Elendínen, una storia inaspettata - Capitolo VII, Dago 'ni ngurth!

Jun 03, 2015 19:29

Un saluto a tutti i miei lettori!
Sembra che io non sappia rispettare le scadenze, ragion per cui non vi farò più promesse del genere. L'unica cosa che vi prometto è che finirò questa storia, anzi, ho in progetto qualcosa di molto importante per questo personaggio che vi rivelerò solo alla fine di questa prima avventura.
Vi avverto, il capitolo è decisamente lungo, ma non ho voluto spezzarlo per non rompere il ritmo della narrazione: a voi la scelta di leggerlo tutto di un fiato, oppure di dividerlo in più letture.
Ecco due belle soundtrack che possono accompagnare questa storia: Beyond Sorrow and Grief e Ironfoot.
Ah, un'ultima cosa! Data la lunghezza del capitolo, non garantisco per la correzione assoluta di quel che leggete: ho riletto ed editato molte volte questo testo, ma se notate errori di ortografia, di grammatica o di continuità, siete pregati di farmelo notare nei commenti, così da poterlo sistemare per bene.

Titolo: Elendínen, una storia inaspettata
Capitolo: 7 - Dago 'ni ngurth!
Capitoli precedenti: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6

«Non abbandonate il muro per nessuna ragione! Restate qui, bisogna difendere la Montagna!», continuava ad urlare Thorin ai suoi mentre mi trascinava con sé verso la sala del trono.
«Non capisci! Qui non si parla più dell'oro di Erebor! Non volevamo dirtelo in questo momento, ma abbiamo scoperto che Azog il Profanatore ha riunito gli Orchi di Dol Guldur per marciare contro la Montagna! Dobbiamo fermare quella follia che sta accadendo lì fuori e prepararci a far fronte comune contro una minaccia ben più grave!»
«Ragione in più per restarcene chiusi qui dentro. Anche loro avanzano pretese sull'oro. Devo portarlo al sicuro. Ci sono camere nascoste che giacciono in fondo, dove non possono essere scovate...»
Niente da fare, Thorin continuava a pensare al suo tesoro, travisando del tutto le mie parole.
Mentre era distratto a rimuginare su come fare a spostare il suo oro, mi liberai dalla sua presa con un violento strattone. Lui mi guardò con occhi increduli, quasi offeso per il mio gesto.
«Da quando abbandoni la tua gente? Da quando non t'importa più delle tue terre? Ti prego, ritorna in te! Se gli Orchi vogliono la Montagna è per un disegno molto più grande: non riesci a capire? È un segno che il Nemico sta riacquistando le sue forze! Conquistare la Montagna equivale ad avere il potere sulle terre del nord e all'essere ad un passo da Angmar. Non possiamo permetterlo! E chissà, forse mentre ce ne stiamo qui a discutere, loro hanno già sferrato l'attacco contro due eserciti impreparati. Molti moriranno massacrati! Il nostro contributo è importante! Scendiamo in guerra, ma per una giusta causa!»
Dissi quelle parole con foga, sperando che lo stesso ardore potesse infondersi in lui e abbattere quel muro egoistico che la Malattia del Drago aveva innalzato.
Ma vano fu quel discorso, dato che, con voce calma e quasi distaccata, così mi rispose:
«Molti sono caduti in guerra e molti altri ne continueranno a cadere. Ma un tesoro di questa portata non può essere paragonato a delle vite perse. Questo oro vale ogni loro sacrificio e io intendo preservarlo a modo mio, che ti piaccia o no. Tu vaneggi di un probabile ritorno del “Nemico”, io invece ti assicuro dell'avidità di chi sta lì fuori. Saranno pur riusciti a plasmare il tuo cuore con belle parole, ma il mio non cede davanti a vuote minacce. Tutti avanzano una qualche pretesa sui miei possedimenti come se fossero già di loro proprietà. E uno di loro in particolare non si tirerà indietro fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole».
E mentre finiva l'ultima frase il suo sguardo si posò sulle gemme che mi ornavano il capo. E quella sua occhiata fu più esplicita di mille parole: molti tasselli finalmente si collegarono l'uno con l'altro e riuscii a capire una parte del suo folle piano.
«Ti credevo migliore, Thorin. Tu e Thranduil vi odiate così tanto da comportarvi in modo sciocco e infantile. Lottate per dei vani luccichii, quando potreste non vedere più gli eterni splendori dei doni dei Valar», poi mi sfilai il diadema dai capelli e lo tesi davanti a me a due centimetri dal volto di Thorin, «Credevo che questo dono mi fosse stato offerto con affetto e invece devo ricredermi. Era tutto stato pensato come un oltraggio al Sire Elfico, dato che queste sono le gemme che lui desidera. Non è vero, Thorin?»
Il nano non rispose a parole, ma i suoi occhi non riuscivano a fissare un punto fermo a conferma del disagio che questa ignobile verità aveva causato.
La mia voce non riusciva più a nascondere la rabbia e così risuonò: «Non riesci a negarlo. Quand'è così non so cosa farmene, mi hanno già attirato parecchie antipatie che non volevo causare», e con un gesto secco gettai il diadema sul pavimento. La tiara non si danneggiò, né le gemme si sganciarono dalle loro culle, a riprova della maestria dell'arte nanica.
Thorin guardò il diadema che brillava sui freddi lastroni della Grande Aula e i suoi occhi gonfi di lacrime luccicarono a loro volta pieni di rammarico.
Quel gesto evidentemente lo ferì più di un dardo avvelenato, tanto che per reagire si affidò alle sue armi. Mi puntò la spada contro e io non potei fare altro che arretrare visto che ero disarmata. Andai sempre all'indietro fino a quando le mie spalle non incontrarono una colonna e mi dovetti fermare.
Allora Thorin esordì: «Non osare più parlarmi in quel modo e comportarti come se avessi davanti un qualsiasi volgare nano. Il mio nome è Thorin Scudodiquercia, figlio di Thrain, figlio di Thror. Qui io sono il tuo re. Io sono il loro RE!», gridò alla fine.
«Sei sempre stato il loro Re. E lo eri già anche per me», dissi quasi in un soffio.
«Basta, basta, BASTA! Lo avevo già pensato e adesso mi costringi ad agire di conseguenza».
Prese una corda e mi legò stretta alla colonna. Potevo anche reagire, ma decisi di non sfidare più quella follia. Alla fine il Drago aveva vinto.

