[Originale] Il Lavabo

Mar 16, 2009 16:18

Titolo: Il Lavabo
Fandom: Originale
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio parole: 2059 (Word)
Warning: femslash, tentacle
Note: scritta per la Sfida 'Tentacle&Gears'
Prompt Aggiuntivi (courtesy of defenderxl: tubo di scarico, capelli


Il Lavabo

Da allora, ogni volta che vede l'occhio ammiccante di un tubo di scarico - in fondo ad ogni lavabo, chiuso dalla valvola del tritarifiuti a vapore - Diony è costretta a deglutire forte, e ad andare avanti senza voltarsi, ignorando il senso di umido diffuso, la vampata di calore in viso, l'elastico teso nel ventre.
È sufficiente la vista di un lavello di metallo sbreccato nel piccolo bagno di servizio della nursery-vivaio in cui lavora, la curva arrugginita degli ingranaggi del tritarifiuti sotto il bacino gocciolante, ed ecco che insieme al ricordo si risveglia la ferita sul ginocchio, dove ha battuto con forza.
Non va meglio se apre il rubinetto, prende un po’ di sapone vegetale per lavarsi le mani e si fissa nello specchio ossidato. Ha le guance coperte di rossore, e anche se il punto in cui la ciocca di capelli verdi è stata mangiata dal tritarifiuti non è immediatamente visibile, fa fatica a mandar giù la saliva, bloccata in gola dall’eccitazione.
In momenti come questi si trattiene a stento dal correre allo sportello della Pneumoposta e imbucare una capsula con tre strisce rosse - massima urgenza - intimando a Meg di precipitarsi con la maggior velocità concessa dai suoi tentacoli. La vuole ora e qui, nonostante gli squittii divertiti, assonnati o litigiosi dei mocciosi-talea.
Ripassando di fronte al bagno di servizio durante la pausa pranzo, accarezza la possibilità di saltare sulla Pneumopolitana e sfrecciare a casa, ma impiegherebbe troppo tempo nel tragitto e ne resterebbe troppo poco per tutto quello che ha in mente.
Frustrata si chiude nella toilette adiacente e fissa con aria critica i messaggi offensivi e i codici di posta pneumatica incisi nella porta scheggiata. “ORCH-1D34, sono calda e appena schiusa come un fiore.”
Diony arriccia il naso e sospira, poi arriva il rumore dell’acqua rugginosa vomitata dal rubinetto, il sibilo della pompa del vapore e il cigolio straziante degli ingranaggi. Senza pensarci sfiora la cicatrice quadrata sul ginocchio e sull’onda del bruciore chiude gli occhi e si siede sulla tazza pericolante.

Normalmente con Meg è un affare collaudato, a meno che la donna polpo non se n’esca con una delle sue idee balzane. Diony non può dimenticare la volta in cui si è presentata a casa con un bambolo gonfiabile che, nel corso delle cose, ha finito per perdere una parte molto importante.
Ma questa volta è diverso e c’è urgenza nel modo in cui l’ha rovesciata sul lavabo, i capelli intrisi d’acqua e perciò più pesanti e lisci a lambire la bocca dentata dello scarico, il ginocchio premuto contro gli ingranaggi e il bordo del lavello nello stomaco. Meg sembra avere venti, cinquanta tentacoli piuttosto dei soliti otto e mentre le sue mani le accarezzano i seni sotto la maglietta oversize, due tentacoli le salgono su per la coscia e uno scivola sul ventre.

Diony è nel mezzo di un esercizio di equilibrismo. Un piede contro la porta con la serratura rotta; l’altro puntellato contro un tubo, perché la tazza sbullonata non si ribalti; il capo è reclinato verso i mattoni umidi di vapore dietro di lei, una mano affondata sotto il grembiule e la maglietta, l’altra accarezza la striscia di pelle delicata sopra l’orlo dei calzoni, solleva piccoli brividi e la spinge a sedersi più giù, meno composta.
Si morde il labbro con ferocia quando il rumore nell’antibagno si sposta troppo vicino e la maniglia si abbassa con decisione.
“Occupato!” esala senza cambiare posizione, incurante di un paio di gocce di linfa verde dove ha morso troppo forte.
L’intruso sparisce e Diony fissa lo sguardo sul tubo rugginoso che corre lungo la parete, mentre con la mano destra finge la carezza possessiva di Meg e la sinistra slaccia i bottoni lungo il fianco, impacciata per la fretta.

