Autore: nakashima
Fandom: supernatural
Pairing: Destiel
Rating: PG-13
Parte: 1/2Personaggi: Dean Winchester, Castiel, Sam Winchester, Bobby, Crowley, Balthazar, Evil!Dean
Contesto: AU!post quinta stagione
Genere: angst, malinconico, introspettivo, sentimentale
Avvertimenti: pre-slash
Parole: 9552
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, quanto descritto è frutto della mia fantasia e non ci guadagno assolutamente niente.
Quando un angelo piange - prima parte.
Continuò a correre nonostante il fiato smorzato, le gambe peanti e nessuna meta da raggiungere. Il dolore alla testa divenne più intenso e una fitta gli attraversò completamente la mente, in un attimo.
Si fermò d'un tratto nel bel mezzo di una strada di periferia piegandosi in due e cercando di riprendere fiato, ma tutto quello che riuscì a inalare fu un debole fiato di calore, un calore che gli stava facendo bruciare l'intero corpo.
I tendini dentro sé tremarono violentemente e i muscoli si contrassero facendolo muovere in uno scatto di spalle all'indietro. La testa continuava a pulsare mentre il respiro si appesantiva dentro il suo petto, come un macigno, era impossibile inalare aria, ma per una qualche strana ragione a lui sconosciuta non sembrava essergli di peso.
Cadde in ginocchio quando uno spasmo gli sconvolse il petto, all'interno il cuore pulsò velocemente e dopo un battito dannatamente irregolare sembrò fermarsi. Si portò una mano al collo tentando di controllare che il cuore fosse ancora funzionante ma non c'era alcun movimento al di sotto della pelle, si toccò il polso con prontezza e ansia ma la quiete al di sotto dei suoi polpastrelli non fece che urlargli che il cuore era immobile. Era dannatamente fermo. Si guardò sbalordito intorno tentando di fare mente locale, il nulla lo circondava, nient'altro che lande desolate che si estendevano per chilometri tutto intorno, il deserto sembrava circuirlo deridendolo mentre lì annaspante e senza battito cardiaco tentava di placare il dolore del corpo e della testa.
Un'altra fitta al cervello lo fece urlare, dentro sé solo il pulsare di un qualcosa che non riusciva a riconoscere, a definire, si sentì avvinghiato da un calore mai sentito prima, urlò tentando di prendere aria, quantomeno per sentirsi ancora vivo ma non ci riuscì e annaspò solamente, come se non ricordasse come si facesse a respirare.
«Che diavol...» si chiese ad alta voce, ma le sue orecchie percepirono solo gemiti strozzati accompagnati da una voce flebile e roca.
Gemette cadendo con il volto sull'asfalto mentre uno spasmo lo faceva contorcere nuovamente e il dolore si acuì, la schiena sembrò liquefarsi sotto il tocco delle vampate bollenti che sentiva dentro. Tentò di rimettersi in piedi, senza successo.
Lo squillo ovattato del suo cellulare raggiunse i suoi timpani tentandolo a rispondere ma i suoi sensi non erano dello stesso parere, così come le sue membra che da quando era scivolato completamente al suolo non avevano più risposto a nessuno dei suoi comandi.
La suoneria si librò nel silenzio totale di quella stradina abbandonata, si ritrovò a pensare -nei pochi attimi di lucidità tra uno spasmo e l'altro- che Lisa si sarebbe preoccupata e che forse quelle chiamate arrivavano proprio da lei, era scappato via senza dire nulla quando aveva sentito il suo corpo cedere al dolore e arrendersi all'assenza di aria nei polmoni. Avrebbe voluto cercare aiuto, ma le sue poche forze gli impedivano di urlare.
Era nei guai.
Chiuse gli occhi cercando di concentrarsi e di riuscire a muovere almeno un braccio, almeno quel tanto che bastasse per raggiungere il cellulare e chiamare Bobby, almeno lui. Non sapeva cosa diavolo gli stesse succedendo.
Un battito d'ali lo raggiunse e cercò di alzare le palpebre pesanti, senza ottenere risultati; non riuciva a vedere che una piccola parte di ciò che aveva accanto e solo perché non le aveva del tutto serrate.