Rimasi ancorata a quel pilastro per un tempo che mi sembrò infinito. Dalla Grande Aula riuscivo a sentire le urla di guerra e anche delle vibrazioni che sembravano provenire dalle viscere della terra. Quei rumori mi preoccupavano, non credevo che fossero provocati solo dai due eserciti rivali, doveva essere successo qualcosa di ben più grave: che gli Orchi fossero già arrivati? Mille preoccupazioni mi strinsero il cuore: ero allarmata per il fato di tutti, di Bard, Bilbo e Gandalf, che si trovavano sul territorio di scontro, per Thorin e i dodici Nani che si erano autobarricati al centro delle contese, per Legolas e Tauriel che erano andati a spiare le mosse nemiche senza aver preso le giuste precauzioni. Forse mio padre aveva ragione quando mi consigliava di rimanere sempre sulle mie e di non prendere parte alle grandi questioni; ero riuscita a seguire le sue dritte fino a qualche giorno fa: perché avevo cambiato modo di agire? Non seppi rispondere a quell'innocente domanda, ma sapevo solo che tutte le persone che mi stavano a cuore erano coinvolte in tutto quel grande fracasso e non avevo il diritto di tirarmi indietro senza rimanere al loro fianco. Se loro fossero caduti, li avrei seguiti di conseguenza. Forse non avrei mai saputo qualcosa riguardo le mie origini, ma avevo imparato che non aveva senso sapere chi fossi stata in passato se non avevo qualcuno con cui condividere quelle scoperte. Quella, da circa cinque anni, era diventata la mia vita, il mio ruolo nella Terra di Mezzo, e per niente al mondo sarei ritornata alla vita da solitaria raminga pur di riuscire a salvarmi e capire chi fossi. Sapevo per certo che solo qualche giorno prima avevo formulato un pensiero completamente opposto, ma la situazione si era evoluta ed io ero cresciuta insieme ad essa. Era arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità e difendere le persone e la terra che amavo.
«Costa sta succedendo qui? Erewen! Non dirmi che...»
Kili era entrato nella sala del trono e mi aveva riscosso dalla monotonia dei miei pensieri. Aveva un'espressione a metà tra l'arrabbiato e lo sconvolto. Si avvicinò alla colonna e cominciò ad ispezionare la corda in cerca dei nodi.
«Kili, non farlo! Peggioreresti la situazione!»
«Ma Erewen, mio zio non ha il diritto di farti questo! Tu potresti guidarci in battaglia! Non sai cosa sta accadendo lì fuori!»
«O Ilúvatar! Non dirmi che gli Orchi sono già arrivati!», esclamai piena di angoscia.
«Sì! Azog li ha schierati contro la Montagna e gli eserciti degli Elfi e dei Nani si sono coalizzati per difenderla. Mentre gli Uomini sono tornati a Dale per proteggerla da un attacco contemporaneo alla città. E non è finita! Il Profanatore ha sguinzagliato anche i Mangiaterra. Ti prego, fatti liberare e guidaci tu!»
Leggevo la disperazione e la vergogna negli occhi di quel giovane nano. Tutto stava andando come malauguratamente previsto e in più anche i Mangiaterra si erano svegliati. Tuttavia la mia risposta non poteva essere del tutto positiva:
«Non posso farvi scendere in guerra, non ne ho il diritto. Non sono un capo militare e Thorin è il vostro Re: non posso schierarvi contro il suo valore. E non slegarmi! Che gli sia da monito per il suo comportamento! Non disperare, Kili! Non disperate! Ho fiducia in Thorin, riuscirà a capire i suoi sbagli. E adesso vai dagli altri, infondi loro coraggio e tenetevi pronti a tutto!»
Kili annuì con la testa e andò via più rincuorato.
Ma se forse ero riuscita ad infondergli un po' di coraggio, di sicuro lo avevo tutto prestato a lui. Thorin sarebbe ritornato in sé, me lo sentivo, ma le ore a sua disposizione si stavano esaurendo: sarebbe riuscito a riscuotersi in tempo?

