.”
“Veramente prima vorrei chiedervi una cosa,” replicò Kaname. Sapeva di aver sollevato un argomento che non sarebbe più riuscito a seppellire sotto la facciata della noncuranza, ma a poche ore dalla partenza quella era l’ultima occasione che aveva per fare chiarezza tra loro. Sperava solamente di riuscire a farlo senza coprirsi di ridicolo.
“Ditemi,” fece Natsume, ignaro di ciò che passava per la mente dell’altro e per questo tranquillo.
“Ieri pomeriggio, nel bosco…”
Le guance di Natsume si tinsero istantaneamente di porpora.
“Oh, nella radura, dite? L’incidente?”
“Sì. L’incidente.” Kaname sospirò. “Io…non riesco a smettere di pensarci.”
“Vi ho detto di non dare peso a ciò che è successo,” disse Natsume. “È stata una caduta, tutto qui.”
“Tutto qui? Questo è tutto ciò che è stato, per voi?” lo incalzò Kaname. Se avesse risposto in maniera affermativa sarebbe stato doloroso, forse, ma avrebbe mantenuto intatta la sua dignità.
“Sì…” farfugliò il sarto. “Cioè, no… Ma perché mi chiedete questo?”
Kaname vide la speranza di non doversi esporre oltre sgretolarsi davanti ai propri occhi.
“Perché dalla vostra risposta potrebbe dipendere la mia decisione,” confessò suo malgrado, con la voce più composta e profonda che riuscì a mettere insieme.
Natsume rimase a bocca aperta.
“Dalla mia…”
“Mi avete baciato,” disse Kaname senza ulteriori giri di parole, cercando di cogliere l’emozione che fluttuò per un istante negli occhi dell’altro nell’udirlo.
“Non intendevo farlo. È stato totalmente accidentale.”
“È stata Hinoe, giusto?”
“Sì. Mi ha fatto cadere.”
“Non l’avreste mai fatto di vostra spontanea volontà,” lo imbeccò Kaname, avido di sapere nonostante il suo coraggio venisse meno ad ogni parola dell’altro.
“Tanuma, mi confondete,” sussurrò Natsume, le dita che ora si stringevano nervosamente attorno allo stelo del fiore.
“Perdonatemi,” mormorò Kaname, passandosi una mano sul viso. Di colpo aveva un’aria molto stanca. “Non era mia intenzione farvi pressione.”
“Non avrei mai voluto che accadesse… Non in quel modo,” bisbigliò dopo qualche attimo Natsume. Sospirò, chiudendo gli occhi, così da non vedere le iridi scure dell’altro sgranate su di lui. “Volete sincerità e credo la meritiate. È vero, è stata Hinoe ed è stato stupido da parte sua, ma non credo l’avrebbe fatto se non avesse capito.”
“Capito?”
“La natura del mio affetto per voi,” concluse Natsume con voce a malapena udibile. Aprì gli occhi, ma non osò levarli dalle proprie ginocchia. “Immagino fosse questo, ciò che volevate appurare. Forse è più giusto così. Se vi disgusta la mia amicizia, ora, sceglierete di ripartire a cuore più leggero.”
Kaname rimase a guardarlo, la capacità di proferire verbo perduta in mezzo alle ultime frasi udite. Natsume era immobile, la testa voltata per non dover scorgere la sua espressione e gli occhi abbassati. Kaname lo osservò, studiando ogni particolare della sua figura, e lo trovò così bello che per svariati secondi ancora non riuscì a muoversi. Poi allungò un braccio, posò una mano sulla sua guancia, così da costringerlo a voltarsi, e prima ancora che questi potesse opporre resistenza o incontrare il suo sguardo si chinò in avanti, coprendo la sua bocca con la propria.
Aveva un sapore diverso, ora che poteva sentirne la consistenza per più di un istante contro le proprie labbra. La pelle era fine e delicata come la carta più sottile, cedevole sotto la pressione della sua bocca, e dopo qualche secondo poté avvertire un sospiro tremante scaldare il suo labbro superiore, incendiandogli le gote. Non volle scostarsi da lui, né aprì gli occhi per catturare l’espressione sul viso di Natsume; tenne il palmo sulla sua guancia come una carezza, trattenendolo dolcemente, fino a che non percepì una delle mani dell’altro appoggiarsi esitante sul proprio volto e le sue dita lunghe affondargli delicatamente tra i capelli. L’esplosione di euforia che lo travolse lo fece agire in maniera del tutto sconsiderata, tanto che si ritrovò a stringere Natsume tra le braccia senza nemmeno essersi reso conto di desiderarlo, ma questi non parve contrariato dalla sua presa tenace, perché non cercò in alcun modo di ritrarsi. Si abbandonò nel suo abbraccio, inclinando da un lato il capo per rendere più agevole il bacio, e quando Kaname lo spinse gentilmente indietro si lasciò cadere sull’improvvisato giaciglio costituito dall’erba, accogliendolo su di sé.
