[Glee] Now's the time [PG - One Shot]

May 19, 2011 20:24

Titolo: Now’s the time
Fandom: Glee
Pairing/Personaggi: Dave Karofsky; Kurt Hummel
Rating: PG
Genere: Introspettivo, fluff, angst
Warning: Slash (accennato)
Disclaimer: No, non sono miei e non ci guadagno niente.
Riassunto: Quando Kurtie era arrivato, Dave era rimasto paralizzato a bocca aperta.
Note: Scritta per lisachanoando  che me l’ha promptata.

NOW’S THE TIME

Paul aveva sentito certe storie e sapeva che poteva succedere. Margot, la figlia terribilmente carina, ma timidissima, di un suo collega, a sei anni e mezzo, aveva iniziato a volere un posto in più a tavola, per Sofia, una principessa sfuggita dal suo regno. Sofia non era ovviamente mai esistita, ma Margot era andata avanti per mesi a parlarle e a prepararle un piatto da metterle sulla tavola da pranzo, davanti ad una sedia rigorosamente vuota. Così come era iniziata, ad un certo punto Sofia era sparita e Margot aveva iniziato a parlare con i bambini veri. Sofia era diventata un ricordo e la realtà si era riempita di Jil, Therry, Ashley.
Paul sapeva che poteva succedere. Così, quando era capitato a Dave, dopo i primi attimi di sconcerto, aveva cercato di fare finta di niente. Prima o poi, proprio come a Margot, sarebbe passata anche a lui.

*

Quando Kurtie era arrivato, Dave era rimasto paralizzato a bocca aperta.
Dave era uscito dalla sua stanza per andare in bagno, e quando era tornato, lui era lì. Lui. Dave non ne era sicuro, perché quella era una gonna e le gonne le mettevano le bambine, ma il viso era così diverso da quello delle sue compagne di classe che Dave si era convinto fosse semplicemente un bambino con una gonna.
E quel bambino con la gonna lo guardava dal suo letto, seduto a gambe incrociate sulla sua coperta rossa di Spiderman.
“C-chi sei?” aveva borbottato, rimanendo pietrificato sulla porta, pronto a scappare, nel caso si fosse rivelato pericoloso.
“Ciao Dave, io mi chiamo Kurtie. Vuoi essere mio amico?”
Dave l’aveva guardato, sgranando maggiormente gli occhi, cercando di capire se quella vocetta stridula appartenesse effettivamente a quel bambino.
Avrebbe voluto prenderlo e farlo uscire dalla sua camera, perché non aveva senso. Era solo andato in bagno, come aveva fatto quel… quel bambino ad entrare e a sedersi lì e perché conosceva il suo nome e chi era e cosa voleva-
“Come sei entrato?” aveva chiesto, invece.
Il bambino, Kurtie, aveva inclinato la testa di lato e l’aveva osservato con i suoi grandissimi occhi azzurri. O verdi. Aveva aspettato qualche secondo prima di sorridergli. “Io sono sempre stato qui”.
Ed era stato a quel punto che Dave si era veramente spaventato.

*

Kurtie non era un bambino, era un elfo. Così gli aveva detto, indicando con l’indice le sue orecchie a punta, e Dave si era sentito un po’ stupido per non averle notate prima. Ma si era ritrovato un bamb-, no, un elfo con la gonna seduto sul letto e-
Oh. Già. Quella non era una gonna.
“È un kilt, Dave. Vedi? È verde e nero, con dei grossi quadretti”, gli aveva spiegato Kurtie, agitando leggermente le gambe.
Dave l’aveva guardato per dei lunghi secondi, prima di scuotere la testa.

*

Era stato sul punto di rivelare tutto ai suoi genitori, il giorno dopo. Dirgli chiaro e tondo: “C’è un elfo-bambino che si nasconde nella mia camera e indossa un kilt e penso sia un po’ matto”. Solo che dall’alto dei suoi sette anni e mezzo, Dave era comunque riuscito a capire quanto fosse… bizzarro, tutto quello.
Ne aveva parlato con Kurtie. O meglio, era stato lui a tirare fuori la questione.
“Non parlarne con gli adulti, non ti crederanno”
Dave aveva creduto a Kurtie, però. Ed era rimasto zitto.

