Circle Challenge! Day 3 - Hole in the hedge

Oct 28, 2012 11:22

Salve! ...oggi posto prima perché è il mio ultimo giorno di vacanza prima dell'inizio dell'accademia e ho da finire ben 2 cosplay per Lucca Comics... quindi ho tempo solo stamattina XD
Cosa dice il cerchio? CERCHIO

Titolo: Hole in the hedge
Gruppo: Kanjani8
Pairing: Yasuba
Rating: G
Genere: AU, fluff, angst (?)... non ho idea XD
Disclaimers: i personaggi non mi appartengono
Note: non so come mi sia venuta e sinceramente penso mi sia venuta anche male... ma gli Yasuba sono ancora un mondo sconosciuto e pieno di misteri da scoprire, per me XD *che nota inutile* Per riassumere, questa è una fanfiction sui ricordi perduti dell'infanzia.



Si avvicinò alla grande finestra del salone e scansò le tende bianche, per guardare fuori, verso il giardino.

Era solito fare quel gesto anche da bambino, durante le lunghe estati che passava a casa della nonna in campagna. La casa era di tipo occidentale, un edificio unico nel suo genere in quel piccolo paesino dell’entroterra, con un suo ampio giardino circondato da siepi. Si ricordava corse e giochi in quel prato, verde e profumato di caldo, sotto il cielo azzurro che pareva altissimo, lontanissimo dal quelle sue mani da bambino. Ora con quelle stesse mani ormai adulte, percorreva lentamente il profilo di legno delle imposte e i bordi morbidi delle tende, ascoltando le chiacchiere dei propri parenti, riuniti ancora una volta nel grande salone della vecchia casa.

I ricordi delle vacanze passate in quel posto non lo lasciavano in pace da giorni: da quando aveva saputo di dover tornare al paese per aiutare con il trasloco della nonna in una casa di riposo più vicina alla città dove i suoi genitori vivevano e lavoravano. Ormai lui si era trasferito, viveva da solo nella metropoli più grande del paese e faceva il compositore musicale. Aveva accettato di tornare e dare una mano perché si trovava di passaggio dai propri genitori e voleva personalmente accompagnare la propria anziana nonnina nella nuova casa.
Ma senza trovare una spiegazione ai sentimenti che quella gita di un giorno gli stavano provocando, si era già reso conto che rimettere piede fra quelle mura gli risvegliava una strana irrequietudine e un senso di nostalgica malinconia che non capiva a cosa fosse collegato, in particolare, dei propri trascorsi d’infanzia.

-Ricordi quella casa, Shota?- gli chiese la nonna, passando in quel momento alle sue spalle e indicando con un dito il tetto blu della casa tradizionale che era sempre stata al di là della siepe: -Dove abitava il tuo amico?-.

-Amico?- domandò Shota, spostando lo sguardo dal viso della nonna al giardino, ancora una volta.

Il ricordo di quel bambino con cui giocava ogni estate lo investì all’improvviso, lasciandolo senza fiato: come aveva potuto dimenticarsi di una persona che era stata così presente nelle sue vacanze? Dell’unico amico che era riuscito a trovare durante le lunghe e torride giornate passate in quella vecchia casa?

-Shota, mi stai ascoltando?- domandò la nonna, ridacchiando: pareva avesse appena terminato un lungo racconto sulla casa del suo amico, discorso che Shota non aveva sentito al di là dei propri rumorosi pensieri.

Tornò a concentrarsi sul giardino e si chiese come fosse possibile non ricordarsi più neanche il nome di quel bambino, solo sfocati ricordi di pomeriggi di gioco, senza visi né voce. Ricordava perfettamente solo quel buco nella siepe, quel passaggio segreto che solo loro bimbi riuscivano ad attraversare.

Poteva quasi ripercorrere a memoria il sentiero da seguire, i passi e le mosse da fare per potersi infilare fra i rametti corti e le foglie secche, a gattoni sul terreno umido che avrebbe sporcato i pantaloni sulle ginocchia o le ginocchia stesse.

Sospirò, prestando poi attenzione ai propri parenti riuniti nella stanza e accettando volentieri di iniziare i preparativi per il trasloco, aiutando a trasportare nel furgoncino affittato le cose che la nonna aveva deciso di portare con sé nel nuovo appartamento. Poi riordinarono la casa, pranzarono insieme e aiutò sua madre a fare ordine nelle stanze fra le cose da buttare e quelle da tenere da parte, per i futuri abitanti della casa, che avrebbero affittato.

-Non se ne trovano più di villette così- osservò suo padre, che era stato, come lui, bambino in quelle stanze dagli alti soffitti e la tappezzeria floreale sulle pareti.

