[Like a Doll] Capitolo uno: A person who's closer to tears

Nov 13, 2010 18:07

TITOLO:  Like a Doll
AUTORE:  seleraf
FANDOM: Arashi
COPPIE: Sho Sakurai/Masaki Aiba; Kazunari Ninomiya/Satoshi Ohno {accennata}; Kazunari Ninomiya/Masaki Aiba {F-ship}; Jun Matsumoto/Sho Sakurai {F-ship; one-side love}
RATING:  NC-17 {causa argomenti}
GENERE:  Introspettivo. Romantico. Angst.
AVVERTIMENTI: Longfict. Slash. AU. Non per stomaci delicati (?).
RIASSUNTO: asaki Aiba era diventato quello che era all’età di tredici anni quando era stato venduto dai suoi genitori adottivi ad un uomo che gestiva un club di indubbio genere; aveva cominciato a credere di essere soltanto una bambola, un oggetto che veniva usato e poi gettato via dai propri padroni, mascherandosi dietro un sorriso perenne che spesso confondeva gli altri facendo credere che fosse felice di tutto ciò.
NOTE: Basata sull’omonima doubledrabble scritta per la BDT [la trovate QUI].
Alcuni dei titoli dei capitoli che si susseguiranno, non saranno altro che titoli o frasi delle canzoni degli F.T Island così come il titolo della doubledrabble e di questa longfict.
DEDICATA A: sylviakun  che l’ha chiesta, sperando continui a piacerle.
A ily_chan che ha subito (e sta subendo) ogni mia stupida paranoia.
DISCLAIMER: on sono miei: ovviamente appartengono soltanto a loro stessi.


Prologo: Like a Doll | Capitolo due: Because I don't know what love is
Capitolo uno: A person who's closer to tears
Quando tutto parve migliorare, Masaki era prossimo ai venticinque anni.
Era ormai metà Settembre e lui compiva gli anni a Dicembre, alla Vigilia di Natale; ogni anno ricordava come sua madre gli raccontasse la sua nascita: diceva che essere nato alla Vigilia lo rendeva un dono di Dio ai suoi genitori, gli diceva che era felice di averlo messo al mondo il giorno prima di quello che si credeva essere il compleanno della reincarnazione del Signore perché era certa gli portasse fortuna; la sentiva ancora ripetergli “Farai grandi cose, diverrai un brav’uomo e mi renderai orgogliosa di te” ed era grande la voglia di risponderle che non sarebbe diventato un brav’uomo e che non l’avrebbe resa orgogliosa perché non c’erano più lei e suo padre a guidarlo e a portarlo fuori da tutto quello schifo.
Pensandoci le avrebbe anche chiesto scusa per come, delle volte, aveva incolpato lei e suo padre per tutto quello che era successo: si era ritrovato a pensare che se non fossero morti non gli sarebbe capitato tutto ciò.

Nonostante credesse che fosse sbagliato, continuava a pensarlo anche quella sera di metà Settembre mentre puliva per l’ennesima volta il bancone del locale; alzò per una sola volta lo sguardo ed incrociò quello di un nuovo arrivato.
Aveva sentito che si chiamasse Ninomiya Kazunari e guardandolo non poté non pensare che fosse minorenne: aveva solo un anno meno di lui, ma dai suoi comportamenti sembrava un bambino schivo. Delle volte lo vedeva giocare al gameboy, mentre tutti gli altri servivano ai tavoli; altre organizzava dei dispetti da fare soltanto per noia. Sembrava davvero soltanto un bambino.

Settimane dopo il suo arrivo, Ninomiya andò nell’ufficio del proprietario e ci restò un bel po’.
Quando uscirono l’uomo lo guidò verso un vecchio pianoforte che era lì e riunì tutti in quella sala; Kazunari aveva osservato per bene lo strumento e si era seduto sulla panca che era davanti a quello, sollevando il coperchio che copriva i tasti.
Aveva controllato che suonasse al meglio e che non fosse scordato, prima di lasciar scivolare le dita sulla tastiera suonando e cantando qualcosa di meraviglioso; Masaki ricordava perfettamente come quella canzone lo avesse toccato nel profondo, facendolo commuovere: era qualcosa di malinconico e nostalgico e Ninomiya aveva una voce stupenda.

Durante tutta la canzone, Masaki non poté fare a meno di pensare ai suoi genitori ed ai suoi amici che probabilmente non avrebbe più rivisto; sentì la voglia urgente di piangere, ma tentò di trattenersi sorridendo come sempre; quando l’esibizione terminò e il pianista fu assalito da uno scrosciante applauso, però, Aiba sentì le guancie bagnarsi e il corpo venire scosso da singhiozzi che voleva sopire.
Ricordava che Kazunari gli si era avvicinato e lo aveva abbracciato senza dire nulla e lui si era sentito bene: come se tutto quello che aveva provato fosse cancellato da quel gesto d’affetto.
Quelle furono le prime lacrime che Aiba versò in dodici anni: lacrime piene di dolore, solitudine e speranze ormai morte che gli pungevano gli occhi da un mucchio di tempo.
Chi lo aveva visto però, aveva creduto fossero solo di commozione per il talento di chi aveva appena suonato e cantato ed ora lo stava abbracciando.

