[His John Watson] The Great Game

Mar 01, 2011 11:56

itolo: His John Watson
Titolo del Capitolo: A study in Pink
Fandom: BBC Sherlock
Pairing: Jim Moriarty/Sebastian Moran
Beta:
nessie_sun. L'unica, la santa. Amatela e ingraziatela.
Note: Indovinate....bravi! Ambientato durante The Great Game



III. THE GREAT GAME

L'idea che quando mi fossi svegliato Jim sarebbe stato nel letto accanto a me non mi sfiorò nemmeno lontanamente, quindi quando mi svegliai da solo nel mio letto fu tutto assolutamente normale.

Lo trovai invece nel suo studio intento a contemplare la piantina di Londra che occupava una delle pareti. Solitamente era vuota, nessun segno particolare, nulla di nulla, perché tutto era nella testa di Jim, ma quella mattina aveva quattro puntine in tre strade di Londra.

"Il gioco è iniziato, Sebastian." era il suo buongiorno e credo che nella sua concezione fosse il miglior buongiorno possibile.

"Era ora." ammetto che i preparativi erano diventati abbastanza snervanti, tra telefonate, minacce, visite a tutte le ore del giorno e della notte. Almeno ora, avrei avuto qualcosa da fare. Lo abbracciai da dietro e posai il mento sulla sua spalla continuando a guardare la piantina. "Cosa sono quei punti?"

"Dove metteremo gli ostaggi ad aspettare ce Sherlock Holmes li salvi." mi rispose Jim fissando anche lui quei tre punti sul muro. Chissà, forse per lui avevano qualche significato particolare.

"Abbiamo anche degli ostaggi?" domandai perplesso posandogli un bacio sul collo. Aveva ancora il mio odore addosso.

"Certo che sì." ridacchiò. "Che gusto ci sarebbe, altrimenti? Qualcuno fatto saltare in aria non può che rendere tutto più divertente."

"Pensavo di doverle fare fuori io." e anche non volendo la mia voce risuonò decisamente offesa, come al solito. Non mi ero mai accorto quanto fossi capriccioso in fatto di lavoro.

"Sebastian non essere stupido, ovvio che li lascio a te." e il modo in cui lo disse mi fece pensare che avrei dovuto considerarli un regalo speciale. "Solo che è più divertente vedere la polizia convinta che sia saltato tutto in aria quando invece è stato un colpo di fucile ad ucciderli."

"Non che per fregare Scotland Yard servano espedienti così raffinati." nella mia esperienza personale, Scotland Yard non aveva mai rappresentato un problema, anzi. Delle volte mi facevano pena poverini, si impegnano, è solo che la maggior parte di loro sono degli inetti per natura. E la loro concorrenza sa il fatto suo.

Jim rise quasi di cuore e la consapevolezza che era di buon umore mi svegliò del tutto. Mi resi conto che era tornato nel suo stato febbrile e che quindi per Londra sarebbe stata una giornata davvero pericolosa. Perché il suo piano sarebbe potuto cambiare un centinaio di volte in un ora e questo non era un bene.

"Oh Sebastian." c'era una sorta di euforia e accettazione tutta nuova nel modo in cui aveva pronunciato il mio nome che mi fece venire i brividi. E anche voglia di spingerlo contro il muro e continuare quello che avevamo fatto la notte precedente. "Ti prometto che quando questo gioco sarà finito io e te saremo insieme sulla cima di questo mondo e lo plasmeremo come più ci piacerà."

"Vuoi dire che tu sarai in cima al mondo e io un po' più sotto."

Rise di nuovo e mi passò una mano tra i capelli, vizio che non si tolse mai "Si." si voltò e cercò le mie labbra. "Ma tutti gli altri saranno comunque sotto di te, quindi in cima ci saremo noi. Ti prometto, Sebastian, che questo mondo sarà nostro."

Ometterò i dettagli dei due giorni seguenti per varie ragioni, che illustrerò di seguito.

1: Non ho alcuna intenzione di svelare troppo i piani di Jim.

2: Non è funzionale alla storia.

3: Il caro dottor Watson si è preso la briga di fare il lavoro al posto mio.

