Visto che la ff è -più o meno- ufficialmente conclusa, inizierò a postare sempre più regolarmente i prossimi capitoli, che voglio finire per poi sottoporvi qualcosa di nuovo *__* (che tuttavia non ho ancora deciso xD).
Questo capitolo si prospetta lungo, ma purtoppo non posso proprio tagliarlo...
DOUZO!
Titolo: Esp 2 (il fu "Capitolo Extra" -___-)
Gruppi: Arashi, HSJ, Kanjani8 un NewS, un Kattuno, un Tokio... gente a caso
Rating: Pg-13 con qualche picco di R
Pairing: Sakumoto, Aimiya, Subassan... altri a seguire e un trangolino
Consigli per gli acquisti: Se non avete letto Esp 1... che aspettate a farlo? *minacc minacc*
Disclaimers: L'ultima volta che ho controllato tutti 'sti bei fioli non erano miei, ecco... >__> Però so di per certo che la storia originale è di Jinny, quindi tutti i credit a lei! *e se non vi piace, è pure colpa sua xD*
Note: tutto è iniziato quando ho letto Esp e mi è venuta la malsana idea di scrivere un capitolo extra per soddisfare la mia anima sakumoto... poi ci ho preso la mano, le mie due aguzzine mi hanno costretta ed eccomi qui con una intera seconda serie çOç *chi è causa del suo mal, pianga se stesso*
Special thanks: alle mie due amate aguzzine Vampiretta e Jinny, l'una perché è mia moglie e l'altra perché... sì *coccol coccol*
Già postati:
Cap1 Cap2 Cap3 Cap4 Cap5 Cap6 Cap7 Cap8 Il giorno dopo erano tutti convocati dal preside dopo la colazione, una cosa ormai abituale.
Jun e Sho scesero insieme in mensa e trovarono un mezzo putiferio in quanto tutti erano riuniti a sentire i racconti dei ragazzi del Kansai e c’era un affollamento di persone e voci.
Aiba fece segno con le braccia che aveva tenuto loro il posto e, come si sedettero, qualcuno esclamò di raccontare dell’America.
Le storie e gli aneddoti proseguirono, fra occhi attenti e risate strappate dalla parlata di Murakami e di Yokoyama, mentre Yassu riaccordava la propria vecchissima chitarra.
Poi, in un momento di silenzio, Maru si guardò intorno e chiese: -Qualcuno ha visto Tacchon?-. Tutti restarono confusi per un attimo.
-Sarà ancora a dormire, quel fanfarone…- sospirò Ryo.
-Ti sbagli, prima siamo scesi in mensa insieme…- disse Subaru, pensieroso.
Shingo sospirò e guardò Ryo.
-Allora?- fece, sollevando un sopracciglio e incrociando le braccia.
Ryo lo guardò stupito e disse: -Che vuoi? Se non c’è non c’è!-.
Jun tirò l’orecchio del compagno di spionaggio e quello protestò.
-Ohkura Tadayoshi, smettila di fare lo scemo- lo redarguì Yoko.
Ryo si trasformò in una frazione di secondo nel appena nominato Tadayoshi che sbuffò, dicendo che non erano affatto divertenti. Ryo entrò in mensa in quel momento, ancora sbadigliando e scusandosi di essere in ritardo.
Si accorse che seduti al tavolo c’erano due Subaru e rise, salutando senza assolutamente sbagliare quello falso.
-Credo di non aver capito bene bene…- mormorò Sho confuso all’orecchio del suo ragazzo.
Jun spiegò: -Tatsu si trasforma in chi gli pare, ma solo Ryo riesce a riconoscerlo senza problemi-.
Sho si tenne per sé il suo commento, nonostante accomunasse quel singolare potere a quello che aveva in comune solo con Jun, il che costrinse a porsi qualche domanda.
Il preside comunicò loro che era giunto il momento di agire.
Il corridoio restava buio e silenzioso e lui attendeva di ricevere l’ordine di Nagase, respirando piano e guardando di tanto in tanto verso Subaru, all’altro angolo della porta. I loro due Shochan erano entrati da qualche altro lato dell’edificio e si erano separati dal resto del gruppo, nonostante le proteste di Ryo e Murakami.
