[Post-It Ammonitori] Broadchurch, P.D. James e l'arte di essere prolissi

Jan 06, 2014 13:43

Attenzione!
Questa recensione (o presunta tale) contiene una miriade di SPOILER su Broadchurch, oltre ad un esplicito riferimento SPOILER alla 03x01 di Sherlock (BBC), "The Empty Hearse".



Ogni volta in cui qualche critico letterario definisce P.D. James “l’erede di Agatha Christie”, a me spunta una scaglia sulla schiena.

Una qualità che ho sempre apprezzato dei romanzi di zia Agatha, e che ho cercato di applicare anche alla mia rarefatta produzione di scribacchina, è l’essenzialità: nei gialli della Christie, o almeno in quelli che ritengo i più riusciti, trama e caratterizzazione dei personaggi occupano l’ammontare narrativo necessario per essere indagati e risultare efficaci, senza divagazioni e sbrodolamenti messi lì soltanto per prolungare inutilmente lo svolgimento della vicenda oltre le sue comprensibili tempistiche.

Tutto questo manca clamorosamente nei libri di P.D. James, eccezion fatta per un paio di titoli che risalgono, guarda caso, agli inizi della sua carriera di giallista; ci sono romanzi- “Morte sul Fiume” ne è l’esempio macroscopico-, in cui l’intrigo giallo si trascina stancamente in sordina per decine di pagine, costellate di approfondimenti psicologici di ogni singolo personaggio in scena, senza che però questo aggiunga nulla di davvero rilevante alla loro caratterizzazione finalizzata alla trama.
La vicenda, che avrebbe avuto una sua dignità se avesse occupato la metà dello spazio cartaceo, sembra essere la minore delle preoccupazioni dell’autrice, tutta presa a mettere in scena una galleria di tipi umani che, nella maggior parte dei casi, vanno dal tedioso all’irritante -mi riferisco soprattutto a quella lagna cosmica, marysuesca piattola di Emma, la fidanzata/moglie dell’ispettore Daghliesh, un personaggio femminile scostante e stereotipato al massimo (è colta, ma fascinosa e sensuale, tutti la venerano, ha persino l’amica lesbica innamorata di lei, that’s so cliché), che l’autrice si ostina a mettere su un piedistallo, con il solo risultato di farmela odiare ancora di più. A volte, mi chiedo quanto la James possa detestare quel povero sciagurato del suo ispettore, da volergli infliggere una simile calamità ambulante come compagna di vita.

Tutta questa apparente divagazione mi è servita per introdurre l’argomentazione alla base di questo post, ovvero che Broadchurch è come un romanzo di P.D. James, con i suoi (scarsi) pregi e i suoi (molti, macroscopici) difetti.
Avrei dovuto capire, sin da quando è stata annunciata tra clamori ed entusiasmi, che non era la serie adatta a me, fiera avversaria della trama orizzontale, ma, soprattutto, quando tra i suoi più accesi sostenitori c’erano persone che i gialli non li leggono o li schifano direttamente come genere letterario in toto.
A tutto ciò si aggiunge che è una creatura di Chris Chibnall, il quale ha scritto alcuni fra gli episodi che io trovo sconsideratamente tediosi in Life on Mars, Doctor Who e, in particolare, quella fiera dell’insensatezza di “Countrycide”, la puntata che mi ha persuasa a mollare Torchwood, facendo un’eccezione virtuosa solo per l’eccelso Children of Earth.

Ci sono anche un altro paio di fattori che mi riescono difficili da comprendere riguardo al successo planetario di Broadchurch, che si avvia a diventare il drama più sopravvalutato degli ultimi vent’anni di televisione, ma ne parlerò a fine recensione.

Il primo problema che Broadchurch condivide con i romanzi di P.D. James è l’eccessiva, non necessaria lunghezza: la storia che deve essere raccontata, semplicemente, non ha bisogno di otto episodi, cinque sarebbero bastati e avanzati. Ho fatto una fatica sovrumana a restare concentrata tra la seconda e la sesta puntata, quando finalmente si è vista una svolta nel senso di un giallo come si deve.
Di conseguenza, la trama è stata infarcita di banalità assortite, roba già riscaldata, masticata e rigurgitata in tutte le salse e in tutti i crime del pianeta; a patto di non essere una persona totalmente digiuna di gialli, inclusi quelli di Geronimo Stilton, DAVVERO qualcuno ha trovato sconcertanti determinate rivelazioni?

Tre episodi per far sputare a quel cretino del padre del bambino ucciso che, la notte dell’omicidio, era a letto insieme alla proprietaria dell’albergo, l’unica donna del villaggio etichettabile come “gnocca” secondo gli standard del maschio eterosessuale medio. Giuro, stavo imprecando davanti al computer per l’ovvietà di questa sottotrama e, soprattutto, per tutto il maledetto tempo sprecato per mettervi la parola “fine”.
Poi, vogliamo parlare del conto alla rovescia che fatto su quanto tempo avrebbero impiegato Ollie e la giornalista d’assalto per dedicarsi agli agoni di Venere? Su quanti soldi della mia paghetta settimanale avrei puntato sul fatto che lei l’avrebbe usato e buttato via come uno straccio vecchio?
Infine, l’edicolante accusato di essere un pedofilo, il quale, dopo aver evitato il linciaggio pubblico, si suicida appena prima che la verità venga a galla. Devo stupirmi per questo, quando è dal primo episodio che tutti, al villaggio, non fanno che chiedere di lui “Ma è sposato?”, con il tono di chi vuole insinuare ben altro.
E potrei parlare del solito, urticante cliché dello psichico che potrebbe essere un ciarlatano, ma forse anche no, del cumulo di frasi scontate e già sentite che la madre di una delle vittime di Sandbrooke dice alla madre del bambino ucciso, del fatto che la maggior parte degli abitanti di quel villaggio fintamente sereno nasconde segreti di Pulcinella.

