In Silence and Tears

Dec 04, 2011 09:22



TITOLO: In Silence and Tears.
AUTORE: StoryGirl.
GENERE: LongFiction. Au. Angst. Romantica. Introspettiva. Presenza di scene violente. Amore morboso (Limerence).
RATINGS: NC17.
DISCLAIMERS: Nessun personaggio mi appartiene, purtroppo.
PAIRING:Choi Minho, Lee Jinki { MinEw } ; Kim Kibum, Kim Jonghyun { JjongKey } ; Lee Jinki, Kim Kibum { OnKey } ; Choi Minho, Lee Taemin ( 2Min ) ; Kim Jonghyun, OC {JjongOC} .
RIASSUNTO: Questa fanfiction si presenterà in tre diverse parti. Il primo prologo tratta esclusivamente del rapporto di pura amicizia tra Jonghyun e Minho. Il primo si innamorerà di Junsu, un ragazzo che pare un angelo, ma che racchiude dentro di sé un terribile segreto.
Minho d'altro canto, ha una relazione con una persona speciale, l'unico che riesce a renderlo felice, Lee Taemin, ma ogni storia bella è destinata a finire.
Il secondo prologo tratta dell'amore tra Kibum e Jinki, tratta delle loro vite, dei loro passati fatti di gioia, ma anche di molto dolore. Qui vi sono le parti forse più esplicite in materia di violenza.
Vi è poi l'inizio della nostra storia, una storia complicata e per niente facile da raccontare, fatta di tradimenti, di sangue e di lacrime. Preparatevi a scoprire che il filo rosso del destino non risparmia mai nessuno e quando vi accorgete di esso è già troppo tardi: lui vi ha ormai legato per sempre alla vostra anima gemella. Che voi lo vogliate oppure no.
NOTE: Questa fanfiction, di nuovo, tratta di un tema delicato. C'è un po' di violenza. Non leggetela se non siete preparati.
THANKS: A
yuya_lovah che mi ha incoraggiata (e mi sta incoraggiando) durante la scrittura. A
yuya_lovah, perchè l'ha betata.
PAROLE: Per questo capitoli: 2043, con il conteggio di word per il capitolo #05. 1998, con il conteggio di word per il capitolo #05
CAPITOLI PRECEDENTI: Prologue #01 : #01 ; #02 ; #03 ; #04 ; #05 ; #06 - Prologue #02 : #01 ; #02 ; #03 ; #04

Proloque #02 - Chapter #05 : You can't go in there

“Kibum, sei pallido, che ti è successo? Sei sicuro di poter proseguire negli allenamenti? Guarda che se vuoi possiamo prendere una pausa, non c’è bisogno che ti accanisci in questo modo sul pezzo, sei già ad un buonissimo livello di preparazione. Se continui così al saggio sarai praticamente perfetto, ma non voglio che ti esaurisci troppo solo oggi. Non avrai la forza per andare avanti nei prossimi giorni.”
Kibum guardò la donna con cipiglio severo, come se non riuscisse a credere alle sue orecchie. La sua professoressa, la donna che tutti chiavano “Il sergente di ferro”, gli stava concedendo una pausa?
Doveva proprio essere ridotto ad uno straccio, eh?
“Non ce ne è bisogno, davvero. Forse ho solo un calo di zuccheri, vado a prendermi qualcosa da bere e torno subito. Non si preoccupi per me!”
Lui lo sapeva benissimo che era una bugia, stava così solamente perché la sera prima aveva digiunato. O meglio, qualcosa nello stomaco l’aveva messo, peccato che fosse tutto a base di alcool.
Recuperata una lattina di the dalle macchinette fuori dall’aula, decise di andare a farsi un giro in bagno di modo da potersi almeno sciacquare il volto e così facendo darsi una rinfrescata.
La colpa di tutto ciò era del suo ragazzo, Lee Jinki. A volte cercava persino di ricordarsi il motivo per il quale si fosse innamorato di lui. Il più delle volte finiva per addormentarsi desiderando con tutto sé stesso che il più grande tornare ad essere quello di una volta, quello che lo fissava a lungo con le guance arrossate, quello che gli ripeteva all’orecchio quanto lo trovasse bello. Insomma, quello che, nonostante ci fossero la scuola e gli esami di mezzo, aveva occhi unicamente per lui.
“Ah… non ne posso più!”
Kibum si sentiva un idiota certe volte ed anche questo era colpa del suo ragazzo. Jinki sembrava non essere in grado di notare ciò che succedeva al più piccolo, non aveva visto che il volto di Kibum sembrava infettarsi di un qualche veleno ogni volta che lui apriva un libro alla ricerca di qualche misterioso appunto.
Certo, Kibum sapeva bene che Jinki doveva studiare affinché il padre continuasse a pagare per loro, ma quando era troppo, era troppo!
Jinki in quel periodo sembrava interessarsi solo ed unicamente della sua carriera scolastica e al più piccolo questo non andava giù: ormai non poteva neppure più contare sulla punta delle dita le volte in cui gli aveva chiesto di uscire con lui la sera e Jinki aveva sempre declinato le offerte adducendo il rifiuto a futili scuse, veramente poco credibili, quali: “Lo sai che non mi piace bere” o “Tanto non ballerei perché non ne sono capace”.
Kibum si era stufato ed aveva deciso di uscire con i suoi amici, infastidito dal fatto che il suo ragazzo amasse un libro più di lui.
Ovviamente non poteva sapere il vero motivo per cui il più grande non lo accompagnava: Jinki non si era mai confidato del tutto con lui.

