Buonasera a tutti! Come procede la vostra estate?
Finalmente ho ultimato un nuovo capitolo della mia multichapter. Ormai la storia sta giungendo ad un epilogo e pochi capitoli ci separano dalla fine. Ma non preoccupatevi! Ho altri progetti nel cassetto e sono già in fase di preparazione e poi vi farò una piccola sorpresa quando finirò questa storia. Curiosi? Beh, lo scoprirete solo leggendo!
Adesso vi lascio alla lettura, spero che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento.
Titolo: Elendínen, una storia inaspettata
Capitolo: 8 - Elendínen
Capitoli precedenti:
1 -
2 -
3 -
4 -
5 -
6 -
7Mi ritrovai ad osservare un'imbarcazione bianca a forma di cigno che stava per salpare dal porto. Ero felice di essere lì: il mare era calmo ed era difficile resistere al suo richiamo. Sulla candida nave vi erano degli Elfi; li guardai meravigliata: erano gli esseri più belli che avessi mai visto, sembravano quasi ultraterreni. Riuscivo a percepire il loro stato d'animo dalla luce che emanavano: erano letteralmente radiosi. La loro gioia era contagiosa e mi lasciai completamente pervadere dalla loro beatitudine. Non riuscivo a capire come mi fossi ritrovata lì, così guardai indietro per vedere cosa mi ero lasciata alla spalle: ciò che mi si parò davanti era nettamente in contrasto con la scena sulla nave. La terra era arida e scura, come se fosse stata bruciata, e il cielo era soffocato da fumi neri. Distesi su quella landa desolata vi erano i corpi dei miei più cari amici: Bard e la sua famiglia, Bilbo, Gandalf, Tauriel, Thorin e la sua compagnia. Perfino Thranduil era tra di loro. E tutti, senza nessuna eccezione, stavano lì, esangui, ad ammirare il cielo plumbeo con occhi senza vita.
Di colpo un peso soffocante sul petto e una stanchezza senza eguali mi estirparono quel senso di felicità che avevo raggiunto.
Gridai, ma il mio grido fu senza voce. Piansi, ma i miei condotti lacrimali erano secchi.
Mi sentii vecchia, come se avessi trapassato i limiti del tempo.
Distolsi lo sguardo da quella scena crudele e guardai nuovamente avanti. I Primogeniti erano ancora lì ed immutata era la loro gaiezza. Poi uno di loro si aggrappò alle sartie della nave e si sporse dal ponte per guardare verso la banchina del porto.
Riconobbi immediatamente quel volto.
Legolas mi fece un cenno con la mano e mi invitò a salire a bordo. Non disse una parola, ma i suoi occhi rilucevano di felicità nel vedermi.
Allora il peso sul petto si sciolse un pochino e un barlume di speranza mi aleggiò nel cuore: feci un passo e immersi il piede destro in acqua per raggiungere l'imbarcazione.
Ma solo quel minuscolo passo mi fu concesso: le acque si ritirarono immediatamente, come se fuggissero al mio tocco, il cielo si fece scuro anche sul porto e un lampo e un tuono schioccarono contemporaneamente. La nave venne disarcionata da un vento invisibile e venne portata lontana da me. Riuscivo ancora a scorgere il volto di Legolas che, incredulo, si rattristava nel vedermi sempre più piccola e più lontana. Mi girai nuovamente indietro e i corpi si disfecero non appena il mio sguardo si posò su di loro: divennero cenere, poi polvere, poi la polvere venne spazzata via dal vento. E il campo arido divenne sabbia, e il porto si tramutò in sabbia anch'esso. Il tutto era diventato il niente.
L'unico essere vivente ero io.
Il peso sul petto mutò in un enorme fardello che mi soffocò ma non mi uccise.
Una saetta cadde ai miei piedi, tramutando la sabbia in una sostanza trasparente e riflettente. Mi specchiai sulla superficie e i miei connotati erano immutati. Ma avevo la netta impressione che l'immagine riflessa non fossi io, ma un'altra me, più stanca e forse più saggia. Poi sulla superficie cristallina comparvero dei segni, dei segni che riuscii a decifrare.
“Trascendi il tempo e ama”.
Mi sembrava di impazzire.
Le mie gambe cedettero e caddi in ginocchio: chiusi gli occhi e tesi le mani in avanti.
«Aiutami», mormorai e aprii gli occhi.
Una mano era stretta tra le mie. Mi aggrappai ad essa come un'ancora sul fondale marino.
Avevo gli occhi aperti, ma non riuscivo a mettere bene a fuoco ciò che vedevo. La luce era troppo forte e mi feriva gli occhi. La mano amica stava gentilmente cercando di allentare la presa, ma la strinsi più forte e le impedii di andare via: aveva risposto al mio grido di aiuto, non avrei lasciato scivolare quel contatto così reale e vivido.
Piano piano i miei occhi si abituarono a quella luce accecante e cominciai a distinguere qualcosa: ero dentro una tenda dal tessuto ocra e la mia vista guardava dritto in alto. Quello mi fece realizzare che mi trovavo in posizione supina e cominciai a sentire che il mio corpo era stato fermo per troppo tempo: non riuscivo a muovere un muscolo, ero come devitalizzata. I miei occhi, che adesso vedevano sfuocato solo ai bordi, si posarono sulla mano che stringevo con tanta forza, come se tutti i miei spiriti vitali fossero concentrati lì. Dalla mano, risalii al braccio coperto da una manica argentea, su cui scendevano dei morbidi capelli aurei. Poi il viso mi si rivelò, cancellando ogni traccia di debolezza dai miei occhi.
Nel riconoscerlo, mollai subito la presa, liberando quella mano salvatrice. Poi espirai sollevata, perché capii che tutto quello che avevo visto era stato solo un sogno. Tuttavia quella strana situazione mi fece entrare in panico: cominciai a respirare velocemente e potevo quasi sentire il tamburellare del cuore che andava all'impazzata.
Come ero finita lì? Cosa era successo? La battaglia, Azog, il Nemico, Legolas, Thorin...
«Avo 'osto, heryn Erewen», disse Re Thranduil e mi tranquillizzò appoggiandomi le mani sulle spalle.
“Non preoccuparti”. La sua voce riuscì a calmarmi, ma lo guardai comunque interrogativo.
«Sono consapevole che al tuo risveglio avresti voluto avere qualcun altro al tuo fianco, ma ti sei destata proprio mentre applicavamo l'ultimo impacco sulla ferita», continuò Thranduil con un pizzico di ironia.
Mi sforzai di girare la testa di lato per capire a chi era riferito quel plurale. Tauriel aveva delle erbe in mano e si avvicinò sorridendomi.
«L'Athelas ha fatto il suo effetto», disse l'elfa, «ma la tua volontà è stata tenace: il tuo corpo e la tua anima hanno risposto bene. Ti sei aggrappata alla vita senza lasciare la presa»
«Perché sono qui? Non capisco, abbiamo una battaglia da combattere. Cos'è questo silenzio, questa pace?»
«Non ricordi niente?», mi chiese Tauriel.