Kaname si rialzò dopo qualche tempo con un sorriso idiota sul volto e la paura che, aprendo gli occhi, il ragazzo tra le sue braccia scomparisse come un bel sogno alle prime luci dell’alba; tuttavia Natsume era ancora lì, in tutto il suo fascino, e al giovane Tanuma venne da ridere.
“Sapete,” bofonchiò, senza sapere minimamente cosa sarebbe uscito dalle sue labbra pochi secondi dopo, “la prima volta che vi ho visto, giù al fiume… Pensavo foste una donna.”
Natsume lo guardò con un’espressione buffa sul viso, un misto di imbarazzo e divertimento.
“Lo dovrei prendere come un complimento?”
“Assolutamente. Eravate bellissimo sotto i raggi della luna. Non avevo mai veduto una creatura simile in tutta la mia vita.” Arrossì per averlo detto così, ad alta voce, ma fu lieto nel vedere che quelle stesse parole avevano fatto effetto anche su Natsume, il cui sguardo si era addolcito. “Da quella notte non sono più riuscito a fare un pensiero coerente che non vi riguardasse.”
Natsume allungò una mano, accarezzandogli la nuca e le ciocche più lunghe di capelli corvini. Kaname chiuse gli occhi, sospirando, e si lasciò ricatturare nell’abbraccio del giovane sotto di lui.
“Oh, eccovi!” La voce stridula di Nyanko li fece sobbalzare entrambi. Kaname balzò in ginocchio, scostandosi da Natsume, e osservò con l’aria colpevole di un ladro colto in flagrante il grosso gatto, che se ne stava seduto a pochi passi da loro, leccandosi pigramente una zampa. Anche Natsume si tirò a sedere, guardandolo inquieto, ma l’animale non diedi il minimo segno di sorpresa. “Pensavate di farmi arrivare fino a casa senza che mi accorgessi che stavate tubando come colombe nascosti nell’erba?” domandò senza scomporsi, continuando la sua pacifica opera di pulizia. “Tsk. Ingrati. Dopo tutto ciò che ho fatto per voi… Ho fame.”
Kaname lo osservò voltarsi e riprendere la via verso casa con passo indifferente. Al suo fianco Natsume si alzò in piedi, nascondendo un risolino all’angolo della bocca. Gli tese una mano e Kaname accettò volentieri la sua offerta d’aiuto.
“Vorreste prendere anche voi una tazza di tè?” domandò Natsume allegro. “Credo che dovremmo parlare della vostra prossima partenza.”
“Che aspettiamo? Forza, manca ancora un po’ prima di arrivare a casa vostra,” replicò Kaname.
Risalirono il pendio e tornarono sul sentiero che li avrebbe condotti alla casupola al limitare del bosco. Kaname alzò gli occhi al cielo, inspirando a fondo l’odore dei prati, e gli parve che gli dei, da qualche parte, si stessero congratulando con lui.

“Sei deluso di me?”
Il monaco squadrò il figlio come avrebbe fatto con un essere dotato di tre teste.
“Deluso? E di cosa, potrei sapere?”
“Mi sto comportando come un pazzo…” mormorò il giovane, abbassando gli occhi.
L’altro annuì.
“Si chiama gioventù. Non ti affliggere, passerà,” scherzò poi, mettendogli una mano sulla testa.
Kaname lo guardò di sottecchi.
“Mi prendi in giro, padre?”
“Perché dovrei? Io pure ho sposato tua madre che avevo poco più della tua età,” rispose quello. “No, Kaname, non ti sto prendendo in giro. Se credi che questa sia la cosa giusta da fare, hai la mia benedizione.”
“Non so nemmeno io cosa credo sia giusto…”
Il monaco, inaspettatamente, ridacchiò.
“Be’, questo è semplice. Sei sinceramente affezionato al ragazzo?”
Kaname arrossì nonostante tutta la propria buona volontà. Si era ripromesso che non avrebbe mostrato imbarazzo nel parlare con suo padre dell’accaduto, ma all’atto pratico non era stato molto facile arrivare fino in fondo.
“Sì,” borbottò controvoglia.
“E lui mi pare altrettanto affezionato a te,” disse l’uomo. “Che c’è da aggiungere? È giusto che tu desideri rimanere con lui.”
“Ma tu ripartirai domattina e…”
“Hai timore che non mi sappia accendere un fuoco da solo?” chiese il monaco, scherzoso.