Taglierò corto, dicendo solo che mentre io ero in giro, appostato per ore e ore e ore tenendo sotto tiro gli ostaggi, Jim era rimasto a casa a gestire tutto dal divano. Non solo non amava sporcarsi le mani, ma soprattutto non amava esporsi in prima persona. Lui e i suoi stupidi aggeggi elettronici. Si prese la briga di uscire di casa solo per andare convincere Molly a presentargli Sherlock e per mettere del tritolo intorno ad una vecchietta, la quale era cieca e quindi proprio non poteva vedere Jim. Però poteva sentirlo e ebbe la brutta idea di dirlo a Sherlock. Non che abbia accorciato di molto la sua vita, in ogni caso.

Insomma, agì dall'ombra, tirando i fili di ogni personaggio coinvolto nel Gioco. Sono abbastanza sicuro che ci sia una canzone dei Metallica intitolata Master of Puppets. Sarebbe un titolo onorario perfetto per Jim.

Come ho detto, litigammo spesso in quel periodo e uno dei motivi fu la scelta di uno degli ostaggi. Oh sono sicurissimo che nel piano originale non doveva andare come poi di fatto andò, ma che quella fu una delle tante modificazioni dovute all'eccessivo buon umore di Jim.

Generalmente, oserei dire che sono un uomo senza troppi scrupoli, che non si fa troppi problemi. Insomma la mia moralità, concesso che ci sia mai stata in primo luogo, se ne è andata a farsi fottere da un bel pezzo, e a me va benissimo così.

Ma quando mi trovai a dover tenere sotto tiro un bambino fu troppo perfino per la mia mancanza di coscienza che aveva spinto Jim a darmi quel lavoro in primo luogo.

"Jim, è un fottutissimo bambino." sibilai sapendo che se Jim aveva tanto insistito per rimanere in contatto radio allora era in perenne ascolto.

"Si." rispose tranquillamente.

"Un bambino." ripetei di nuovo, duramente. Avrà avuto al massimo dieci anni.

"Si, Sebastian lo so." sentii chiaramente che sospirò annoiato.

"Non posso uccidere un bambino!" e per la prima volta da quando era iniziata quella storia, mi ribellai apertamente ad un ordine di Jim. Prima di allora non avevo mai avuto reali motivi per farlo, dopotutto.

"Perché no?" non c'era alcun tono di sfida o di provocazione, semplicemente, non capiva.

"Perché è un bambino!" ripetei ancora perché quella era la spiegazione di tutto. Ma pretendere da Jim di avere rispetto per un bambino era più o meno come chiedere ad una tigre di non tentare di sgozzarti con un morso dopo che le hai sparato. Del tutto inutile.

"Non capisco perché stai frignando come una ragazzina, Sebastian." il suo tono era diventato più sottile. Si stava innervosendo.

"Perché hai avvolto un bambino nel tritolo! Dannazione il giubbotto esplosivo è più grande di lui!" però non abbandonai la postazione, in realtà non ci pensai neanche per un istante. Sono quasi uno stacanovista.

"Se hai qualche problema Sebastian, posso sempre mandare qualcun'altro." e per qualcun'altro intendeva il sostituto che avrebbe dovuto cavarmi gli occhi.

"Si che ho qualche problema!" risposi comunque, minaccia o non minaccia. "Per il giusto prezzo posso uccidere anche mia madre, ma...non un bambino, Non ti può aver fatto nulla di male!"

"Stai mettendo in dubbio le mie decisioni?"

"Si."

E nel mio orecchio risuonò solo il silenzio più abissale che abbia mai udito. Fui dannatamente contento di essere chilometri e chilometri distante da Jim, perché almeno potevo sperare di essere al sicuro. Non ero così stupido da pensarlo veramente, comunque.

"Allora spera che Sherlock sia così bravo da risolvere l'enigma in tempo." sibilò improvvisamente, tanto che per poco non sobbalzai. "Vuoi che mandi qualcun'altro a fare il lavoro, o pensi di potercela fare a smettere di lamentarti?"

