TITOLO: Like a Doll
AUTORE:
seleraf GRUPPO: Arashi
PERSONAGGI: Di questo capitolo: Masaki Aiba, Kazunari Ninomiya, Satoshi Ohno.
COPPIE: Sho Sakurai/Masaki Aiba; Kazunari Ninomiya/Satoshi Ohno {accennata}; Kazunari Ninomiya/Masaki Aiba {F-ship}; Jun Matsumoto/Sho Sakurai {F-ship; one-side love}
RATING: dall'R all'NC-17 {causa argomenti}
GENERE: Introspettivo. Romantico. Angst.
AVVERTIMENTI: Longfict. Slash. AU. Non per stomaci delicati (?).
RIASSUNTO: Masaki Aiba era diventato quello che era all’età di tredici anni quando era stato venduto dai suoi genitori adottivi a un uomo che gestiva un club d’indubbio genere; aveva cominciato a credere di essere soltanto una bambola, un oggetto che veniva usato e poi gettato via dai propri padroni, mascherandosi dietro un sorriso perenne che spesso confondeva gli altri facendo credere che fosse felice di tutto ciò.
NOTE: Basata sull’omonima doubledrabble scritta per la BDT [la trovate
QUI]. .
Alcuni dei titoli dei capitoli che si susseguiranno, non saranno altro che titoli o frasi delle canzoni degli F.T Island così come il titolo della doubledrabble e di questa longfict.
DEDICATA A:
ily_chan , che ha subito (e sta subendo) ogni mia stupida paranoia.
DISCLAIMER: Non sono miei: appartengono soltanto a se stessi. Tutto quello che è scritto è pura finzione per cui non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere e dell’orientamento sessuale di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Capitolo uno: A person who's closer to tears |
Capitolo tre: How can I give that person away? Capitolo due: Because I don't know what love is
Nino non si lamentava mai: era una cosa che Masaki aveva notato.
Aveva una lingua tagliente, certo, e delle volte era davvero un bastardo ed un ribelle, ma nonostante questo non si lamentava mai di come fosse andata la giornata e non faceva mai notare quanto fosse stanco o quanto dolore fisico avesse. Non era il tipo di persona che dimostrava tutto ciò.
Per quanto provasse anche lui a non far notare all’altro la sua stanchezza o il suo dolore, non ci riusciva: Ninomiya se ne accorgeva e si prendeva cura di lui.
Masaki si sentiva in colpa delle volte per questo, ma altre pensava egoisticamente che non potesse fare a meno di quello: a lui piaceva che Kazunari si prendesse cura di lui, nonostante tutto il dolore che celava dentro. Era una strana sensazione, ma con il passare del tempo sapeva di provare un qualche affetto per l’altro e questo alleggeriva un po’ le cose ai suoi occhi.
Non sapeva come chiamare quel groviglio di emozioni che lo assaliva mentre l’altro gli sorrideva o parlava con lui, ma era certo che gli donasse un motivo per sorridere anche quando la nottata passata era stata davvero dura ed aveva lividi sparsi ovunque e non riusciva a stare in piedi.
Infatuazione, probabilmente era quello il nome della fase che stava attraversando.
Masaki non sapeva come gestire una cosa del genere: quindi continuò a comportarsi normalmente, nonostante a volte paresse parecchio goffo; Kazunari se n’era reso conto, ma non aveva detto nulla di tutto ciò: entrambi ostentavano la normalità di sempre.
Sei mesi dopo la sera in cui divennero amici, arrivò lui, Satoshi Ohno: un ragazzo distinto sui ventisette anni; era timido e impacciato e se ne stava sulle sue quasi fosse imbarazzato da tutto quello che lo circondava.
Ricordava ancora lo sguardo di Kazunari che si staccava dal gameboy e si concentrava soltanto sulla persona appena entrata; non sapeva come, ma sembrava ci fosse un certo incanto tra i due.
Sentiva lo stomaco dolergli a vedere Nino avvicinarsi a quell’uomo e prendere la sua ordinazione - cosa che non aveva mai fatto fino ad allora - mentre lui tratteneva il fiato, chiedendosi cosa avesse.
Il petto gli doleva così forte e si sentiva incredibilmente vuoto e aveva pensato di stare male, davvero male; quell’uomo aveva pagato per Nino quella notte.
Quando era tornato in camera, pieno di lividi, Aiba non aveva trovato Nino ad aspettarlo: era da solo nella stanza.
Si era trascinato a fatica verso il letto e si era buttato su quello, reprimendo un gemito di dolore e tentando di ignorare le lacrime che gli pungevano gli occhi. Aveva sorriso di scherno, accarezzandosi i segni della corda sui polsi e rannicchiandosi sul letto; aveva chiuso gli occhi quando aveva sentito la porta aprirsi e Ninomiya entrare.
«Stupido, almeno copriti» lo aveva sentito borbottare con tono divertito. Nino lo aveva coperto con una coperta, per poi abbassarsi su di lui e fissargli il viso. «Masaki, hai dei graffi e dei lividi. Scommetto che non li hai disinfettati come al solito» aveva mormorato, accarezzandogli la fronte. Aiba aveva fremuto appena, continuando a tenere gli occhi chiusi.
«Smettila di fingere, devo disinfettarti i graffi e mettere qualcosa su quei segni» aveva sospirato, allontanandosi da lui.