«Ricordo... ricordo...», sondai la mia memoria in cerca di un ricordo e mentre mi sforzavo di rimembrare, una scena mi si parò davanti. Il mio corpo che intercettava il colpo dell'Orco Pallido, il momento in cui la consapevolezza di essere mortalmente ferita mi faceva perdere i sensi. Poi un nome pronunciato mi echeggiò nella mente: “Elendínen”.
«Gandalf!», esclamai.
Thranduil e Tauriel si guardarono dubbiosi, non riuscendo a capire.
«Yala Mithrandir», ordinò il Re del Reame Boscoso all'elfa.
Tauriel stava per uscire dalla tenda quando Thranduil, ripensandoci, la bloccò.
«Aspetta», le disse, «devo prima dire qualcosa ad entrambe. È importante»
L'elfa tornò indietro e si sedette su uno scanno che si trovava vicino alla mia lettiga.
«Grazie», iniziò a dire Thranduil, «grazie per avermi dimostrato che non tutto è perduto nella Terra di Mezzo, che c'è ancora qualcosa di buono per cui valga la pena di combattere e di esporsi. Il dolore, la tenacia, la disperazione... Non avete dato retta alle paure di uno sciocco vecchio elfo, non avete mollato anche quando il vostro aiuto non era richiesto o addirittura disprezzato. Una di voi ha sfidato i Valar, un'altra ha sacrificato la propria vita per non permettere che un'altra venisse spezzata: questo è amore ed è reale. Il vostro amore ha spezzato le barriere razziali, ha incluso tutto, non solo gli esseri che vivono su queste lande, ma anche la terra stessa. E il vostro agire mi ha aperto gli occhi, ha colmato il vuoto che le tante guerre e i tanti massacri avevano lasciato nel mio cuore. I sacrifici devono essere fatti, molti sono morti e molti altri ancora moriranno per amore, e più quest'ultimo lascia ferite e dolori, più esso è reale. Perdonatemi se ho impiegato così tanto ad accettare questa verità, ma non riuscivo ad ammetterla con me stesso. Ora forse capirete che in me vi è stato amore e ve ne rimane ancora, solo ero restio a dimostrarlo per paura che quell'ultimo briciolo se ne andasse via»
Io e Tauriel lo guardammo con occhi lucidi, emozionate e lusingate che un re degli Elfi parlasse e si confessasse con due donne di rango nettamente inferiore. Eravamo letteralmente senza parole e non sapevamo come rispondere a quel bel discorso. Stavo per aprire bocca e sicuramente sarebbe uscito qualcosa di insensato o di inadeguato, quando Thranduil ci cavò dall'impiccio di una replica con un semplice gesto della mano.
«Non parlate, avete già detto tanto con le vostre azioni. Era mio dovere invece esprimermi a parole, per essere meglio compreso e perdonato. Del resto tutto è finito bene, non c'è regalo più grande di questo. Adesso, Tauriel, puoi andare a chiamare Mithrandir. La nostra paziente sembra voler discutere con lui».
Tauriel andò via e mentre passava accanto a Thranduil, gli sfiorò un braccio in segno di gratitudine.
«Vorrei alzarmi», dissi a Thranduil. Lui non si oppose al mio desiderio e mi porse un braccio per aiutarmi. Lo sforzo per sollevarmi da quel letto fu immenso, ma lo sopportai in silenzio. Appena fui in piedi cominciai a sentirmi meglio: le mie forze, animate dalla mia voglia di sentirmi bene, risposero positivamente e collaborarono. Riuscii anche a fare qualche passo senza l'aiuto di Thranduil. Andai di fronte al letto, dove erano raccolti i miei oggetti personali: il bagaglio che mi portavo dietro da Pontelagolungo con tutti i miei effetti, le mie armi e su una cassettiera vi era anche una piccola scatola. La aprii e all'interno vi trovai il diadema con le gemme bianche incastonate. Passai le dite su quelle splendide pietre e poi lo presi in mano. Ogni volta che lo guardavo restavo due volte incantata sia per la bellezza delle gemme che per il finissimo lavoro del diadema stesso. Ma sentii che qualcosa andava fatto:
«Ti prego Thranduil», quel giorno mi sentii più vicino al Re del Reame Boscoso tanto da rivolgermi confidenzialmente e da non ricevere un'offesa, «prendi questo diadema. So che queste gemme ti sono in qualche modo care. Non so che storie o quali dissidi vi possano essere dietro queste pietre, ma vorrei che tornassero al loro legittimo proprietario e che guardassero al futuro»
Thranduil guardò la tiara con occhi desiderosi, ma non avidi come la prima volta, poi scosse la testa e rispose: «Hai ragione, bisogna guardare al futuro. Ti sono state donate e non ho più il diritto di reclamarle. Che restino a te, come simbolo di due popoli che hanno trovato un punto d'incontro nella tua persona. Che tu sia la portatrice delle Gemme Unificatrici di Popoli, Erewen Amica delle Genti»
Lo ringraziai con un cenno della testa e conservai la tiara di nuovo nella scatola.
«Sono nomi troppo altisonanti per una semplice Donna del Lago ed è anche una bella responsabilità da portare. Forse tutti vi sbagliate sul mio conto, dopotutto non vedo niente di speciale in me. Anzi, devo dire che ti cercavo da tempo per sapere cosa avresti visto in me. Cosa sai di Erewen, la parente di Bard?»
«So che non sei una semplice Donna del Lago e nemmeno una parente di Bard. Non riesco a guardare nel passato e quindi non posso aiutarti come tu speravi. Non so chi ti abbia indirizzato verso me, ma purtroppo non posso dire altro. Ho delle sensazioni, non posso negarlo, ma non ho il diritto di dirti qualcosa che potrebbe rivelarsi falso. Ma guardando al futuro, ti posso assicurare che qualcosa di particolare ti accadrà di sicuro e che probabilmente coinvolgerai alcune genti che mi stanno a cuore. Come ti dissi la prima volta che ci incontrammo, possiedi molti beni che io desidero e presto dovrai farne i conti. E i beni a cui mi riferivo non erano solo materiali, come avrai capito. La prima volta mi hai frainteso, credendo che volessi provocarti o lanciarti una sfida. Il mio era ed è solo un avvertimento: se non mi sbaglio su di te, scoprirai presto che tutte le tue azioni avranno un peso sia su te stessa che sugli altri. Fai attenzione a ciò che desideri, scegli con cura la tua strada e chi coinvolgerai nella tua vita. Molti potrebbero non sopportare le ferite che ti porti dietro. E su questo null'altro dirò»
Quando parlavo con Thranduil non riuscivo mai a cavare un ragno da un buco. Forse avevo scelto l'uno tra i saggi sbagliato. Le sue parole mi avevano però allarmato: cosa c'era che non andava in me? Avevo sempre avvertito qualcosa di diverso, sicuramente tutti questi anni passati nel mondo dei vivi e senza nessuna traccia del loro passaggio erano un chiaro segno di diversità, ma non mi sarei mai immaginata che potessi essere addirittura pericolosa per gli altri. Anche mio padre lo aveva avvertito e per questo mi aveva consigliato di non restare mai troppo nello stesso posto: meno affetti, meno problemi. Ma ormai avevo collezionato fin troppi affetti che ricambiavo con tutto il cuore, non potevo sparire nel nulla senza ferirli. Forse le parole di Thranduil non erano poi tanto sibilline, il loro significato cominciava già a rivelarsi.
