[His John Watson] The Blind Banker

Mar 02, 2011 11:45

Titolo: His John Watson
Titolo del capitolo: The Blind Banker
Fandom: BBC Sherlock
Pairing: Jim Moriarty/Sebastian Moran
Beta: nessie_sun. Sì lo dirò ad ogni capitolo perchè mi sembra doveroso ricordare quanto è stata magnifica.
Note: ambientata durante il periodo di The Blind Banker. (L'originalità lo so.)



II. THE BLIND BANKER

Le prime settimane di convivenza furono semplicemente tremende.
Era da quando avevo "mollato" l'esercito che non avevo diviso l'appartamento con qualcuno. Non sono un tipo da convivenza, è evidente. Provate voi a prendere una ragazza e spiegarle perché in camera da letto, sotto il cuscino, ha trovato una pistola. Fidatevi, è abbastanza imbarazzante come scenario che non mi è mai venuta voglia di provarci. Non che poi ci siano state tante ragazze nella mia vita, anche questo è evidente. Provate voi a spiegarle che no, non l'accompagnerete al matrimonio di sua sorella perché siete in Irlanda a fare fuori qualcuno. Davvero, la mia vita non è proprio delle migliori per quanto riguarda le relazioni stabili. Quindi, non metterei proprio la voce "coinquilino modello" nel mio curriculum.
Però so come si convive, so rispettare gli spazi degli altri fin tanto che rispettano i miei, so anche essere comprensivo.
Il problema è che palesemente Jim non ha mai vissuto con qualcun'altro al di fuori di se stesso. Dovrei quasi essere lusingato di essere stato il primo -e unico-, insomma è un privilegio vivere nella stanza accanto della più grande mente criminale d'Inghilterra, questo lo so da me. Ma sarebbe meglio se la suddetta mente criminale non fosse, per dirne una di tante, decisamente schizzinosa in fatto di cibo.
In realtà è colpa mia, devo ammetterlo. Come ho detto le abitudini si prendono da subito in un nuovo ambiente, lo stesso vale per le cattive abitudini.
Come mi sarà venuto in mente di cucinare per entrambi, me lo sto ancora chiedendo. No, no, forse mi ci ha costretto Jim, non me lo ricordo neanche più. O forse l'ho dato per scontato. Forse ho iniziato a farlo quando mi sono accorto che non mangiava affatto.
Al terzo giorno, quindi, ad ora di pranzo, gli buttai il piatto sotto il naso.
"Che cosa è?" mi chiese annoiato.
"Il pranzo, mangia." non mi preoccupai nemmeno di essere lontanamente gentile.
"Non ti ho chiesto di cucinare, Sebastian." girò la pagina del giornale ignorando beatamente me e il piatto.
"Qualcosa devi pure mangiare." protestai debolmente a bocca piena.
"Vero."girò un'altra pagina. Se fosse stato qualcun'altro avrei pensato che stesse solo facendo una scenata, ma essendo Jim probabilmente aveva già letto le notizie o aveva appurato che non c'era nulla di interessante. "Ma l'alimentazione è funzionale alla sopravvivenza, il mio corpo al momento non ha bisogno di alcuna sostanza."
Lo fissai per un momento e il mio silenzio lo costrinse a guardarmi -evidentemente aveva già capito che non sono tipo che si fa zittire facilmente, anzi forse lo sapeva- "C'è qualcosa nel tuo dannato modus vivendi che non sia calcolato al millimetro?"
"Dovrei anche rispondere ad una domanda del genere?"
Scrollai le spalle e continuai a mangiare senza tanti problemi.
Una cosa buona del convivere con Jim c'è: tranne qualche momento e duranti un lavoro, è tutto sempre molto tranquillo. Mai avuto tanto silenzio in vita mia. E non un silenzio di quelli inquietanti -ci sono ovviamente anche quelli- ma un silenzio calmo, quasi sicuro. Sempre che sicuro sia un aggettivo utilizzabile in queste condizioni.
"Comunque non capisco perché non mangi."
"E io non capisco perché hai cucinato anche per me." continuò a leggere il giornale assorto in qualche notizia che, evidentemente, lo aveva colpito.
"Il fatto che sia un cecchino non significa che non possa anche essere una brava persona." protestai. "Non giudicare le persone dal loro lavoro."
Jim mi lanciò un'occhiata e soffocò una risatina, evidentemente di scherno. Bhe non sono proprio la persona più brava su questa terra, ma non sono di certo la peggiore. Se non mi pagano non ti uccido, è una ottima garanzia sulla vita.
"Da oggi puoi anche morire di fame." sentenziai con una scrollata di spalle prima di portare via entrambi i piatti.
D'accordo, lo ammetto, magari le prime settimane di convivenza sono state pessime anche per colpa mia.
Comunque arrivammo ad un compromesso con Jim riguardo ai pasti: avrebbe fatto colazione tutti i giorni e avrebbe cenato regolarmente nei giorni senza macchinazioni importanti da mandare avanti. Il che è uno dei miei più grandi successi, non ho vergogna nell'ammetterlo. La questione era questa: la digestione procura un apporto maggiore di sangue allo stomaco, rallentando le funzioni cerebrali. Convincerlo che mangiare non avrebbe influito più di tanto sugli esiti dei suoi lavori mi richiese settimane di discussioni. Però vinsi io, tirando le somme, quindi mi reputo più che soddisfatto. E devo dirlo: le migliori cene delle mia vita le ho passate con Jim a guardare vecchi film. Ma questa è un'altra storia.
Se tutti i problemi fossero stati legati al cibo mi sarebbe andata di lusso. Ovviamente quando mai mi va di lusso?