A pensarci bene, non aveva ancora parlato da solo con Shingo da quando si erano rincontrati e la cosa lo rendeva ancora più nervoso; c’era qualcosa da chiarire in ballo da circa tre anni.
Voleva che quella missione finisse in fretta.
Voleva semplicemente che il 35ED sparisse dalla faccia della terra come sostanza o solo come progetto e con esso tutti gli stronzi che l’avevano ideato, perché non ne poteva più di fare la guerra e le incursioni notturne per addormentare due o tre guardie e rubare informazioni irrilevanti. Sospirò e Subaru se ne accorse, parlandogli con gli occhi di resistere ancora un po’. Nagase si fece sentire, attraverso l’auricolare: -Siete in una posizione troppo pericolosa, tornate indietro-.
Jun alzò gli occhi al cielo e Subaru rispose che non c’era nessuno né di fronte a loro né alle loro spalle, e chiedevano il permesso di proseguire.
-Ho detto di rientrare, siete sordi?- sbottò il professore.
-Se rientriamo adesso non raggiungiamo più quel fottutissimo database e non distruggiamo le informazioni!- protestò Jun, quasi soffiando come un gatto. Subaru gli fece segno di non fare troppo rumore.
-Ho detto che è rischioso, quindi tornate indietro- sillabò Nagase, prima di chiudere con un gesto brusco il collegamento. Jun si trattenne dal colpire con un calcio il muro.
Subaru gli fece cenno di avvicinarsi e gli posò una mano sulla spalla, tentando di tranquillizzarlo, poi lo spinse piano in avanti, facendogli segno di precederlo.
Uscirono dal corridoio attraverso la porta, presero nuovamente le scale e scesero ai piani inferiori, dove avevano lasciato gli altri: e sarebbe bastato aprire una porta per fare in modo che tutti i laboratori del mondo non avessero più niente su cui studiare. Merda.
Fu in un lampo che successe tutto, quando ancora stava maledicendo qualunque cosa avesse visto Nagase per ritenere la posizione pericolosa: sentì un vetro rompersi, un vetro che non avrebbe mai dovuto rompersi, e l’allarme prese a suonare mentre loro erano tutti ancora dentro. Vide delle ombre iniziare a correre e si affrettò a scendere, sentendo dei rumori ai piani sia superiori che inferiori e la voce di Yoko ordinare a tutti di rientrare alla base.
Quando gli spari iniziarono, Subaru fece appena in tempo a prenderlo per il braccio e spingerselo contro, proteggendolo. Erano praticamente sdraiati sulle scale e la raffica di proiettili non era ancora terminata.
Jun guardò in alto, poi verso il piano dove stavano arrivando: erano circondati.
-Gli altri ce la faranno ad uscire senza di noi- gli sussurrò Subaru all’orecchio; alcune persone li videro e iniziarono a scendere le scale di fretta, per raggiungerli.
-Merda… merda, Shibu… ci prenderanno…- riuscì a rispondere.
-Jun, NO!- gridò la voce di Yoko all’auricolare.
Subaru annuì. Jun lasciò andare la ricetrasmittente e si concentrò: Sho stava pensando a raggiungere in fretta la base, questo voleva dire che era fuori di lì. Sospirò di sollievo. E in una frazione di secondo vennero raggiunti, fra le grida dei nemici.
Si svincolò dalle braccia di Subaru, estraendo le pistole assieme a lui.
Sparò qualche colpo, ma fu tutto inutile: qualcuno arrivato dai piani superiori lo colpì alla testa e fu tutto buio prima ancora che avesse raggiunto il suolo.
-Chi è quel fottuto cretino che ha rotto la finestra??? Chi è???- continuava a gridare Nagase, incapace di dire loro altro. Yoko fissava ancora gli schermi, scuotendo la testa, sconvolto.
Quando il primo gruppo rientrò e trovò questa scena alla base, non ci misero molto a capire: si contarono, si guardarono e si cercarono finché non furono rientrati tutti e Yassan era già scoppiato a piangere, consolato da un Murakami praticamente sotto shock.
-Chi manca?- chiesero Aiba e Nino, arrivando in quel momento: Kazunari aveva una ferita piuttosto profonda al braccio, e sanguinava, ma non aveva ancora fatto in tempo a rimarginarsela.