Mi resi conto solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. "No, capo." dissi dopo quella che mi sembrò un'eternità. "Non ho alcun problema."

Almeno, Sherlock Holmes salvò quel bambino, anche se per un soffio. Non mi sarei mai perdonato di aver ucciso un bambino, seriamente.

Oh, ma sapevo che per me i problemi erano solo iniziati. Tecnicamente viviamo in un mondo con un po' di libertà, in pratica io vivevo sotto una dittatura. E sotto la dittatura ogni ribellione va punita. Ogni punizione deve essere esemplare e deterrente per le altre.

Quando tornai a casa fu come entrare nella tana del Diavolo in persona.

"Jim, mi dispiace." fu la prima cosa che dissi, tutta d'un fiato perché non sapevo se avrei avuto altre occasioni per parlare.

"Hai messo in dubbio un mio ordine." si limitò a constatare oggettivamente con tono piatto. "Cosa dovrei fare secondo te?" quella calma ostentata l'avevo vista altre volte e sapevo che si sarebbe trasformata in tempesta nel giro di pochi istanti.

"Non so che mi è passato per la mente." non avevo giustificazioni - comprensibili a lui- e quindi optai per la classica.

"Pensavo che avessimo un accordo." sibilò mentre gli occhi gli si riempirono di furia. "Io ti pago, tu fai quello che ti dico."

"E' così." risposi atono.

Mi girò intorno come un corvo intorno ad una carcassa e improvvisamente provai pietà per tutti quelli che si erano trovati nella mia situazione prima di me. E pensare che finiva con me che li facevo fuori. Per un momento mi chiesi che metodo avrebbe usato Jim per fare fuori quello che di solito faceva fuori gli elementi oramai superflui.

"Cosa me ne faccio di te se tu non rispetti gli accordi?" sembrò quasi addolorato, ma il suo sguardo continuò ad essere furioso. "Io devo potermi fidare di te, Sebastian, altrimenti non ha alcun senso che ti tenga con me. Pensavo di potermi fidare, ma sei inutile, esattamente come tutti gli altri."

"Ma puoi fidarti, James!" protestai. Fortunatamente gli anni nell'esercito si rivelarono utili: riuscii a mascherare qualsiasi traccia di paura nella voce. Perché avevo paura. Oh se avevo paura.

Quella mia risposta fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Non mi accorsi che mi aveva schiaffeggiato finché non sentii il bruciore alla guancia e il sapore metallico del sangue.

"No che non posso!" urlò e fu quasi un sollievo, perché era molto più semplice rimanere calmo di fronte ad una sfuriata che ad una calma apparente. Mi afferrò il braccio sinistro e, nonostante lo stesse piegando ad un angolo innaturale dietro la mia schiena, improvvisamente mi sembrò che le cose non stessero andando così male. "E sai cosa succede ai collaboratori di cui non posso più fidarmi."

Aspettai il suono dell'osso che si spezzava,e invece non arrivò. Jim smise di storcere appena prima del punto di rottura. Non era stato un errore, come ho detto sapeva esattamente come fare male.

"Anche se non mi fido, ho ancora bisogno di te."mi lasciò il braccio in maniera brusca e dal tono tagliente che aveva usato la cosa non gli andava minimamente a genio. Però con un calcio ben assestato dietro il ginocchio mi fece perdere l’equilibrio e mi ritrovai in ginocchio sul pavimento.

In fin dei conti quando sentì lo schiocco delle dita della mano sinistra che si rompevano capii che me l'ero cavata con poco. Oh, se non fossimo stati nel bel mezzo di un lavoro mi avrebbe rotto quelle della destra, per sfregio.

"Non mettere mai più in discussione i miei ordini."

"No, capo."

Mano sinistra malandata o no, fu compito mio rapire il caro dottore.

Non che rapire sia il termine giusto, mi sono limitato a seguirlo per un paio di minuti ed usare un po' di cloroformio.