Non parlerò più dei telefoni che squillano a tutte le ore (e quella dannata suoneria. I bee gees. Gli sono scoppiato a ridere in faccia quando mi sono reso conto che non era la radio a passare Stayin Alive, ma era il suo cellulare che squillava. Da allora la mia paga è stata dimezzata.) e nemmeno parlerò del fatto che, improvvisamente, ero diventato l'uomo incaricato di ricevere i clienti in casa. Mi immaginate a fare la personcina a modo e fare gli onori di casa? Ma per favore.
Parlerò delle ore che Jim passava chiuso nella sua testa, lontano dal mondo e da qualsiasi cosa che non fosse il problema che aveva preso in esame. Avete idea di quanto sia estenuante cercare di avere risposte da una persona che non sembra minimante sentirti? Delle volte l'ho chiamato, magari anche per faccende relativamente importanti per i nostri affari, sgolandomi come un'oca, senza ottenere alcun risultato. Altre volte l'ho chiamato per minuti prima di capire che anche se era seduto sul divano era chissà dove con la testa. E' un atteggiamento a cui ci si abitua alla fine, basta capirne i sintomi e tutto fila liscio, ma i primi giorni fu la cosa che trovai più insopportabile. Non aveva semplicemente senso, capite? Chi diavolo è che riesce ad estraniarsi così tanto? Sono sicuro che se gli avessi dato un calcio i suoi riflessi l'avrebbero evitato, ma non avrei comunque ottenuto la sua attenzione.
Non che ci abbia mai provato, sia chiaro.
In ogni caso in un pomeriggio di pioggia e di assoluto far nulla, perché incredibilmente avevo molto più tempo libero lavorando per Jim che con duranti i lavori precedenti, decisi di cronometrare quanto tempo Jim avrebbe trascorso nella sua mente.
Quel giorno in particolare si appropriò della cucina e decise che la superficie del tavolo era più che adatta al suo scopo di estraniamento. Stranamente non leggeva o scriveva mai nulla durante quei viaggi, scoprii solo successivamente che preferiva tenere tutto a mente. Gli chiesi allora perché per Sherlock aveva creato una parete di articoli di giornale (che poi fu rimossa) e quale fu la risposta? Che era annoiato. Non l'ho mai bevuta, in realtà, per me l'ha fatto solo per impressionarmi, o rendermi le cose più semplici. Comunque quel giorno particolare non aveva niente con sé.
Non appena mi accorsi che era uno di quei momenti feci partire il cronometro del mio orologio e aspettai. Nel frattempo mi preparai dei cereali, sistemai una delle sedie del soggiorno appena fuori dalla porta della cucina, così che potessi tenerlo sotto controllo. E mi gustai la scena.
Per due ore e quarantacinque lunghissimi minuti rimasi a fissare un immobile Jim che passava al vaglio del suo raziocinio tutte le eventualità riguardo a chissà quale dei casi in ballo in un religioso silenzio. Più di una volta fui convinto di sentire gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano freneticamente, o almeno quella era la sensazione. Non nascondo che fu una esperienza piuttosto inquietante: era come vedere un essere vivente rinchiuso in un involucro di marmo plasmato a forma di essere umano -essere vivente che tentava disperatamente di liberarsi-. Una statua cui solo gli occhi tradivano un guizzo vitale. Non cambiò mai posizione, credo respirasse a malapena, quasi non batté neanche ciglio. Non era umano, perché nessun'essere umano si comporterebbe in quel modo. Tutte le funzioni vitali ridotte al minimo per lasciare alla mente tutta la libertà di cui aveva bisogno.
Non ho mai chiesto a Jim cosa facesse esattamente in quei momenti, ma in quelle ore provai a capirlo.
Arrivai alla conclusione che nella sua piccola scatola cranica riuscisse a costruire interi mondi, a predire ogni eventuale futuro, calcolare ogni variabile possibile, che riuscisse a tenere a mente ogni reazione, che riuscisse a predire ciò che la gente avrebbe detto. Arrivai alla conclusione che nella sua piccola scatola cranica ci fosse un mondo più vasto di quello in cui vivevo, un mondo che per me sarebbe sempre stato inaccessibile, un mondo fatto di millesimali calcoli basati su una vastità inquietante di conoscenze.
Ma mentre la mia mente arrivava a queste conclusioni piuttosto distrattamente, successe qualcosa che mi cambiò radicalmente. Fu la prima volta che mi resi conto di essere attratto da Jim. Attratto dal mondo in cui non avrei mai messo piede, attratto dalla grandezza di quella mente di cui vedevo qualche sparuto barlume nei suoi occhi, attratto dal modo in cui tutto sembrava gravitare intorno a lui, attratto da quei silenzi, attratto da quell'unicità. Attratto da quel mistero a cui non sono mai riuscito a trovare soluzione.
E capii, senza mezzi termini, di essere fottuto

.

Volete sapere qual è la differenza tra una attrazione fisica e una attrazione mentale?
L'attrazione fisica è semplice da gestire, non crea grossi problemi: se ti piace la ragazza, e tu piaci a lei ovviamente, te la porti a letto e tutto fila liscio come l'acqua. Magari si tratterà di una volta e basta, magari l'attrazione durerà per mesi, ma mai di più se non è anche interessante. Però se è una semplice attrazione dettata da istinto naturale, non ci sono problemi. E nella maggior parte delle volte non diventa attrazione mentale perché la suddetta ragazza è bellissima, ma non è la persona giusta. Poi ci sono le volte in cui è anche la persona giusta e allora auguri e figli maschi. Ma le statistiche parlano da sole.
