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Quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui ho scritto una recensione? Troppo.
E il fatto di essere stata impegnata a cercare un lavoro lavorare assecondare la mia inguaribile accidia intellettuale non mi giustifica affatto.
So, back to square one, si ritorna ai tentativi vani di non far ammuffire questo Livejournal, che è, pur sempre, un blog di recensioni.
(Effe guarda l’Autentico Blog di Recensioni™ del Doc Manhattan. Contempla la propria pochezza scrittoria, piange, cerca un posto in cui nascondersi, poi si ricompone. Per quanto possa ricomporsi una persona in tuta, felpa di pile e una t-shirt del Re Leone comprata su Qwertee)
Si ritorna, dicevamo, con una nuova fiammante rubrica a cadenza mensile #crediciforte, in cui presento le mie prime impressioni sui pilot delle serie televisive (telefilm o anime) che ho iniziato in quel mese.
Nei periodi in cui ci sarà particolare scarsità di materiale, ovvero principalmente quelli d’intermezzo fra le stagioni della programmazione giapponese, è abbastanza probabile che vi parli di qualche vecchia serie in fase di recupero. Non avendo seguito anime dal 2007 al 2013 inoltrato ed essendo intenzionata a colmare questa lacuna, è abbastanza improbabile che io finisca gli argomenti di cui discutere.
Inoltre, tratterò anche di eventuali serie droppate prima della loro naturale conclusione, in modo da poterci vomitare acido sopra risparmiarvi il tempo di vita che io ho sprecato a vederle.
Prince of Stride: Alternative
Trama: La serie tratta di una forma estrema di sport (#lol) conosciuta come “Stride”. Coinvolge sei giocatori per squadra (cinque corridori, un relayer, ndEffe) che corrono staffette nelle città. La storia è ambientata all’Honan Academy, dove gli studenti del primo anno Nana Sakurai e Takeru Fujiwara tentano di reclutare membri per il proprio “Stride club”. Chiedono pertanto ad un loro compagno di classe, Riku Yagami, di unirsi alla squadra, con l’obiettivo di vincere l’End of Summer, una competizione fra gli Stride club scolastici più eminenti del Giappone.
Facciamo innanzitutto la conoscenza di un prezioso supporto che ci terrà compagnia nella realizzazione di questa rubrica: la sezione Trame di TvShowTime. La traduzione in italiano è mia, mi sono presa qualche libertà nel momento in cui ha smesso di essere inglese ed è diventata una qualche lingua ugaritica già malvista prima della caduta di Babele.
Come per molte altre trame di TvShowTime, anche questa è stata scritta da qualcuno che non ha visto neanche cinque minuti della serie, perché, ad esempio, non si fa menzione del fatto che, all’Honan, la squadra di Stride esiste già prima dell’arrivo dei tre pivellini, anche se è così sgarrupata da avere la sede in un sottoscala di potteriana memoria. Almeno quelli di Binan Koukou Altretreparoleacasoingiapponese stavano in soffitta…
Erano principalmente tre i motivi per cui non avevo nessuna intenzione di iniziare questa serie:
- È tratta da un otome game, che è una delle cose che io odio di più dell’intrattenimento giapponese, sul terzo gradino del podio solo a causa dell’esistenza degli shojo con l’Alpha Male abusante descritto come l’emblema dell’AmoreVero e gli yaoi con l’Alpha Male abusante descritto come l’emblema dell’AmoreVero E l’uke/checca/zerbino che se lo piglia. In OGNI senso possibile.
- È uno spokon, e gli spokon sono lenti come una fila alle Poste il primo del mese con il Greatest Hits dei Modà in filodiffusione. Se non sapete cos’è uno spokon, pensate ad Holly e Benji e domandatevi se riguardereste più volentieri tutte le stagioni dell’anime o il primo film di Capitan America sottotitolato in swahili.
- Le probabilità altissime che il fandom acquisisse lo stesso stato di salubrità di Chernobil dopo neanche tre episodi, cosa peraltro già successa con Free! persino mesi PRIMA e dopo la sua messa in onda.