Il Re Elfico stava per andare via, ma volevo chiedergli un'ultima cosa:
«Perché mi hai guarito personalmente? Non che non ti sia grata, ma non poteva farlo chiunque con una buona conoscenza medica?»
«Solo io posso utilizzare l'Athelas», fu la risposta di Thranduil.
«Ma Tauriel...»
«Tauriel è stata aiutata dai Valar. Il suo amore e le sue preghiere sono state ascoltate perché puri agli occhi di Eru. Normalmente non avrebbe funzionato. L'Athelas è una foglia guaritrice, ma solo le mani di un re possono salvare vite utilizzandola: non per poco è chiamata “Foglia di Re”. Thorin non conosce la medicina e mio figlio è ancora acerbo in quest'arte. Io solo potevo essere la tua salvezza»
«Il nostro orgoglio ha cozzato fin da subito, ma come tu hai confessato poco prima, anche io ti dico grazie»
Lui fece un cenno con la testa e uscì dalla tenda.
Mentre aspettavo l'arrivo di Gandalf, aprii la cassettiera. Vi trovai dentro un abito meraviglioso: era argenteo come le stelle e sembrava luccicare di rimando. Lo sfiorai con una mano e il prezioso tessuto emise un suono piacevole al mio tocco. Mi chiesi perché si trovasse li, ma subito la mia attenzione fu catturata da qualcos'altro. Accanto al vestito vi era un piccolo specchio. Lo presi e mi mirai: il mio viso portava ancora qualche traccia di ferita, ma erano quasi del tutto rimarginate sotto l'effetto dell'Athelas; i miei capelli erano stati pettinati con cura e le trecce che portavo sempre erano state sciolte. Non avevo mai avuto i capelli così ordinati e mi chiesi chi si fosse occupato del mio benessere mentre ero priva di sensi. Da domanda nacque domanda, e cominciai a chiedermi quanto tempo avessi trascorso sdraiata su quel lettino e dove mi trovassi esattamente. E gli altri? Erano tutti vivi? Thranduil aveva detto che la guerra era “finita bene”, ma questo comprendeva tutte le persone che mi erano care? Il mio corpo rispondeva bene alla cura e ai miei comandi, quindi riuscii a camminare lentamente fino all'apertura della tenda per poter sbirciare fuori: ero in un accampamento. Guardando meglio, riuscii a riconoscere le rovine di Dale: vi erano pattuglie di Elfi in giro miste a Uomini. Se ancora gli eserciti erano accampati non doveva essere passato molto tempo. Mi riportai verso il letto per sedermi e guardai lo scanno vuoto davanti a me.
«Credimi, è il primo giorno che lo vedo vuoto. E solo perché ho vietato loro di farti visita»
La voce di Gandalf mi fece trasalire. Lui continuò:
«Ho incontrato Thranduil che si aggirava qui nei paraggi e gli ho fatto promettere che non avrebbe detto una parola del tuo risveglio. Stessa cosa con Tauriel. Però, che tempismo. Ti sei ripresa giusto per goderti i festeggiamenti. Stasera faremo a tutti una bella sorpresa, visto che tutti ormai avevano perso le speranze di vederti viva. E vedo che hai già trovato cosa mettere: gli elfi silvani hanno gusto in fatto di regali», e mi strizzò l'occhio.
La sua gioia mi rallegrò il cuore e scoppiai a piangere, felice di essere ancora nel mondo dei vivi. Gandalf si sedette sullo scanno e cominciò a fumare la sua pipa. Creò alcuni anelli di fumo, che salirono su fino all'orlo della tenda e che poi si tramutarono in stelle prima di svanire del tutto.
«Cosa è successo dopo che sono svenuta?», chiesi a Gandalf con ansia.
Mi riferì che le Aquile si erano aggiunte all'assalto e che avevano liberato l'assedio di Orchi che si era creato attorno alla Montagna. Che un mutapelle di nome Beorn, che avevano conosciuto tempo prima con la Compagnia, aveva anche lui fatto la sua comparsa sul campo di battaglia sbarazzandosi di parecchi Orchi. Che dopo la morte di Azog, gli eserciti di Orchi andarono allo sbando e si dispersero. Che Legolas era riuscito ad uccidere Bolg e che quindi anche le sue legioni si sciolsero. Comunque vi erano ancora alcuni superstiti e degli Elfi e degli Uomini pattugliavano le zone vicine in modo da pulire a fondo tutta l'area.
«Cielo, per quanto tempo sono rimasta incosciente?», chiesi allarmata.
«Due settimane. Ormai si erano tutti rassegnati al peggio», rispose Gandalf.
«Tutti? Stanno tutti bene?», domandai.
«Sì, i tuoi amici stanno tutti bene. Qualche ammaccatura, dei leggeri graffi, ma sono vivi. Ogni ora avevi visite: Bard, Bilbo, Thorin, i Nani della Compagnia, Tauriel... E le donne di Esgaroth ti hanno pettinato e pulito ogni giorno. Ah, dimenticavo. Legolas Thranduilion era sempre qui nei paraggi a vegliare che nessuno avesse cattive intenzioni o che qualche Orco sparuto tenesse un'imboscata. Una volta io e Bilbo lo abbiamo trovato seduto qui al posto mio. Ti raccontava la storia di Nimrodel»
Tutto questo mi rese felice. Sentirmi cercata da tutti, realizzare che ero diventata importante per delle persone era una delle sensazioni più belle che avessi mai provato.
«Ma non credo che tu mi abbia chiamato solo per farti raccontare queste cose, giusto?», mi interrogò Gandalf.
«Non ti sbagli», feci una pausa. Non avevo il coraggio di pronunciare quel nome, ma dovevo trovarlo. «Elendínen», dissi tutto d'un fiato, «Cosa sai a proposito?»
Gandalf si alzò scuro in volto e con voce greve disse: «Non molto, ma quello che mi è giunto alle orecchie è bastato a farmi preoccupare. So che c'è qualcuno nella Terra di Mezzo che la cerca da tempo, uno tra i saggi, e che hai sbagliato ad indirizzare le tue ricerche, vero Elendínen?»