Trascorse un altro lasso di tempo che mi parve consistente, dato che ero arrivata al punto di non saper affermare se fossi rimasta in quello stato per pochi minuti o per ore intere. Stavo cominciando a pentirmi di aver mandato via Kili, se fosse rimasto almeno avrei avuto qualcuno con cui parlare, quando sentii l'inconfondibile passo di Thorin avvicinarsi. Allora mi preparai ad un altro possibile diverbio e cercai di celare la mia insofferenza con un'espressione tenace.
Venne verso di me, con la sua andatura fiera, e sembrava aver preso una decisione incontestabile. Mi si fermò davanti e, benché fosse un nano, riuscì a farmi sentire piccola grazie al suo portamento regale. Senza dire una parola, sguainò la spada affilata e la alzò, pronto a sferrare un colpo mortale.
Sgranai gli occhi, pensai a come era stata la mia vita e come sciocca potesse essere quella morte.
Non dissi nulla, chiusi gli occhi e aspettai di sentire il ferro abbattersi sulla mia carne.
La lama si abbassò, con un colpo netto e preciso.
Non sentii dolore, ma ebbi la sensazione di cadere in avanti.
Aprii gli occhi.
A terra giacevano dei legacci spezzati.
Ero libera. Thorin aveva tagliato le corde che mi tenevano prigioniera.
Caddi sulle ginocchia e la tensione esplose tra lacrime e singhiozzi.
«Dama Erewen, non piangere! Non sono ancora caduto in guerra e non voglio che tu mi compianga prima del tempo», disse Thorin abbozzando uno di quei rari sorrisi.
Al che lo guardai dritto negli occhi e, pur avendo la vista appannata, notai che qualcosa era cambiato. Anzi, che era tornato al suo posto.
«Le tue parole, quello che tu e Bilbo avete fatto a mia insaputa, hanno cacciato via quello che il Drago aveva insinuato nella mia mente. Riconosco di essermi comportato in modo ignobile ma, finché c'è tempo, vorrei rimediare ai miei errori. Hai gettato quel diadema a terra ed è stato come ricevere uno schiaffo morale: quel gesto mi ha svegliato, mi ha spronato a combattere una lotta interiore e a vincerla. Quindi l'unica cosa che posso dirti è “grazie”»
«Sapevo che saresti riuscito a sopprimere l'oscurità dal tuo cuore, Thorin! E non hai alcun bisogno di ringraziarmi: la chiave di tutto era dentro te stesso, bastava solo scavare un po'»
«Ma non ci sarei mai riuscito senza la giusta motivazione»
Detto ciò, ancora infervorato dalla riuscita ricerca di se stesso, mi attirò a sé e mi baciò. Fu un gesto che mi giunse completamente inaspettato e che lasciai che mi vincesse, come se fossi totalmente in balia della corrente di un fiume.
Forse utilizzare troppe parole non è saggio per descrivere un attimo fugace, ma quella fu la sensazione.
«“Grazie” mi era sufficiente!», dissi ancora basita, ma con un sorriso che non riusciva più a scomparire dalla mia faccia, «Sicuro di stare bene?», lo punzecchiai divertita.
«Mai stato meglio!», rispose Thorin con un altro di quei piacevoli sorrisetti.
«Andiamo, gli altri ci aspettano! Lì fuori sta succedendo ciò che avevamo presagito», dissi dovendo purtroppo riportare il tutto alla triste realtà.
Mi alzai e feci per andarmene. Ma Thorin mi richiamò:
«Non dimentichi qualcosa?»
Il padrone di Erebor si chinò e raccolse il diadema.
«Thorin, no. Non voglio indossare qualcosa che non è destinato a me e che simboleggia la rivalità tra due popoli»
«Hai ragione, forse nella mia follia te l'ho donato principalmente per indisporre il Re degli Elfi, per fargli capire che non lo reputo con la stessa importanza con cui egli considera se stesso. Ma in questo dono vi era una parte del vecchio Thorin e non potrei immaginare un altro viso incoronato da queste gemme. Dammi l'opportunità di poter rinnovare i miei omaggi»
Allora mi chinai nuovamente e lui mi sistemò la tiara tra le trecce.
«Adesso possiamo andare. Facciamo vedere a Thranduil e agli Orchi che il meglio viene sempre per ultimo».
E ci incamminammo verso il muro.

I nani erano evidentemente in subbuglio. Erano sbandati e non sapevano come agire. Alcuni guardavano ciò che accadeva fuori attraverso le fessure del muro, altri camminavano lì vicino per smaltire l'agitazione.
L'entrata di Thorin bastò a riunirli tutti intorno a lui. Io me ne stetti discretamente indietro: era una questione che dovevano sbrigarsi da soli, senza bisogno che un'estranea si mettesse in mezzo.
Kili non diede tempo a Thorin di parlare, che lo precedette:
«Non mi nasconderò dietro ad un muro di pietra mentre altri combattono la nostra battaglia al posto nostro. Questo non è nel mio sangue, Thorin!», quasi gridò l'ultima frase.
Non avevo mai visto Kili così arrabbiato, e forse la sua collera derivava dal fatto che un suo parente stretto, suo zio, l'avesse deluso così tanto non tanto come re, ma come “padre”.
«No, non lo è», rispose Thorin, «Tu sei un figlio di Durin, e i Durin non fuggono mai da una battaglia», poi si rivolse a tutti, «Non ho nessun diritto di chiedervi una cosa del genere... Ma, mi seguirete un'ultima volta?»
La compagnia era stata colta di sorpresa da quelle parole ma Kili, che era il più giovane e il più impulsivo, si illuminò in volto come non avevo mai visto in quei giorni trascorsi in sua compagnia. Con un sorriso contagioso, andò in contro a Thorin e gli disse:
«Zio, sei tornato!»
«Sono sempre stato qui», gli rispose Thorin, abbassando la testa sulla fronte del nipote in segno di affetto.
Quel gesto fu talmente coinvolgente da farmi sorridere come una sciocca, mentre gli altri nani ebbero la conferma che il loro Re finalmente si comportava da tale. Allora la compagnia gridò in coro grida di assenso e di guerra.
Dunque Thorin concluse il suo discorso:
«Preparate le vostre armi e sfondiamo il muro».

