In Silence and Tears

Oct 30, 2011 10:40



TITOLO: In Silence and Tears.
AUTORE: StoryGirl.
GENERE: LongFiction. Au. Angst. Romantica. Introspettiva. Presenza di scene violente. Amore morboso (Limerence).
RATINGS: NC17.
DISCLAIMERS: Nessun personaggio mi appartiene, purtroppo.
PAIRING: Choi Minho, Lee Jinki { MinEw } ; Kim Kibum, Kim Jonghyun { JjongKey } ; Lee Jinki, Kim Kibum { OnKey } ; Choi Minho, Lee Taemin ( 2Min ) ; Kim Jonghyun, OC {JjongOC} .
RIASSUNTO: Questa fanfiction si presenterà in tre diverse parti. Il primo prologo tratta esclusivamente del rapporto di pura amicizia tra Jonghyun e Minho. Il primo si innamorerà di Junsu, un ragazzo che pare un angelo, ma che racchiude dentro di sé un terribile segreto.
Minho d'altro canto, ha una relazione con una persona speciale, l'unico che riesce a renderlo felice, Lee Taemin, ma ogni storia bella è destinata a finire.
Il secondo prologo tratta dell'amore tra Kibum e Jinki, tratta delle loro vite, dei loro passati fatti di gioia, ma anche di molto dolore. Qui vi sono le parti forse più esplicite in materia di violenza.
Vi è poi l'inizio della nostra storia, una storia complicata e per niente facile da raccontare, fatta di tradimenti, di sangue e di lacrime. Preparatevi a scoprire che il filo rosso del destino non risparmia mai nessuno e quando vi accorgete di esso è già troppo tardi: lui vi ha ormai legato per sempre alla vostra anima gemella. Che voi lo vogliate oppure no.
NOTE: Questa fanfiction, di nuovo, tratta di un tema delicato. C'è un po' di violenza. Non leggetela se non siete preparati.
THANKS: A
yuya_lovah che mi ha incoraggiata (e mi sta incoraggiando) durante la scrittura. A
yuya_lovah, perchè l'ha betata.
PAROLE: Per questo capitolo: 2071, con il conteggio di word.
CAPITOLI PRECEDENTI: Prologue #01 : #01 ; #02 ; #03 ; #04 ; #05 ; #06 - Prologue #02 : #01

Proloque #02 - Chapter #02 : So who wants tea?

Kibum entrò nell'appartamento per poi osservarlo con sguardo critico. Non che dubitasse delle scelte del suo attuale fidanzato... no, ok, dubitava molto delle scelte dell'altro. In ogni caso l'appartamento era assolutamente P E R F E T T O sotto ogni punto di vista.
"Non posso crederci..."
Il suo tono di voce rasentava lo shock più puro.
Jinki lo guardò mugolando qualcosa di incomprensibile che suonava tanto come "G... Grazie, d-davvero".
L'appartamento non era grande, ma aveva tutto l'occorrente per poter essere considerato più che accettabile.
La sala era divisa in due parti, una delle quali era stata adibita a cucina, separata dall'altra solo grazie ad una specie di scaffale che serviva anche a reggere il televisore.
Il divano era di un colore verde acceso che richiamava le pareti (verde pallido), la cucina era composta da una lavastoviglie, frigorifero, forno e vari ripiani.
La camera da letto era di colore rosa. Jinki sapeva bene quanto Kibum ci tenesse e lo aveva accontentato nonostante credesse che il rosa non fosse proprio un colore adatto.
Vi erano anche un bagno ed uno studio.
"La camera è... rosa?!"
Jinki lo guardò con timidezza prima di annuire facendogli notare che tutto in quella stanza era rosa: dalle lenzuola del letto alla parete, dall'armadio ai due comodini.
"So che a te piace questo colore e volevo che ti sentissi a tuo agio qui dentro"
Kibum non ci mise poi molto a correre da lui ed abbracciarlo stretto forte forte come se non ci fosse un domani. Non poteva credere di essere stato talmente fortunato da riuscire a beccare un ragazzo così altruista.