La sera, quando Masaki tornò nella sua stanza, trovò Kazunari ad aspettarlo seduto sul letto accanto al suo, mentre giocava al solito gameboy: lo aveva guardato stranito.
«Cosa ci fai qui?» gli aveva chiesto.
Ninomiya rispose con uno sguardo ed un sorriso furbo, prima di tornare a quello che stava facendo.
«Il mio compagno di stanza mi annoiava, quindi ho preferito cambiare e venire qui da te, frignone» aveva risposto mentre salvava la partita e spegneva il gioco. «So di essere bravo, ma piangere per questo mi sembra eccessivo» aveva continuato, alzandosi ed andandogli incontro.
«Sei bravissimo, ma non ho pianto per questo» una risposta stizzita che gli risuonava in gola, ma che non uscì dalle labbra. Al contrario disse con un sorriso: «È vero, sei davvero bravo».
Un suono irritato fuoriuscì dalla gola di Kazunari, mentre lo osservava dall’alto in basso fingendo di essere lui il più alto dei due.
«Si capisce quando menti» disse soltanto.
«Io credo davvero che tu sia bravo» si era difeso Aiba.
«Intendevo il sorriso. Si vede che è forzato» si era corretto. «Ogni sorriso che ti si disegna sulle labbra è forzato. Sai, l’ho notato osservandoti: è per questo che stasera ho chiesto al capo di poter suonare»
Masaki lo aveva guardato confuso, come se avesse appena detto qualcosa di scandaloso.
«Non guardarmi così, non sono un maniaco o cose del genere. Sono soltanto un discreto lettore e tu sei una persona davvero facile da leggere» le labbra gli si erano increspate in una specie di sorriso che lo faceva assomigliare ad un adorabile gatto.  Il più grande non poté che pensare che fosse davvero carino.

«Ninomiya Kazunari-kun, giusto?» aveva chiesto.
«Sì, ma chiamami Nino» aveva affermato l’altro, sedendosi sul letto di Masaki.
«Bene, Nino. Non so che strana idea tu ti sia fatto di me, ma non è affatto così» aveva sentito il bisogno di difendersi: non voleva che qualcuno scoprisse quella corazza formata da finti sorrisi.
«Quindi hai davvero pianto solo perché sono bravo? Ne sono lusingato!» aveva ridacchiato parecchio divertito. «Aiba Masaki-kun» aveva quasi canticchiato poi, stendendosi sul letto e fissando il soffitto.
«Sì?»
«Non so perché tu finga in questo modo o perché tu menta a te stesso così, ma… voglio solo dirti che se ne hai bisogno, posso suonare e cantare per te tutte le volte che vuoi» aveva sospirato. «Posso aiutarti a piangere tutte le volte che vuoi, anche in piena notte se lo desideri» un sorriso amaro gli si era disegnato sul viso. «La musica sia che la ascolti o la suoni può donare una forza che noi esseri umani non abbiamo. Ci aiuta a ridere quando siamo disperati e a piangere quando ne abbiamo bisogno» rispose allo sguardo interrogativo che era sicuro l’altro avesse. «Quindi, qualora tu ne abbia bisogno, non ho problemi a ricaricarti» aveva ribadito. «Però… non credere che lo faccia perché mi stai simpatico, lo faccio soltanto perché siamo nella stessa situazione e darsi una mano a vicenda potrebbe essere d’aiuto» aveva tenuto a chiarire.

Masaki aveva annuito commosso, prima di saltare sul letto ed abbracciare forte l’altro.
«Che belle parole Nino-chan, grazie mille!» aveva sussurrato, mentre lo stringeva così forte da fargli quasi mancare il respiro. Kazunari aveva sorriso, accarezzandogli il capo.
«Ah, ovviamente non lo faccio gratis» aveva scherzato, nascondendo l’imbarazzo. «Ho notato che tu sei il più richiesto, quindi un bel po’ di soldi di mancia li hai, no?»  l’altro aveva annuito. «Bene, ogni volta che vorrai sentirmi suonare dovrai pagare… » aveva fatto degli strani conti sulle dita. «… cinquemilaseicentocinquanta yen *» sorrise convinto.
«Ehi, sono troppi!»
«Io sono una grande rivelazione della moderna musica giapponese, posso permettermi di richiedere qualsiasi somma io voglia» aveva dichiarato mestamente, prima di essere colpito da una cuscinata.
«Ma va’ a quel paese!» aveva riso Masaki.
Kazunari lo aveva colpito a sua volta e in poco tempo si era creata una battaglia di cuscinate.
Da quella sera Masaki Aiba ebbe un amico.

* circa cinquanta euro
Prologo: Like a Doll | Capitolo due: Because I don't know what love is

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