Tutti facemmo leva per aprire una breccia nel muro. Anche se era stato costruito di fretta e con materiali di recupero, il muro era piuttosto solido. Ma con gli attrezzi giusti e con la giusta motivazione riuscimmo a buttarlo giù. Proprio in contemporanea, Bombur suonò il grande corno di Erebor: il suono gutturale e antico risuonò per tutta la valle. Non appena l'ultima pietruzza si frantumò, uscimmo fuori, capitanati da Thorin Scudodiquercia.
La luce del giorno, seppure offuscata dai fumi della guerra, si rifletteva sulla nostre armature facendole luccicare agli occhi nemici. Al grido di “Du Bekar!” lanciato da Thorin, caricammo su ogni Orco che trovammo sulla nostra via. All'inizio, presa dalla furia dell'attacco, non notai gli schieramenti e chi era rimasto a difendere Erebor. Ero come in modalità berserker e, accecata da una rabbia repressa, facevo strage di qualunque immonda creatura mi si parasse davanti. Poi pian piano, dopo essere avanzata per un bel po' e aver ucciso parecchi Orchi, cominciai a calmarmi e a fare il punto della situazione. La Compagnia di Thorin sembrava al momento integra ed eravamo tutti piuttosto compatti e vicini, tanto è vero che mi trovai spalla a spalla con Thorin. Pochi Elfi erano rimasti a combattere e non vi erano tracce di uomini, se non tra i caduti. L'esercito di Dáin era ancora schierato e nell'euforia del momento si era riunito tutto attorno a Thorin, il loro Re, rompendo ogni ordine prestabilito. Thorin aveva dato un incentivo a tutti i Nani, motivandoli ancora di più a combattere in difesa delle loro terre. Nella nostra posizione vi era un momento di relativa calma, dato che avevamo abbattuto tutti gli Orchi delle vicinanze, ma Azog, al sicuro su Collecorvo, stava già dando segnali alle oltre orde per continuare la carica.
Dáin approfittò di quell'attimo di stallo per avvicinarsi a Thorin e si salutarono abbracciandosi.
«Perché hai impiegato tutto questo tempo ad uscire? Spero che almeno avrai un piano», lo interrogò Dáin. Poi mi lanciò un'occhiata interrogativa, ma non c'era tempo per spiegare tutto e quindi lo accolsi con un sorriso cordiale.
Thorin, guardò in direzione di Azog e rispose: «Un piano dici? L'ho sempre avuto: tagliare la testa alla serpe», e i suoi occhi lampeggiarono di odio.
«Bene, raduna i tuoi migliori, noi dobbiamo rimanere per difendere Erebor», lo appoggiò Dáin.
«Thorin, è pericoloso!», dissi, «Non puoi farcela da solo con pochi dei tuoi. Fammi cercare qualcuno disposto ad aiutarti a Dale!»
«Erewen, non posso aspettare. Io, Fili, Kili e Dwalin andremo a Collecorvo adesso. Tu prova a cercare aiuto, ma dubito che ne troverai», e insieme guardammo in direzione di Dale.
Dalla città si levavano alte fiamme e sembrava come sanguinare da mortali ferite. Il mio pensiero allora andò a Bard e alla sua famiglia, e sentii ancora di più l'urgenza di recarmi in città, anche solo per sapere se loro fossero ancora vivi.
«Va bene, allora ci vediamo a Collecorvo. Ci troveremo, vero? Non essere impetuoso, te ne prego»
«Potrei dire lo stesso a te. Ma spero ci sarai quando ucciderò quel pezzo di letame», e si diresse verso i suoi.
Stavo proprio per chiedermi come avrei fatto a raggiungere Dale e poi Collecorvo ad una velocità accettabile, quando sentii un nitrito provenire da dietro le mie spalle. Un cavallo dal manto fulvo arrivava imbizzarrito verso di me ed io, cogliendo l'attimo, gli andai in contro per placarlo. Riuscii a calmare la povera creatura parlandole in Alto Elfico e lentamente si ammansì. Notai che aveva la sella insanguinata e che molto probabilmente il suo cavaliere era perito in quel terribile scontro. Non avevo tempo per essere schizzinosa o per togliere le imbracature, visto che un'altra ondata di Orchi si avvicinava. Dunque mi tenni pronta con arco e frecce, montai a cavallo e mi diressi a sprone battuto verso Dale.

Ero arrivata sul ponte d'accesso a Dale, quando percepii che qualcun altro mi seguiva a cavallo a poca distanza, quindi guardai dietro per vedere se si trattava di un volto amico o nemico. Il mio cuore si riempì di gioia quando riconobbi i due elfi che cavalcavano a poca distanza. Allora rallentai leggermente l'andatura del mio destriero in modo da farmi affiancare da loro. Quando si allinearono li salutai:
«Tauriel, Legolas! Ce l'avete fatta! Mae govannen![felice di rivedervi]»
«Cormamin lindua ele lle!», “il mio cuore canta vedendoti” disse Legolas, «Devo confessare che in un primo momento non ti avevo riconosciuta, quell'armatura e quelle gemme che rechi sulla fronte mi avevano fatto credere che fossi un'elfa», continuò mentre governava il suo bianco cavallo da dietro Tauriel, «Entriamo in città, purtroppo non ho buone notizie da riferire».
Appena entrammo in Dale un brutto spettacolo ci fece ammutolire.
Colpito da molteplici frecce, giaceva a terra quella bellissima creatura che fungeva da nobile destriero a Thranduil. Non vi era traccia del suo Re, ma attorno vi aleggiava morte e disperazione. Molti erano i caduti, tra Orchi, Elfi e Uomini mentre Dale cadeva a pezzi, corrosa dalle fiamme e dal tanfo dell'appestato sangue di quegli infimi esseri.
Con Legolas e Tauriel, ci recammo al trotto verso il cuore della città, ansiosi di portare notizie a chi era ancora in vita e deteneva il comando. Io non facevo altro che guardarmi intorno, in cerca di quel volto che mi era stato così familiare negli ultimi anni. E mi sembrò di scorgerlo, guida dell'ultima resistenza di Dale, vicino alla Piazza del Mercato. Urlai il suo nome e un uomo si voltò: Bard era ancora vivo. Lo vidi dare dei comandi a un altro che gli era vicino e poi correre per raggiungermi. Allora frenai il cavallo, imitata dai miei due compagni, e smontai.
Ci abbracciammo, entrambi contenti di essere ancora vivi per poterlo fare.
«Come stanno i ragazzi?», gli chiesi apprensiva.
«Mentirei se ti dicessi che va tutto bene, dato che le circostanze non sono tra le più felici, ma sono al sicuro e si guardano le spalle a vicenda»
«E Gandalf e Bilbo?», gli domandai.
Bard si guardò intorno, come se avesse perso qualcosa che qualche istante prima aveva davanti.
«Chi chiede di me?», Gandalf, sentendosi preso in causa, fece improvvisamente capolino da dietro una casa, seguito da Bilbo che mi lanciò mezzo sorriso quando mi vide. «Ah, Dama Erewen! E ha portato compagnia, a quanto vedo. Verdefoglia, salute! Che notizie ci recate?», continuò lo stregone.
«Erewen, le mie supposizioni erano giuste», disse Legolas, dapprima rivolgendosi a me e poi continuò parlando a tutti, «C'è un'altra armata in arrivo. Un gruppo di Orchi è quasi su di noi ed è partito da Gundabad alla guida di Bolg. Sono riusciti a precederli, ma credo non di molto»
«Era il loro piano sin dall'inizio e nessuno ci ha dato ascolto. Dapprima Azog ha esaurito le nostre forze, ora suo figlio Bolg appare dal Nord», commentò Gandalf.
«Nord? E dov'è il Nord esattamente?», chiese Bilbo.
«Collecorvo», rispondemmo io e Gandalf in contemporanea.
«Thorin ha portato i migliori combattenti, Fili, Kili e Dwalin, a Collecorvo. Intendono uccidere Azog, ma non sanno niente di Bolg. Saranno schiacciati senza pietà da un'imboscata così numerosa. Sono venuta qui a Dale in cerca di qualcuno disposto ad aiutarlo in quest'impresa. Adesso bisogna agire in fretta», dissi a quel piccolo pubblico.
Alle mie parole tutti si allarmarono, soprattutto Bilbo e Tauriel, il primo perché aveva condiviso quasi un anno intero insieme a Thorin e i suoi compagni, la seconda aveva il suo pensiero sicuramente rivolto a Kili. A tutti i presenti, per un motivo o per un altro stava a cuore la riuscita di quell'impresa.
«Allora, mentre Erewen cerca rinforzi, io andrò ad avvertirli», fu l'inaspettata proposta di Bilbo.
«Non essere ridicolo! Non arriveresti mai a Collecorvo», lo canzonò bonariamente Gandalf.
«Perché no?», s'impuntò Bilbo.
«Perché ti faresti catturare o anche peggio»
«Non lo faranno perché non mi vedranno arrivare», puntualizzò lo hobbit.
«Garantisco per la sua invis...ehm...“segretezza”. È bravo in questo genere di azioni», dissi cercando di appoggiare Bilbo.
«È fuori discussione. Non posso lasciarlo andare», replicò Gandalf.
«Non ho chiesto il tuo permesso, Gandalf!», e Bilbo si voltò e imboccò la prima via a sinistra. Lo seguimmo e quando imboccammo l'angolo non vi era più traccia dello hobbit. Gandalf sembrava quasi più preoccupato per quella strana sparizione che per la difficile missione che il mezzuomo si era imposto. Probabilmente non sapeva dell'anello “magico” e non toccava a me rivelarlo.
«Non c'è altro tempo da perdere», incalzai, «Chi è disposto a seguirmi a Collecorvo?».
Legolas e Tauriel assentirono, ma Bard scosse la testa.
«Ery, non posso lasciare la mia gente, soprattutto se aspettiamo un altro esercito di Orchi. Qualcuno deve difendere Dale e tu vali già cento dei miei uomini migliori: anzi, egoisticamente ti vorrei qui a lottare insieme a me, ma capisco che la situazione a Collecorvo sia ben più critica. Se cercate altri guerrieri, forse Re Thranduil può aiutarvi. È qui nei paraggi, non sarà andato lontano».
Percepii il corpo di Legolas rilassarsi a quella notizia, entrambi avevamo pensato il peggio avendo visto l'alce abbattuto.
«Adesso devo ritornare dai miei. Ery, per favore, sii gentile con quelle povere creature», mi lanciò una di quelle sue occhiate complici e andò via.
«Io vado a cercare un altro tipo d'aiuto invece. Cercherò di raggiungervi il prima possibile. Non perdetevi d'animo e andate presto da Thranduil», e anche lo stregone si congedò.
Non rimaneva altro che cercare il Re di Bosco Atro.