Per il momento, mi sono dovuta ricredere su tutti e tre i punti che ho esposto. La protagonista, per ora l’unico personaggio femminile di rilievo, è la classica ragazzina da shojo impacciata e con poca autostima, ma comunque decisa. Tuttavia, il fatto che NESSUNO degli altri personaggi, né i suoi compagni di squadra, né gli altri corridori, la consideri una preda ambita, invece che la relationer che è, contribuisce a renderla simpatica al di là dello stereotipo.
Per quanto riguarda i personaggi maschili, ovvero praticamente il resto del cast, siamo davanti ad una comune gay palese che neanche Hakkenden un festival scolastico del cliché da anime: Yagami è quello che nasconde il complesso d’inferiorità verso il fratello maggiore dietro la facciata sorridente, Fujiwara è il taciturno scontroso fissato con la competizione, Hasekura il leader carismatico della squadra, Kohinata il crossdresser fantasista vivace, Kadowaki il secchione occhialuto che tenta di essere atletico, e così via. E mi guardo bene dal descrivere nel dettaglio la squadra di Strider-idol che sembra essere l’opposto speculare dei protagonisti.
Anche qui, dal momento che la trama scorre sensata, senza lungaggini ed è stracolma di gay epicness, si finisce per chiudere un occhio sugli stereotipi, perché non risultano essere fastidiosi. Infine, per ora il fandom sembra composto da persone abbastanza civili, o forse sono io che non mi sono ancora addentrata nei posti sbagliati… e spero di non farlo mai.
Così parlò Effe: non sarà la serie rivelazione del 2016, né della stagione invernale, ma è sicuramente consigliata per trascorrere una mezz’oretta di svago, guardando ragazzi carini che molestano i compagni di squadra nella piscina termale dell’hotel. E Hasekura senza cerchietto è TANTA roba.
Active Raid [DROPPATA]
Trama: Ambientata in un’area di Tokyo che è sprofondata in un banco di sabbie mobili e terreni paludosi, la storia segue l’Unità 8 della Quinta Sezione della Pubblica Sicurezza Speciale, chiamata comunemente The Eighth, la quale utilizza le armature potenziate Willwear, degli esoscheletri che permettono di contrastare la criminalità in aumento esponenziale.
Questa serie è stata una delusione colossale, anche perché la aspettavo da diversi mesi, più o meno da quando era stato rivelato che vi avrebbe lavorato un membro eminente dello staff di Code Geass.
Code Geass è probabilmente la mia serie anime preferita in assoluto, anche se l’ho scoperta e maratonata solo un anno fa, quindi mi sono illusa di ritrovarvi lo stesso mix di distopia, fantascienza e caratterizzazione dei personaggi con i controcazzi. Active Raid non mi ha dato NIENTE di tutto questo. #disonoresudiloroesulleloromucche
Partiamo dal problema principale: Active Raid è una serie LENTISSIMA, anzi, decisamente soporifera. Anche nei momenti in cui ci dovrebbe essere azione, il solo fiato sospeso che suscita nello spettatore è quello fra uno sbadiglio e l’altro, mentre la coda dell’occhio si sposta un po’ troppe volte sul counter di VLC, nella speranza di veder arrivare i fatidici 24 minuti prima della narcosi inevitabile. Non c’è dinamismo, i fatti si susseguono in maniera prevedibile come un episodio di Don Matteo e non prima che i personaggi si siano parlati sopra per almeno cinque minuti buoni, giusto per assassinare l’immersione e non suscitarmi nostalgia dei pessimi talk-show televisivi italici con Sgarbi come ospite.
La distopia non è pervenuta: tolto qualche magheggio politico appena accennato, e comunque ridotto al banalissimo I Bbolitici sono tutti korrotti!1!E 1 skifo!1!Kastah!1!, il fatto che si tratti di una società tecnocentrica e sull’orlo del tracollo ambientale lo scopriamo dalla trama di TvShowTime e dal fatto che l’Ending è scritta in funzione dell’assistente olografica kawaii Licca.