Ogni volta che Kibum usciva, Jinki andava a nascondersi in bagno, tremando violentemente.
“Ho fatto di nuovo star male Kibum. In più in quel luogo di perdizione chissà quali e quanti peccati commetterà. O sarà costretto a commettere!”
Dopo aver pensato a quelle cose apriva il getto dell’acqua fredda e si imponeva di restare sotto lo scroscio ghiacciato per almeno mezz’ora. Nel mentre si pizzicava il corpo con degli aghi, attento a non commettere l’errore di far rimanere lividi troppo visibili o Kibum avrebbe potuto notare qualcosa. In effetti, però, quella precauzione risultava essere inutile nell’ultimo periodo visto che i due facevano sesso così raramente che era un miracolo si ricordassero ancora come erano fatti sotto i vestiti.

Quando Kibum tornava a casa trovava Jinki nel letto, rannicchiato tra le coperta e profondamente addormentato. Sapeva bene di tornare tardi a casa, ma sperava sempre di vedere Jinki ancora sveglio, pronto a farsi perdonare per non essere andato insieme a lui.
Inutile dire che il suo desiderio non si avverava mai!
Kibum stava diventando sempre più magro a vista d’occhio: dato che non riusciva ad avere l’attenzione del più grande credeva di essere diventato così grasso da risultargli schifoso. Inutili erano i commenti di Nicole che gli diceva, tutte le volte che si vedevano, quanto lo trovasse magro e con un fisico ben modellato.
Kibum, allo specchio, non vedeva altro che una balena.
I ricordi che bussavano prepotentemente nel suo cuore, poi, non facevano che accentuare il tutto.
Perché Kibum sapeva che la madre si era ammalata a causa sua, perché era costretta ad osservare il proprio figlio - sangue del suo sangue - essere continuamente bistrattato dal padre a causa del suo peso.