Dannazione, imprecò dentro di sé sentendosi fin troppo il personaggio di un romanzo per ragazzine¹.
Il corpo che cambiava, il bruciore dentro: si sarebbe dovuto aspettare lunghi capelli rossi e labbra scarlatte?
Gemette quando l'ennesima fitta risuonò nel cervello e sembrò spaccarlo in due tanta la sua intensità, prima che una voce sicura lo raggiungesse «Dean» lo chiamò e lui si sentì rilassato, al sicuro.
«Cas» gracchiò malamente tentando di schiarirsi la gola, ma persino tossire sembrava un'azione pressoché lasciata nel dimenticatoio.
«Stai tranquillo, Dean -mormorò l'angelo confortandolo- adesso ti porto al sicuro.»
Il cacciatore avrebbe sospirato di gioia se avesse potuto, si limitò a far vibrare leggermente le palpebre socchiuse mentre un braccio di Castiel si allungava sulla sua fronte e lo faceva assopire lentamente.
Quello che Dean non poté vedere, fu lo sguardo terrorizzato che aveva macchiato la purezza di quel profondo blu negli occhi dell'angelo.
[...]
«Cosa diavolo stai cercando di dire?» urlò sconvolto dopo che l'angelo del Signore aveva tentato di spiegargli la situazione.
E davvero, lui nella sua lunga vita da cacciatore avrebbe potuto immaginare di tutto, ma mai la rivelazione che gli era appena stata fatta. Cosa voleva dire che il veleno dell'Inferno gli si stava propagando dentro? Cosa significava la frase "sei stato avvelenato dal dolore"? Era assurdo, e lui era ancora troppo intontito per poter afferrare al volo la spiegazione dell'amico.
E il fatto che Castiel lo stesse guardando con tanta afflizione non lo faceva stare per niente meglio, lo faceva solamente preoccupare maggiormente.
«Può accadere, Dean. Hai torturato anime, hai ucciso, e forse tutto il male assimilato dall'Apocalisse ha riaperto nella tua anima una parte che credevamo non si sarebbe aperta.» spiegò dispiaciuto l'angelo.
«Aspetta un attimo. Che significa che credevate non si sarebbe aperta? Tu sapevi che io avevo questo... questo veleno dentro me?» chiese Dean, sgranando le palpebre e fissando l'angelo che abbassava il capo ancora più afflitto.
«Cas, ehi, Cas guardami! -urlò sporgendosi un po' verso l'altra figura-Tu lo sapevi?»
L'angelo alzò il capo, gli occhi blu velati da un'ombra scura, preoccupata; e a Dean avrebbe fatto pena vedere quello sguardo mozzafiato ridotto in quello stato, se non fosse stato impegnato a realizzare che per due lunghi anni il suo angelo gli aveva mentito.
«Cas!» insistette urlando più forte.
«Si, lo sapevo -ammise colpevole- ma non potevo immaginare che...»
«Che, cosa? Cosa non potevi immaginare? Che mi si aprisse un cazzo di buco dentro l'anima e cominciasse a fluirmi dentro un po' di veleno infernale? Beh, non dovevi 'non immaginare', Cas. Dovevi evitarlo!» urlò di nuovo scalciando via le coperte e mettendosi a sedere poggiando le gambe sul pavimento.
«Dove credi di andare?» chiese Castiel scattando in piedi.
«Sono affari miei, Cas. Ha già fatto abbastanza, ora puoi anche sparire.» replicò acido, cercando i propri abiti.
«Mi dispiace, non posso lasciarti andare. Non sai...-frenò le sue parole, guardando oltre la finestra- potresti non stare bene.»
«Beh, Sherlock se non l'avessi notato non è che sia fresco come una rosa neppure adesso! Sai com'è, sono imbottito come un cazzo di tacchino al ringraziamento.»
L'angelo sbuffò portandosi una mano alla fronte, un gesto che Dean aveva visto imparare a fare poco alla volta quando era fustrato e irritato, e lui sapeva di stare lì ad irritarlo, ma tra i due sicuramente non si sentiva di dover biasimare qualcun altro.