Le cose, per loro, andarono bene durante i primi mesi lontani dalle rispettive case.
Kibum riusciva a dimenticare, anche solo per qualche istante, gli orrori che aveva dovuto subire fin da bambino. Forse non aveva una memoria eidetica che gli avrebbe permesso di ricordare ogni singolo istante, ma anche con una memoria del tutto normale era in grado di sentirsi male come in quei momenti.
Il padre che lo guardava con rammarico mentre gli ripeteva fino alla nausea quanto lo considerasse grasso, un perdente fin da bambino.

"Appa... Mi compri il gelato?"
L'uomo si voltò verso il figlio: un bambino sovrappeso e senza nessuna utilità per il mondo (almeno a detta sua) e scosse vigorosamente la testa.
"Stai scherzando, giusto? Hai già mangiato abbastanza oggi. Non vedi quanto sei grasso? Se ti comprassi il gelato inizieresti a rotolare al posto di camminare. Diventeresti così grosso e pieno di lardo che neppure i tuoi compagni di classe riuscirebbero più a tollerare la tua presenza. Ti servirebbero due sedie solamente per sederti"

Non si dovrebbero dire certe cose a dei bambini piccoli, ancora vulnerabili e pieni d'amore per quei genitori che li stanno crescendo.
Kibum iniziò quel giorno, quando aveva unicamente sei anni, a capire che il padre non gli avrebbe mai riservato un briciolo di speranza in più. Quell’uomo grande e grosso che era stato il suo eroe fin da quando era bambino l’avrebbe deluso sempre.

“Umma, possiamo andare in piscina oggi? I miei amici vanno tutti in piscina…”
La donna osservò con sguardo critico il frugoletto che aveva davanti: guance piene, di colore rosso, sguardo emozionato e labbra che tremavano. Non ci avrebbe messo poi molto a renderlo felice e a vedere il sorriso spuntare sulle labbra di quel bambino, ma decise di rovinare tutto, come se non fosse già abbastanza quello che Kibum doveva patire con il padre.
“Sei troppo grasso per metterti il costume. Tutti ti prenderebbero in giro e inizierebbero a chiamarti palla di lardo. Dimmi, Kibummie, è proprio questo che vuoi?”
Il bambino scosse la testa, il volto corrucciato, le lacrime che già iniziavano a sgorgare dai suoi occhi e corse via andando a rintanarsi nella sua camera, più precisamente sotto al letto.
Con sé aveva solamente un pupazzo, il suo migliore amico: un dinosauro verde con il volto simpatico ed il corpo grassoccio quanto il suo.
“Non ti preoccupare, non permetterò che prendano in giro anche te”

Quando iniziò la fase della pubertà, Kibum aveva già cominciato ad essere anoressico: meno cibo, meno calorie ingerite, meno quantità di grassi che il suo corpo avrebbe accumulato.
Scoprì, però, che non era così semplice dimagrire, soprattutto se non ti affidavi ad un dietologo. Il suo mangiare sempre di meno non funzionò, non quanto lui avrebbe voluto, almeno.
Non importava se il suo corpo, dopo quel barbaro trattamento, non poteva essere considerato da nessun essere dotato di cervello, grasso. Per lui, per suo padre e per sua madre, tutto ciò non era abbastanza.

“Kibum, altra insalata? Altro pollo? Non ti sembra di stare esagerando? Proprio cinque minuti fa ti sei spazzolato tre frutti! Aspetta almeno di aver digerito quelli prima di ingerire dell’altro! Non vorrai mica tornare a rotolare per le strade come quando eri piccolo?! I tuoi amati vestiti non ti entrerebbero più, sai? E al posto di danzare, sfasceresti quel misero palco su cui ti trovi ad esibirti”
Il Kibum adolescente ripose con cura il suo pranzo considerando l’idea che suo padre potesse avere ragione. Non c’era motivo di mangiare ancora quando si era già ingozzato con della frutta.