”Come mia la mamma è a letto? Non viene a giocare con me, oggi? Mi aveva promesso che avremmo giocato insieme! Io sarei stato Peter Pan e lei la mia Wendy!”
La nonna, un’anziana signora, l’aveva stretto forte tra le braccia, sospirando.
“La mamma oggi non sta molto bene. Tu devi fare il bravo, capito?”
Kibum aveva gonfiato le guance, annuendo: quel giorno aveva giocato da solo, in silenzio, leggendo un libro sui pirati di Peter Pan.
Il padre era tornato a casa solo di sera tardi e notando la moglie a letto se l’era presa con il figlio, come sempre.
“Sai perché la mamma sta male anche oggi? Perché sei grasso come un maiale! Quando sei nato eri così grosso che le hai fatto del male. Eppure, non contento continui ad ingrassare sempre di più! Sembra quasi che ti stia preparando a mangiarla. Povera tua madre!”
Sebbene la nonna l’avesse preso in braccio, portandolo via da quelle parole accusatorie, Kibum non aveva smesso di piangere.
“E’ per questo che anche mamma mi dici certe cose?! Ha paura che la mangerò prima o poi, nonna? Io non la mangerei mai! E’ la mia mamma e le voglio tanto bene! Davvero nonna, è la verità! Credimi!”
Kibum era troppo piccolo per capire che la donna diceva certe cose unicamente perché preoccupata della salute del suo piccolo, prezioso tesoro.
Era così fragile che le parole di quell’uomo, suo padre, erano riuscite ad entrargli dentro.
“Shhh, non dire sciocchezze Kibum-ah. Tua mamma, come io, ti vogliamo davvero tanto bene. Lei ti ha detto quelle cose solo perché si è preoccupata per te. Vuole che tu stia bene per prima cosa, e poi che non litighi più con tuo padre, anche se è praticamente impossibile ragionare con quell’uomo”.
Era stato grato delle parole che sua nonna gli aveva rivolto perché erano riuscite a calmarlo, ma la paura di poter fare del male alla madre si era fatta sempre più presente in lui.

Si risciacquò il volto più e più volte mentre quei ricordi venivano a galla sfasciandogli il cuore, riducendolo ad una poltiglia tremante.
Da quando suo padre l’aveva portato a Seoul tutto era andato sempre peggio. Almeno nella città natale vi era sua nonna, sempre pronta a consolarlo, lì la persona che avrebbe dovuto farlo era troppo occupata a pensare ai suoi stramaledetti esami.
Jinki non gli aveva mai fatto domande sulla sua famiglia dopo che Kibum gli aveva mormorato di non volerne parlare. Il più grande aveva accettato la sua richiesta, ma in realtà Kibum aveva sperato che si imponesse cercando la verità.
Per il più piccolo era doloroso sapere che a Jinki non sembrava importare del motivo per il quale, quando parlavano della famiglia, lui risultasse sempre così apatico. Non gli interessava che il più grande avesse eseguito i suoi “ordini”, non era quello ciò che gli serviva.
Lui desiderava un ragazzo che si interessasse a tal punto di lui da capire quando era il caso di insistere e quando no.
Purtroppo Jinki non era il ragazzo giusto, troppo timido per continuare a domandargli qualcosa a cui Kibum aveva già risposto di non voler parlare.
Quando aveva scelto Jinki, Kibum non aveva creduto sarebbe potuto essere così. Pensava che il più grande avrebbe trovato la forza, di tanto in tanto, per "litigare" con lui in modo sano. In una relazione -per quanto stupenda che fosse- servivano dei "litigi", serviva non essere entrambi d'accordo su di un qualcosa oppure la noia sarebbe presto subentrata dentro loro e nel loro rapporto.
Kibum aveva realmente sperato che Jinki continuasse a domandargli della sua famiglia perché, dopo un po', si sarebbe arreso confidandosi con lui. Insomma, voleva solamente essere pregato un po', non gli sembrava di chiedere chissà cosa!

”Kibum-ah, non puoi andare dalla mamma, ora. Sta riposando! Cosa hai tra le mani? Lo vuoi mostrare a me?”
Il bambino annuì prendendo in silenzio la mano che la nonna gli stava porgendo, non senza girarsi in continuazione in direzione della porta chiusa che dava sulla camera della sua adorata mamma: un bambino non poteva comprendere sempre il motivo di quei continui allontanamenti dalla fonte della sua gioia più grande.
“Oh, ma è un libro sui pirati. C’è anche Capitan Uncino sopra. Ti piacciono tanto i pirati, vero piccolino?”
Kibum annuì mentre l’anziana signora se lo metteva seduto sul grembo nonostante il peso.
Il libro giaceva sulle gambe del bambino, aperto su un mondo dai colori brillanti e decisi, il mondo in cui Kibum amava nascondersi.
“Peter Pan riesce sempre a vincere contro i pirati, sai nonna? E porta in salvo la sua Wendy! Io sto studiando il nemico, così anche io potrò sempre salvare la mia mamma!”
La donna l’avevo guardato con infinita dolcezza, orgogliosa di avere un nipote con quel cuore.
“Sono sicuro che la mamma sarà contenta di essere salvata da un ometto così speciale come lo sei tu!”
Kibum aveva sorriso gonfiando il petto a quelle parole, sentendosi in grado di affrontare mille uncini diversi pur di far felice la sua mamma.