Ci dividemmo. Tauriel preferì andare da sola e perlustrava le vie sulla sinistra, mentre io e Legolas eravamo sulla destra. Alle volte degli sparuti gruppetti di orchi ci assalivano, ma era facile liberarsene grazie alle nostre abilità combinate. Camminavamo in fretta, quasi correndo, dato che ogni singolo istante era prezioso sia per le sorti della guerra, che per le vite di Collecorvo.
Avevamo appena ucciso due orchi, quando sentii il bisogno di confessare a Legolas il piccolo alterco che avevo avuto con suo padre. Dopo avergli raccontato l'episodio, aggiunsi:
«Mi dispiace dal profondo del cuore aver parlato in quel modo ad un saggio tra gli Elfi, tuttavia quel giorno la sua saggezza non mi si è rivelata. Ma c'è una frase che mi ha detto che credo di non aver capito fino in fondo: “possiedi troppi beni che io desidero e dovrai presto farne i conti”. All'inizio avevo pensato a qualcosa di materiale ed ero pure riuscita a capire a cosa potesse riferirsi. Poi, riflettendoci su, ho capito che non si riferiva solo ad un oggetto o ad un bene tangibile, ma anche a qualcosa di più elevato e... Oh, come sono stupida! Non dovrei parlarti di questo, avrai già i tuoi problemi e sicuramente non è il momento più adatto per discuterne»
Legolas sorrise e mi rispose: «Potrebbe essere anche l'unico momento in cui parlarne. In tempi di guerra anche il più longevo tra gli Elfi deve approfittare del più piccolo tra gli istanti. Sono lieto che tu abbia sentito il bisogno di parlarne con me, con qualcuno che potresti considerare un perfetto estraneo. Ma anche io sento che potrei dirti tutto e affiderei nuovamente a te la mia vita senza nessuna esitazione. Non so interpretare obiettivamente le parole di mio padre, perché non riesco a vederle dalla tua prospettiva. Per come le vedo io, sono chiare e limpide come l'acqua di un fiume sacro, ma non posso influenzarti con il mio pensiero. Ti dico solamente che mio padre riesce a vedere più a fondo di altri, leggendo nei cuori delle persone che gli stanno davanti e di quelle che gli sono care»
«Mi riservi sempre delle belle parole, ma devo confessarti che non hanno sciolto il mio dubbio», replicai sincera.
«Fanciulla Solitaria, è il tuo cuore che devi interrogare, non me. È l'unico vero confidente che saprà risponderti con esattezza. Se poi vuoi confrontare quella risposta con qualcuno, io sono qui per consigliarti. Io l'ho sempre seguito, anche se a volte sono rimasto da solo e ho deluso parecchi»
«Tieni molto a Tauriel, vero?», dissi impulsivamente, ma mi morsi subito la lingua per la mancanza di tatto.
Lui prima guardò a terra e alzò un sopracciglio. Poi parlò: «Non posso certo negarlo, ma non è più come prima. La rispetto come creatura di Eru, ma è inutile volgere il proprio cuore ad una porta chiusa. Lei ha scelto da che parte stare e non ci troviamo più nella stessa sponda del fiume. Ma non voglio intralciarla, adesso sono in cerca della chiave per aprire un altro cancello: chissà, forse questa volta potrei essere più fortunato»
Lo guardai negli occhi leggermente interrogativa e stavo per rispondergli quando sentimmo qualcuno chiamarci.
«Amin utue ta!»
Era Tauriel. Aveva trovato Thranduil.
«Forse non dovrei venire con te. Anche se come ti ho detto non ho ben chiaro il perché, sembro sempre indisporre tuo padre»
«Così siamo in tre. Non preoccuparti, questa volta ci sono anche io con te».
E seguimmo la direzione della voce di Tauriel correndo leggeri sulle strade innevate di Dale.