«Dove pensi di andare, idiota?» lo richiamò una voce dalla porta della camera facendolo voltare incazzato.
Davvero, non voleva più nessuno a dirgli di tornarsene a letto, non in quel momento per lo meno, non con tutto che andava a puttane e suo fratello chiuso in un cazzo di buco con Lucifero e Michele.
«Bobby ti prego, non ti ci mettere anche tu.»
«E sentiamo, dove vorresti andare? Tornare da Lisa e Ben? Già perché secondo te lì saresti al sicuro vero? Non sappiamo cosa potrebbe accaderti e per quanto ne sai potresti anche contagiarli e peggio, ucciderli. Dove vorresti scappare?» affermò l'uomo guardandolo con durezza.
Dean lo fissò accigliato, seppure in cuor suo sapesse di non potergli dare torto, non sapeva nulla di quel veleno di cui Castiel gli aveva parlato e peggio ancora non voleva che qualcosa di oscuro potesse mettere in pericolo la sua ragazza e relativo figlio. Ma non voleva restare lì, non voleva doversi sentire come una cazzo di cavia da laboratorio, studiata per capire come funzionasse quella nuova patologia. E non voleva vedere Castiel, non per il momento almeno.
«Bobby dammi solo un'auto. Ho solo voglia di guidare, tornerò prima di sera, lo prometto.» biascicò frustrato, Dean inalando una gran quantità d'aria, non ricordava come fosse successo, ma semplicemente aveva ripreso a respirare e una volta svegliatosi nel letto di Bobby aveva sentito le proprie funzioni vitali tornare al proprio posto. Davvero, amava essere vivo.
Castiel continuò a guardarlo con tristezza, e se Dean non gli fosse stato minimamente riconoscente per averlo salvato nel bel mezzo del nulla, gli avrebbe volentieri spaccato la faccia.
Sentì una fitta di rabbia risalirgli lungo il petto, un fremito che scosse i suoi muscoli, sentì le budella tremare ma inspirò profondamente tentando di non dare a vedere ai due nella camera cosa gli stesse succedendo.
«Dean, non comportarti da moccioso. Cos'hai, due anni? Tornatene a letto ed evita di ribellarti. Chiamerò Lisa e le dirò che starai qui per un po' di tempo.» tuonò perentorio il cacciatore più anziano girando sui tacchi non ammettendo repliche. E anche se Dean aveva sempre fatto di testa sua, capì che non doveva essere il momento giusto per aprire dibattiti su ciò che poteva fare o meno. Non ne aveva neppure la forza a dire il vero, si girò verso il letto tornando a sedere sul materasso e prendendosi la testa tra le mani.
«Mi dispiace, Dean.» mormorò impacciato il guerriero divino, evitando di guardarlo in volto.
«Castiel, dillo di nuovo e ti prendo a pugni. Non me ne faccio niente delle tue scuse.»
Portò le coperte fino al petto girandosi su un fianco «lasciami dormire, Cas. E niente mojo angelici, voglio solo restare solo.»
L'angelo lo guardò tentennando «Dean io non posso...»
«Non scapperò Castiel. Guardami, sono una bottiglia di veleno infernale dove vuoi che vada? Stà tranquillo, almeno tu che puoi.»
Castiel sospirò abbattuto, prima di scomparire con un battito d'ali che lasciò in Dean un senso di vuoto.
[...]
Si guardò intorno spaesato, non ricordava come fosse finito lì, avrebbe giurato di essere nel letto di Bobby poco tempo prima. Ma incredibilmente quel tempo gli sembrava lontano, come fossero passati anni, come se tutto fosse trascorso troppo velocemente. Non c'era più la casa del vecchio cacciatore, non c'era più Castiel, non c'era più il dolore.
Il bosco in cui si ritrovò era fitto, numerosi alberi si estendevano tutto intorno e le fronde impedivano l'assalto al sottobosco dei raggi del sole che di tanto in tanto penetravano solo nei punti in cui le foglie lasciavano uno spazio libero perché non calasse del tutto l'ombra sulla vegetazione.
Camminò continuando a guardarsi intorno con circospezione, che faceva lì? Stava cacciando qualcosa?