Sho scosse la testa, rinunciando a chiedere informazioni a Nagase: -Jun e Shibutani. Erano praticamente arrivati all’archivio, ma si è rotta la finestra, e…- non fu più capace di parlare, perché Satoshi l’aveva abbracciato e Masaki stava già piangendo.
Sentiva solo un fortissimo fischio nelle orecchie e non più la voce del suo ragazzo che lo rassicurava di stare bene… sentiva un vuoto e sapeva troppo bene che cosa significasse.
La finestra si era rotta perché una delle cimici precedentemente installate era scoppiata, facendo contatto. Una cosa che sarebbe potuta succedere ovunque… ma si chiese perché proprio lì e proprio quando non avrebbe potuto salvare il proprio ragazzo neanche se avesse tentato.
Quando riaprì gli occhi si rese conto del dolore acuto che provava alla base del collo.
Era sdraiato su un pavimento freddissimo e il buio era quasi totale, finché non abituò gli occhi alla debole luce della luna che entrava da una finestra.
Si alzò a sedere a fatica, passandosi una mano sulla fronte, e vide tutto il sangue che aveva perso. Sospirò, cercando la ferita.
-Non toccarla, peggiorerai la situazione…- gli disse una voce.
Si girò a guardare Subaru, appoggiato con la schiena al muro: aveva il viso gonfio e il labbro inferiore rotto, mentre le mani erano sporche di sangue… probabilmente il suo.
-Perché siamo vivi?- chiese, con la poca voce che aveva.
La stanza sembrava l’aula di una scuola e la cosa lo disturbava: quanto tempo era passato da quando era svenuto? Dov’erano? Perché nessuno li stava controllando?
-Ci hanno portati qui perché a quanto pare controllano questa università. Sei svenuto e non hai visto niente, ma qui fuori dalla porta ci sono due guardie e le finestre sono controllate. Ah, hai dormito cinque ore-.
Ottimo, pensò. Subaru creò dei pezzetti di ghiaccio sul proprio palmo e glieli consegnò: se li sciolse in bocca per bere qualcosa, dopo aver perso tutto quel sangue.
-Non credo che ce la farò a rimanere lucido ancora per molto…- sussurrò, sistemandosi al fianco dell’altro. Subaru lo guardò, stringendogli la mano: entrambi facevano tanto i duri, ma stavano tremando.
-Se non ci hanno ucciso subito, allora vuol dire che gli serviamo… non ti lasceranno morire dissanguato…- disse Shibutani, con la poca logica che riusciva a trovare. Gli ricordava tantissimo Ohno quando faceva così.
-Non riesco neanche a sentire Sho…- sussurrò piano, prima di svenire di nuovo.
Quando si risvegliò di nuovo, la luce elettrica gli bruciò gli occhi, intensissima.
Sentì dei movimenti al suo fianco e prima che potesse muoversi, una voce sconosciuta gli intimò di restare fermo; obbedì, perché aveva paura del fatto che non sentiva più dolore.
La stanza era un laboratorio ed era sdraiato su un lettino, con la testa fasciata e un medico che gli stava facendo dei prelievi del sangue. Non sapeva quanto tempo fosse passato, né che persona fosse questo medico, perché non riusciva assolutamente ad usare i propri poteri.
Il 35ED. Merda.
-Ora devi rispondere ad una serie di mie domande, ragazzo…- sospirò il medico, chinandosi su di lui per farsi vedere: era anziano e aveva una lunga barba bianca. Non sembrava cattivo, ma lavorava sicuramente per quelli sbagliati. Si morse il labbro.
-Non fare così, se rispondi subito a me non ci sarà bisogno degli interrogatori…- lo avvisò l’uomo. Continuò a tenere il labbro fra i denti, e chiuse gli occhi.
-Quanti anni ha, ragazzo?- chiese il medico.
Non rispose.
-E’ per le dosi di anti-dolorifico…- specificò.
Un anti-dolorifico chiamato 35ED e potenzialmente pericoloso per il suo fisico, ovviamente.
La paura iniziò a salirgli quando sentì un altro ago infilarsi sotto la pelle del braccio.
-Questo ti aiuterà a parlare, tranquillo…- disse ancora l’uomo.
Tentò di divincolarsi, ma non ci riuscì: era immobilizzato e iniziò a scuotere la testa, fregandosene delle bende, gridando di lasciarlo e piangendo. Poi la droga fece effetto, e sentì la testa ancora più leggera.