«Ti prego, non chiamarmi così. Ho imparato a dimenticare Elendínen ed Erewen mi piace molto di più. Anzi, piace agli altri molto di più»
«Io vedo sempre la stessa persona e non credo vi sia differenza tra i due nomi: sono sinonimi della stessa creatura che mi sta seduta davanti. Se vuoi sapere qualcosa su di te, ed io ti consiglierei di seguire questa strada, posso portarti da chi può soddisfare tutte le tue richieste. Anche io ti cercavo da tempo, emissario di questo qualcuno che può aiutarti a comprenderti meglio. Non puoi ignorare la tua vera essenza, devi imparare a conviverne»
«Perché tutti mi fate presagire qualcosa di brutto? Non puoi dirmi semplicemente cosa c'è che non va in me? Forse era meglio che Thranduil non mi avesse curato, almeno sarei morta con onore e tutti mi avrebbero ricordato come Erewen la Donna del Lago, tanto coraggiosa da morire per risparmiare la vita ad un Re»
La figura di Gandalf sembrò di colpo ingrandirsi e lo vidi torreggiare su di me, quasi fosse un gigante. Parlò con voce profonda e incutendo timore: «In qualunque modo tu voglia essere chiamata, sei proprio una sciocca. Molti si sono preoccupati per la tua salute e tu li ripaghi affermando di preferire la morte»
Stavo per replicare, ma una sua occhiata sotto quelle sue irsute sopracciglia mi zittì. Ormai ero sull'orlo di una crisi emotiva e Gandalf sembrò accorgersene. Allora lo stregone si raddolcì e mi parlò in modo affettuoso: «Erewen, non disperarti prima del tempo! Qualunque cosa scopriremo non sarai sola, ti aiuteremo ad affrontarla. Non sei stanca di nasconderti da tutto e da tutti? Ti accompagnerò in questo posto e ci sarà anche Bilbo: si da il caso che sia proprio sulla strada di ritorno verso la Contea»
Inspirai profondamente e gettai fuori tutta quell'aria cattiva. «Va bene. Hai ragione, sono stufa di nascondermi. È ora di far luce su questa faccenda»
«Adesso ti riconosco. E ricordati: non possiamo modificare il nostro passato o le nostre origini, qualunque essi siano. Ma possiamo rendere il futuro migliore tramite le nostre azioni e decisioni. E adesso basta pensare a ciò che non sappiamo e che potrebbe essere, stasera hai una festa a cui non devi mancare. Un po' di gioia non ha mai fatto del male a nessuno e questi posti non odono dei canti allegri da troppo tempo. E poi non vorrai perderti l'incoronazione ufficiale del nuovo Re sotto la Montagna!»
Ebbi l'impulso di alzarmi dal letto e di abbracciare lo stregone, e lo seguii senza alcuna incertezza. All'inizio Gandalf si sentì impacciato e colto alla sprovvista, ma alla fine cedette e ricambiò la stretta.
Avvolta nel suo manto grigio mi sentii al sicuro e tra le pieghe del suo mantello mormorai un “grazie” impercettibile ad orecchie che non fossero quelle di Mithrandir.
La Grande Aula brulicava di gente in festa. La sala era stata ripulita per l'occasione e nonostante il poco tempo trascorso, era già bellissima. Il tanfo del Drago era scomparso e i lucenti dettagli in oro erano riaffiorati negli elementi architettonici. Non riuscivo a credere che solo poco tempo prima ero stata legata come un comune malfattore ad una di quelle colonne, vittima della follia di colui che veniva incoronato re.
Infiltrata tra le file degli Elfi, mi confondevo tra di loro come mi aveva ordinato Gandalf. Voleva fare una bella sorpresa a tutti ed io mi prestai volentieri al gioco. Gli Elfi Silvani non erano interessati a me e quindi me ne stetti tranquilla in mezzo a loro con il mantello che mi copriva del tutto l'abito e il cappuccio che mi nascondeva il viso. Dal mio punto d'osservazione privilegiato, scorgevo tutti senza essere vista e il cuore mi si gonfiò più volte di gioia quando i miei occhi si posarono su dei volti familiari.
Proprio di fronte a me, vi stavano gli Uomini e tra di loro Bard spiccava in modo particolare: era riccamente vestito, con una tunica dalle maniche ricamate d'oro. Ricordava moltissimo Girion, il Signore di Dale, e fui contenta di udire che questa era la carica che si era conquistato in battaglia. La semplicità della vita di Pontelagolungo mi mancava di già: le serate passate davanti al camino mentre io e Bard ci raccontavamo delle storie, le giornate trascorse a raccogliere i barili degli Elfi, i pomeriggi tranquilli di mercato, l'allegria dei figli di Bard. Sembrava una vita fa, e invece erano passati solo pochi giorni. Mi chiedevo se inconsciamente non avessi ferito Bard allontanandomi da lui così all'improvviso, ma nel mio cuore i miei sentimenti per lui non erano affatto mutati: l'affetto che provavo verso Bard era sincero e fraterno, anzi nella lontananza si era rafforzato ulteriormente. E sperai anche che il mio affetto non fosse stato confuso con qualcosa di diverso.
Continuai a spaziare il mio sguardo per la sala e notai che vicino al trono erano radunati tutti i Nani. Non solo i dodici della compagnia con cui avevo trascorso gli ultimi giorni, ma anche la gente di Dain era riunita lì ad attendere l'incoronazione del nuovo re. Ai piedi del trono, uno da una parte e uno dall'altra, stavano Fili e Kili, con i volti radiosi e anche loro con delle vesti molto ricercate. Adesso sembravano veramente dei Principi e sperai che tutto sarebbe andato per il meglio per quei cari ragazzi.
Gandalf e Bilbo erano di lato e discutevano tra di loro. Anche il Mezzuomo era stato completamente ripulito e sebbene gli abiti gli calzassero un po' larghi, reggeva dignitosamente il paragone con gli altri della sala.
Gli Elfi erano anche loro radiosi, contenti di aver stanato una minaccia tanto vicina alla loro dimora. Thranduil era a due passi da me e mi dava le spalle, rivolgendo il suo sguardo al trono vacante. Una figura gli si affiancò e gli stette accanto senza parlargli molto. Faticai a riconoscerlo, ma quando si voltò verso di me, arretrai verso una zona d'ombra per non farmi riconoscere. Urtai contro un elfo e mi scusai intimidita, ma quello mi riconobbe e cominciò a parlare:
«Cosa ci fai qui, Er...»
Non le feci continuare la frase zittendola con un gesto e Tauriel tacque ricordandosi delle parole di Gandalf. Era bellissima con quel lungo vestito verde e la cinta ricoperta di fiori.
«Sembra che tu abbia visto un fantasma», continuò lei.
Avvampai. «No... È solo che non lo avevo riconosciuto... Ehm, non avevo riconosciuto Legolas»
Lo vidi voltarsi di profilo e senza riuscire a trattenermi balbettai: «Sembra una visione di Irmo»
Tauriel ridacchiò. Non avevo mai sentito un elfo ridere a quel modo, il che mi fece imbarazzare ancora di più. «Scusami, non volevo. Non so perché lo abbia detto, sono così mortificata»
Tauriel mi poggiò una mano sulla spalla e disse: «Non preoccuparti di esternare i tuoi sentimenti. E non vergognarti, ti capisco perfettamente», e il suo sguardo vagò nell'aula fino ad incrociarsi con quello di Kili.
Tornai a guardare Legolas, di argento vestito e con i capelli completamente sciolti incorniciati da un sottile e finissimo diadema. Era ultraterreno, proprio come i Primogeniti del mio sogno.