L'attrazione mentale invece...è una gran bella fregatura. Come te la fai passare? Se sei attratto da una ragazza ma non vuoi basta ripeterti "guarda che brutto vestito che si è messa." "quel trucco non le dona proprio." ma se ti piace dal punto di vista intellettivo non puoi dirti "oggi è più stupida.". Non puoi, punto. E così inizi a voler passare più tempo con quella persona, la stai a sentire affascinato, e finisce per piacerti così tanto com'è che inizia a piacerti in tutti i sensi. Magari non è bella, attraente, ma lo diventa.
Non voglio dire che questo discorso è valido anche per me. Non lo fu subito almeno, perché era semplicemente senza senso.
Come ho detto, sapevo di essere fottuto, che non mi sarebbe mai passata. Ammetterlo, però, era un'altro bel paio di maniche. Passai almeno un mese tenendo questa questione lontana dai miei ragionamenti lucidi, lasciandola marcire nel mio subconscio, deciso a non affrontare la questione.
Temo di dover fare un passo indietro con la mia narrazione, perché quello che vi ho raccontato -la giornata dei quarantacinque minuti- è avvenuto verso metà Febbraio, ma successe qualcosa di altrettanto importante prima.
Era il 7 Febbraio -no, non so la data a memoria, l'ho semplicemente ricontrollata- e per la prima volta feci la conoscenza del dottor John Watson.
Non personalmente, no.
Jim mi chiamò nel tardo pomeriggio dopo che era stato per ore davanti al computer a gestire qualche conto bancario -non suo- ed ad organizzare dio solo sa cos'altro.
"Guarda qui." mi ordinò lasciandomi la sedia. Notai subito una lieve nota di autocompiacimento nella sua voce.
"Che diavolo c'è sta volta?" sbuffai perché l'ultima volta che mi aveva fatto sedere al computer mi aveva mostrato con quale semplicità era entrato nel sistema di sicurezza di una decina di banche sparse in tutta l'Inghilterra.
"Un po' di entusiasmo, Sebastian." mi ammonì annoiato.
Giuro che tentai di entusiasmarmi, ma non potevo proprio riuscirci, non davanti ad uno stupidissimo blog. "Il blog del dottor John. H. Watson" lessi il titolo a grandi lettere della pagina. "Non mi dice niente." informai Jim velocemente, ma continuai a leggere perché sapevo di non avere molte altre scelte. Partii dal primo post perché se volevo capirci qualcosa dovevo partire dalle fondamenta. Dopo un paio di post decisamente imbarazzanti dovuti al fatto che nessuno sa mai come diavolo iniziare un blog, iniziai a capire perché Jim si interessato a quel tizio. "Il coinquilino di Sherlock Holmes?" la cosa mi stupì a tal punto che mi voltai verso Jim per la mia conferma, che ebbi dal sorriso sul suo volto. "E quindi il caro Sherlock ha trovato con chi dividere l'affitto, ottimo almeno sappiamo dove resterà." ma continuai a leggere perché iniziavo a conoscere Jim e quell'unica informazione non l'avrebbe potuto compiacere così tanto. E poi conoscevo quella faccia: era la faccia che aveva quando qualcuno li riferiva che il suo piano era riuscito alla perfezione. Che poi era la stessa faccia che facevo io quando invece vedevo i soldi. Ma poco conta.
Alla fine arrivai all'ultimo post datato 7 Febbraio e tutto fu chiaro. Però non rimasi entusiasta come Jim avrebbe voluto.
"Quindi il nostro tassista gli ha detto il tuo nome." commentai atono.
Jim mi squadrò, visibilmente contrariato dalla totale mancanza di entusiasmo nel suo braccio armato. "E' assolutamente perfetto, tutto è andato come avevo previsto."
"Oh si." concordai, ma niente di più. "Quindi non c'è da festeggiare, l'avevo dato per scontato che sarebbe andato esattamente così."
Jim ci rimase male, glielo lessi in faccia: voleva che lo adulassi, che mi complimentassi, che riconoscessi la sua bravura. Mi limitai a dargli una pacca sulla spalla e a chiedergli se gli serviva nulla visto che stavo uscendo per andare a comprare la birra.
Moran 1 Moriarty 0.
L'unico punto che probabilmente ho mai realmente fatto contro di lui.
Quando tornai a casa, Jim era ancora davanti al computer e al blog del dottore.
"Scrive come un uomo distrutto dalla guerra e in cerca di normalità." annunciò senza togliere gli occhi dallo schermo. "Eppure sceglie Sherlock Holmes come coinquilino, scelta bizzarra."
Mi lasciai cadere sul divano e pensai per qualche istante se dire quello che poi dissi. "Io non lo giudico per questo. Insomma, uno prende i coinquilini che capitano...non c'è molta scelta in giro." Potevo anche essere ammazzato per un commento del genere, ne ero perfettamente consapevole.
Jim roteò gli occhi. "Per il tuo bene sorvolerò sulla chiara implicazione alla nostra convivenza."
"Un po' di brivido non può che farmi bene." scrollai le spalle e mi misi più comodo sul divano dopo aver recuperato il telecomando della televisione.
"Posso spedirti il(N) Siberia, se vuoi." propose Jim e sentii che iniziava a scrivere. Forse un commento al blog del dottore, chi può dirlo?
"Sono tipo da luoghi più esotici...la savana per esempio. O l'India magari." feci zapping tra i canali senza trovare nulla di interessante o che non avrebbe annoiato a morte Jim. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era sentirlo ripetere ogni cinque minuti che stavo vedendo un'emerita stronzata. Non che abbia mai usato quel termine, ma il concetto era quello.
Il nostro scambio di battute si concluse lì e fino al girono dopo non ci rivolgemmo più la parola. Una cosa del tutto normale.

Sapevo che una volta che Sherlock Holmes avesse ricevuto il biglietto da visita, Jim avrebbe iniziato immediatamente ad occuparsi della mossa successiva.