A ciò si aggiunge il tono pesante con cui le vicende sono narrate: d’accordo, c’è di mezzo l’omicidio di un bambino, un crimine orrendo ed efferato, però un minimo di tregua la vogliamo dare, allo spettatore, o no? Anche nelle scene che sono pensate per allentare un po’ la tensione, come la cena dell’ispettore Hardy a casa Miller, non è che ci fosse tutta questa atmosfera rilassata, anzi.

Nonostante ciò, qualche aspetto positivo l’ho riscontrato comunque: in generale, ho apprezzato il fatto che il rapporto tra Hardy e la Miller rimanga confinato all’ambito professionale e si sviluppi nel senso di una progressiva stima reciproca. Dio solo sa quanto ne ho le tasche piene di tensione sessuale irrisolta (ma soprattutto risolta) tra colleghi, messa un po’ a casaccio per decreto degli autori, per attirare la parte ormonosa del pubblico femminile- come se fossimo troppo stupide per seguire una vicenda complessa, al di là dei patemi e degli intrighi sentimental-sessuali-, per cercare di sviare l’attenzione da una trama esile come uno spaghetto scotto.

Inoltre, la serie decolla davvero, a mio parere, soltanto tra la metà del sesto e l’inizio del settimo episodio. La spiegazione del mistero dietro il caso di Sandbrook è interessante, ben orchestrata e, devo ammetterlo, mi ha colta un po’ di sorpresa. Il colpevole dell’omicidio a Broadchurch, se può essere considerato un poco scontato, risulta però tratteggiato senza ricorrere a facili sciatterie di trama, tipo quella dell’arresto iper-rocambolesco o del suicidio in carcere dopo la confessione.

L’ottavo episodio, poi, con la sua crudezza, il suo realismo, il suo non scendere a compromessi, è il motivo per cui nessuna rete italiana comprerà mai Broadchurch: Rai4 potrà continuare a schermarsi dietro il suo anodino “non è conforme alla politica di programmazione del nostro canale”, la realtà che tutti conosciamo è che nessun direttore di rete, in questo paese sotto scacco di sceneggiatori dilettanti e cialtroni, avrà mai il coraggio di mandare in onda l’omicidio di un bambino, mostrato senza fronzoli, ma anche senza morbosità, né in prima serata né mai.

Tuttavia, non credo che basti un finale di stagione brillante e coraggioso, dopo un’infilata di ovvietà evitabili, a riscattare un drama che, a conti fatti, è soltanto un altro nella selva di quelli che ITV sforna nel corso dell’anno, da anni.

Qualcuno potrebbe insinuare che questa sia una recensione-ripicca, perché Broadchurch ha ottenuto una seconda, superflua stagione -sul serio, cosa diamine hanno ancora da raccontare con gli stessi personaggi, nel medesimo posto? Lo facciamo diventare Cabot Cove o St. Mary Meads due, ‘sto sciagurato villaggio?-, mentre Whitechapel è stato cancellato arbitrariamente, dopo una programmazione vergognosa e un finale abbastanza appeso. Non lo è, perché la maggior parte di queste riflessioni ha preso forma prima dell’annuncio della cancellazione di Whitechapel, che, ad ogni modo, io trovo quantomeno una decisione improvvida.

Inoltre, questa recensione è nata dal fatto che, per quanto io abbia sondato la rete, non c’è stato un solo recensore che abbia messo in luce quelli che io ritengo, e non solo perché sono una Precisina del Ciufolo, difetti abbastanza gravi per un crime che ha mietuto consensi unanimi da parte di spettatori e critica. E non parlo solo di giornalisti prezzolati che hanno avuto la sfrontatezza di recensire positivamente anche putridume inqualificabile come Atlantis o Masterpiece, ma anche di dilettanti come me che scrivono recensioni per la sola ricompensa di esternare le proprie opinioni, qualsiasi esse siano.

Per dire, in questi giorni ho letto recensioni più severe su “The Empty Hearse”, che, oggettivamente dotato di una trama gialla ai limiti della piattezza e dell’espediente pezzente -l’interruttore, ARE YOU FUCKING KIDDING ME?!-, deve essere considerato più che altro un regalo degli sceneggiatori agli spettatori fedeli, the fandom who waited, ancora qui con tutto il loro entusiasmo e la loro follia dopo due anni di attesa.
Alla faccia di quei lamentosi catastrofisti degli americani, che già intonano il De Profundis ai rating di Doctor Who perché la nuova stagione non arriverà prima di agosto. Chissà com’è bella la vita, vissuta da dentro quei piccoli cervelli atrofizzati…

Comunque, io un piccolo sospetto sul perché il mondo straveda ciecamente per Broadchurch ce l’ho: questo sospetto è affascinante, ha l’accento scozzese e si chiama David Tennant.
Broadchurch è migliore rispetto agli altri drama dell’ITV solo per la sua spregiudicata operazione di marketing nel piazzare nel ruolo dello scostante, arruffato protagonista un attore adorato ai limiti del delirio; con un qualsiasi altro attore scozzese meno noto nei panni dell’ispettore Alec Hardy, Broadchurch sarebbe passato in sordina, seguito soltanto dagli autentici appassionati delle serie britanniche- tipo me, che ho guardato The Tractate Middoth sottotitolato in inglese su un torrent pietoso perché lo aveva adattato Gatiss- e, forse, criticato con una maggiore onestà intellettuale.

Alla prossima,

whitechapel, recensione (o presunta tale), broadchurch, giallistica, itv, p.d. james, agatha christie, post-it ammonitori

Previous post Next post
Up