-Quanti anni hai?-
-Ventitre anni- rispose, sentendo la propria voce lontana.
-Come ti chiami?-
-Matsumoto Jun-.
Il medico annotò il nome su una cartelletta.
-Cos’altro ricordi, Jun?- chiese.
Ci pensò, poi rispose: -Non ricordo nulla-.
Il medico lo toccò sulla testa, sfiorandogli la fronte e sussurrò: -Ora dormi, va tutto bene…- con una voce che gli sembrava tantissimo quella di un’altra persona, ma non sapeva assolutamente chi… prese nuovamente sonno.
Venne portato nella stessa stanza di Subaru e rinchiuso lì dentro con lui per la durata di un giorno intero. Videro le due guardie soltanto agli orari dei pasti e si accorgevano dello scorrere delle ore solo grazie alla finestra illuminata dai raggi del sole o da quelli della luna.
Riuscì a parlare solo esaurito l’effetto del farmaco.
-Cosa vogliono da noi?- chiese.
-Da me niente, non mi hanno neanche drogato, solo 35ED… sanno che sai usare poteri mentali, quindi hanno deciso di sfruttarti… al massimo io potrei fungere da frigorifero, in fondo…- sdrammatizzò Subaru, avvicinandoglisi e prendendolo fra le braccia, non appena lo vide ricominciare a piangere.
-Io non mi ricordo niente…- singhiozzò, contro la spalla dell’altro.
La voce di entrambi era roca, disturbata dal lungo silenzio.
-Jun, resisti…- mormorò l’altro. Ebbe ancora la sensazione di aver già sentito quel tono di voce da qualcuno, anche se non sapeva chi.
Erano passati cinque giorni e aveva dormito in totale dieci ore, giusto perché di tanto in tanto Satoshi lo costringeva, diventando intransigente e vagamente pericoloso. Ma sempre sogni agitati e per nulla ristoratori.
Avevano setacciato tutta la zona cercando la base dove Jun e Subaru erano stati portati, ma non avevano trovato laboratori attivi nell’arco di mille chilometri.
Aiba e Nino gli stavano sempre appiccicati, probabilmente nel timore che prima o poi lo sconforto avrebbe avuto la meglio e sarebbe crollato.
Yasuda resisteva a suo modo, coccolato il più possibile dagli altri ragazzi di Osaka, ma a parlarci metteva i brividi: era un ragazzo molto dolce, ma possedeva un potere inaudito, e il fatto che, sibilando, promettesse di scatenarlo contro a tutti quelli che avevano osato toccare il suo ragazzo, era agghiacciante.
L’unica cosa che in quei cinque giorni lui era riuscito a fare per Jun, era stato attivare immediatamente la sua barriera segreta, quella che aveva applicato alla mente di Jun, sperando che reggesse abbastanza tempo prima che riuscissero a ritrovarli.
Tentava di pensare sempre meno a cosa stessero facendo al proprio ragazzo e sempre di più all’apparecchiatura radar che Yokoyama stava mettendo a punto per ritrovarli.
I lacci ai polsi gli bloccavano i movimenti e gli permettevano di rimanere in piedi, legato alla parete del laboratorio. Una serie di scienziati stavano calcolando strane cose al computer e un uomo gli stava applicando strani fili sul petto, guardandolo divertito.
Per un attimo il disgustoso pensiero che le mani di quell’uomo avrebbero potuto fargli veramente di tutto, in quel momento, lo scosse. Poi tornò serio e scostante.
-Mettiamo subito in chiaro una serie di cose. Prima: quello che ci serve è contenuto nella tua memoria, quindi non abbiamo in previsione di somministrarti torture corporali; seconda: è ovvio che sei pregato di collaborare, ma abbiamo già messo in contro che non lo farai; terza: ricordati sempre che nell’altra stanza c’è il tuo amico che aspetta, e a lui le torture corporali non fanno alcuna differenza- disse l’uomo, ancora sorridendo.
-Come farete a interrogarmi se non ricordo niente neanche io?- chiese, scettico.
-Oh, ma questo è quello che dici tu…- sibilò l’uomo, per poi dare l’ordine di cominciare: gli stupidi fili che aveva attaccati in tutto il corpo mandarono delle scosse lievi, che lo fecero sussultare.