Era davvero sicuro che qualunque cosa fosse successa lui avrebbe sempre trovato il modo di proteggere sua madre, ma si sbagliava e l’aveva scoperto nel peggiore dei modi: proprio quando suo padre l’aveva trascinato via da lei per trasferirsi lì, in una città completamente nuova.
Quel giorno aveva capito che non solo non avrebbe mai potuto fare veramente affidamento sulle uniche due donne della sua vita, ma aveva anche compreso che lui non era in grado di andare contro quel padre padrone che -da quando aveva memoria- continuava ad insultarlo con le parole più amare del suo vocabolario.
In più, quel giorno era rimasto scolpito nella sua memoria come il carboncino nero su di una tela vergine di color bianco immacolato.
Ogni istante era ancora vivido nella sua mente, e nel suo cuore, ed ogni giorno gli faceva a pezzettini l'anima.

“Avanti Kibum, muoviti!. Non ho intenzione di perdere tempo prezioso solo perché tu fai gli stessi capricci di quando eri un moccioso grasso e petulante. Devo andare a Seoul per lavoro e tu devi venire con me.”
Kibum aveva chiesto di rimanere con la nonna e la madre, ma lui non glielo aveva permesso.
L’anziana signora era ormai da due anni su una sedia a rotelle e non si sarebbe potuta prendere cura di lui. Vi era un’infermiera che seguiva sia lei che la madre, ma non si potevano permettere qualcuno che si prendesse cura anche di lui.
A nulla erano valse le proteste, il dire di essere abbastanza grande da potersi sostenere da solo: suo padre aveva già fatto la sua scelta.
Quel che era stato peggio era vedere che sua nonna non aveva combattuto per farlo rimanere lì con lei. Su sua madre non aveva mai fatto affidamento visto che era perennemente a letto, addormentata per via delle pesanti pastiglie che era costretta a prendere.
Neanche ora aveva compreso del tutto di quale malattia si trattasse, sapeva solo che soffriva di perenne depressione, niente di più!
Quando Kibum aveva seguito il padre si era voltato indietro sperando di vedere sua nonna cercare di corrergli dietro aiutata con la sedia a rotelle, ma da quella porta chiusa non era uscito nessuno.

Una volta arrivato a Seoul, Kibum aveva cercato, a fatica, di ricrearsi una nuova vita. Non aveva mai avuto il coraggio di chiamare la nonna per sapere come stavano lei e la madre.
Da quella casa, sempre nei suoi ricordi, non erano arrivate notizie, comunque.

Proloque #02 - Chapter #06 : No, it's not ok. Why is it ok with you? Why aren't you angry?