Qualche giorno dopo fui svegliato poco gentilmente da Jim che cercò personalmente di trascinarmi fuori dal letto. Eppure giuro che avevo chiuso la porta a chiave.
"Sebastian in piedi, dobbiamo lavorare."
"Altri cinque minuti." protestai di rimando. Va bene stare in piedi tutta la notte al freddo e al gelo ad aspettare di colpire, ma una volta che ho preso sonno esigo e pretendo di riposare fino ad un orario decente. E se neanche il gallo è in piedi, non capisco perché dovrei esserlo io?
"Non abbiamo cinque minuti." ringhiò Jim continuando a tirarmi per un braccio. Per essere un genio delle volte è sciocco come un bambino: come poteva sperare di smuovermi? Sono più alto, più pesante e più grosso di lui, insomma.
"Si che li abbiamo." cercai di liberare il braccio, ma senza risultati. "Chiunque debba morire sarà felice di vivere altri cinque minuti, e io di dormire."
"Sebastian!" la gomitata tra le costole che seguì mi tolse il fiato e mi svegliò completamente. "Vestiti, e in fretta."
Quando la porta si richiuse con un tonfo io ero seduto sul materasso tenendomi il costato. Ah, era da quando ero un cadetto che qualcuno non si prendeva così premura nell'essere sicuro che mi svegliassi in tempo.
Mi vestii in fretta come mi era stato ordinato perché l'ultima cosa di cui avevo voglia era affrontare un Moriarty di umore tempestoso.
Quando Jim era di umore tempestoso di solito lo ignoravo, stavo zitto, ed evitavo di incrociare il suo sguardo. La cosa divertente è che di solito non c'è mai un motivo specifico per cui Jim è di umore nero, lo è basta. Ci si sveglia direttamente. E può durare giorni.
Uscimmo poco dopo e, anche se morivo dalla voglia di saperlo, non mi azzardai a chiedergli dove andavamo. Se avessi dovuto uccidere qualcuno probabilmente me l'avrebbe riferito, o avrei trovato in macchina la mia roba, ma quel giorno sembrava che non avrei fatto fuori nessuno. Il che non sempre era un bene. Il traffico inglese mi distrasse dalla bestia nera che avevo seduta accanto e ne fui grato. In quei momenti odiavo essere il suo braccio armato. Ero il primo che ne avrebbe pagato le conseguenze.
Il povero Chop, il nostro autista, si era reso conto quanto me dell'umore nero di Jim e le sue occhiate nervose che potevo vedere dallo specchietto retrovisore mi fecero impietosire. Eravamo chiusi in gabbia con un leone inferocito, come biasimarlo? Solo che lui una volta accompagnatoci a destinazione era al sicuro, io sarei dovuto rimanere al fianco di Jim per tutta la trattativa. Perché, se io non avevo con me il mio fucile, allora era una trattativa.
Arrivammo al quartiere cinese prima che me ne accorgessi e scendemmo dalla macchina prima che a Chop venisse un infarto. Anni di onorato servizio presso Moriarty e ancora ne aveva paura. Un tipo sveglio.
Camminammo tra la gente in religioso silenzio, ma almeno all'aria aperta mi sentivo più sicuro. Magari se le cose si fossero mese male sarei riuscito a scappare e a confondermi tra la gente.
"Ti ho mai detto che parte della Mafia Cinese lavora per me, Sebastian?" quando Jim parlò era evidentemente ancora di pessimo umore.
"Anche la mafia cinese lavora per te? Ero convinto che lavorasse per se stessa." ammisi. Non ero nuovo al sistema di Jim: era un sistema a cellule come quello usato dai terroristi. Cellule indipendenti l'una dall'altra che facevano tutte capo a Jim . Alcune cellule avevano anche altre piccole sotto cellule al loro interno. Poi c'erano persone sporadicamente assoldate senza che loro ne fossero consapevoli, gente come traduttori, programmatori, esperti in vari campi. Jim era l'unico a sapere tutto di tutte le cellule. E poi c'ero io, ufficialmente a capo della sezioni omicidi, in pratica esterno anche ad essa. Io ero solo il braccio armato di Jim e come tale avevo conoscenze per cui altri avrebbero ucciso.
"Non tutta, una piccola sotto-sezione. Non proprio mafia cinese, ma tutto ciò che è illegale in Cina ne fa parte. Si occupano di importazioni principalmente."
"La Cina è una fottutissima superpotenza economica e il suo organo più pericoloso lavora per te." ero sinceramente affascinato e non feci nulla per nasconderlo. Per una volta ammetto che mi aveva stupito. "Questo sì che è geniale."
"Non esagerare, Sebastian." il suo umore nero non gli faceva apprezzare nulla. "Sono uno dei pochi appigli che hanno per piazzare quello che vogliono sul mercato inglese, il minimo che possono fare è tenermi buono con una ottima percentuale sugli incassi."
Avrei potuto e voluto ripetere che era geniale, ma lui si sarebbe offeso, quindi rimasi in silenzio.
Il quartiere cinese è decisamente pittoresco e per poco non mi scordai che tipo di giornata era, tra tutti quei colori e simboli strani, ma non commisi quell'errore perché se Jim era di umore nero significava un'altra cosa: che sarebbe aspettato a me svolgere la trattativa.
Era capitato altre volte con singoli clienti, ma la mafia cinese era tutta un'altra questione.
Entrammo un negozietto di lucky cats e ci dirigemmo subito nel retro perché queste cose devono sempre avvenire nel retrobottega se no che gusto ci sarebbe?- dove una donna ci stava già aspettando.
"Signor Moriarty." si alzò non appena ci vide - non appena vide Jim - ed ebbe il buon senso di non avvicinarsi per fare una scemata come stringergli la mano. Poi si accorse che, sorpresa!, c'ero anche io e sembrò contrariata.