-A quale organizzazione criminale fai parte?- chiese l’uomo.
-Non mi ricordo- rispose.
Uno degli altri ricercatori disse: -Non rilevo anomalie-.
-In quanti siete?- chiese ancora l’uomo.
-Non mi ricordo-.
-Non rilevo anomalie- disse un altro scienziato, al terzo computer sulla destra.
L’interrogatorio andò avanti così, senza che Jun riuscisse a rispondere anche solo ad una delle domande che il tipo viscido gli stava facendo.
Quando si stufarono, finalmente, anche i fili cessarono di mandare scosse, e vennero rimossi sempre dalle mani fastidiose del capo, che lo guardò con disprezzo: -Aspetta i risultati-.
“Dei risultati che aiuteranno a far capire loro che ho perso la memoria… utilissimo” pensò, sospirando “Così sapranno quanto sono stati intelligenti a colpirmi in testa”.
Seguirono un’altra serie di esami e tipi di domande arzigogolate che neanche riusciva a capire, finché finalmente uno dei computer rivelò qualcosa che incuriosì tutti, lui compreso.
-C’è una fonte di energia proprio qui…- stava dicendo lo scienziato, ma non sapeva assolutamente dove fosse il qui, perché era sdraiato sul lettino, rivolto verso la parete opposta.
-Merda! Merda, una barriera!- gridò il capo, facendo sbattere una serie di cose.
Come Jun sentì la parola barriera, sentì un forte dolore alla testa e i computer emettere bip sempre più forti. Una barriera? Come ci era finita lì? Come mai gli bloccava la memoria?
Una serie di computer esplose, nel caos che si era generato nella stanza: lui gridava, per il dolore acuto alla testa. Altri macchinari presero fuoco.
Qualcuno lo sollevò e lo portò fuori dalla stanza: si ritrovò a gridare fra le braccia di Subaru, finché il dolore non si attenuò, per poi sparire del tutto.
-Ho paura che qui dentro ci sia un gran bel casino…- mormorò Shibutani, accarezzandogli la fronte. Jun sospirò.
Aveva paura di sapere cosa c’era nella sua memoria, se faceva così male.
-Tu lo sai cosa mi sono dimenticato… perché non me lo dici?- chiese poi, ansimando.
Subaru lo guardò serio, prendendogli il viso fra le mani: -Io so chi è stato a metterti quella barriera, e so a cosa serve e che cosa protegge. Se te lo dicessi, renderei vano il suo sforzo di proteggerti e proteggerci tutti. Quindi ora resisti, piccolo. Posso solo chiederti di resistere-.
Qualcosa lo svegliò, nel pieno delle tre orette di sonno del sesto giorno, qualcosa che, almeno questa volta, non era un incubo. Corse fuori dalla sua stanza, con Satoshi che gli gridava dietro e lo inseguiva per il corridoio, fino a raggiungerlo già davanti alla porta del preside. Sapeva correre veloce, anche se l’amico passava attraverso i muri.
-La barriera di Jun è attiva, ma stanno tentando di romperla. Ora, la sento… posso localizzarli…- disse, brevemente, e subito lo portarono davanti al computer sperimentato da Yokoyama.
La barriera lo rendeva talmente tanto vicino a Jun che riusciva a sentire i suoi urli di dolore, ma non c’era tempo di lasciarsi prendere dal panico: si concentrò sulla posizione, aiutato dal preside che poteva localizzare il luogo indicato dalla sua mente e prima che la barriera tornasse attiva senza problemi e Jun si calmasse, trovarono le coordinate.
Ryo, Jin e Yoko, disturbati dalle grida di Satoshi mentre facevano la guardia ai corridoi, li avevano raggiunti.
-Qui- sospirò, sicurissimo, indicando lo schermo: era sudato e ansimante, come se avesse subito lo stesso danno del proprio ragazzo, ma almeno l’aveva trovato.
-E’ un’università, controlleranno i laboratori. Jun e Subaru si trovano in una delle aule, mentre le stanze degli scienziati sono nei sotterranei- disse subito Yoko, dopo aver preso possesso del computer e aver trovato la pianta dell’edificio.
Il preside annuì e dopo un breve silenzio annunciò: -Convocate tutti, fra un paio d’ore sarete in partenza-.
Subaru lo cullava ancora fra le braccia, quando si svegliò.