Arrivammo in un momento critico. Tauriel stava affrontando il suo Re.
Stavo per affiancarla, quando Legolas mi trattenne per un braccio.
«Aspetta», mi disse, «non ora. Lasciala parlare».
Allora ascoltai. Purtroppo la discussione stava andando avanti già da un bel po', ma non era difficile capire che Thranduil aveva negato ogni possibile soccorso.
«Se non ci aiuti i nani verranno massacrati!», lo implorava lei.
Thranduil, seppure insudiciato dagli orrori della battaglia, le stava davanti mantenendosi in tutto il suo decoro.
«Sì, verranno uccisi. Oggi, domani o anche tra un paio di anni. Non importa, sono esseri mortali. Troppo sangue elfico è stato versato per difendere questa terra maledetta», rispose il Re degli Elfi senza scomporsi.
«Pensi che la tua vita valga più della loro, quando dentro di te non c'è niente. Non vi è amore nella tua vita!», replicò Tauriel con le lacrime agli occhi per la rabbia.
«E tu cosa sai dell'amore?», rispose Thranduil cominciando a mutare i suoi lineamenti in collera ed indignazione, «Niente. Quello che provi per quel nano non è reale. Pensi che sia amore? Sei pronta a morire per lui?», ed estrasse la spada con fare minaccioso, mentre Tauriel gli si parava impassibile.
Allora Legolas si mostrò al padre, incrociando la sua spada con la propria.
«Se le farai del male, dovrai uccidermi», gli disse Legolas con fermezza.
Istintivamente, mi feci vedere anche io, ma non parlai. Gli puntai contro arco e freccia, tenendolo sotto tiro.
Thranduil si guardò intorno sorpreso e ferito allo stesso tempo. Forse aveva capito che così facendo perdeva l'amore del figlio.
Alla fine dissi: «Andiamo a Collecorvo, potrebbe essere già troppo tardi», e m'incamminai.
Legolas e Tauriel mi seguirono.

Avevamo deciso di raggiungere Collecorvo per vie diverse. Io e Tauriel avevamo scelto di lasciare i cavalli e di proseguire a piedi nel silenzio più assoluto, in modo da non farci sentire dagli Orchi se quest'ultimi avevano già invaso il luogo. Tentavamo l'accesso al colle da due lati differenti: io cercai di tenere la torre da cui Azog comandava le sue truppe sempre davanti e anche se in quel momento sembrava vuota decisi di non voltarle le spalle; Tauriel s'infiltrò nei tunnel della fortezza. Legolas invece aveva trovato il modo per entrare per via aerea: scorgendo uno stormo di enormi e orribili pipistrelli di Gundabad giungere, aveva colto l'attimo per aggrapparsi ad uno di loro e farsi trasportare, tra la meraviglia mia e dell'elfa, a Collecorvo.
Ero da poco entrata nella fortezza ed ero in cerca di Thorin e degli altri. Sperai di non essere arrivata troppo tardi, ma il luogo non era sicuramente dei più incoraggianti: era tutto decrepito e coperto di neve. Quel fortilizio lugubre sembrava deserto: a quanto pareva da entrambe le parti cercavamo di non farci scoprire. Per fortuna avevo un udito fine che mi permise di captare un urlo strozzato sul nascere. Mi affrettai a seguire la direzione di quel flebile suono e mi ritrovai in un tunnel.
Il silenzio fu improvvisamente rotto da un fracasso di tamburi.
Mi affrettai a percorrere la galleria, che adesso amplificava i suoni prodotti dagli orchi che avevano deciso di rivelarsi. Finalmente vidi la luce e, proprio a dieci passi dall'uscita, scorgetti le schiene di Thorin, Dwalin e Bilbo. Erano impegnati a guardare lo spettacolo che si mostrava dalla torre della fortezza: Azog, affiancato dalle sue guardie, aveva in pugno Fili e lo mostrava a Thorin in segno di trionfo, sputando parole di odio contro i Durin nella sua maledetta lingua nera. Protetta dall'oscurità del tunnel, presi una freccia dalla faretra, la incoccai nell'arco e distesi piano la corda senza far rumore. Sudavo e trasalivo ad ogni impercettibile suono che il mio arco emetteva mentre lo distendevo al massimo. Mirai accuratamente e pregai i Valar che non mi facessero tremare il braccio e sbagliare il bersaglio.
Poi tutto accadde in meno di un secondo.
L'Orco Pallido stava per impalare Fili quando scoccai la mia freccia.
I due nani e lo hobbit guardarono con meraviglia il dardo che sibilava e passava sulle loro teste e si voltarono indietro, con il fiato sospeso, per vedere quale braccio l'aveva scagliato.
Purtroppo Azog aveva alzato ancora di più l'arto superiore e si era mosso, spostandosi leggermente dalla mia mira, e la freccia non andò a finire dove avevo desiderato.
Sentimmo un urlo di dolore e Fili cadde a terra.
Ma si rialzò prontamente e non credendo di averla scampata, ma non cercando saggiamente di sfidare ancora la sorte, se ne andò via, urlando il nome del fratello minore.
Azog invece era alle prese con la mia freccia, che gli si era conficcata proprio nel moncone, tra le giunture del suo rozzo uncino e il polso, dove la carne maciullata era più soggetta al dolore. Non era stato un colpo mortale, come avevo previsto, ma era servito a fargli provare sicuramente un tormento atroce.
Uscii dal tunnel ricongiungendomi con i miei compagni di sventure e Thorin esclamò:
«Meglio tardi che mai!», era un rimprovero, ma riuscii a scorgere un barlume di esultanza nei suoi  occhi, «Presto saremo stretti tra due orde! Hai trovato soccorsi?», mi chiese tornando serio e preoccupato.
«Lo so! Mi hanno seguita due elfi, ma ti assicuro che non potevo trovare di meglio», dissi per cercare di far apparire la situazione meno critica di com'era in realtà, «Dov'è Kili?», gli chiesi.
Non ebbi risposta, perché un corno risuonò alle nostre spalle: Bolg era arrivato.
Non perse tempo in teatrali dimostrazioni come il padre poco prima e ci scagliò subito contro tutta la feccia di Gundabad. Dwalin rispose pronto alla prima ondata e anche Bilbo si prese di coraggio ed estrasse la sua spada corta in aiuto al nano. Stavamo per aggregarci, quando sentimmo la voce di Fili gridare:
«Kili, no!»
Kili aveva raggiunto Azog, che nel frattempo si era ripreso, per vendicare ciò che voleva fare al fratello. Quest'ultimo lo seguiva per non lasciarlo solo. Erano di nuovo in pericolo, ma per fortuna eravamo lì per aiutarli. Li raggiungemmo salendo le scale che portavano alla torre e appena fummo sul suolo di guerra, Azog prese subito a duellare con Thorin, mentre io e i suoi nipoti ci occupavamo delle guardie. Eravamo talmente impegnati in quella battaglia da non accorgerci che Bolg aveva oltrepassato la linea difensiva di Dwalin e Bilbo, dando addirittura un colpo in testa quest'ultimo che era caduto svenuto, e si dirigeva verso di noi. Così, l'erede dell'Orco Pallido, ci piombò alle spalle non visto e potevamo anche soccombere tutti lì, in quel preciso istante, se Tauriel non fosse sbucata fuori dal tunnel sotto la torre appena in tempo. Purtroppo Bolg era un osso duro da sconfiggere e le stoccate dell'elfa non bastarono a finirlo: l'orco vedendo Tauriel in difficoltà, approfittò di quell'attimo per scaraventarla giù dalla torre e quella cadde a terra incosciente. A sua volta Kili corse verso Bolg, che era voltato di spalle, pronto a sfidarsi con lui e, accecato ulteriormente dalla rabbia, gli si avvicinò con troppa noncuranza e avventatezza. L'Orco, sentendo il giovane nano approssimarsi, si girò di scatto con un perfido grugno stampato in faccia e, con un rapido colpo, si allungò per trapassare Kili con il suo spadone grezzo. Per fortuna mi trovavo dietro di lui e fui lesta ad afferrarlo per la cotta di maglia e tirarlo verso di me; Kili perse l'equilibrio e si sbilanciò tutto all'indietro, venendomi addosso e buttandomi a terra di conseguenza, mentre la spada dell'orco si conficcava, a due centimetri da lui, nella pietra gelida. Bolg non si diede per vinto e avanzò velocemente verso di noi prima che potessimo alzarci. Ma qualcosa più invitante lo attrasse dietro di noi e ci sorpassò con noncuranza: mi voltai indietro e vidi che Legolas era infine giunto e brandiva un'antica spada che era evidentemente motivo di sfida per Bolg. Il Principe di Bosco Atro fu abile abbastanza da fargli distogliere completamente l'attenzione da noi e da attirarlo sul ponte che collegava la torre con il colle e si elevava sul fiume Celduin totalmente ghiacciato.
Ci riprendemmo e gettando un'occhiata dalla parte dove era caduta Tauriel, mi accorsi che stava rinvenendo. Allora dissi a Fili e a Kili:
«Scendete giù da Tauriel, state uniti e non dividetevi mai. Aiutate Dwalin a contenere gli attacchi dell'esercito di Bolg. E cercate di vedere dov'è caduto Bilbo, mi è sembrato di averlo visto svenire sotto un colpo possente. Portatelo in una zona sicura»
«Tu non vieni con noi?», chiese Fili quasi in supplica.
«No, Bolg e Azog sono ancora vivi, ma se voi ci fate da scudo abbiamo più possibilità di sconfiggerli. Tauriel si prenderà cura di voi»
L'elfa nel frattempo si era rialzata e aveva sentito ciò che avevo detto, così richiamò a se i nani per sottolineare le mie parole.
Era arrivato il momento di finirla. Entrambi i Pallidi dovevano perire o la morte avrebbe aleggiato per sempre in quella parte della Terra di Mezzo.

