TITOLO: Like a Doll
AUTORE:
seleraf FANDOM: Arashi
COPPIE: Sho Sakurai/Masaki Aiba; Kazunari Ninomiya/Satoshi Ohno {accennata}; Kazunari Ninomiya/Masaki Aiba {F-ship}; Jun Matsumoto/Sho Sakurai {F-ship; one-side love}
RATING: NC-17 {causa argomenti}
GENERE: Introspettivo. Romantico. Angst.
AVVERTIMENTI: Longfict. Slash. AU. Non per stomaci delicati (?).
RIASSUNTO: asaki Aiba era diventato quello che era all’età di tredici anni quando era stato venduto dai suoi genitori adottivi ad un uomo che gestiva un club di indubbio genere; aveva cominciato a credere di essere soltanto una bambola, un oggetto che veniva usato e poi gettato via dai propri padroni, mascherandosi dietro un sorriso perenne che spesso confondeva gli altri facendo credere che fosse felice di tutto ciò.
NOTE: Basata sull’omonima doubledrabble scritta per la BDT [la trovate
QUI].
Alcuni dei titoli dei capitoli che si susseguiranno, non saranno altro che titoli o frasi delle canzoni degli F.T Island così come il titolo della doubledrabble e di questa longfict.
DEDICATA A:
ily_chan che ha subito (e sta subendo) ogni mia stupida paranoia.
DISCLAIMER: on sono miei: ovviamente appartengono soltanto a loro stessi.
Start |
Capitolo uno: A person who's closer to tearsPrologo: Like a Doll.
Gli avevano chiesto di essere un gattino quella sera: gli capitava spesso.
Alcuni suoi padroni non facevano altro che chiedergli di essere un animaletto, dicevano che era così carino che sembrava un cagnolino o un gattino; lui si diceva che fosse meglio di quando lo legavano per i polsi al letto, facendo in modo che fosse alla mercé dell’uomo di turno che faceva del suo corpo quello che voleva. Quando non lo legavano o non gli chiedevano di essere un animale da compagnia, si divertivano a punirlo, schiaffeggiandolo, frustandolo o perfino stuprandolo.
Lui non poteva far altro che assecondare tutto quello.
Una volta aveva chiesto ad alcuni dei nuovi arrivati come avevano potuto volere così tanto essere delle puttane: molti gli risposero che lo facevano perché li piaceva il sesso e farlo per soldi per loro era il massimo; altri gli dissero che non potevano fare altro nella vita. Quando ascoltò le parole di quei molti, non poté far altro che provare pena per loro, sentendo poi una grande pena per gli altri e per sé.
Masaki Aiba era diventato quello che era all’età di tredici anni quando era stato venduto dai suoi genitori adottivi ad un uomo che gestiva un club di indubbio genere; lui non aveva idea di quello che succedesse per davvero in quel locale: infatti aveva cominciato a lavorare lì come semplice cameriere, ignorando le occhiate lascive che i clienti lanciavano ad ogni parte del suo corpo, quasi volessero mangiarlo, gustandolo lentamente.
Non aveva neanche notato come, una sera di alcuni mesi dopo, uno di quei clienti lo aveva additato al proprietario del locale, dandogli poi dei soldi, affittandolo per quella notte.
Affittandolo, sì. Come se fosse un auto a noleggio o un appartamento che il proprietario rifiuta di vendere e trova più vantaggioso imprestare in cambio di una certa somma bimestrale.
Aveva soltanto tredici anni ed era già stato venduto da qualcuno ed imprestato da chi lo aveva comprato.
Trovava assurdo come riuscisse a ricordare ogni minimo dettaglio di quella sera: il non riuscire a non provare disgusto quando una mano del padrone di quella notte gli aveva afferrato il polso e lo aveva costretto a sedersi sulle sue gambe; non riusciva a dimenticare come la lingua dell’uomo gli aveva leccato il collo e come le sue mani avevano frugato tra i suoi vestiti, strappandoglieli con una certa foga di dosso o come lo aveva costretto a soddisfare ogni sua voglia rischiando di soffocarlo quando lo costrinse ad un lavoro di bocca.
Non versò lacrime quella volta, anche se aveva tutte le ragioni di questo mondo per piangere. Tremò soltanto: per il freddo, la paura, il disgusto ed il dolore che provava.
Aveva persino ricordato le parole della madre ed aveva cominciato a sorriderne nonostante ciò che provava perché “se piangi o mostri quel dolore, quello non scomparirà per molto tempo”.
Con il passare del tempo, aveva capito che era una bugia: che se sorridi al dolore, quello ti si conficca dentro e non se ne va più. Capì che bisognava piangere e sfogarsi per il dolore che si provava, ma anche che per farlo aveva bisogno di una forza che non aveva: perciò aveva continuato a sorriderne senza essere per forza masochista.
Delle volte il dolore era tanto che le lacrime gli pungevano gli occhi ed aveva voglia di spaccare qualsiasi cosa, ma non ne aveva la forza e allora sorrideva.
In quei tredici anni non aveva mai sorriso sinceramente come aveva fatto nei tredici che li avevano preceduti.
Quando divenne maggiorenne provò a scappare da tutto quello, ma il proprietario gli disse che per essere libero avrebbe dovuto pagargli una somma superiore ai cinque milioni di yen*, somma che era certo Masaki non avesse.
Così, ora che aveva ventisei anni, continuava a fare tutto quello, subendo ogni genere di cosa ed assecondando ogni tipo di perversione: aveva cominciato a credere di essere soltanto una bambola, un oggetto che veniva usato e poi gettato via dai propri padroni, mascherandosi dietro un sorriso perenne che spesso confondeva gli altri facendo credere che fosse felice di tutto ciò.
Lui glielo lasciava credere, domandandosi poi come un’anima dannata potesse essere felice di vivere all’Inferno.
*circa quarantacinquemila euro.
Start |
Capitolo uno: A person who's closer to tears