“Come potrò rivederti?” replicò Kaname, serio.
Anche il padre, nel sentire quelle parole, riacquistò sobrietà, pur continuando a sorridere benevolmente.
“Non so quanto tempo ci vorrà,” disse alla fine. “Ma ti assicuro che troverò la strada per tornare da te. E se anche dovesse accadermi qualcosa, sai che…”
“No, non lo dire,” lo interruppe Kaname. “Non mi interessa, so già tutto. Voglio solo che tu mi prometta che tornerai prima possibile.”
“Te lo prometto.” L’uomo annuì. “Potrei fare di questo villaggio una tappa fissa del mio pellegrinaggio annuale, che ne dici? Così farai sempre in tempo a scappare con me, se le cose non dovessero volgere al meglio…” Le labbra di Kaname si piegarono in un sorriso, ma i suoi occhi erano già pieni di lacrime. “Vieni qui,” lo incoraggiò il padre, allargando le braccia e stringendole attorno alle spalle del figlio con amore.
“Mi mancherai da impazzire…” biascicò il giovane tra le lacrime, nascondendo vergognoso il viso contro il petto dell’altro.
“Anche tu mi mancherai,” disse il monaco, battendogli dolcemente una mano sulla schiena. “Coraggio, sei un uomo ormai, smetti di piangere.”
Kaname risollevò la testa dal petto del padre con riluttanza, asciugandosi velocemente il viso sulla manica. Rimase immobile mentre gli occhi dell’uomo scorrevano con affetto sulle sue fattezze, quasi volesse imprimerle nella propria mente prima di partire.
“Sai,” sospirò poi il monaco, “ognuno di noi ha un sentiero da seguire, un viaggio da portare a termine. Il mio non è ancora terminato, ma è possibile che il tuo fosse diretto proprio qui. Ho sempre pensato che tu non fossi nato per divenire un monaco errante come me. Il tuo animo anelava a mettere radici da molto tempo, nonostante non ne avesse mai avuta occasione.”
“Come mai tu sai sempre tutto prima che lo scopra io?” domandò Kaname, cercando di ritrovare il proprio senso dell'umorismo.
“Perché sono vecchio e saggio e medito molte ore al giorno, cosa che tu non hai mai tollerato,” rispose l’altro compito, scoppiando poi a ridere.
“Già…” mugugnò il giovane, storcendo la bocca.
“Tu, piuttosto, promettimi che ti prenderai cura di quel ragazzo,” lo ammonì l’uomo. “È una persona dall’animo sconfinato, ma temo che sia più fragile di quanto non sembri. Dietro a quei sorrisi, spesso, pare nascondere una grande solitudine. Avrà bisogno di riaprire vecchie ferite e di elaborare antichi lutti. Dagliene modo, lasciando che lo faccia seguendo i suoi tempi.”
“Certo, lo farò,” promise Kaname. L’avrebbe fatto ben volentieri e dal giorno seguente avrebbe avuto molto tempo a disposizione da dedicargli.
“Bravo ragazzo…” mormorò il padre benevolmente. “Ora su, usciamo a prendere una boccata d’aria.”
“Ma padre, è notte,” osservò il giovane. “Domani partirai molto presto. Non dovresti coricarti e cercare di riposare un po’?”
“Sciocchezze!” esclamò l’altro. “E sprecare una notte come questa? Vieni, andiamo fuori. Passeggiando potremo chiacchierare ancora un po’.”
Camminarono parecchio, fianco a fianco, calibrando naturalmente il passo per procedere alla stessa velocità, come facevano da tutta la vita. Parlarono di molte cose, del passato e del futuro, dei ricordi che sempre li avrebbero uniti e di particolari che Tanuma non aveva mai raccontato a suo figlio. Vissero intensamente ogni minuto di quella notte, ammirando insieme l’alba sorgere all’orizzonte. Poi, dopo aver pregato, il monaco raccolse le sue cose, si accomiatò dalla famiglia Nishimura e partì. Kaname lo seguì per un po’, poi, arrivati in cima a una collinetta, si fermò e osservò la schiena di suo padre che si allontanava sempre più, ignorando il riverbero del sole che gli faceva bruciare gli occhi.
Quando tornò indietro, camminando lentamente in mezzo ai primi campi coltivati, trovò Natsume ad aspettarlo al limitare del villaggio. Gli sorrise, accettando la carezza segreta che sfiorò il dorso della sua mano, e con lui intraprese la strada per tornare a casa. Avrebbe avuto molto da fare, dovendo reinventarsi una vita, ma era pronto a scommettere che, quando suo padre fosse tornato a trovarlo, avrebbe potuto dire di aver fatto la scelta giusta.

fanfic, natsume, the gay

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