Era chiaro a chiunque, ormai, che tra loro due qualcosa non andava: anche Jinki aveva compreso presto che Kibum non era poi così felice insieme a lui. Anche se ne era al corrente, non riusciva a mandare giù la cosa. Non ancora almeno.
“Kibum-ah, ti ho preparato il tuo piatto preferito. Guarda! Vieni qui a mangiare insieme a me, per favore~? Con tutto il movimento che fai sei diventato anche fin troppo magro. Hai bisogno di mettere qualcosa nello stomaco o ben presto diventerai un fantasma, sai?”
Kibum sbuffò, alzandosi comunque dal divano per raggiungere l’altro a tavola dove una consistente dose di lasagne fumanti lo attendeva. Ottimo, tra tutti i piatti stranieri che adorava, il suo ragazzo aveva scelto proprio quello più calorico.
Arrivò persino a domandarsi se per caso Jinki non lo avesse fatto apposta sapendo dei suoi continui e ripetuti digiuni, poi si ricordò che il più grande era troppo occupato dalla sua maledetta scuola per accorgersi dell’anoressia che ormai si era completamente impadronita di lui. Era così stanco di litigare con Jinki, ma sembrava non poterne fare a meno. Se poi il suo ragazzo ce la metteva tutta per farlo arrabbiare non era neppure colpa sua, no?
“Ti piacciono le lasagne, per questo te le ho preparate. Sono stato attento alle dosi ed ai tempi di cottura, hai visto? Non ho fatto scoppiare la cucina e non si è bruciato niente… Insomma, sono stato bravo, no?”
Kibum guardò il volto dell’altro e poi ghignò, Jinki poteva dirgli quello che voleva, ma non gliel’avrebbe mai fatta così facilmente: era chiaro che quel piatto non lo avesse cucinato lui visto che non ne era affatto in grado. Gli dava fastidio però che il suo ragazzo gli avesse mentito in modo così spudorato, nonostante l'avesse fatto per il suo bene alla fin fine.
“L’hai ordinato al ristorante italiano dove vado sempre, vero? Riconosco la fogliolina di basilico che mettono sempre accanto, sulla sinistra del piatto. In più i pomodori sono quelli che utilizzano loro e la consistenza delle lasagne è diversa da quelle che vendono nei negozi. Loro la importano direttamente dall'Italia la sfoglia con cui le cucinano. Davvero volevi farla a me? Sono un cuoco decisamente più esperto di te.”
Jinki piegò la testa verso il basso, vergognandosi come un ladro della sua bugia: si sarebbe dovuto punire davvero a lungo per purificarsi, ma doveva farlo! Voleva che Kibum mangiasse, almeno quella sera. Era sempre così pallido e Jinki si preoccupava per lui, tutto qui!
“Sì… mi dispiace. Credevo che dicendoti che le avevo preparate io saresti stato più invogliato a mangiarle. Non volevo farti rimanere male, ma solo farti mangiare!”
Il più piccolo ridacchiò divertito notando l’espressione simile a quella di un cane bastonato sul volto di Jinki: era impossibile che lui riuscisse a cucinare qualcosa senza far scoppiare in aria la cucina. Succedeva con i classici piatti coreani - persino con quelli freddi, unicamente a base di verdure - figuriamoci quelli stranieri che avevano una preparazione di base più complessa!
“Se non mangio è perché ho già mangiato fuori e non ho fame, hyung. Ma ti ringrazio per il gentile pensiero. Sappi, comunque, che mi hai comprato il piatto più calorico del menù, quindi non aspettarti che io lasci spazio alla mia ingordigia che, comunque, non ho mai avuto e non avrò mai. Lungi da me essere portatore di quell'ignobile peccato!”
Jinki sospirò osservandolo spiluccare lentamente dal piatto mentre guardava le lasagne come se fossero state capaci di fulminarlo se ne avesse mangiate troppe.
Kibum si rendeva perfettamente conto che Jinki stava unicamente cercando di aiutarlo, ma non era così facile lasciarsi andare quando certi pensieri vagavano indisturbati nella sua fragile mente. Non era come Jinki, lui. Non riusciva ad ingozzarsi senza pensare alle conseguenze, senza pensare che a causa di quelle calorie il suo corpo si sarebbe gonfiato diventando simile ad una balena.