Imboccai anche io il ponte e raggiunsi Legolas. Bolg si ritrovò così preso tra di noi, ma non sembrò cedere minimamente. Anzi, quello scontro a due sembrò invigorirlo ancora di più. Lo ferimmo molte volte da ambo i lati, ma non avevamo mai avuto l'opportunità di un colpo fatale e quello scontro ci stava solo sfinendo. E non solo, il vecchio ponte di pietra non faceva altro che scricchiolare ad ogni passo che il pesante Orco muoveva e delle grosse pietre si staccarono da esso finendo sul fiume gelato. Queste ultime riportarono la mia attenzione su di esso e notai che Thorin stava ancora battagliando con Azog a ridosso delle cascate gelate. Degli orchi dovevano essere sfuggiti agli altri che li combattevano sotto e quelli si scagliarono dritto contro Scudodiquercia. Mentre battagliavo con Bolg, ebbi un piccolo sprazzo di tempo per tirare una freccia contro uno di essi e abbatterlo e Thorin mi ringraziò lanciandone un altro dritto verso Bolg. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: l'orco si sbilanciò, cadde su un lato del ponte e il suo tonfo fece il resto. La struttura cominciò a cedere e piano piano crollò giù come se si stesse sgretolando. Legolas riuscì a saltare, con la leggerezza quasi incorporea degli elfi, sui macigni prima che questi cadessero del tutto e si portò in salvo sull'altro lato. Io e l'orco invece rovinammo giù e mentre eravamo in caduta libera, quegli non resistette alla tentazione di spingermi ulteriormente verso il basso con una forte manata. Caddi sul lago ghiacciato che per fortuna non si ruppe e benedissi il mio essere esile che mi aveva salvato da una doccia gelata. Ma non era andata del tutto bene per il bustino di argentovero che portavo: l'armatura, sia per l'impatto con il suolo sia per il colpo di grazia di Bolg, aveva ceduto e si era squarciata. Velocemente me lo tolsi e testai che non ci fosse null'altro di rotto e quando mi rialzai, constatai che non ero del tutto intatta: mi girò subito la testa e persi quasi l'equilibrio. Allora istintivamente mi tastai il capo con le mani e appurai che avevo una ferita sulla tempia sinistra, forse provocata dal diadema che aveva premuto troppo nella fase d'impatto. Preferii non toglierlo per non provocarmi altre ferite.
Legolas mi chiamò dall'alto:
«Erewen, anírach i tulu nín?»
“Ti serve il mio aiuto?”, era un modo per chiedermi se era tutto a posto.
«Lau, avo 'osto. Dago 'ni ngurth!», risposi: “No, non preoccuparti. Combatterò fino alla morte!”
Legolas quindi aggiunse: «Devo scoprire se Bolg è effettivamente perito. Non credo che una caduta possa infliggergli la morte. Se è così devo finirlo», fece una piccola pausa e continuò, «Thorin sembra agli sgoccioli».
Mi volsi verso il nano e proprio in quel momento Azog aveva sferrato un colpo talmente forte contro la sua spada che si spezzò. Thorin era pericolosamente disarmato. Allora Legolas gli lanciò dall'alto la sua spada, che andò a conficcarsi nel ghiaccio vicino al nano. Questi la prese appena in tempo per parare una terribile stoccata da parte dell'avversario.
Mi rigirai verso Legolas e mi accorsi che era già andato via, quindi non perdetti altro tempo e mi diressi verso Azog. Mentre percorrevo la distanza che mi separava da lui, gli tiravo contro quante più frecce possibili, così tante da mandarlo in confusione. Thorin seppe approfittare di quel momento di debolezza del suo acerrimo nemico e con quell'antica spada gli vibrò un colpo terribile. Azog, non riuscendo a capire cosa lo avevo colpito, sembrò impazzire e cominciò a dimenare la sua arma (aveva una catena con un grosso peso di pietra all'estremità) pericolosamente sul fiume gelato. Questo non riuscì più a reggere il suo peso e si aprì ai suoi piedi facendolo affondare nell'acqua gelida. La sua pesante arma contribuì a farlo affogare e lo vedemmo andare giù.
Mi affiancai a Thorin per appurare che l'Orco Pallido fosse effettivamente affondato. Gaurdammo per sufficiente tempo il cratere che Azog aveva lasciato al suo posto e decidemmo di allontanarci, quasi increduli di essere riusciti ad uccidere il capo di quei sudici esseri.
Avevamo percorso giusto cinque passi, quando il ghiaccio davanti a noi si aprì e lasciò emergere un Azog vendicativo e infuriato. Sfruttando l'elemento sorpresa, l'orco pugnalò i piedi di Thorin con un coltellaccio e sbalzò me con un colpo del suo uncino, lacerandomi un braccio. Entrambi cademmo a terra e Azog avanzò senza pietà contro di noi. Si piantò su Thorin, sguainò la sua immonda spada e mirò al petto. Il nano in quel momento era troppo confuso per agire in tempo e toccava a me difenderlo: dalla mia posizione mi lanciai con il corpo proteso in avanti su Thorin, in modo da poter intercettare il colpo di Azog. Riuscii nell'intento e mi ritrovai dall'altro lato, distesa accanto a Thorin. Nel frattempo Scudodiquercia realizzò ciò che stava succedendo e agì: allungò la sua spada verso Azog e la spinse completamente dentro il petto dell'orco impalandolo. Azog strabuzzò gli orchi, si tirò all'indietro senza fiato e finalmente cadde, aprendo un altro varco nel fiume. Ma queesta volta venne inghiottito senza pietà dalle fredde acque del Celduin per mai più farne ritorno.
Io e Thorin, sfiniti sia emozionalmente che fisicamente, restammo lì distesi, senza riuscire a percepire il gelo penetrarci fin dentro le ossa.