Masaki ricordava che, in quel momento, avrebbe voluto afferrargli il braccio per guardarlo e tentare di capire perché Kazunari era capace di farlo stare bene e male allo stesso tempo, ma non lo fece; quando Nino gli era tornato accanto, lui si era messo seduto.
«Sei tornato più tardi del solito» aveva notato con tono tranquillo, con il solito sorriso sulle labbra.
Ninomiya aveva sospirato impercettibilmente notando un certo tremore nella voce dell’altro. «Uhn? Ci ho messo due minuti come sempre dal bagno a qui» aveva risposto.
«Dico… dal privè» si era corretto, mordendosi un labbro a causa del bruciore provocato dal disinfettante. «Non… non eri mai tornato così tardi» aveva aggiunto come un rantolio sommesso, la voce un po’ rotta.
«Mi trovavo bene con Satoshi-san» aveva sorriso, quasi stesse ricordando qualcosa in particolare. «Era così carino, sai? Era imbarazzato» aveva spalmato un po’ di pomata sui lividi «…e ha un bel sedere a dirla tutta» aveva annuito quasi soddisfatto.
Satoshi-san. Lui aveva speso del tempo per fare in modo che Ninomiya lo chiamasse Masaki ed ora un cliente aveva già avuto il privilegio di essere chiamato in quel modo da lui; Kazunari, poi, chiamava bastardo o schifoso o stronzo quello con cui aveva passato la notte, non… aveva ammesso a se stesso di non aver sentito nulla al di fuori di quel Satoshi-san che gli faceva corrodere le budella.
«Satoshi-san?» aveva interrotto bruscamente lo strano vaneggiamento dell’altro, totalmente in contrasto con il solito atteggiamento.
Kazunari aveva annuito appena. «Uh uh… Satoshi-san. Perché?» aveva aggrottato le sopracciglia, osservandolo preoccupato. Il più grande stava stringendo i pugni, tremando un po’.
«Non… non hai mai chiamato nessun bastardo con il nome proprio, quindi… perché Satoshi-san?» si era morso la lingua appena finito di parlare: odiava davvero quel tono così sommesso e tremante che in quel momento stava usando.
«Perché lui non è come quei bastardi» aveva detto, prima di rimettere al proprio posto il kit del pronto soccorso; quindi era tornato da lui.
«Ed è un giusto motivo per chiamarlo Satoshi-san?» aveva quasi urlato l’altro, mentre il labbro inferiore cominciava ad arcuarsi in un quasi divertente broncio. «Paga per scopare e fare Dio solo sa cosa con te e dopo solo una sera può permettersi di sentirsi dire Satoshi-san?» aveva pronunciato in un sussurro, ma con tono acuto.
«Masaki…» si era passato una mano sul viso e poi gli si era seduto davanti, cercando le parole adatte come se avesse dovuto spiegare ad un bambino che Babbo Natale non esiste. «Non puoi essere geloso di questo»
«Non sono geloso! Non… non lo trovo giusto…» si era affrettato a correggerlo. «Non è giusto che in una sera lui abbia ricevuto tutte le attenzioni che dai a me, non… non è giusto che io abbia dovuto aspettare dei mesi per sentirmi chiamare Masaki-san da te e lui… lui in una sera abbia avuto questo privilegio» aveva quasi borbottato, mentre delle lacrime cominciavano a bagnargli le guancie. «Non puoi trattarlo così senza neanche conoscerlo! Non… non puoi entrare così in confidenza con una persona che non conosci solo dopo esserti lasciato scopare da lui, Nino-chan…» aveva gemuto, mentre i singhiozzi gli scuotevano le spalle.
Kazunari aveva alzato gli occhi al cielo e gli si era avvicinato quel tanto che bastava per abbracciarlo, lasciando che Aiba affondasse il capo contro il suo petto tremando e sussultando cercando di trattenere le lacrime.
«Masaki non cambierà nulla, sai?» aveva detto, mentre lo accarezzava. «Non è a causa di questo che io e te ci allontaneremo» gli aveva sussurrato con un leggero sorriso. «È per questo che non devi essere geloso del modo in cui lo chiamo. Io sarò sempre qui con te, prometto che non mi perderai» gli aveva alzato il viso, guardandolo negli occhi «Chi mi darebbe i miei cinquemilaseicentocinquanta yen per aiutarlo a piangere, sennò?» aveva accarezzato una guancia dell'altro, cancellando le scie bagnate lasciate delle lacrime. «Non trattenerti, non dovrai pagare questa volta» aveva tentato di tirarlo su.
Masaki ricordava di essersi sentito bene anche solo grazie a quelle carezze; quando il viso di Ninomiya si era avvicinato e gli aveva mostrato uno di quei suoi meravigliosi sorrisi, lui avrebbe voluto avvicinarsi per baciarlo, sfiorandogli le labbra con tocco leggero per assaporarne la morbidezza. Quando Nino si era allontanato, si era sentito fragile come se avesse potuto perdere qualcosa di importante da un momento all’altro.
Dopo quella volta, Masaki aveva cominciato a non temere più di perdere Nino per delle sciocchezze che parevano ingiustizie. Kazunari era lì per lui sempre e comunque e non l’avrebbe abbandonato.
Capitolo uno: A person who's closer to tears |
Capitolo tre: How can I give that person away?