Mi accorsi che Thranduil e Legolas erano gli unici tra i presenti a vestire d'argento, chiaro omaggio a Elentári. E poi mi ricordai del mio abito, della lucentezza lunare della stoffa e dei luccichii stellari sparsi sul tessuto: avevano voluto rendermi parte della loro famiglia? Mi consideravano loro pari? Il mio cuore cominciò a palpitare ad una felice idea, quando poi realizzai che era un pensiero assurdo e lo cestinai. Essere accostata ai Sindarin era troppo per me, e qualsiasi fossero state le mie origini, sicuramente non facevo parte di una famiglia elfica. Non vi erano tracce nella mia fisionomia di sangue elfico, quindi non potevo di certo legarmi a loro.
I miei pensieri incongruenti vennero arrestati da un suono gutturale di corni.
Thorin Scudodiquercia fece un regale ingresso e tutti ammutolirono in sala.
Nel silenzio più assoluto, i suoi passi risuonarono nell'aula e il fruscio del suo mantello lo accompagnò fino al trono. Thorin cercava di mantenere uno sguardo altero, ma la vista di tutta quella folla riunita in suo onore bastò a velargli gli occhi di commozione. Lo vidi distogliere lo sguardo più volte da diversi visi e poi decise di fissare un punto fisso davanti a sé per non farsi distrarre.
La cerimonia si svolgeva in Khuzdûl, ragion per cui non riuscii a capire ciò che dicevano. Ma la sola vista fu molto emozionante. Thorin si sedette sul trono e Dáin Piediferro enunciò delle parole con aria solenne; con un gesto attirò l'attenzione di qualcuno tra la folla e
Bard si staccò dagli astanti e avvicinandoglisi: in mano reggeva un cofanetto che consegnò con ossequio a Dáin. Il nano dei Colli Ferrosi lo aprì e una luce bianca gli irradiò il viso. Con fare formale estrasse l'Arkengemma dallo scrigno e la sollevò in alto per mostrarla a tutti. Poi si avvicinò al trono e la posizionò nella cavità che avevo notato giorni prima: la pietra s'incastrò a perfezione e splendette gioiosa di ritornare al suo legittimo posto. Fili portò a Dáin la corona di Thror, quella stessa corona che Thorin aveva indossato durante quel breve ma pericoloso periodo di follia. La posò ufficialmente sul capo di Thorin e questi socchiuse gli occhi, come se l'investitura che aveva appena ricevuto si rivelasse in tutta la sua gravità.
Thorin si alzò dal trono e si tolse il lungo mantello: i suoi abiti con le rifiniture dorate scintillarono sotto le luci delle fiaccole. Scese due gradini del podio e si fermò.
Tutti coloro che erano riuniti nella Grande Aula si inchinarono profondamente al nuovo Re sotto la Montagna. Anche gli Elfi, Thranduil compreso, porsero i loro ossequi.
Da parte mia m'inchinai senza pensarci due volte per rendere omaggio a quello che sapevo sarebbe stato rinomato grandemente tra i Re dei Nani.
Thorin con un gesto della mano ci fece rialzare e poi a sua volta si inchinò davanti ai presenti, per ringraziarli di tutto. Non appena scese gli ultimi due gradini del piedistallo, Gandalf gli si approssimò e disse a gran voce:
«Adesso che Erebor ha il suo Re, vorrei che Bard come Signore di Dale e Thranduil come Re del Reame Boscoso, si avvicinassero a Thorin per giurare un'alleanza pacifica tra i tre popoli»
Thranduil e Bard raggiunsero Thorin e si posizionarono ai due lati. Vi era sempre un po' di tensione tra i tre e Thorin, accorgendosene, rimediò dicendo:
«I nostri trascorsi non sono di sicuro tra i più onorevoli, ma per il bene di questa parte della Terra di Mezzo sono disposto a mettere da parte i rancori personali: questo non significa che diventeremo amici, perché l'amicizia va conquistata e coltivata, ma che saremo alleati pacifici. Manterrò le mie promesse donando un quattordicesimo del tesoro a Bard, che tu possa disporne saggiamente; mentre a Re Thranduil, con il permesso di Bard suo discendente, vorrei donare gli smeraldi di Girion, dato che il Sire Elfico ha rinunciato ad ogni pretesa sulle gemme bianche che il popolo di Durin gli doveva»
Bard e Thranduil assentirono ad ogni parola pronunciata. Così Gandalf disse:
«Bene, che questa promessa venga attestata e giurata sulle Gemme Unificatrici di Popoli».
A quella parola trasalii. Non sapevo di tutto ciò e Gandalf era riuscito a sorprendere anche me. Visto che non mi muovevo, Gandalf mi diresse un cenno con la mano. Mi feci largo tra gli Elfi, lasciando il mio posto vicino a Tauriel e sfilando accanto a Legolas.
La folla, non riconoscendomi celata in quella cappa, mormorava curiosa, e anche le facce di Bard e Thorin erano un pochino perplesse. L'unico che sorrideva sornione era Thranduil.
Mi fermai proprio davanti a loro tre, tenendo la testa bassa. Gandal continuò:
«Che queste gemme e la sua portatrice siano testimoni di un'alleanza pacifica e duratura».
Lo stregone mi fece un cenno col capo che riuscii a percepire con la coda dell'occhio. Allora tolsi la spilla che fermava il mantello sul collo e lo lasciai scivolare all'indietro rivelando la mia figura.
In sala ci fu un fremito di sorpresa, per non parlare delle facce di Bard e Thorin che si illuminarono di gioia. In quel momento volevo solo correre ad abbracciare tutti, ma non potevo sciogliere la solennità del momento. Allora per non rovinare tutto, mi inginocchiai davanti a loro e a turno i rappresentanti dei popoli alleati, posarono la mano sinistra sul mio capo, toccando sia la tiara che i miei capelli.
Adesso la mia persona era testimone di un giuramento che avrei portato con me fino a quando avessi respirato. E alla mia morte, le Gemme sarebbero passate ad un altro portatore rinnovando la promessa.
Quando i musicisti iniziarono a suonare, l'atmosfera nella Grande Aula si alleggerì. Molti ballavano, incitati dai Nani che erano l'anima della festa, altri brindavano al nuovo Re e alcuni parlavano tra di loro.
Per prima cosa andai da Bard. Come se fossimo stati di comune accordo, ci abbracciammo ridendo come due folli. Poi Bard mi passò un bicchiere colmo di ottimo vino proveniente dalle cantine del Reame Boscoso.
«Ery, non ti riconosco. Dov'è finita la mia creatura degli alberi? Sembri una della famiglia reale di Thranduil! E cosa hai fatto ai capelli? Sei letteralmente splendente!», disse ispezionandomi con fare ironico.
In effetti non avevo mai portato i capelli del tutto sciolti e per quest'occasione avevo deciso di lasciarli al naturale e farli cadere morbidi dietro le spalle. La tiara bastava già a decorarli, altri fronzoli non avrebbero retto il paragone. E il vestito era come un manto di stelle, che luccicava riflettendo le luci calde dentro la montagna.