La scena tornava ad essergli familiare, ma non sapeva se fosse il semplice venire abbracciato o Subaru stesso a stimolargli quel pensiero. La testa lo informò con una fitta che era meglio evitare di farsi domande.
Mangiarono la colazione e attesero che qualcuno venisse a dire loro chissà poi cosa.
Il capo del giorno precedente arrivò non molto dopo e lo prese per un braccio, costringendolo ad alzarsi e allontanarsi ancora una volta da Subaru.
Lo portarono in quelli che sembravano tantissimo degli spogliatoi di una palestra e come se non bastasse il tizio viscido gli mise le mani addosso, tentando di spogliarlo. Con la poca forza che aveva si liberò e scalciò per tenerlo lontano.
Arrivarono i rinforzi che lo tennero fermo mentre gli strappavano via i vestiti e lo portavano in quella che probabilmente era la palestra della scuola, dove era stato approntato uno strano marchingegno collegato ad una vasca piena di liquido denso, verde.
-Che schifo è???- gridò, tentando di mordere e liberarsi, prima che lo immergessero dentro, tappandogli il naso e la bocca con un respiratore. Chiuse gli occhi e sentì il tipo dire: -Ci aiuterà a trasmettere le onde celebrali giuste per rompere la tua barriera, stronzetto…- ansimando dopo la dura lotta che Jun aveva sostenuto.
Il liquido gli permetteva movimenti molto lenti e si sentiva troppo pesante e stanco.
Come i macchinari si azionarono sentì le fitte alla testa farsi sempre più acute. Ma non riusciva a gridare nel respiratore, e nessuno badava a lui, visto che i macchinari stavolta non avevano preso fuoco.
-Concentrati sui tuoi ricordi!- ordinò la voce del capo, furente.
Si disse che non doveva cedere, nonostante il dolore. Pensò a quanto volesse ritornare nella sua stanza con il suo amico… pensò al dolore, insopportabile… pensò soltanto che c’era un motivo per cui doveva resistere, e quindi gli toccava farlo.
I computer iniziavano a cedere, lo sentiva.
-Ricorda, bastardo! Ricorda, ora! Dimmi della tua organizzazione, di voi esp!-.
Sarebbe morto di quel dolore, lo sapeva… sapeva che non poteva resistere più a lungo, e che le forze lo stavano abbandonando… sapeva che se si fosse addormentato e loro fossero riusciti a rompere la barriera, tutti gli sforzi di mantenere il segreto sarebbero stati inutili.
Prima di svenire sentì un forte rumore, e un grido provenire dalla stanza.
Rinvenne subito dopo, come in un flash, mentre delle forti braccia lo sollevavano e lo portavano fuori dal liquido, facendolo respirare aria vera. Stava bagnando i vestiti del suo salvatore, che lo teneva stretto a sé mentre nella stanza scoppiavano proiettili.
Come smise di gridare e il dolore alla testa si dissolse, guardò l’uomo che lo teneva in braccio per difenderlo, e chiese: -Chi sei?-.
Lui lo guardò brevemente, per poi fare cenno ai suoi tre compagni che stava bene e potevano ritirarsi.
-Sono quello che ti ha messo la barriera, non preoccuparti. Quando saremo fuori di qui ricorderai tutto-.
Gli altri li coprirono mentre lo sollevava sulla schiena e lo portava fuori, coprendolo con un telo che aveva trovato negli spogliatoi. Il ragazzo che comandava il fuoco li accompagnava, mentre quello con la barriera e quello della telecinesi erano rimasti indietro.
-Subaru…- mormorò.
-Tranquillo, l’abbiamo già trovato- disse di nuovo la voce dolcissima del suo salvatore.
Ecco a cosa somigliava quando Subaru lo rassicurava. Ecco la persona che si era dimenticato.
-No Jun, resisti… devi mantenere la barriera attiva finché non siamo usciti- lo sentì dire.
-Ora non fa più male ricordare- osservò lui.
-No, perché ci sono qua io a proteggerti-.
Incontrarono una serie di altre persone nei corridoi e scoprì che il suo salvatore aveva una fortissima barriera distruttiva. -Shingo!- lo sentì gridare.