«Thorin! Erewen!», delle voci concitate si avvicinavano a noi.
Allora entrambi ci tirammo su a sedere e notammo chi si avvicinava a noi: erano Legolas, Bilbo e Gandalf.
Per tutti i Valar, per quanto tempo eravamo stati lì distesi, sfibrati per quell'insano scontro?
Bilbo era tutto felice di vederci ancora vivi e si affiancò a Thorin per aiutarlo a mettersi in piedi. Legolas fece lo stesso con me tendendomi la mano: mi aggrappai con forza e mi tirai su a fatica. Ebbi di nuovo un forte capogiro, ma non lo diedi a vedere e mi appoggiai alla spalla di Legolas.
«Thorin! Cos'è tutto questo sangue che hai sul petto? Eppure la tua armatura è intatta!», si allarmò Bilbo.
«Sto bene», disse Thorin, «è solo qualche graffio. Sarà sangue di orco»
Gandalf invece era tutto preso da me e mi guardava insistentemente. Non riuscivo a capire cosa volesse indicarmi, quando cominciai a sentirmi sempre più debole, come se la mia anima fluisse via dal mio corpo. Portai d'istinto una mano sul fianco destro e questa si bagnò di un liquido caldo.
Ma certo! Avevo parato il colpo di Azog con il mio corpo! Solo che a caldo non avevo minimamente sentito la lama penetrare nel mio fianco.
Mi portai la mano davanti agli occhi, per avere un ulteriore conferma di ciò che mi stava succedendo. Quel gesto non passò inosservato e la mia mano rossa di sangue spaventò tutti.
«Elendínen!», eslcamò allarmato Gandalf.
Come aveva scoperto...? Non riuscii a formulare altri pensieri o a continuare quest'ultimo che si era insinuato nella mia mente.
I miei sensi si annebbiarono, tutti i dolori della battaglia cominciarono a farsi sentire e le forze mi vennero definitivamente meno. Mi accartocciai su mi stessa, scivolando dal braccio forte di Legolas, e finii di nuovo sul freddo Celduin.
L'ultimo frammento di realtà che riuscii a percepire furono le parole di Bilbo che cercavano di rincuorarmi:
«Erewen, non andartene! Guarda su! Le Aquile! Le Aquile sono arrivate!»
Poi tutto si spense e fu come vagare nel Vuoto.

N.d.A
Chiedo perdono a Tolkien, a tutti i suoi eredi, a Peter Jackson e Fran Walsh, e a tutti gli appassionati che stanno vedendo una delle loro storie preferite pericolosamente storpiata da una fanfiction.

type: multichapter, language: italian, fandom: the hobbit, title: elendinen una storia inaspettata

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