«Tutto una cortesia degli Elfi, io non ho voce in capitolo», risposi con la stessa ironia.
«Ne hai anche fin troppa», disse Bard.
Arrossii. «Bard, ti prego, io... Non so come spiegartelo...»
«Shhh», fece lui, «Lo so. Non devi dire niente. Però i fratelli di tanto in tanto possono elogiare le proprie sorelle, giusto?», continuò e mi strizzò un occhio.
Tirai un sospiro di sollievo. «Davvero, grazie di tutto. Se non fosse stato per te, sarei stata ancora ad aspettare su un albero»
«Su questo ho i miei dubbi, ma non devi ringraziarmi. Siamo una famiglia e una casa ti aspetta anche a Dale, qualora tu volessi ancora restare qui»
«Devo intraprendere presto un viaggio per scoprire qualcosa di più sul mio conto. Gandalf conosce qualcuno che può aiutarmi. Non so quando tornerò o se mai tornerò, e se mai ritornassi, potrei essere diversa», confessai.
«Per me sarai sempre la mia Ery e la casa sarà sempre lì ad aspettarti: sia per una vita, che per pochi giorni, non sarai mai considerata una straniera. E adesso basta con questi discorsi seri e brindiamo alla tua salute riconquistata: ringrazio gli Elfi per averti riportato qui e per aver avuto la possibilità di parlarti ancora»
Alzammo i calici in alto e bevemmo alla nostra amicizia.
Thorin e la Compagnia ridevano davanti al trono. Non avevo mai visto Scudodiquercia così felice. Ormai aveva conquistato tutto: la sua casa, il suo trono, il rispetto... Poteva concedersi una serata spensierata per ben augurare un lungo periodo di ricostruzione e riparazione.
Mentre mi dirigevo verso di loro, Gandalf mi intercettò e mi prese sotto braccio.
«Non dovresti stare troppo in piedi», mi disse.
«Sembra strano a dirlo, ma ogni ora passata da quando mi sono svegliata è stata come un lungo giorno di guarigione. È come se mi fossi rimessa del tutto. Anche le ferite si sono rimarginate, lasciando dei lievi segni sulla mia pelle. La cura degli Elfi è stata miracolosa: non riesco a credere di essere ancora qui»
Vidi un lampo di inquietudine negli occhi di Gandalf, come se quello che avevo detto lo avesse turbato, ma presto il suo sguardo tornò ridente e rilassato.
«Quand'è così, non avrai nulla in contrario a danzare. Una bella fanciulla come te dovrebbe deliziare gli ospiti. E questa musica suonata dai Nani è veramente trasportante: i tuoi piedi dovrebbero muoversi da soli»
«Ti prego, non...»
Non ebbi il tempo di obiettare, che Gandalf mi parlò di sopra.
«Bofur!», chiamò a gran voce, «Dama Erewen muore dalla voglia di ballare. Non fare il timido e invitala a ballare. Questa danza sta per iniziare!»
Bofur arrivò quasi trotterellando e stava cantando un motivetto allegro sulla musica.
«Certo, messere Gandalf!», poi mi prese per mano e cercò di tirarmi verso il centro della sala, dove della gente si stava distribuendo per cominciare un ballo.
«Gandalf avrà frainteso...», stavo cominciando a dire, ma vedendomi fare resistenza, Fili e Kili mi spinsero da dietro e mi fecero mollare la presa.
«Traditori!», gli urlai girandomi dietro. Come tutta risposta mi indirizzarono delle faccine indifferenti e, seguiti da Bilbo, si posizionarono anche loro per ballare.
«Non conosco questa danza. In effetti non conosco nessun tipo di danze», confessai a Bofur.
«Lasciati trasportare dalla musica, al resto ci penseremo noi», rispose Bofur confidente.
Un allegro motivetto iniziò a propagarsi nella sala e Bofur mi prese a braccetto facendomi girare in un semicerchio, prima da un verso e poi dall'altro, cedendomi alla fine a un altro cavaliere. E fu così per tutta la danza, che all'inizio si trascinava moderatamente, ma che aumentava di ritmo ad ogni giro. Molti si aggiunsero a ballo iniziato, e durante quella danza frenetica finii tra le braccia di Bilbo, Fili, Kili, Dwalin e perfino di Bard, che si era lasciato trasportare dall'allegria generale. Tra le dame, avevo intravisto anche Tauriel, che comunque non era l'unico elfo ad essersi aggiunto. Non avrei mai pensato che mi sarei potuta divertire in quel modo ballando. Tutti quanti ridevamo e battevamo le mani a ritmo, e quando il giro delle coppie fu terminato e tutti tornammo con la formazione di partenza, ci prendemmo le mani e formammo un cerchio che cominciò a girare vorticosamente, fino a quando tutti rovinammo a terra ridendo a crepapelle.
Bard mi tese la mano per aiutarmi a rialzarmi e mi invitò al ballo successivo che era qualcosa di più normale di quel girone infernale a cui avevo partecipato prima. Era un ballo a coppie, in cui palmo contro palmo, si girava in tondo e poi vi erano delle certe torsioni da eseguire sempre con le braccia. Quando ci incartammo con le figure da eseguire, cominciammo a ridacchiare senza più riuscire a smettere fino alla fine del ballo.
Riempii due coppe di birra chiara e mi diressi verso il trono, dove Thorin era rimasto solo, ma guardava lieto tutti divertirsi alla sua festa.
«Mio Re, non ballate?», gli chiesi divertita mentre gli passavo la coppa di birra.
Lui mi rispose con un sorrisetto malinconico e mandò giù la bevanda. Lo imitai, ma sentendomi leggermente brilla, mi ripromisi di non bere più altro.
«Erewen, sono in debito con te. Ti devo la mia vita. Se non fossi sopravvissuta, non me lo sarei mai perdonato. Forse non meritavo tanto», disse Thorin tutto d'un fiato.
«Non dirlo neanche per scherzo, Thorin. Dopo tutto quello che hai passato, era il minimo che potessi fare. E lo rifarei altre mille volte, senza pensarci su, anche non avendo la garanzia di salvarmi. Reputo la vita dei miei amici più importante della mia e poi, guardati intorno! Ti saresti perso tutto questo, l'onore di poter governare una terra che ami, di poter riportare lustro ad Erebor, e soprattutto gli sguardi adoranti dei tuoi nipoti e il rispetto di tutto quelli che ti vogliono bene»
Thorin si alzò dal trono con gli occhi lucidi e mi raggiunse. Gli tesi la mano per suggellare ancora di più quell'amicizia e lui la strinse di rimando. Ma invece di mollare subito la presa, mi attirò a se e mi abbracciò.
«Ti ringrazio soprattutto per aver creduto in me quando non ero me stesso. E a proposito», disse sciogliendosi da quella calda stretta, «credo di non essermi comportato nel modo più appropriato in quell'occasione e di aver approfittato della tua debolezza e della tua disponibilità andando oltre e...»
«Thorin, non scusarti. Era una situazione particolare e sei stato trasportato da tutti i tuoi sentimenti che finalmente tornavano ad essere loro stessi dopo un tempo di cattività. E poi, ammettiamolo, è piaciuto ad entrambi. Avessi avuto la barba, ti avrei sposato»
Il sorriso di Thorin alle mie ultime parole fu contagioso.