-JUN!- gridarono due voci, e lui alzò le testa per guardarli: ovvio che non li riconosceva, ma Shingo era uno dei due, e l’altro… -Yokoyama, aiutateci a coprire le spalle, Aiba e Ohno arrivano…- disse il ragazzo del fuoco, facendo loro segno di proseguire.
Yokoyama lo guardò dritto negli occhi, spaventatissimo, prima di obbedire.
In brevissimo tempo furono fuori di lì, mentre un sacco di buoni stavano occupando l’università. Venne portato in una specie di albergo e lasciato andare dal suo salvatore solo dentro una stanza, facendolo sdraiare su uno dei letti.
Un uomo si chinò su di lui e gli ascoltò il polso, come un medico.
-Lei chi è?- chiese, ancora senza capire -Dov’è Subaru?-.
-Sho, è il momento di ritirare la barriera. Sta bene, a parte l’effetto del 35ED ancora in funzione…- disse Nagase, per poi lasciarli soli nella stanza.
Quel nome l’aveva fatto sussultare, ed ora attendeva che l’altro facesse qualcosa, spaventato dalla situazione. Sho se ne accorse e prese ad accarezzargli i capelli, per tranquillizzarlo.
-Farà un po’ male, cucciolo…- lo sentì dire.
A quelle parole prese a lacrimare senza ragione, tremando: -Sono stanco di soffrire…- singhiozzò.
-Dopo questo sarà tutto finito, te lo prometto…-.
Poi un forte scoppio che sentì all’interno del proprio corpo e il dolore alla testa acutizzarsi: prese a gridare di nuovo, raggomitolandosi, scalciando. Poi pian piano il dolore si trasformò in un flusso di ricordi, e i ricordi divennero la sua intera memoria e il dolore era sparito.
Sollevò lo sguardo vedendo Sho sorridere, sorrise a sua volta e lo abbracciò stretto: -Amore mio! Amore mio… Sho! Come ho fatto a dimenticarmi!- pianse.
Il suo ragazzo lo baciò su tutto il viso, avido di averlo ancora tutto per sé e mormorò: -Era necessario che mi dimenticassi… sei stato bravissimo, cucciolo mio… sei stato grande-.
-La migliore spia del mondo?- sospirò lui, mentre si asciugava le lacrime e lo guardava negli occhi. Sho annuì e aggiunse: -Il miglior ragazzo del mondo… ti amo-.
-Anch’io!!!- gridò, abbracciandolo ancora, stringendolo a sé e piangendo, felice di non averlo perso per sempre, di essersi ricordato di lui e di tutto il resto.
Si baciarono e si coccolarono ancora, fregandosene altamente degli altri, che comunque erano tutti rientrati sani e salvi alla base.
Quando si calmarono, Jun mosse le gambe sul letto, accorgendosi che Sho era ancora chino su di lui, seduto al suo fianco. E disse: -Amore io… sono completamente nudo-.
-Lo so. E chi è stato a farti questo ha già pagato a sufficienza- disse, in un soffio gelido.
-No, intendevo… approfittarne?- chiese ancora, candido.
Scaricarono assieme la tensione e l’ansia, dopo aver chiuso a chiave la porta.
Quando uscirono dalla stanza, un bel po’ di coccole dopo, vennero investiti da una folla di domande e persone e Jun corse ad abbracciare Ryo e Jin, entrambi straordinariamente in lacrime e inclini a farsi vedere in tale stato. Aiba, Nino e Ohno corsero a strapazzarselo facendo commenti inappropriati su quanto tempo ci avesse messo Sho a fargli tornare la memoria dicendo “Ma ti ha voluto ricordare proprio tutto tutto, eh!” e “Io ho sentito delle grida che erano molto più simili a degli orgas…” ma Aiba venne colpito in tempo.
Subaru era già stretto tra le braccia di Yassu, e Maru gli raccontò della fine orrenda che avevano subito le guardie quando Shota aveva liberato il proprio ragazzo, rubando loro ogni singola goccia di energia dal corpo: alla fine non sembravano neanche più umani.
Sospirò, allegro e felice: non aveva ancora i suoi poteri, ma aveva tutti i suoi amici con lui ed era stato salvato dal suo ragazzo. In qualche modo si disse che, andando avanti così, sarebbero presto riusciti a concludere quella stupida operazione anti-esp.
E poi si promise che lui e Sho sarebbero stati sempre insieme.