"Sebastian Moran." mi prestò Jim senza tanti fronzoli e senza aggiungere nient'altro. Il mio biglietto da visita era Jim stesso, dopotutto.
"Sono mortificata." fu la premessa della donna non appena ci sedemmo tutti e tre intorno al tavolo.
"No, siete un’incapace." borbottò Jim di rimando. Io capii che era solo una morta che camminava.
La donna trasalì. "Abbiamo sempre usato lo stesso sistema...non potevamo pensare..."
"Che qualcuno avrebbe voluto tenersi un piccolo souvenir?"  Jim scosse la testa. "Era alquanto probabile, invece. Inevitabile perfino. Dovevate metterlo in conto."
"Queste cose non capitano, non a noi. Lo sapete...noi..." la donna cercò di arrampicarsi sugli specchi, in pratica. "Siamo abbastanza potenti da dissuadere chiunque si faccia venire in testa di non seguire i nostri precisi ordini."
Jim era arrivato al punto di ebollizione, magari il suo tono era ancora cortese, ma ebbi la sensazione che se avesse sentito un'altra scusa avrebbe preso la pistola dalla mia giacca, e avrebbe personalmente premuto il grilletto.
"Cosa è successo, di preciso?" domandai seccato.
"Ci è stato rubato del materiale..." iniziò la donna.
"Mi è stato rubato del materiale." precisò Jim in un sibilo.
"Si..." la dona deglutì a fatica. "Quando la consegna è stata fatta abbiamo controllato il materiale, ma mancava un fermaglio per capelli, appartenuto ad una imperatrice. Un piccolo oggetto che da solo vale una fortuna..."
"Nove milioni di sterline." si intromise ancora Jim e, diavolo, ora capivo perché era di umore così nero. Non capita tutti i giorni di perdere tale somma.
"Siete degli incapaci sì." Dovetti concordare con Jim. "La questione è semplice, in ogni caso, recuperatelo e alla svelta."
"Non è così semplice, ci sono complicazioni."
"Siete la mafia cinese!" sbottai. "Non avete complicazioni."
"Non sappiamo chi dei due corrieri abbia rubato l'oggetto. E capirete bene, signor Moran, che l'oggetto deve essere recuperato" ribatté la donna più sicura di sé.
"E allora?" mi stavo stancando di quella storia. "Uccideteli, mettete tutto sottosopra e ritrovate il fermaglio. Un lavoretto da scuola elementare."
"Se li uccidiamo e hanno nascosto l'oggetto non lo ritroveremo più! E se li uccidiamo, la polizia potrebbe insospettirsi, creare un polverone e magari anche arrivare al nostro piccolo traffico. Sarebbe la fine!" la donna si stava preoccupando dei problemi sbagliati. Come diavolo poteva pensare al suo giro di importazioni quando aveva davanti una tempesta pronta a distruggerla?
"Non mi interessa se vi friggono e vi servono con gli involtini primavera. Fateli fuori entrambi." non era un lavoro così difficile. Io l'avevo fatto decine di volte.
"Ma!" protestò ancora la donna.
"Fate come dice." si intromise Jim. "Consideratelo solo un piccolo contrattempo."
Uscimmo immediatamente dopo e fui definitivamente sicuro che quella era una donna morta. E che lei lo aveva finalmente capito.
"Jim, posso occuparmi io dei corrieri se è così importante." mi offrii quando fummo di nuovo nel caos del quartiere.
"No Sebastian, non immischiamoci troppo in questa questione." ribatté Jim, ancora di pessimo umore. "Hanno anche loro i loro assassini, fai lavorare un po' anche gli altri."
"Ma se io non sto praticamente lavorando." protestai.
"Oh, sono addolorato di sentire ciò. Ti troverò qualcosa da fare allora." replicò.
"Sarebbe magnifico." ammisi. E oramai non avevo più problemi ad ammettere che avevo bisogno di uccidere, non solo per i soldi. Mi mancava quella scossa di adrenalina: con Jim c'era una perpetua adrenalina, ma pochi picchi degni di nota, oramai mi stavo abituando.
"Potremmo comprane uno." commentò Jim indicando uno dei centinaia di lucky cats nella vetrina del negozio. "Sono quasi ipnotici."
"Solo se poi posso sparargli." risposi seccato. Quei cosi sono inutili e poi sono orribili.
"Come sei poco incline verso le altre culture." borbottò Jim oltrepassando la vetrina. Fortunatamente non portò a casa nessun lucky cats.
Dopo di che per almeno mezzora non parlammo, ma rimanemmo nel quartiere cinese. Non so se perché Jim stesse tenendo sott'occhio la donna o perché ne avesse voglia. So solo che quella passeggiata smorzò il suo umore nero. Ne presi mentalmente nota, ovviamente. Alla prossima sfuriata l'avrei buttato in macchina e portato nel variopinto quartiere orientale.
O magari in qualsiasi altro posto. Jim è così dannatamente volubile che basta cambiare anche solo stanza che cambia umore.
Mi ero talmente rilassato che solo il suono della voce di Jim mi fece notare che mi ero totalmente deconcentrato, abbassando la guardia come un marmocchio.
"Com'è la vita nell'esercito, Sebastian?"
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Non avevamo ancora parlato di quell'argomento nelle tre settimane in cui avevamo passato praticamente ventiquattro'ore su ventiquattro insieme. Avevamo parlato di tante cose, ma non di quello. Non della mia vita personale, almeno. "L'esercito?"
"Si, l'esercito." ripeté. "Perché ti sei arruolato?"
"Non hai fatto i compiti a casa?" chiese ancora destabilizzato. "Sono quasi certo che abbiate un fascicolo su di me, lo avete di tutti i vostri dipendenti."