*

Kurtie non stava sempre con lui. Quando Dave andava a scuola, ad esempio, Kurtie non lo seguiva. Rimaneva a casa, nella sua camera, forse a saltellare sul suo letto, come l’aveva trovato una volta, di ritorno da un allenamento di baseball.
Ogni tanto Dave ci pensava, ma a scuola c’erano i suoi amici e agli allenamenti era troppo impegnato a correre e a ridere per preoccuparsi del resto. Quindi ogni tanto ci pensava, ma spesso se ne dimenticava.

*

Ogni volta che tornava a casa, però, lo ritrovava lì. Seduto a gambe incrociate sul suo letto, la testa leggermente inclinata di lato e gli occhi azzurri - o verdi - ed enormi puntati addosso a lui.
“Non te ne andrai mai?” aveva sbottato un giorno. Ed era stato proprio un giorno orribile, perché a scuola il compito di matematica era andato così male che suo padre l’avrebbe messo in punizione per il resto della sua vita, e a baseball aveva sbagliato di tutto, tranne il far vincere quello stupido di Mark.
Kurtie aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, ma la sua espressione non era cambiata. “Vuoi che me ne vada?”
Dave non gli aveva risposto, ma aveva pensato “No”.

*

Giocare con Kurtie era impossibile. Non era per niente divertente, per dire. Dave voleva andare in giardino e giocare a palla o sfruttare l’assenza di suo padre per passare il pomeriggio in compagnia della PlayStation. Invece Kurtie non faceva che ricordargli che aveva i compiti da fare per il giorno dopo, che in giardino si sarebbe messo a sudare e che la televisione gli avrebbe disintegrato i neuroni.
Dave non sapeva neppure cosa fossero, i neuroni.

*

Una sera, quando era rientrato in camera dopo aver dato la buonanotte ai suoi genitori, aveva trovato Kurtie appollaiato sul davanzale della finestra intento a guardare il cielo.
Non gli aveva chiesto cosa stesse guardando di preciso. Si era avvicinato a lui, aveva puntato i gomiti sul davanzale e aveva appoggiato il mento contro il palmo delle mani. Si era messo a guardare il cielo anche lui.
E si era chiesto se forse era da lassù che arrivava Kurtie. Come il bambino di quella storia che sua madre gli leggeva sempre. Come il Piccolo Principe.
Non gliel’aveva chiesto, però, e alla fine si era stancato di osservare il niente e aveva deciso di andare a letto.
Prima che potesse allontanarsi dalla finestra, Kurtie l’aveva abbracciato e Dave non aveva saputo cosa fare. L’aveva picchiettato un paio di volte sulla spalla, sperando bastasse.

*

Kurtie era rimasto con lui tutta l’estate.
Chiacchierava di continuo e a volte Dave non lo ascoltava, ma la sua vocetta era quasi piacevole, in sottofondo. A volte si addormentava cullato da quel suono e sembrava quasi una cantilena, quasi una canzone.
Gli raccontava da dove veniva e Dave a volte si chiedeva se non sentisse la mancanza della sua famiglia, della sua mamma e del suo papà, che Kurtie descriveva sempre come bellissimi.
“Certo che mi mancano”, aveva risposto.
E Dave avrebbe voluto chiedergli “E allora perché non torni da loro? Perché rimani qui?”, ma aveva paura di spingerlo ad andarsene. Non voleva mandarlo via.
Kurtie era simpatico ed era suo amico e abitava nella sua camera e nessuno lo conosceva, era solo suo, il suo segreto segretissimo e inconfessabile. Non voleva mandarlo via.