I personaggi, poi, sembrano delle pallide reminescenze di quelli di Psycho Pass, ma solo dopo essere stati imprigionati nel profilo Wattpad di una ficcynara quindicenne, a partire dalla protagonista: una spocchiosa Mary Sue anglo-giapponese, scaltra come una volpe impagliata e capricciosa come una cinquenne a cui non hanno comprato tutte le bamboline delle Winx, il cui unico obiettivo è tentare di mettere in cattiva luce quei buzzurri incapaci dei suoi colleghi. Tentare, perché, nonostante la squadra 8 sia composta di cialtroni tali che, al confronto, il team Coulson di Agents of S.H.I.E.L.D. sembra uscito da Metal Gear Solid, la Maria Susanna è così irrimediabilmente imbecille da non riuscirci lo stesso. That’s so 2000.
Così parlò Effe: ci sono cose molto più costruttive che potreste fare invece di vedere questa serie, tipo stuzzicare le prese elettriche con un portamine o farvi dei chupiti con il Coccolino. Ma, se siete disposti a patirvi 24 episodi in split-cour di Bbolidici Rock the Kastah, Marie Susanne con il mestruo 24/7, squadroni d’elite che hanno fatto l’accademia militare all’Asilo Mariuccia, una distopia plagiata male da Psycho Pass e dialoghi scritti da individui privi di pollice opponibile, allora vi meritate di sprecare il vostro tempo a vederla. Vi meritate pure l’engrish della Susanna, vi meritate!
Shouwa Genroku Rakugo Shinjuu
Trama: Un tizio viene rilasciato dalla prigione e sa esattamente dove andare. Dopo essersi infatuato della versione di un anziano interprete di rakugo della storia chiamata “Shinigami”, è determinato a diventare l’apprendista di quell’uomo. L’anziano interprete, Yakumo, non ha mai accettato alcun apprendista fino a quel momento, ma, con grande sgomento dei presenti, accetta l’entusiasta ex-galeotto, dandogli il soprannome di Yotaro. Così, Yotaro inizia la sua nuova vita, incontrando le altre persone che fanno parte della famiglia di Yakumo, tra cui Konatsu, la ragazza posta sotto la tutela dell’anziano attore. Konatsu è la figlia di un famoso interprete di rakugo, e Yakumo l’ha accolta nella propria casa dopo la tragica morte del padre. Konatsu amava il rakugo del padre e desiderebbe molto diventare a sua volta un’interprete, ma questa carriera è proibita per le donne.
Almeno chi ha steso questa trama si è preso la briga di vedere tutto il primo episodio della serie, dalla durata peculiare di quarantotto minuti, quasi si fosse trattato di un OAV introduttivo. In effetti, questo è l’incipit della serie e Yotaro e Konatsu, più che i protagonisti, sono il pretesto escogitato dall’autore per permettere all’anziano Yakumo di raccontare la propria storia, il modo in cui è diventato un interprete di rakugo, con il nome di Kikuhiko, e l’amicizia-rivalità che lo legava al padre di Konatsu, Sukeroku.
Ho iniziato questa serie per caso, attratta dal fatto che si trattava della narrazione animata di un aspetto della cultura giapponese, ovvero il mondo della commedia teatrale rakugo, e del modo in cui questa antica tradizione ha cercato di sopravvivere prima alla Seconda Guerra Mondiale, e poi alla ventata di modernità portata dal Dopoguerra.
Questa serie può essere considerata lenta, ma, rispetto ad Active Raid, lo è soltanto perché si prende il tempo che le serve per svilupparsi pienamente: in ogni puntata, fino ad ora, c’è stato posto per almeno un racconto intero di rakugo e per illustrare le peculiarità di questo genere teatrale, senza annoiare o fare infodump confusionario. Inoltre, nonostante questa cadenza quasi cerimoniale, la fine di ogni episodio lascia impazienti di proseguire, di sapere cosa accadrà nella puntata successiva, un po’ come se lo stesso anime fosse a propria volta un rakugo e noi gli spettatori a teatro.