«Strano come il destino ci abbia legati», disse, «Ti ricordi quel giorno ad Esgaroth?»
Appesa al collo aveva una catenella che tirò facendola scorrere tutta all'esterno. Uscirono fuori vari pendagli e lui ne tolse uno e me lo mostrò nella sua grande mano.
I miei occhi luccicarono quando riconobbero la spilla a forma di foglia di mia madre.
«Credevo di averla persa quando... Beh, quando te la lanciai contro», dissi ancora incredula.
«Da quel gesto ho subito capito la tua vera essenza, solo sono stato troppo orgoglioso per poterlo ammettere. Ho portato questa spilla sempre con me, promettendomi di restituirtela al momento giusto. Credo sia arrivato»
«Per me questo oggetto ha una valore incommensurabile, ma vorrei che lo tenessi tu come mio ricordo. Io ho le gemme e tu avrai la foglia argentea. Non resterò qui per sempre, partirò fin troppo presto, e vorrei che questa spilla ti portasse alla memoria la nostra avventura ogni volta che il tuo sguardo si poserà su di essa»
Annuendo, Thorin la riappese alla collana.
«La Terra di Mezzo ha bisogno di gente come te e anche come Bilbo Baggins: siete imprevedibili, ma scegliete di seguire la via del cuore, piuttosto che cedere a sotterfugi e macchinazioni»
«Non sempre è consigliabile, a volte seguire la via della testa fa meno male», ribattei riflettendo su quelle parole. Era il secondo re che mi faceva lo stesso discorso.
«Sicuramente, ma si avranno più rimpianti. Erewen, promettimi che qualsiasi cosa accadrà nel futuro, non cambierai il tuo modo di essere. Lasciati sempre guidare dall'amore che ti muove perché esso non ti tradirà mai. E ascoltalo sempre, anche nei momenti più difficili. Me lo prometti?», disse Thorin tenendo le mie mani strette nelle sue.
«Non posso giurare che non cambierò, non riesco ad essere così lungimirante. Non so cosa mi aspetta alla fine del cammino che sto per intraprendere, ma ti prometto che quando ne avrò più bisogno mi ricorderò delle tue parole. E allora seguire il mio cuore sarà più facile»
Thorin sembrò soddisfatto della mia risposta e mi lasciò andare le mani in segno di approvazione. Poi guardò oltre la mia spalla e s'irrigidì, assumendo una posa fiera.
Mi voltai per scoprire il motivo di quel cambiamento e tastai la sua stessa tensione mentre inquadravo il Re e il Principe degli Elfi Silvani di Bosco Atro che si avvicinavano.
Antichi fatti risalenti alla guerra dei Silmaril erano la base del motivo per il quale le due razze non si guardavano di buon occhio. Ma sperai che un futuro di amicizia fosse possibile per questi due popoli: Tauriel e Kili erano uno splendido esempio di come vecchi asti potevano essere superati. Thorin e Thranduil erano in pace al momento e sicuramente non la avrebbero spezzata, ma in cuor loro erano troppo orgogliosi per perdonarsi fino in fondo e quindi il testimone passava alle generazioni future. Pregai i Valar che la mia speranza non rimanesse solo una chimera.
I due inclinarono la testa rispettosamente e Thorin ricambiò il gesto.
Thranduil prese parola: «Mi dispiace interrompere la vostra conversazione, ma affari urgenti mi richiamano all'accampamento. Ci sono diverse battute di caccia all'orco da organizzare e i preparativi per la nostra imminente partenza devono ancora essere appuntati. Mi ritiro con metà dei miei Elfi, ma mio figlio rimarrà in mia vece»
Thorin liquidò quell'eccesso di zelo con un cenno della testa e Thranduil si congedò. Poi Legolas si rivolse a noi: «La musica che ascoltate in questo momento è un omaggio del mio popolo alla vittoria ottenuta»
Le note eteree si levavano dalle arpe e dai flauti elfici, riempendo la sala di un suono antico come il mondo. Le espressioni dei Nani, che non erano abituati a questo genere di musica, erano piuttosto annoiate, ma gli Elfi rimasti la ascoltavano con trasporto e alcuni di loro cominciarono a cantare dei bei versi sulla vittoria della Battaglia dei Cinque Eserciti, come era stata nominata la guerra appena terminata.
Quando il canto e le arpe cessarono la melodia, avevo i lucciconi agli occhi. Non riuscivo a credere di essere stata parte fondamentale di un pezzo della storia di Arda. Quella constatazione, tutte quelle celebrazioni, i discorsi su ciò che sarà, mi pesarono sul cuore come avevo in un qualche modo presagito in sogno. Boccheggiai oppressa da quel grave peso e cercai una via di uscita. Senza dare spiegazioni, attraversai la sala a passo spedito e mi diressi dritta verso la Porta Principale.
La mia pelle a contatto con la gelida aria invernale diventò pallida, quasi trasparente. Ma non sentii il bisogno di coprirmi, anzi, quel freddo era rigenerante e piacevole in confronto all'aria satura all'interno della Montagna. Non riuscivo a capire come i Nani potessero stare rintanati sotto metri e metri di pietra, quando la realtà all'esterno era così piacevole.
Guardai all'insù nella notte limpida: il cielo era ricoperto da milioni di stelle che scintillavano e pulsavano come se anche loro fossero in festa. Ammirarle mi fece stare meglio: era come se tutte le mie preoccupazioni si fossero sciolte nel silenzio del loro bagliore.
Elendínen.
Quel nome pronunciato da Gandalf mi era divenuto quasi estraneo dacché le mie orecchie si erano abituate al suono di Erewen. E prima di esso ne avevo adottato un altro, e prima di quello un altro ancora, anche se avevo sempre sostato per meno di tre lune piene nello stesso luogo. Fino ad allora, almeno. Ma il mio vero nome risuonava di me stessa, raccontando una delle rari parti della mia storia che non mi fosse celata.
Elendínen, Stella Silente, era l'appellativo che i miei genitori avevano scelto, poiché la notte in cui venni alla luce nessun vagito e nessun pianto uscì dalla mia bocca, tanto che in un primo momento si pensò che fossi nata morta. E testimoni della mia nascita furono le mute stelle, che in quella data splendevano come non mai sulla foresta che fu la mia prima casa. E così i miei genitori, mirando prima il mio viso sereno e poi gli astri, decisero che quel nome doveva essere mio.
E adesso la situazione era simile, anche in quell'ora per me grave scrutavo il cielo chiedendo muto asilo: la via per ritrovare il passato perduto era segnata, ma quella per il futuro? Avevo appena promesso a Thorin di seguire il mio cuore e questi adesso parlava sottovoce indicandomi una persona: potevo spingermi tanto quando non sapevo cosa avrei scoperto? E potevo comunque aspirare a così tanto alto lignaggio? Gli occhi fissi sulle stelle chiedevano un piccolo segno e...