"Non ho bisogno di un fascicolo per tenerti sotto controllo visto che abiti sotto il mio stesso tetto." si strinse nelle spalle noncurante.
"Ma lo avete." ribattei convinto della mia deduzione. "Mi arruolai perché nessuna madre vuole un figlio scapestrato a carico. Anzi, perché nessun figlio vuole badare ad una madre che lo sminuisce e lo fa sentire un idiota."
"Meglio essere un assassino che vivere in una famiglia poco salutare." Jim valutò l'ipotesi calciando un sassolino con la punta della scarpa. Una persona normale l'avrebbe fatto distrattamente, lui ci mise cattiveria. Stava sfogando il cattivo umore.
"Per l'autostima è un tocca sana." commentai spintonando un ragazzino che mi era finito addosso.
"Però come motivazione non basta." Jim era partito per uno dei suoi processi mentali. "Non arrivi al rango di Colonnello se l'esercito è solo una scappatoia."
"Sapete che ero un colonnello?" perché la cosa mi stupì non ne ho la più pallida idea, era ovvio che lo sapesse. Meno ovvio era che la cosa gli interessasse.
Jim sorrise sornione pregustandosi quello che avrebbe detto dopo, che fu "Il fatto che sia una mente criminale non significa che non possa anche essere una brava persona che si interessa degli altri. Non giudicare le persone dal loro lavoro."
"Quindi quando parlo mi ascolti!” commentai quasi euforico. Certe volte ero convinto che i muri mi ascoltassero molto di più
"Ovvio che ti presto attenzione Sebastian." Jim trovò di nuovo il sassolino e lo calciò nuovamente.
No, non era ovvio, per niente, non per me. E da quel giorno feci molta più attenzione a quello che usciva dalla mia bocca. Perché se Jim mi prestava attenzione allora avrebbe memorizzato ogni mia parola e prima o poi mi avrebbe presentato il conto.
"Rispondimi seriamente." Jim mi richiamò subito all'ordine.
"Mi arruolai per evitare la mia famiglia, questo è vero." mi accesi una sigaretta in un gesto che perfino un idiota avrebbe ricondotto al nervosismo."Ma poi ci presi gusto. Come vita era relativamente semplice, ordini da seguire, missioni da portare a termine. Da A a B, niente lampi di genio. Mi ci sono abituato subito. Potrei dire che stavo quasi bene."
"Gli altri però non stavano altrettanto bene con te." la cosa lo divertiva, e il divertimento era aumentato dalla mia riluttanza sull'argomento.
"Non sono molto gentili con a chi piace uccidere, lo sai da te. Un paio di reclami e poi mi buttarono nella spazzatura."
"E questo stile di vita non ha mai avuto effetti su di te? Sei sempre rimasto impassibile?" mi squadrò in cerca di non so che cosa. "Sei stato in guerra, Sebastian, chi torna dalla guerra non torna mai lo stesso."
"Non quando ero ancora nell'esercito.  Era lavoro." lavoro un corno, le prime uccisioni mi tennero sveglio per settimane. Poi lentamente processai le mie azioni e me ne feci una ragione e smisi di preoccuparmi. "E quando decisi di fare il cecchino a tempo pieno, ero abituato a vedere la gente morire, quindi..." mentii spudoratamente. Uccidere come cecchino i primi tempi fu fottutamente complicato. Almeno quando ero nell'esercito avevo un nemico, ma la gente che uccidevo per soldi? O, sia chiaro, i rimorsi passarono, smisi di preoccuparmi anche di quello. Onestamente, uccidere non mi da più alcun pensiero, non sento assolutamente niente quando premo il grilletto. Ma per arrivare all'indifferenza si deve prima arrivare all'abitudine e arrivare all'abitudine richiede un lavoro straziante di marmorizzazione su se stessi. Ho messo da parte sentimenti umani per rendere normale qualcosa che non dovrebbe esserlo. Ma onestamente, chi se ne frega, ne è valsa la pena. Per quanto riguarda il mio mentire a Jim...mentii spudoratamente per nascondere quelle che erano state le debolezze di un povero ragazzo che si sentii realizzato solo quando gli diedero un fucile. Essere debole di fronte a Jim non era proprio la mossa più astuta che potessi avere.
"Insensibile, proprio come pensavo." aveva capito il mio bluff? Forse sì, forse no. O forse non era nemmeno quello il punto della questione.
Anche se Jim era in vena di chiacchiere -evidentemente l'umore tempestoso era passato del tutto-, io mi rifiutai di continuare oltre quella discussione.
Continuammo la nostra passeggiata fino ad ora di pranzo, quando Chop ci riportò in ambienti più consoni per le nostre personalità e perfino il nostro autista rimase sorpreso di notare come il malumore di Jim fosse passato in fretta, per una volta.
Sapevamo entrambi che eravamo solo stati molto, molto fortunati.

Quindi dal punto di vista puramente cronologico, quando cronometrai Jim e i suoi piccoli isolamenti mentali, stavamo aspettando notizie dalla Mafia Cinese sugli oggetti rubati e che un paio di casi si concludessero da soli una volta sistemate le giuste trappole.
Avevamo almeno cinque lavori in ballo allo stesso tempo ai primi di Marzo e Jim era più che mai attento ad ogni possibile problema che sarebbe potuto sorgere, il che lo teneva quasi sempre inchiodato ai telefoni. Eravamo peggio di un centralino.
Io invece mi annoiavo semplicemente, l'ultimo lavoro risaliva ad almeno due settimane prima -il famoso lavoro che Jim si preoccupò di procurarmi- e il viaggio in Belgio era stato alquanto deludente. Una qualità che non ho mai avuto è la fottutissima pazienza: odio i tempi morti tra un lavoro e l'altro e con Jim quei tempi sembravano non solo essere aumentati, ma anche essersi estesi all'infinito.