L'ultimo ostaggio di Jim -non capii perché avesse scelto proprio lu-i. Non aveva mai parlato troppo del dottore, tutto concentrato com'era su Sherlock, quindi mi limitai a portarglielo nella piscina senza fare troppe domande. Ero ancora troppo concentrato sul dolore alle dita per farmi venire la brillante idea di disturbare Jim. Con la fortuna che mi ritrovavo l'avrebbe presa come un'altra insubordinazione.

Fu compito mio anche decidere dove e come posizionare gli altri cecchini per tutto il perimetro della piscina, in modo che nessun punto fosse sicuro.

Ma soprattutto fu compito mio tenere sotto tiro il dottore.

"Sebastian." Jim mi chiamò con un cenno della mano prima che mi allontanassi per andare ad occupare il mio posto -l'unico scelto da Jim, per dovere di cronaca-

"Si, capo?"

Lui mi squadrò per un po' prima di parlare. Sono sicuro che stesse valutando se poteva fidarsi ancora, se un paio di dita spezzate potessero essere un deterrente efficace e sufficiente con uno come me. "Stasera hai un solo compito: mira al cuore del dottore. E che sia il cuore, Sebastian. Non mi interessa come si sposta, come non si sposta: tu mira al cuore."

Non so perché fosse così importante mirare al cuore, ma annuì e mi attenni a quelle disposizioni. Non era la prima volta che Jim mi chiedeva un colpo preciso in un punto, non sarebbe stata l'ultima e non fu nemmeno la richiesta più strana: una volta mi aveva chiesto di colpire un uomo all'ombelico, chissà perché.

Ancora una volta, eravamo tutti collegati tramite contatto radio -non che ce ne fosse bisogno, l'acustica di quella piscina faceva invidia ai migliori stadi-, quindi sentii tutto e diavolo se Jim sembrava pazzo. A forza di viverci insieme mi ero abituato al suo modo di fare e  mi ero scordato che non era lontanamente normale.

Non sarei voluto essere al posto del dottore, nemmeno per un milione di sterline: posso solo immaginare come ci si può sentire a svegliarsi e rendersi conto di essere una bomba vivente per poi essere tenuto costantemente sotto tiro, senza possibilità di aiutare il proprio...qualsiasi cosa sia Sherlock Holmes per John Watson.

Se dovessi dire chi uscì vincitore da quel primo incontro, direi Jim, ma solo perché Sherlock aveva John a cui badare, altrimenti sono sicuro che le cose sarebbero andate in maniera differente. Sherlock Holmes non mi sembrò così differente da Jim, se devo essere sincero. Almeno, non quando minacciò di sparargli.

Non appena Jim uscì di scena, smisi di tenere sotto tiro il dottore, perché non ce ne era più bisogno. O almeno così credetti.

"Ho cambiato idea, non ho ancora finito con i nostri ospiti, Sebastian caro, sai cosa fare."

Come avevo detto, quando Jim era di buon umore era più lunatico del solito, più capriccioso, e non era mai un bene. Sapevo esattamente cosa fare: riposizionai il fucile e tornai a tenere sotto tiro il dottore, tenendo a mente l'ordine categorico di Jim: mira al cuore.

Il povero dottore non ebbe tempo di riprendere fiato che il puntino rosso sul petto lo rigettò nella realtà della situazione e Jim fece la sua seconda entrata in scena senza immaginare che Sherlock aveva avuto tutto il tempo di tornare in totale controllo di sé.

Fu il silenzio ad allarmarmi, a farmi capire che qualcosa non andava.

Per un breve istante, un fottutissimo istante, smisi di tenere sotto tiro il dottore per lanciare uno sguardo alla situazione a bordo piscina.

Il primo pensiero fu che Sherlock stava di nuovo puntando la pistola verso Jim, e il cuore mi saltò in gola, ma poi mi resi conto che mirava troppo in basso e, dannazione, riconobbi subito il giubbotto esplosivo che aveva tolto al dottore.

Stavamo per saltare tutti in aria.

Sarei potuto scappare e mettermi in salvo -come il silenzio radio mi faceva presumere che avessero già fatto gli altri cecchini, ma la verità è che non avrei lasciato la mia postazione. Un capitano affonda con la sua nave, no?

La verità, però, è che non avrei lasciato Jim da solo in quella situazione.