*

Alla fine dell’estate, poco prima che riprendesse la scuola, Dave si ritrovò ad abbracciare Kurtie per l’ultima volta.
“Me ne devo andare, Dave” gli aveva detto, e lui non aveva capito all’inizio. Era appena rientrato da una giornata in piscina con Paul e Samuel e la sorella maggiore di Paul come babysitter. E si era divertito un mondo, senza pensare al fatto che Kurtie fosse a casa.
Kurtie era sempre a casa, tanto. Non usciva mai dalla sua camera, mai mai. E gli stava dicendo che se ne sarebbe andato e Dave non riusciva a capire. Dove avrebbe dovuto andarsene di preciso?
“Perché?”, gli chiese invece, abbracciandolo stretto, con la paura quasi di spezzarlo, perché Kurtie era minuscolo in confronto a lui.
“Perché non vuoi che io stia qui. Non adesso”
“Certo che sì! Hai passato qui dei mesi! Non ti sei divertito?” sbottò, allontanandosi. Lo guardò confuso, alla ricerca di qualcosa che non sapeva ben definire. Non riusciva a capire perché all’improvviso Kurtie avesse deciso di andarsene e di lasciarlo solo.
“Ma non sei solo. Io sono sempre stato qui. E sarò ancora qui. Solo che non mi vedrai” continuò Kurtie, come se gli avesse letto nel pensiero.
Dave continuò a fissarlo e a non capire, perché tutto quello non aveva senso. Aveva ancora meno senso del fatto che avesse vissuto mesi e mesi con un elfo-bambino nella propria camera.
Perché, adesso, dopo tutto quel tempo, quell’elfo-bambino aveva deciso di abbandonarlo?
Dave sentì le lacrime pizzicargli agli angoli degli occhi, ma si rifiutò di piangere. E Kurtie non disse più niente, si sporse verso di lui, gli schioccò un bacio sulla guancia e lo strinse forte.
Dave strizzò forte gli occhi. Quando li riaprì, Kurtie non c’era più.

*

Paul sapeva che Dave era convinto di essere stato tremendamente bravo ed efficiente nel non fargli scoprire l’immaginaria presenza del suo amico. Ma Dave aveva soltanto sette anni e mezzo, e per quanto pensasse di essere bravo a mantenere i segreti, non era mai arrivato a capire che il parlare ad alta voce per ore, in camera e da solo, avrebbe destato dei sospetti nei suoi genitori.
Poco dopo l’ottavo compleanno di Dave, Paul aveva smesso di sentire suo figlio chiacchierare con il suo amico immaginario.
Non gli aveva mai domandato qualcosa al riguardo e Dave non gliel’aveva mai raccontato.
Negli anni, entrambi se ne dimenticarono.

*

Tre settimane prima l’arrivo di Kurtie, mentre si stava preoccupando di convincere Mark a scendere dall’altalena perché voleva salirci anche lui, Dave si era ritrovato a fissare un bambino e quella che aveva pensato essere la sua mamma, perché era uguale a lui.
Era il bambino più strano che Dave avesse mai visto. Sembrava vestito come il suo papà quando aveva una riunione importante in ufficio. Solo che quel bambino doveva avere più o meno la sua età e quindi sì, era proprio strano.
Poco prima di salire sull’altalena, il bambino si era girato a guardarlo per un istante, prima di riprendere a camminare mano nella mano con la sua mamma.
Dave aveva spinto Mark lontano dall’altalena e vi era salito sopra con il sorriso sulle labbra.

*

Quando Kurt - di cui ancora non conosceva il nome, ma che avrebbe scoperto presto - aveva varcato la porta del McKinley, David aveva avuto uno strano senso di dejà vu.
Aveva aggrottato la fronte e aveva osservato quel ragazzino avanzare spavaldo tra la folla. Si era sforzato di capire dove l’avesse già visto, ma non era riuscito a ricordare.
Forse assomigliava semplicemente a qualcuno e basta. Capitava di continuo.
Senza pensarci ulteriormente, Dave aveva afferrato il proprio zaino e si era diretto controvoglia nell’aula di chimica.

****

NOTE: Scritta per la Liz, perché me l’ha promptata nell’apposito post dei prompt, anche se doveva essere decisamente diversa, penso, nelle sue idee. *ride* Spero comunque che ti piaccia /o\
E niente, non chiedete, ok? XD Doveva essere lunga massimo 100 parole, per com’era l’idea originale e per il fatto che non riesco a scrivere AU. L’averla trasformata in una non-AU, l’ha portata ad essere di 1700 parole. Amen :3

anno: 2011, !one shot, rating: pg, fandom: glee, !warning: slash

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