Sicuramente il padre non riusciva veramente a capire cosa stava facendo al figlio, di certo c’era che la madre non aveva mai aiutato quella famiglia a migliorare, ad avanzare nella vita senza troppi dolori.
Nel nuovo appartamento, però, Kibum aveva la sua rivincita. Era lontano dai genitori che non potevano più controllarlo e stava bene, almeno finché non si rese conto che il suo fidanzato era alquanto strano.
Non ne comprendeva il motivo, ma ogni volta che facevano l’amore, o che semplicemente si baciavano, Jinki scappava in bagno, come se provasse l’impulso impellente di fare la pipì.
Kibum non gli aveva dato troppo spago, dobbiamo ammetterlo. Credeva che non ci fosse poi nulla di cui preoccuparsi: Jinki poteva semplicemente essere incontinente, no?
Purtroppo l’amara realtà era un’altra, ma quel ragazzo così fragile non l’avrebbe mai ammesso a cuore aperto così facilmente.

“Vedi Jinkisshi, qui è dove noi tutti preghiamo Dio. Anche tu devi iniziare a farlo, proprio come ti abbiamo insegnato a casa, ricordi? Congiungi bene le manine e posa i piedini qui di modo che tu possa guardare per bene la celebrazione. Vedrai, vedrai che quando riuscirai a vederlo non potrai più dimenticare il suo volto. Il volto di Dio è l’amore allo stato puro”
Un tenero bambino di quattro anni annuì dolcemente guardando il padre, il suo eroe, indicargli la posizione corretta da assumere in quel caso.
Era attirato dai colori della Chiesa, dalle luci che riuscivano ad entrare dalle grandi vetrate colorate, ma c’era una cosa di cui aveva paura, nonostante il padre gli avesse più volte spiegato che non doveva averne.
Quell’uomo, sulla croce, con le mani ed i piedi inchiodati ad essa. Un bambino di soli quattro anni può capire ciò che va oltre l’umana comprensione. Per lui quell’uomo doveva aver sofferto molto. Per lui quell’uomo non sarebbe dovuto essere appeso in un luogo così splendente. Rovinava l’atmosfera: faceva diventare il tutto molto più lugubre e deprimente.
“Appa, l’uomo che si è fatto male c’è anche qui! Guarda…”
L’uomo trattenne a stento la rabbia creata nel vedere il figlio indicare con così tanta incoscienza Gesù Cristo. Come si permetteva quel bambino così piccolo di parlare in quel modo del suo Signore? Di colui che aveva dato la sua vita per salvare l’esistenza umana?
Vide altre persone voltarsi verso di loro e guardare con sguardo critico suo figlio ed in quel momento tutto cambiò.
Quando tornarono a casa per Jinki non ci furono dolcetti e biscotti come sempre. Venne portato nella cantina, il padre che era ormai diventato una belva.
Gli legò velocemente le mani con la cintura dei pantaloni prima di colpirlo con forza sull’addome. Usò una semplice bacchetta di legno, ma per un corpo così fragile era abbastanza.
Il bambino si contorse su sé stesso, impossibilitato a muovere le mani sulla pancia per far sparire il dolore.
Un conato di vomito insorse presto in lui che vomitò sangue misto a qualcosa di non ben definito.
Il padre, a quel punto, gli slegò le mani e se ne andò ricordandogli per la prima volta, ma sicuramente non l’ultima, quanto contasse per quella famiglia Dio, il suo amore e ciò che gli altri potevano pensare di loro.
“Jinkisshi non mi sarei mai aspettato che un giorno potessi deludermi in questo modo. Mi raccomando, non farlo un’altra volta o la punizione potrebbe anche essere peggiore. Questo è stato un avvertimento, figlio mio. Quando si fanno cose sbagliate si devono pagare le conseguenze e tu sei grande abbastanza per poterle accettare. Oggi hai sbagliato e sei stato punito”
Per un bambino di quell’età niente aveva più un significato: suo padre lo aveva appena colpito e per Jinki quello fu l’inizio del suo incubo personale. Un incubo che ben presto lo avrebbe inghiottito del tutto portandolo nei meandri più oscuri della mente umana.
Della mente di un padre votato alla religione. Della mente di uno psicopatico che non poteva comprendere appieno cosa fosse il bene e cosa il male.