Se dovevamo saltare in aria, beh, saremmo saltati in aria insieme.

Furono momenti tesi, cercai di calcolare quante possibilità avevo di colpire Sherlock nella frazione di secondo prima che premesse il grilletto. Se solo avessi potuto sparare a Sherlock di mia iniziativa...ma no, se lo avessi colpito senza motivo, senza che avesse pensato di premere il grilletto, Jim avrebbe voluto la mia testa in cambio.

Mi attenni agli ordini, non persi di vista il dottore.

Il cuore mi rimbombava nel petto, il silenzio mi fece fischiare le orecchie. E io sorrisi.

Quella era esattamente la scossa di adrenalina che avevo cercato per tutta la vita.

La paura -per la mia vita, per Jim-, l'attesa, l'assenza di controllo sulla situazione, l'imprevedibilità di ciò che sarebbe successo. Nessuna caccia alla tigre poteva farmi scorrere il sangue così velocemente nelle vene.

Sorrisi perché non ero mai stato così vivo in vita mia.

Probabilmente ero solo diventato pazzo a forza di vivere con un pazzo, ma quello era il momento più eccitante della mia vita e ne ero consapevole.

Mossi le dita rotte, concentrandomi sulla scarica di dolore che mi arrivò dritta al cervello: dovevo tenere sotto controllo l'adrenalina e dovevo assolutamente rimanere lucido.  Lasciarmi prendere dalle emozioni sul lavoro non è la mia politica.

Passarono minuti? Passarono solo dei secondi?

Il tempo sembrò dilatarsi all'infinito e io non seppi più come volevo che finisse: volevo una bella esplosione -morire avendo vissuto l'emozione più forte della mia vita- o uscire da lì e utilizzare tutta quell'adrenalina? Per un momento non mi importò di morire, devo essere sincero.

Poi Stayin' Alive risuonò per tutta la piscina e io tirai un sospiro di sollievo, imprecando a denti stretti. Evidentemente avevo ancora voglia di vivere

Eravamo ancora tutti vivi. Una gran bella vittoria.

Non so chi avesse chiamato Jim, ma chiunque fosse, non avevo mai sentito Jim rivolgersi in quel modo a qualcuno. Di solito ero in grado di capire se era un cliente o un collaboratore, e anche se importante o assolutamente inutile. Ma in quel momento poteva essere entrambi visto che aveva alternato minacce a promesse.

Chiunque fosse, però, convinse Jim a finire lì il suo prezioso incontro con Sherlock Holmes. Va da se che non era cosa da poco.

Dato l'ordine di abbandonare le postazioni, raggiunsi Jim il più velocemente che potevo -il che implicava smontare il fucile e sistemarlo con cura nella custodia- trovandolo praticamente già in macchina.

"Ah bene, sei qui Sebastian." annuì soddisfatto. Come se non avesse saputo che gli sarei corso dietro. "Questo affare non può aspettare." commentò vago. "Ma temo tu abbia da fare qui, ancora. Fai fuori la tua squadra. Sempre che qualcuno sia rimasto."

Soffocai una risatina: avevano davvero pensato di svignarsela e di rimanere sani e salvi? "Con piacere."

"Dopo, vai a farti controllare quelle dita, stanno diventando viola." aggiunse distrattamente prendendomi la mano e controllandola. Mi ci volle un gran bello sforzo a nascondere la smorfia di dolore.

"A tempo debito." borbottai come se fosse una questione di poca importanza. Più tempo lasciavo la frattura non trattata, più tempo ci sarebbe voluto perché si aggiustasse e, dannazione, per quanto sia destrorso, la mano sinistra mi è tornata utile in un paio di occasioni.

E poi Jim, assolutamente all'improvviso, mi baciò con forza. Direi quasi che fu un bacio furioso. Iniziai a chiedermi quanti diavolo di modi per baciare conosceva.

"E questo bacio per cos'era?" chiesi senza fiato.

"Odio quella donna e se devo starla a sentire, preferisco avere un buon sapore in bocca."

Quella donna.  La donna. Irene Adler.
Ma questa è un’altra storia.

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