«Dean, da questa parte.» lo richiamò una voce fin troppo familiare facendolo voltare di scatto.
Sam.
Il cuore cominciò a battergli velocemente nel petto, le labbra si schiusero e un groppo in gola gli serrò le corde vocali impedendogli di pronunciare parola, gli occhi di suo fratello erano seri, i capelli più lunghi e la barba incolta. Il suo Sammy.
Tentò di avvicinarglisi ma il corpo si tramutò nuovamente in un blocco di piombo, i nervi non risposero ai suoi comandi. Sam era davanti a sé e ora gli sorrideva. Era tornato, era con lui, erano di nuovo una squadra, di nuovo insieme come i vecchi tempi; avrebbe voluto piangere ma ci riuscì, non potendo muoversi. Era come una bambola inanimata, un corpo vuoto.
Un groviglio di sensazioni gli annodò lo stomaco e una di quelle gli intimava di correre e artigliare suo fratello tra le braccia e stringerlo, perché anche non sapendo come né perché, era comunque con lui, di nuovo. Ed era ciò che aveva realmente importanza ora.
«Cosa aspetti, Dean? Dobbiamo andarcene.»
Voleva rispondergli, dirgli che era felice di rivederlo, chiedergli come avesse fatto a salvarsi, ma non riusciva a sillabare neppure la più semplice delle parole o a compiere il più banale dei movimenti. Non riusciva a fare nulla che non fosse guardare suo fratello e sentirsi felice per il suo ritorno.
«Dean, non puoi muoverti non è così? Mi dispiace.» sorrise Sam.
Il maggiore dei due lo guardò confuso, non riuscendo a cogliere il bizzarro ghigno che adombrò le labbra dell'altro.
Il corpo cominciò a bruciargli nuovamente, sentì l'impulso di urlare dal dolore ma era tutto inutile, i suoni morivano all'interno delle sue intenzioni.
«Exorcizo te, omnis spiritus immunde, in nomine Dei²...» cominciò suo fratello guardandolo duramente.
Dean sgranò le palpebre percependo un senso di vomito salire dallo stomaco e addensarsi in prossimità della gola, non riusciva più a respirare, il groppo gli ostruiva di nuovo le vie respiratorie, stava soffocando. Provò ad articolare un qualsiasi suono per far capire a suo fratello che fosse in difficoltà, ma nulla, era animato quanto un sasso. I suoi occhi non si mossero, ancorati sulla figura di Sam che semplicemente continuava a recitare l'esorcismo e dentro sé dilagò un senso d'oppressione, qualcosa di denso che si propagò lungo tutta la gola e il petto e sembrò cercare un'uscita senza, tuttavia, trovarla. Non arrendendosi cominciò, poco dopo, a sbattere contro il suo stomaco. Volle piangere, d'un tratto tentò di piangere per permettere a quell'ammasso di non-sapeva-cosa di scappare, ma nulla, neppure le lacrime volevano collaborare. Il respiro ormai aveva smesso di entrare in sé e cominciò a sentirsi più debole, aveva bisogno d'aria, stava morendo.
La vista si appannò per qualche secondo, ritornò poco dopo brevemente su Sam che lo guardò ancora una volta con un sorriso di trionfo sul volto «adesso chi è il mostro, eh Dean?»
Tentò di urlare, di dirgli che non sapesse minimamente di cosa stesse parlando ma la vista si scollegò di nuovo e quella sensazione asfissiante si intensificò appesantendosi e gli attanagliò del tutto i polmoni. Stava morendo.
Suo fratello rideva, lo esorcizzava, lo chiamava mostro.
Era un mostro? Perché un esorcismo gli stava facendo tutto quello? Era un demone?
Ricordò d'un tratto le parole di Castiel sul veleno infernale.
No. Non poteva essere vero. Si rifiutò di accettarlo, di pensare che fosse proprio quella la causa di quanto gli stava accadendo. Non avrebbe mai ammesso di stare morendo a causa di ciò che aveva covato dentro durante quei quaranta infernali anni.