”Ancora con quelle cose?! Ecco perché diventi un obeso ogni giorno di più! Queste cose non ti fanno bene, sono così caloriche che tra un po’ non riuscirai più a passare per la porta!”
Il bambino lasciò andare la forchetta, su cui era ancora infilato un grosso boccone di lasagna farcita con besciamella, pomodoro e prosciutto: la sua preferita.
“Ma le ha prese la nonna per il bel voto a scuola! Ha detto che me le meritavo, appa!”
L’uomo roteò gli occhi al cielo imprecando con la suocera, poi gli prese a forza il piatto -per cui Kibum stava lottando disperatamente per trattenerlo vicino a lui- e buttò le tanto agognate lasagne nella spazzatura, ridendo sadicamente.
Kibum scoppiò a piangere correndo a chiedere aiuto alla nonna. Singhiozzò per più di un’ora sdraiato sul suo grembo e poi si addormentò, l'anziana vecchina che meditava vendetta contro quell’uomo crudele, incapace di provare amore per una creatura dolce come lo era il più piccolo, sangue del suo sangue.

"Come mai in questo periodo stai sempre fuori?"
Kibum guardò Jinki sconvolto: possibile che gli avesse veramente fatto quella domanda? Non era abbastanza chiaro che, se stava così tanto tempo fuori, era solamente a causa sua?
Jinki aveva deciso di prenderlo in giro per un suo gusto personale o credeva davvero che una domanda del genere avrebbe potuto avere una risposta diversa da quella più ovvia?
"Perché in questa casa non ho niente da fare. Mi annoio a guardarti studiare in continuazione. Ti dimentichi sempre che io esisto! E' stancante, sai? Stare lì ad osservarti mentre stai chino sui tuoi dannati libri. Nemmeno alzi lo sguardo per vedere cosa sto facendo o se, che ne so, sto sorridendo. Potrei piangere davanti a te e tu non te ne accorgeresti nemmeno, anzi… credo che potrei persino suicidarmi davanti a te senza che tu sia in grado di muovere un muscolo!"
Jinki avrebbe voluto ribattere che non era così, che se studiava lo faceva per entrambi e non solo per sé stesso, ma nell’osservare lo sguardo di Kibum, le parole gli morirono in bocca.
Kibum sembrava morto dentro: i suoi occhi non brillavano come facevano sempre. Quello non era uno dei loro soliti litigi, Kibum non era esasperato come al solito, non aveva gonfiato le guance facendole diventare rosse, non aveva gli occhi lucidi per la rabbia. Era… passivo, morto.
Il più piccolo, a quel punto, non fece altro che alzarsi ed andarsene in camera, l’espressione triste ed addolorata.
Jinki desiderò poter scomparire e liberare così il cuore del suo ragazzo da quel dolore. Purtroppo, non poteva farlo. E sapere che ciò che lo faceva stare male era lui lo addolorava più di qualsiasi punizione si fosse mai inferto nella sua stupida ed inutile vita.

”Kibum-ah. Kibum-ah! Guarda! Non ti sembra un partito decisamente migliore di quello sfigato del tuo ragazzo?”
Era stato un ragazzo della sua compagnia a parlare, indicando un tizio dai corti capelli castani, vestito come se stesse andando ad un incontro di cow-boy. Il cappello gigante da cavallerizzo proprio non si poteva guardare!
“Stai scherzando, vero?! Non andrei mai in giro con uno che crede di essere appena uscito dal rodeo!”