"Pazienza, Sebastian, nessun lavoro si completa in cinque minuti, devi saper aspettare. La fretta è cattiva consigliera negli affari." mi ammoniva puntualmente Jim quando iniziava a rendersi conto che smaniavo dalla voglia di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
"Fanculo gli affari." gli rispondevo io altrettanto puntualmente. "Sono un cecchino, non un impresario."
Però ammetto che il caso cinese mi permetteva di combattere la noia: tentare di capire il modo in cui avevano ucciso i poveri corrieri mi tenne abbastanza occupato. Il che però significava che la polizia aveva trovato i corpi. Quella donna era sempre più morta. Verso il venti di Marzo iniziai a tenere pronto il fucile, giusto per sicurezza.
Per quanto Jim fosse più paziente, comunque, la sua mente richiedeva costante lavoro. Solitamente si trastullava con lunghissime equazioni di cui io ne ho sempre capito un centesimo, perché come tutti anche lui aveva una materia preferita a scuola. Ma le equazioni non potevano tenerlo buono per più di un paio d'ore, quindi finiva per chiedermi di giocare a scacchi. La cosa più vicina alla matematica che non fosse la matematica.
Da quando mi ero trasferito da lui avevamo preso l'abitudine di fare almeno una partita al giorno. Il che non richiedeva molto tempo visto che io a malapena so come si muove il cavallo e che lui, invece, gioca meglio dell'attuale campione mondiale, chiunque sia. Certo sono migliorato di giorno in giorno, ma non che la cosa abbia influito molto sui tempi delle nostre partite.
La prima volta che preparammo la scacchiera rimasi così perplesso che per poco non mi strozzai con il the che avevo preparato per entrambi.
"Giochi con i pezzi bianchi?" nella mia testa era assolutamente illogico.
"Sì," per Jim era del tutto normale. Poi capì perché io ero rimasto così perplesso. "Ah, Sebastian." mi canzonò divertito. "Tu trovi strano che io inizi con i pezzi bianchi perché beh, sono bianchi."
"Abbastanza." ammisi.
"Sei uno stupido." commentò posizionando con cura ogni pezzo. "Visto che gli scacchi sono un campo da battaglia, pensi che i bianchi siano i buoni perché sono bianchi e il bianco è il colore puro per antonomasia, secondo la gente comune. Ma se invece di bianchi e neri gli scacchi fossero stati verdi e gialli, tu avresti detto che, sempre nell'ipotetico campo da battaglia, i verdi erano i cattivi perché essendo i primi a muovere sono loro che attaccano. Invece visto che sono bianchi sei portato a pensare che magari si stiano solo difendendo. La realtà è che se questo è un campo di battaglia, i bianchi sono gli assalitori, non le vittime."
Il che aveva fottutamente senso. "D'accordo." borbottai semplicemente.
"Le apparenze ingannano, Sebastian, è importante ricordarlo. Un buon travestimento e anche il diavolo si farà passare per prete."
E quello era proprio il sistema di Jim, come ho detto, era ben consapevole che l'abito fa il monaco.
Da allora Jim ha sempre usato i bianchi e io i neri.
Fu finita l'ennesima equazione della giornata che arrivò in soggiorno con la scacchiera. "Facciamo una partita." disse e io accettai di buon grado.
Ora, cronologicamente parlando, io ero nella mia fase di totale lotta contro la consapevolezza della mia attrazione, ma iniziavo a cedere. Il mio cervello aveva passato quasi un mese a lavorare su quell'informazione senza che io ne fossi totalmente consapevole, e oramai era una nozione bella che radicata nel mio subconscio. Doveva solo riemergere e avrei finito di far finta di nulla, di pretendere che le cose erano esattamente come prima.
Cedetti quel giorno, fissando la scacchiera perché tutto improvvisamente iniziò ad avere senso. Non fu nemmeno una sorta di epifania, fu un lento emergere di una consapevolezza scomoda. Diciamola com'è: mi ero stufato.
Ero così distratto dalle mie riflessioni che stavo giocando peggio del solito, cosa che irritò Jim che invece aveva bisogno di un avversario decente.
"Sebastian." mi richiamò vedendomi distratto. "So che non ami questo gioco, ma potresti almeno metterci un po' di buona volontà."
"Mh-mh." mormorai appena muovendo un pedone che fu mangiato subito dopo. Povero piccolo soldato, ucciso dalle mie elucubrazioni.
Jim non mi chiamò di nuovo, non era nel suo stile, si limitò ad accettare il fatto che io ero chissà dove.
Non gli sarebbe importato che io non avevo voglia di giocare se quello che feci poi non lo avesse lasciato perplesso.
Dopo un paio di mosse, feci capitolare il mio re con un piccolo colpetto dell'indice.
"Non era ancora scacco matto." mi fece notare Jim. "Mi mancavano due mosse." ci tenne a farmi sapere.
"Allora che differenza fa?" mi strinsi nelle spalle prendendo il mio povero piccolo re nero.
"Che questo non è scacco matto." ribadì Jim annoiato. Stava aspettando che io rimettessi a posto il mio re e che potessimo riprendere la partita. Ma io non ne avevo alcuna intenzione.
"Sai cosa stavo pensando?" gli chiesi studiando il piccolo pezzo di legno intagliato. "Pensavo a come per te gli scacchi siano una metafora di una grande battaglia vecchio stile."
"Vai avanti." oh Jim sapeva esattamente cosa stavo per dire, probabilmente se lo era aspettato da un po'. Probabilmente quello che io avevo deliberatamente ignorato era più palese di quanto avessi previsto.