Lo smalto bagnato del lavabo è scivoloso e non riesce ad aggrapparsi; per lo sforzo sulle braccia nude i bicipiti si sono delineati con più precisione e ad ogni movimento di Meg le fasce delicate sulla sua schiena si dispongono in un nuovo mosaico. La posizione le tronca il respiro, ma di più fa il tocco di un tentacolo, quello lì, che dalla sommità del ventre scivola in basso con lentezza ossessiva.
La maglietta penzola come uno straccio dal bordo del lavabo, intrappolata lì dal gomito di Diony, i capelli quasi asciutti e di nuovo ricci le coprono il viso.

Le dita sono ancora fredde per l’acqua con cui le ha lavate poco prima, e al primo contatto le sembra che il contrasto sia insopportabile; sospira forte e traballa sulla tazza quando istintivamente spinge verso l’alto il bacino. Riapre gli occhi per la stretta molesta dei calzoni e con le dita calde della destra li spinge meglio che può senza doversi fermare o cambiare posizione.

Diony sputa un sospiro affannato e impaziente quando il tentacolo si insinua e, liberando una caviglia dai calzoni da casa, sposta un po’ la gamba. È tentata di staccare la mano ormai livida dal bordo del lavabo e toccarsi dove il calore è diventato insopportabile, ma Meg la precede e il tocco del tentacolo sembra sollevare scintille dal clitoride eretto e accende fuochi d’artificio dietro le sue palpebre serrate. Diony ansima forte quando un secondo tentacolo le striscia su per la coscia e lambisce le labbra.
Meg si china su di lei e la stringe più forte, le mordicchia un orecchio quando Diony geme - il tentacolo ha perso ogni pretesa di delicatezza, e ora la penetra senza arrestarsi - mentre a mo’ di scusa per l’aggressione le accarezza un seno morbido, indugiando sul capezzolo sensibile.
Basta tanto poco perché Diony si rilassi quanto è sufficiente ad accogliere con agio il tentacolo che la solletica.

Diony prega che non vi sia una seconda invasione: non avrebbe più la sfacciataggine di fingere un persistente problema intestinale e risponderebbe al tentativo di sfondamento della porta con una serie di gemiti inarticolati.
I pantaloni le si sono ormai raccolti alle ginocchia, le dita della sinistra accarezzano e sollecitano in un lieve movimento circolare che a tratti le strappa un ansimo più forte. La destra si muove più giù, alle porte di quel calore insopportabile che sembra essere diventato il baricentro del suo corpo.
Spinge dentro un dito, poi due e si ferma, trattiene il respiro ed esita prima di andare troppo oltre.
A questo punto non è più soltanto questione di soddisfare una necessità elementare e pressante, tutto è invece in funzione di un piacere che ad ogni ondata cresce in volume e intensità, come una molla vigorosamente caricata.

Diony ha smesso di respirare alcuni secondi fa, pressata com’è contro la porcellana bianca, la guancia bollente contro la superficie fredda, i capelli ingoiati dallo scarico mordace. Il tritarifiuti le ha strappato una ciocca e ora la mastica rumorosamente, ma poco importa.
Tenta di tirare un respiro doloroso ma le resta ingolfato in gola al presentimento di una nuova invasione.
Un terzo tentacolo striscia lungo la natica, l’avvolge in una stretta affettuosa, prima che la punta prema senza troppi complimenti contro l’ultima entrata ancora inviolata.
Diony si irrigidisce e emette un respiro come un singhiozzo, poi sospira rilassandosi quando Meg la blandisce carezzevole, e infine si sottopone di buon grado.

Diony è vagamente consapevole del fatto che dovrebbe già essere di nuovo al lavoro da una decina di minuti, ma la prospettiva di una ramanzina non riesce a smontarla. Quasi incredula si è vista sollevare la mano destra e umettare medio e anulare - non che ve ne fosse particolare bisogno - prima di provare a premere piano, senza esagerare. Non può far di meglio e non importa, basta quella piccola sensazione.
Il senso di completezza non può che durare pochi secondi, mentre oscilla tra la volontà di frenarsi ancora, per averne ancora di più in seguito, e l’impossibilità di fermare il flusso del piacere.

Le cose con Meg sono carine, affettuose, passionali ma mai così selvagge. Diony non è sicura che le dispiaccia, anche se confusamente si rende conto che avrà per giorni un livido sullo stomaco, e che il ginocchio le sanguina.
Non è che un attimo, prima che il piacere e il dolore si fondano insieme, sommergendo in un’unica ondata feroce qualsiasi altra manifestazione dei sensi.
Accecata e disciolta, Diony piange a calde lacrime sulla porcellana fredda, ogni respiro un rantolo doloroso.
Non ha più forza nelle braccia e le gambe cedono sotto il peso morto del corpo.
Crolla a terra in un mucchietto esanime, immobile finché Meg non l’attira a sé e le accarezza lo stomaco dolorante, le dà finalmente un bacio e le sussurra parole affettuose e di scusa.
Diony le intende a stento, i sensi ancora spenti e sopraffatti. Tutto il dolore, la tensione, la frustrazione di poco prima si sono sciolti in una nube leggera, sulla quale galleggia lieve, precipitando verso il sonno.