Sobbalzai quando qualcuno mi depose sulle spalle la mia cappa che avevo dimenticato di raccogliere prima di uscire fuori.
«Non vorrai ammalarti di nuovo, spero. Le notti trascorse a vegliare su di te sono state invero penose», disse Legolas mentre mi sistemava la mantella.
Prima che ritraesse le mani, gli bloccai un braccio sulle mie spalle, proprio lì dove mi aveva appuntato la cappa, appoggiandogli la mia mano destra sulla sua. Legolas, non respinse la mia idea, anzi, intuendo il mio desiderio, mi strinse più forte in quell'abbraccio facendomi sentire protetta nel suo calore.
«Gandalf mi ha riferito della tua costante vigilanza. Mi dispiace averti causato tante difficoltà, ma ti ringrazio dal profondo del mio cuore»
«Sarei pronto a ripetere l'esperienza ora stesso e all'infinito, ma sarei più lieto di combattere accanto a te ogni singolo giorno piuttosto che saperti inerte su di un lettino. E ti custodirei ancora meglio, sapendoti in salute e cosciente»
Era il suo modo confuso di dirmi che era felice di vedermi tra i vivi o vi era sottinteso qualcos'altro? Giacché non poteva vedermi il volto dato che mi teneva un braccio sulle spalle da dietro, mi abbandonai ad un sorriso a quell'idea.
«Legolas, le tue parole prima a Dale e adesso qui, mi hanno dato motivo di pensare... Oh, per tutti i Valar! Non riesco ad esprimere ciò che voglio dire, anzi non oso nemmeno sperare che ciò che ho pensato possa coincidere alla realtà. Del resto non ci conosciamo, ci siamo solo visti in rare e incerte occasioni. Ti prego, perdonami, ho straparlato, non volevo disorientarti con le mie riflessioni confuse», mi morsi l'interno del viso per quel discorso senza senso.
Legolas mi pose le mani su entrambe le spalle e mi fece girare verso di lui. Il cielo stellato si stagliava dietro le sue spalle e i suoi lunghi capelli dorati si muovevano dolcemente seguendo il vento leggero. Era una visione incantevole e pensai che non avevo mai visto creatura più bella. Distolsi gli occhi dal suo viso in cui splendevano i suoi occhi azzurri brillanti e guardai in basso, sentendomi quasi a disagio davanti alla magnificenza di così antica stirpe. Notando quel gesto, Legolas mi prese il mento tra le dita e mi sollevò la testa costringendomi a guardarlo di nuovo. Un sorriso si allungò sulle sue labbra e poi disse:
«Quando ci siamo incontrati per la prima volta in quella triste ora a Pontelagolungo ho capito che non eri una donna comune come tutta la stirpe mortale. Ho capito che eri una donna coraggiosa, una guerriera e questo ha mosso in me un grande rispetto. Ma quando ti ho vista di nuovo tra le rovine di Esgaroth, dopo l'attacco del Drago, e ti ho guardato negli occhi, qualcosa è scattato in me e mi sono sentito come se Amroth avesse ritrovato la sua tanto sospirata Nimrodel. E anche se non l'ho dato a vedere, è stato difficile dipartirmi da te, perché forte era il desiderio di sondare in profondità quegli occhi in cui sembra riflettersi un vissuto così lungo e solitario tanto da cozzare con il tuo viso giovane e fresco. Oh, e l'averti ritrovata nuovamente a Dale e poi averti quasi persa per sempre è stato così penoso da sopportare! Perché se me ne darai la possibilità vorrei passare ogni singolo giorno della tua fugace vita a scoprire i reconditi segreti di quel tuo sguardo profondo e stellato al contempo».
I miei occhi si riempirono talmente tanto di lacrime da vedere tutto sfocato. Quando si liberarono da quelle gocce di felicità mista ad amarezza, mi accorsi che Legolas si era avvicinato di più e che i nostri diademi quasi si sfioravano. Sentii allora che dovevo confidarmi con lui, perché non volevo rovinare tutto. Perché sì, anche io al solo vederlo sentivo lo stesso desiderio e mi pareva di conoscerlo da sempre. Forse perché dentro di noi ardeva un fuoco simile e impetuoso, che ci permetteva di leggere con facilità i nostri sguardi.
«Legolas, non voglio più illuderti e voglio rivelare a te ciò che ho sempre tenuto celato al mondo intero. Non conosco le mie origini, non so da chi o cosa discendo, ma so di non appartenere alla razza degli Uomini, altrimenti non si spiegherebbe un vissuto così lungo. Perché quello che hai notato nei miei occhi corrisponde a verità: vivo da lungo tempo e talmente è stato lungo il mio vissuto che ho perso il conteggio degli anni. Ma tutta questa lunga esperienza non ha mai intaccato il mio aspetto fisico, che da quando è giunto a piena maturità è sempre rimasto lo stesso. Non riesco a spiegarmene i motivi, dato che non sono un'elfa, e da qui è derivato il mio perenne peregrinare per la Terra di Mezzo, sotto copertura e falsi nomi. E se te lo stessi chiedendo, Erewen non è il mio vero nome, ma rispondo all'appellativo di Elendínen. Oggi Mithrandir mi ha dato nuove speranze: conosce qualcuno che può fare luce sulla mia situazione, ragion per cui partirò appena possibile per un viaggio alla riscoperta delle mie origini. Ecco, è tutto. Sono un'incognita, non ti biasimerei se ti rimangiassi le tue belle e gradite e totalmente corrisposte parole»
Legolas rimase impassibile mentre gli riferivo tutte le verità di cui ero a conoscenza. Appena finii di parlare si illuminò in volto, quasi avesse avuto una grande rivelazione. Mi passò le dita tra i capelli, portandoli tutti all'indietro. Poi la sua mano destra si fermò sulla nuca e carezzandomi in quel luogo continuava a ripetere “Elendínen” ad alta voce, tanto da trasformare quel nome in musica.
«Elendínen... Mi piace il suo suono e ti si addice molto di più. Per quanto riguarda il resto, potrai anche essere più vecchia di me, ma questo non cambia ciò che provo. Elendínen, io non faccio parte del tuo passato, ma lo accetto a prescindere, qualunque esso possa rivelarsi. Io vorrei fare parte del tuo presente e del tuo futuro, e se me lo permetterai, vorrei esserti accanto e farti da cavaliere in questo tuo importante viaggio. Permettimi di entrare nella tua vita, permettimi di gioire nell'aver ritrovato la mia cara Nimrodel»
Non riuscivo a credere a ciò che le mie orecchie avevano udito e allegra come una bambina nel giorno del suo compleanno, risposi:
«Oh, Legolas! Sono così con...»
Ma lui non mi permise di dire altro, dato che suggellò quelle parole con un bacio. Ah, come fu dolce e come venne ampiamente ricambiato dalle mie labbra!
E così rimanemmo nella notte, con le vesti argentee che luccicavano a guisa di stelle. Era un epilogo che Amroth e Nimrodel avevano tanto agognato, ma che noi eravamo riusciti a conseguire.
Per una volta le stelle mi avevano dato una risposta.