-Di sicuro non in Giappone! E’ una casa unica!- disse la nonna, apparendo sulla porta della camera da letto: -Shota, ho dimenticato gli occhiali in veranda, andresti a prendermeli?- domandò poi.

Annuì e scese le scale, per uscire dalla porta sul retro della casa, che dava su una veranda di legno con un tavolino e una sdraio. Gli occhiali della nonna erano sul cuscino di quest’ultima, ma ancora una volta Shota si distrasse, puntando lo sguardo verso il giardino, la siepe, il buco in essa.

Spinto da non si sa quale forza, si avvicinò ad essa, calpestando l’erba soffice del giardino, allungando le mani verso le foglie verde scuro; andavano leggermente separate per poter vedere il passaggio attraverso. Si sorprese di trovarlo ancora lì: forse mutato di forma e ancora più piccolo di quando ci passava attraverso più di una decina di anni prima, ma ancora abbastanza separato da essere riconosciuto, come se le piante avessero deciso di lasciare aperto quel passaggio, crescendovi attorno.

Si accovacciò a terra, sporcandosi di fango i jeans chiari, abbassò la testa abbastanza da riuscire a guardare al di là del proprio giardino e, con una spinta sulle mani, si ritrovò nel giardino della casa a fianco, ancora così come se lo ricordava.

Le piante erano aceri e pini giapponesi, nel mezzo dell’erba e del muschio c’era il laghetto con le carpe rosse, circondato dai ciottoli e sormontato da un ponticello di legno. Si stava per avvicinare all’acqua, pensando di riflettersi sullo specchio di essa e rivedersi bambino, quando una voce lo richiamò: -Shochan?-.

Alzò lo sguardo verso la veranda della casa, dove un uomo in kimono lo osservava, immobile. Aveva lunghi capelli neri che gli ricadevano morbidamente sulle spalle e grandi occhi dipinti in un'espressione incredula… si chiede come avesse potuto scordarli.

-Subaru?- mormorò, lo stesso tono incerto della persona che aveva di fronte, la stessa indecisione e paura. Come mai era arrivato fin lì? Cosa li aveva fatti incontrare dopo così tanti anni, così tanto tempo… eppure non si ricordava il nome o il viso di quella persona fino a quella mattina.

-Sei… tornato?- chiese ancora l’uomo, scendendo dalla veranda su dei geta scuri e percorrendo il vialetto di sassi fino al laghetto, per avvicinarsi: Shota fece qualche passo in avanti, trovandosi a guardare negli occhi di Subaru da ancora più vicino.

-Sono di passaggio. La nonna si trasferisce- disse, tentando un sorriso imbarazzato.

Di riflesso, anche Subaru sorrise, addolcendo le forme del viso e sollevando appena le spalle, avvolte nel kimono rosso scuro: -Sono passati tanti anni, eh? La tua nonna, lei… sai, ancora mi parlava di te-.

Shota ascoltava assorto la voce che aveva dimenticato; con quell’incontro ritornavano alla memoria eventi del passato che avevano avuto un’importanza assoluta, quando era bambino. Le notti insonni passate a osservare le stelle sdraiati sull’erba del giardino, nascondersi insieme in soffitta, le corse sotto il sole… quando avevano rovesciato della terra nel laghetto o quando si erano scambiati i vestiti per intere settimane. Subaru era stato il suo alleato, consigliere e confidente, l’unico amico per molte estati, il compagno di marachelle, il fratello maggiore che non aveva avuto, l’inventore dei sogni che l’avevano accompagnato nell’infanzia. Come avevano potuto l’età adulta, la lontananza da quel luogo e la quotidianità fargli scordare una parte così importante della propria vita? Come aveva potuto chiudere nel proprio cuore quei ricordi fin quasi dal scordarsene?

Prima di potersene accorgere stava versando calde lacrime e singhiozzando contro il tessuto ruvido ma caldo del kimono di Subaru. Rimasero abbracciati attraverso il pianto, le mani del più grande che gli cingevano i fianchi mentre gli sussurrava parole all’orecchio.

-Scusami… mi sono… scordato tutto…- singhiozzò piano, asciugandosi gli occhi nella manica, senza più temere di risultare patetico, nel mezzo del turbinio di emozioni che stava provando.

Subaru rise e basta, una risata dolce e calda, per poi prenderlo per mano: -Non ha importanza ora che sei qui-.

Si guardarono di nuovo negli occhi, allo stesso modo di come facevano da bambini, per decidere senza parlare dove si volesse andare, cosa volessero fare. E come un tempo, senza dirsi niente si diressero insieme, mano nella mano, verso il passaggio nella siepe che li aveva riuniti.

! circle challenge, p: subassan, gnr: fluff, r: g, g: kanjani8, gnr: angst, gnr: au

Previous post Next post
Up