"Invece sai per me di cosa sono metafora?" gli sventolai il re davanti al naso. "Del nostro rapporto. Tu attacchi, io mi difendo, tu vinci sempre, io perdo miseramente come un idiota." il che era esattamente quello che succedeva . "Questi siamo io e te, Jim, dannazione. Questo." e indicai con la testa il re nero. "Questo sono io che nego l'evidenza, che cerco di non cadere completamente nella tua stupida orbita, che cerco di mantenere un minimo di normalità nella mia vita." Poi posai lo scacco al lato della scacchiera, insieme a tutti gli altri pezzi che Jim mi aveva già mangiato. "E questo sono io che smetto di oppormi."
Un lampo attraversò gli occhi di Jim e in un altra situazione mi avrebbe convinto a tenere la bocca chiusa. Ma oramai avevo iniziato e avevo del tutto intenzione di finirla lì. Avevo passato troppo tempo a sforzarmi di ignorare la reale situazione delle cose. Avete idea di quanto sia logorante ignorare un impulso?
Senza aggiungere tutto quello che avrei voluto aggiungere, mi sporsi al di là del tavolo, presi il volto di Jim tra le mani e lo baciai.
Non sapendo minimamente come Jim avrebbe potuto reagire, non mi sorpresi nemmeno quando rispose al bacio, per quanto fosse di gran lunga al'ipotesi meno probabile.
Ci conoscevamo da appena due mesi e già gli avevo ficcato la lingua in bocca, capite bene perché proprio su quel curriculum non posso mettere la voce "coinquilino modello."
Di solito c'è sempre quel profondo momento imbarazzante dopo un bacio in cui non sai proprio che dire o cosa fare, ma evidentemente neanche una situazione del genere poteva scuotere Jim che disse semplicemente. "Un'altra partita?"
"Ma sì." risposi io scoprendomi molto più interessato a quello stupidissimo gioco dopo che quella altrettanto stupidissima metafora era stata risolta.
Ora, dovrei fare almeno un centinaio di precisazione e puntualizzazioni prima che questo gesto sia platealmente frainteso. Per prima cosa ero assolutamente consapevole che un gesto del genere sarebbe stato totalmente inutile, non con uno con Jim, non quando più che fisicamente ero attratto mentalmente, ma ahimè non avevo molti altri metodi da poter utilizzare. Secondo -e non è primo solamente perché è un dettaglio puramente accessorio- io sono etero -sì anche ora dopo che tutta questa storia è finita continuo a dirlo- perché per quanto mi poteva interessare Jim poteva anche avere l'aspetto di un polipo, non era quello il punto.
Terzo: l'ho detto, l'attrazione mentale diventa attrazione fisica.
Non parlammo più di quel bacio.
Il che per me andava benissimo, visto che non mi aspettavo niente.
Non successe nulla, fino al giorno in cui l'aver tenuto pronto il fucile si rivelò la scelta più saggia che avessi mai fatto.
"Sembra proprio che il mio conto in banca mancherà di nove milioni di sterline." annunciò Jim una sera, ma non era lontanamente il Jim furioso di quel giorno al quartiere cinese; lo aveva capito subito che sarebbe finita in quel modo.
"Puoi sempre ricomprarteli. Non quelli, ovvio, altri simili." a me non interessava minimamente, perché con la testa ero già proiettato alle istruzioni che non tardarono ad arrivare.
"Credo proprio che dovrò licenziare la nostra amica." Jim non era lontanamente dispiaciuto.
"Avresti dovuto licenziarla subito e lasciare a me i corrieri." ribattei quasi offeso. "Dove la trovo?"
"Chop è qui fuori che ti aspetta."
Mi ero abituato ad avere Chop come autista, quindi non protestai. Per quanto avere sempre la stessa persona alla guida poteva diventare un problema: qualcuno avrebbe potuto ricollegare una delle nostre due facce all'altro e saremmo stati fottuti entrambi. Preferivo spostarmi da solo, con i mezzi decisi da me. Ma non ho mai trovato il coraggio di disubbidire ad una disposizione così categorica di Jim.
"Portati anche questo." si raccomandò Jim prima che uscissi. Stava giocherellando con un piccolo oggetto che riconobbi subito.
"Quello è il mio telefono." osservai atono.
"Ma non mi dire!" Jim fece una faccia sorpresa, poi scosse la testa  "Ho fatto in modo di poter far comparire sullo schermo anche i messaggi che invierò io, così saprai il momento esatto in cui colpire." giustificò in quel modo un chiaro furto.
"Messaggi?"
"Sto aspettando che mi si metta in contatto per informarmi che il fermaglio è perduto."
"Sempre un passo avanti a tutti." era quasi noiosa come cosa.
"Sarà terrorizzata e cercherà mille scuse, che ovviamente non serviranno a nulla " sussurrò Jim e fui quasi contento di sentire il solito tono crudele, quello da mente criminale, quello del vero Jim. Mi si avvicinò e lasciò scivolare il mio cellulare nella tasca della giacca con un gesto elegante, poi portò la mano libera alla mia nuca e mi attirò a sé. Mi baciò. "Voglio un colpo alla testa."
"D'accordo, capo." Ah, il potere della seduzione. E io che pensavo di esserne immune. Mi ero dannatamente sbagliato.
Giusto per la cronaca, mi ha quasi fatto pena uccidere quella poveretta, ma era inevitabile e lo sapeva anche lei. Basta un solo errore con Jim per essere fuori dai giochi, poco importa se la collaborazione va avanti da anni. Un errore non viene perdonato, se così non fosse, Jim sarebbe finito dietro le sbarre anni e anni fa, visti i suoi precedenti.
E se prima vivendo con Jim camminavo sul filo del rasoio, dopo quello che era successo tra di noi sarebbe bastato uno sbuffo di vento per decretare la mia fine.

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