D'un tratto potè muoversi di nuovo, suo fratello era scomparso, ma riprese il comando del suo corpo anche se stava ancora soffocando; si portò le mani alla gola aprendo le labbra per vomitare, ma non ebbe successo.
Tossì per rilasciare quel qualcosa che lo stava riempiendo, uccidendo. La vista vacillò e d'un tratto il mondo sembrò inclinarsi su di un lato, il respiro di nuovo inesistente.
Sam. Pensò mentre tutto cominciava a diventare buio.
[...]
Ansimò pesantemente mentre una mano gli dava dei colpetti sulla schiena, tentò di invadere le vie respiratorie con quanta più aria potesse.
«Dean, stai bene?» chiese quello che riconobbe essere Castiel, dietro di sé che lo aiutava a fargli riprendere fiato. L'angelo portò una mano sulla sua fronte e d'un tratto un senso di freschezza gli invase il petto, facendolo sentire subito meglio.
«Cosa diavolo -ansimò ancora per qualche secondo- era un sogno?» chiese guardando con terrore l'angelo che annuì gravemente.
«Hai avuto un altro attacco. Non so cosa stessi sognando ma ti dimenavi nel sogno, immagino che non potessi respirare, tentavi di farlo anche nella realtà, ma inutilmente.» spiegò la creatura celeste allontanandosi di qualche passo.
Il suo sguardo nuovamente triste, abbattuto. Dean percepì quante cose non dette celassero quegli occhi blu, cose che l'angelo non gli avrebbe mai rivelato, non per il momento almeno, evitando di metterlo in agitazione. Ma Castiel era sempre stato un soldato valoroso, pronto a cimentarsi in qualunque battaglia e lui quello sguardo glielo aveva visto solamente una volta, quando aveva perso fede in Dio. E non era sicuro che non fosse qualcosa di ugualmente pericoloso stavolta.
«Devo alzarmi da questo letto» grugnì togliendosi le coperte di dosso.
«Dean non credo che sia una buona idea.»
«Non me ne frega niente, Edward. Non starò qui immobile mentre qualsiasi cosa mi stia scorrendo in corpo mi muterà in Dio solo sa che cosa. Ho voglia d'aria e che tu sia d'accordo o meno, ho bisogno di uscire di qui.» dichiarò irremovibile, vestendosi.
«Vorrei...» annunciò l'angelo per poi fermarsi ed abbassare di nuovo il capo.
Il cacciatore lo fissò curioso «Cosa stavi per dire?»
Castiel scosse il capo «Nulla. Cercherò di scoprire qualcosa.» annunciò solenne, prima di scomparire dalla sua vista.
Dean fissò il vuoto per alcuni secondi, scacciando dalla mente l'ultimo sguardo dell'angelo, così diverso dai soliti, così addolorato come se egli stesso potesse provare le sue stesse sensazioni.
Gettò uno sguardo all'impronta nascosta in parte dalla manica corta della sua maglietta, forse l'angelo poteva sentire i suoi sentimenti, per via del collegamento? Una volta gli aveva sentito dire qualcosa al riguardo, ma non ricordava, e sinceramente non aveva voglia di perdersi nel passato. Qualsiasi cosa stesse accadendo nella sua vita non lo avrebbe abbattuto, ne aveva affrontate di peggiori, aveva sventato l'Apocalisse. Beh, tecnicamente Sam aveva sventato l'Apocalisse, ma di certo lui non aveva avuto un ruolo di contorno, e se la sarebbe cavata in un modo o in un altro anche in questa situazione. Un po' di veleno infernale non avrebbe di certo messo al tappeto il maggiore dei Winchester, no?
Ripensò a Sam, al suo sorriso trionfante, alle sue dure parole.
Era solo un sogno, si disse, solo uno stupido sogno dettato dalla malattia.
Scese le scale entrando nel salotto dove un Bobby curvo su dei libri si bagnava le labbra con un bicchiere di whiskey «Lo dicevo io, che la roba buona la nascondevi quando arrivavamo noi.» sorrise quando l'uomo si voltò nella sua direzione.
«E tu che cazzo ci fai in piedi? E dov'è Castiel?»