Jinki vedette le stelle quel giorno, ma non le trovò particolarmente belle. A dire la verità neppure se le ricordava. Ciò che non avrebbe mai dimenticato, perché era scritto a fuoco sulla sua pelle, era il dolore lancinante che aveva sentito alla bocca dello stomaco e che aveva poi fatto il giro del suo intero corpicino.
Neppure ora Jinki se l’era scordato. Come avrebbe potuto farlo?
Il padre non si era calmato, era andato avanti a colpirlo, a punirlo, a infliggergli torture disumane che un bambino non avrebbe mai dovuto conoscere.

“Appa… Yoogeun mi ha invitato alla sua festa di compleanno.”
L’uomo lo guardò con il sopracciglio alzato come se stesse invitando il bambino (soli cinque anni ed il primo amichetto) a continuare.
“Però io gli ho detto che non potevo. Ho fatto bene, vero appa? Gli ho detto che noi… che noi non festeggiamo i compleanni”
L’uomo aveva sorriso come se trovasse quelle parole particolarmente divertenti.
“Certo che hai fatto bene, Jinkisshi. Appa ti ha spiegato perché non festeggiamo i compleanni, vero? Hai ricordato al tuo amichetto Yoogeun perché non dovrebbe festeggiare nemmeno il suo?”
Jinki aveva annuito sorridendogli dolcemente: avrebbe fatto di tutto pur di compiacere quel padre padrone che aveva imparato, nonostante tutto, a continuare ad amare.
“Gli ho detto che ogni giorno è la festa di un santo che si è sacrificato per noi morendo al nostro posto. Se noi fossimo felici non sarebbe giusto. Lui ha detto che non vuole più essere mio amico perché mi trova strano, appa, ma io so che hai ragione tu. Che non bisogna essere troppo felici. Il nostro Dio non apprezzerà mai che i suoi figli siano contenti quando sono morti dei loro fratelli”
Il padre lo aveva accarezzato sulla testa prima di prendergli la mano ed accompagnarlo, per l’ennesima volta, nella cantina.
Ormai ci andavano ogni giorno perché, proprio come gli aveva ricordato Jinki, suo figlio, loro non potevano essere felici o il loro Dio avrebbe pianto lacrime di sangue.
“Bravo Jinkisshi, perciò ora cosa dobbiamo fare per compiacere il nostro Dio? Non possiamo essere troppo felici nemmeno oggi, giusto? Che santo è, Jinkisshi?”
Jinki ripercorse brevemente il calendario e tutti quei nomi sopra di esso. Non erano in coreano, erano difficili da ricordare, ma lui ce l’avrebbe fatta perché così suo padre ne sarebbe stato orgoglioso.
“E’ San Francesco, appa, il santo protettore degli animali. Colui che poteva parlarci e capire il loro linguaggio!”
L’uomo annuì mentre prendeva una corda con cui legò stretti i polsi del bambino che era pronto ad offrirglieli come se trovasse tutto quanto una cosa di cui andare fieri.
Certo, perché loro si stavano punendo per il loro Dio, ecco perché Jinki ne andava fiero.
“Bravo Jinkisshi… ora conta fino a dieci mentre papà ti fustiga, va bene?”
Il bambino annuì iniziando a contare a voce alta tutti i colpi che ricevette sulla schiena.

Se quell’appartamento per Kibum era una via di salvezza, per Jinki non era così.
Il suo incubo personale lo avrebbe sempre seguito, dovunque lui si sarebbe nascosto. Esso sarebbe arrivato e lo avrebbe catturato, trasportandolo di nuovo in un mondo fatto di sangue e dolore.

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