Se ripensava a quell’episodio gli rodevano ancora i nervi: era chiaro che quel Hong-ki -così si chiamava il ragazzo che aveva indicato “l’uomo che sussurrava ai cavalli”- stava solo cercando di rimarcare il fatto che andare in giro con lo sfigato della scuola non era per niente fashion e che chiunque, anche un clown travestito da cow-boy, sarebbe stata una scelta migliore.
Il fatto era che lui aveva sempre trovato tenero Lee Jinki, gli piaceva persino il suo orrido gusto nel vestirsi. Non lo trovava uno sfigato e, comunque, non gli era mai importato granché di ciò che pensavano gli altri della sua scelta.
Sapeva, però, di quanto si sentisse inadeguato Jinki davanti ai suoi amici e per questo non gli aveva mai fatto una colpa quando rifiutava ogni invito di partecipazione ad una festa. In più, i suoi amici non lo volevano veramente con loro, lo invitavano solo per non far scontento lui e di questo Kibum ne era a conoscenza.
Quello che gli faceva male era che Jinki non lottava per essere al suo fianco, ma accettava passivamente ciò che gli altri decidevano per lui.
Sia che fosse il non essere benvoluto tra i suoi amici, sia il non imporsi mai in nessuna decisione di “coppia”. A Kibum, questo, faceva letteralmente scoppiare la testa.
“Perché non mi chiedi mai di fare qualcosa che ti piace? Che ne so… andare ad una mostra od in un museo. Una di quelle cose per cui vai pazzo!”.
Jinki lo guardò stralunato chiedendosi il motivo di quella domanda più e più volte, senza però trovarlo.
“Perché a te… non piacciono queste cose, ti annoieresti!”.
Kibum sbatté la mano contro il tavolo in un moto di pura frustrazione e Jinki saltò sul posto, terrorizzato, non capendo come mai il suo ragazzo sembrasse tanto arrabbiato.
Per Kibum invece, era inconcepibile che un ragazzo intelligente come Jinki non riuscisse a comprendere che ciò che l’avrebbe fatto più felice era proprio condividere i piaceri della loro vita, come una vera coppia.
Desiderava che il più grande si interessasse alla danza, alle feste, alla sua vita e lui di conseguenza avrebbe letto la Bibbia, cercato di non mettersi a ridere alla prima pagina, sarebbe andato in un museo o a visitare una mostra. Si sarebbe persino lasciato trascinare a messa se solo Jinki si fosse rivelato capace di entrare così a fondo nel suo cuore.
“Kibum-ah… cosa ti prende?”
La voce di Jinki gli sembrava arrivare da molto, molto lontano in quel momento: le sue orecchie difatti ronzavano. Era troppo arrabbiato in quel momento per riuscire a mantenere la calma.
Gonfiò le guance, che diventarono di uno spaventoso color porpora e mugugnò scuotendo piano la testa.
“Come sempre non puoi capire, hyung.”
Detto questo se ne era semplicemente andato, lasciando un Jinki interdetto ad osservare il suo profilo scomparire.

”Davvero credi che andare a vivere con quel tipo sia un buona idea? Cosa c’è… ti ha promesso che ti avrebbe scopato tutti i giorni? O forse che ti amerà per sempre nonostante tu sia brutto e grasso? Svegliati figliolo, è quasi impossibile che manterrà le sue promesse, qualsiasi esse siano.”
Kibum quel giorno era andato contro a suo padre con una forza ed una rabbia che l’uomo non gli aveva mai visto nello sguardo.
“Jinki-hyung mi ama davvero. A dispetto di te che non sei mai riuscito a capirmi! Io me ne vado. Lui ha promesso che si prenderà cura di me e che mi farà felice. Io gli credo!”

Se ripensava a quel giorno si sentiva un cretino: a quanto pareva suo padre aveva ragione. Nessuno poteva amarlo.
Tutto ciò gli procurava un enorme dolore nel cuore.
Jinki non sembrava essere in grado di riconoscere i suoi sbagli e il più piccolo era stanco di rimuginarci sopra ogni giorno. Doveva essere l’altro a farlo, non lui! Era Jinki che sbagliava e non riusciva mai a capirlo!
Ovviamente non poteva sapere che il più grande ci rimuginava sopra fin troppo, arrivando a punirsi anche più volte al giorno.

Jinki guardò il piede sinistro soffermandosi a lungo sul pollice: vi aveva infilato un ago riuscendo ad attraversarlo da parte a parte.
Era stato costretto a farlo! In quei giorni non era in grado di far stare bene Kibum, quindi doveva punirsi, e quale modo migliore di quello?
Facendo così il dolore non se ne andava dopo qualche ora, ma persisteva durante tutto il giorno ricordandogli i suoi continui peccati.
Ogni sera, poi, si faceva una doccia gelida temprando il suo corpo con le basse temperature: adesso era in grado di resistere anche un’ora.
Se gli veniva la febbre faceva finta di niente, la curava con le medicine ignorando la continua debolezza o i giramenti di testa. Nessuno si era mai accorto di quanto stava male e lui credeva di essere diventato un campione a nascondere le sue emozioni.

FINE SECONDO PROLOGO!

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