Diony è sicura di essersi lamentata troppo forte, ma non ha potuto farne a meno, neanche mordendosi le labbra con forza. È ancora seduta sulla tazza, inequivocabilmente in disordine. Non ha neanche rimosso le dita, sulle quali ancora avverte le ultime deboli contrazioni.
Quando riesce ad aprire gli occhi - pesanti e fuori fuoco; per un attimo è stata sul punto di addormentarsi lì sopra - si rende conto di avere un piede dolorosamente intorpidito e il polso sinistro anchilosato. Sbatte ancora le palpebre e una sinfonia di doloretti e fastidi prima trascurabili torna a farsi sentire.
Alzarsi in piedi è già una missione impossibile, tra la rigidità degli arti e le ginocchia ancora molli. Diony inciampa nei calzoni e finisce spiaccicata contro la porta con un tonfo sonoro.
Smozzicando un proverbio che neanche sa in che lingua sia - sic transit gloria mundi - si rassetta con gesti spicci, tira un profondo sospiro e, giusto per figura, assesta un sentito strattone alla catena dello scarico.
Sgattaiola nell’antibagno e piomba come un falco sulla prima saponetta visibile - freddata sul fatto da alcune parole apparentemente inoffensive e in realtà urticanti come la carezza di un’ortica.
“Oh, Diony, sei qui. Ma stai bene?”
È la capo-reparto, una donna-viticcio coriacea e acida. Il suo ‘stai bene?’ contiene in estrema sintesi dieci minuti di recriminazioni di ogni genere, numero e caso e Diony non ha proprio la testa di ascoltarle, ora.
Tanto più che guardandosi allo specchio alla ricerca di un rossore difficilmente imputabile a disturbi di stomaco, ha notato una crosta verde scuro vicino all’attaccatura dei capelli. La sfiora con le mani ancora umide e con la piccola fitta che accompagna il movimento, ricorda che è dove lo scarico le ha strappato la ciocca.
“Diony, ti aspetto al lavoro tra cinque minuti.”
La capo-reparto la fissa con sospetto, le sembra troppo in forma, bianca e verde com’è, per qualcuno in preda al dissesto digestivo.
La salvezza giunge inaspettata su otto morbidi tentacoli viola coperti di ventose bianco-rosate.
Come sempre, Meg indossa qualcosa di rosa chiaro che mette in risalto le sue indiscutibili doti fisiche, e ha i lisci capelli color rame tirati su da un fermaglio con un gigantesco fiore finto.
“Diony, come ti senti? Sono venuta appena ho potuto…” Meg esita di fronte alla capo-reparto, per la quale prova una non troppo celata antipatia.
La donna-viticcio si volta verso Diony, in cerca di una spiegazione convincente.
“Ah… ecco…” Diony pensa in fretta. Non ha chiamato Meg per farsi venire a prendere, e non è neanche affetta da un qualche disgustoso virus intestinale. La spiegazione è una e rasenta la parapsicologia: Meg ha trascorso la mattina nella sua stessa occupazione, ed è venuta ad esigere il secondo round.
“Nettles, stavo proprio venendo ad avvertirti… purtroppo non sto molto bene, Meg è venuta per portarmi a casa.”
La capo-reparto assume l’espressione di lesa maestà che riserva agli impiegati indisciplinati, e col mento in alto e tanta boria concede a Diony la mezza giornata libera.

Sedute sul traballante sedile a cuscinetti d’aria della Pneumopolitana, Meg e Diony sono mano nella mano, assorte in pensieri distinti ma paralleli. C’è anche un tentacolo discretamente nascosto dal grembiule di Diony, ma nessuna delle due sembra farci troppo caso.
“Meg… aspetta almeno che arriviamo a casa.”
“Tu fai l’indifferente e nessuno se ne accorgerà,” ribatte l’altra, fingendo di leggere svogliatamente un cartello della Lega Anti-Partenogenesi.
Diony sospira, rassegnata e divertita in parti uguali. Almeno stavolta è comodamente seduta, senza ingranaggi molesti e lavelli assassini. Che poi la carrozza sia piena di gente, è un altro paio di tentacoli.

tentacle&gears, original

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