I personaggi, poi, sono tratteggiati in maniera delicata e matura e anche quelli che possono risultare antipatici- Miyokichi, #AnoOnna- lo sono in virtù della loro personalità spiccata, da persone reali e credibili, e non perché siano scritti da scimmie svogliate tra una sessione di spidocchiamento e l’altra. A proposito di scimmie, plauso ai disegni e alle animazioni di questa serie, una delle poche, negli ultimi due anni, in cui non ho ancora visto mostruosità informi e scarabocchi da scuola materna campeggiare sullo sfondo nelle scene secondarie.
Così parlò Effe: è una serie matura, impegnativa e totalmente sconsigliata se non si è almeno un po’ appassionati di storia e cultura giapponese. Se invece state cercando un anime che si discosti un po’ dalle solite commedie scolastiche o fantasy coi mocciosi über-powered, allora questa è proprio la serie che mi sento di consigliarvi. Nel prossimo episodio c’abbiamo pure Kikuhiko crossdresser!
Dimension W
Trama: Anno 2072. I problemi energetici del mondo sembrano essere stati risolti da una rete di induttori cross-dimensionali a campo elettrico, detti coil, che estraggono energia da una sorgente apparentemente inesauribile. Questa sorgente è la Dimensione W, un quarto piano dimensionale che esiste oltre le dimensioni X, Y e Z. Sulla Terra, coil non ufficiali illegali risvegliano poteri che la polizia non è in grado di contrastare. Recuperare i coil illegali è il lavoro di Kyoma, che disprezza i coil e la loro tecnologia. Durante uno dei suoi incarichi, Kyoma incontra una singolare ginoide animata da un coil illegale, Mira, la quale diventerà, suo malgrado, la sua collaboratrice.
Innanzitutto, mi scuso per eventuali scempiaggini scientifiche che posso aver scritto nel tradurre la trama: le distopie fantascientifiche alla Blade Runner mi affascinano, ma sono ancora ben lontana dal padroneggiare il lessico tecnico.
Tolta la componente distopica, che per il momento è trattata in maniera sensata, la trama è abbastanza classica: due individui all’apparenza caratterialmente incompatibili, in questo caso il burbero ex-militare ribelle che odia la tecnologia e la ginoide goffa che inizia a scoprire il mondo, si trovano costretti a collaborare per recuperare manufatti pericolosi. Attorno a loro, una serie di personaggi di contorno alquanto bizzarri, ben tratteggiati nonostante le brevi apparizioni, che mi hanno rievocato le atmosfere di Kekkai Sensen, una delle piccole perle anime del mio palinsesto 2015.
L’ambientazione è mostrata, non raccontata, lascia intendere che c’è di più di quello che si vede, lo suggerisce senza rifilarlo come spiegone e, soprattutto, ti invoglia a scoprire ciò che ancora ti è sconosciuto, al contrario del world building, ad esempio, di Pandora Hearts, un buon canovaccio di partenza che poi è atterrato sulla scrivania del direttore dell’Ufficio Inutili Complicazioni delle Trame Semplici e ha perso tutto il suo potenziale interesse.
I due protagonisti funzionano bene, le situazioni basate sulle loro differenze caratteriali possono risultare già viste, ma comunque intrattengono. Ho il sospetto che ci sarà un qualche risvolto sentimentale, sicuramente da parte di Mira per Kyoma, probabilmente non ricambiata, ma, sebbene sia un cliché che non gradisco, la gradevolezza del resto mi permette di tollerarlo.
Stesso discorso per il fanservice: non c’è episodio in cui le tette grazie di Mira non siano state messe in bella mostra, di sicuro non ai fini dello svolgimento della trama, tuttavia si tratta di un livello ancora tollerabile, soprattutto se paragonato agli sketch sulle mutande di Neko e le tette anti-gravitazionali di Awashima. Shame on you, K, getta pure la maschera, tanto gli unici quattro spettatori maschi eterosessuali li abbiamo persi alla fine del primo episodio, sono andati a vedersi le demonesse scosciate su PlayYamato.
Così parlò Effe: una serie che sta crescendo di episodio in episodio, consigliata a chi, come me, non finirà mai abbastanza di rimpiangere il fatto che Kekkai Sensen ha solo 12 episodi. E poi, lo vogliamo dire che, finalmente, Kyoma non è il solito bamboccio belloccio, ma è figo lo stesso, se non di più?