«A giocare al detective, e sì sto bene Bobby non me lo chiedere così tante volte o mi ammalerò sul serio» ridacchiò dirigendosi verso il frigo in cucina.
«Non fare il coglione, non puoi prendere questa cosa sottogamba, Dean. Potrebbe essere mortale.»
Il giovane tremò ripensando all'Inferno, aveva visto il Paradiso poco tempo prima, quando sia lui che suo fratello erano morti, aveva rivisto sua madre anche se quel figlio di puttana di Zachariah l'aveva soggiogata e usata a suo piacimento, era un posto che odiava e sicuramente non avrebbe voluto rimetterci piede, ma in alternativa all'Inferno avrebbe preferito di tutto. Non voleva tornarci, non voleva di nuovo bruciare, sentire quelle lingue di fuoco sadiche leccargli l'anima e portargli via pezzo dopo pezzo la sua umanità. Non voleva di nuovo torturare, sentire urla, vedere lacrime, e percepire il male come fosse vivo, un'essenza che non faceva altro che guizzare tra le anime in pena, dannati che si contorcevano nel peccato e nel dolore: nella perdizione.
«Bobby che io stia a letto o in piedi le cose non cambieranno, tanto vale che ti aiuti a cercare qualcosa, no?» sbuffò poi, prendendo una birra dal frigo e stappandola.
Quando il liquido freddo gli raggiunse la gola, si sentì rinascere, come se non avesse bevuto per anni.
«Non credo ci siano stati casi come questi prima d'ora, altrimenti ne avremmo sentito parlare. I demoni sono stati esseri umani, ma diventano tali all'Inferno, dopo secoli di torture e condanne. Tu non sei all'Inferno, come è possibile che il tuo corpo stia elaborando lo stesso processo che le anime peccatrici elaborano dopo secoli?» gettò fuori Bobby guardando fuori la finestra.
Dean allargò le braccia «cosa vuoi che ti dica, evidentemente sono un bambino speciale.»
«C'è poco da scherzare ragazzo. Non ci resta che fare una cosa.» si alzò l'anziano cacciatore prendendo una ciotola e girando per la camera in cerca di alcuni ingredienti.
«Che vuoi fare?»
«Chiamare Crowley, quel figlio di puttana dovrà pur sapere qualcosa, no?»
Dean inclinò leggermente il capo «ma ti ha dato di volta il cervello? Non voglio richiamare un demone, non voglio il suo aiuto!»
Bobby si alzò da terra dopo aver recuperato un sacchetto nero da un basso comò «beh, hai qualche altra idea?»
«No! Ma preferisco il nulla piuttosto che questo.» replicò il ragazzo alzandosi dalla sedia.
«Oh Dean, così ferisci i miei sentimenti» si lamentò una terza voce richiamando l'attenzione dei cacciatori.
Il giovane serrò la mascella gettando uno sguardo veloce a Bobby che guardò con circospezione il demone in tenuta nera sorridere sornione di fronte a loro «beh, allora? Non mi chiedete come sto?» sorrise quest'ultimo facendo l'occhiolino al più vecchio.
«Beh sai, non mi interessa molto in questo momento.» ringhiò Dean guardandolo accigliato.
«Stai calmo tesorino, e porta rispetto a chi è più in alto di te -rise il demone avvicinandosi alla bottiglia di whiskey ed ispezionandone la targa- insomma Bobby, rimani ancorato a questa roba scadente? Se fai così a breve verrai a farmi visita agli inferi.»
«Perché, qualcuno ti ci sta per rispedire?» rise il cacciatore più grande guardando circospetto il demone che sogghignò apertamente di rimando.
«No, più che altro direi che ormai ci vivo. Sai, dopo che voi bravi ragazzi avete rispedito Lucifero nella sua gabbietta, io ho preso diciamo... il comando!» esultò l'uomo vestito di nero gemendo di gioia.
Dean spalancò incredulo le labbra guardando sconvolto Bobby «sei... cosa, quindi?» chiese ancora l'uomo.
Crowley lo guardò ammiccante «sono il nuovo re, caro.»
«Sei il re dell'Inferno?» ribattè incredulo Dean «E' uno scherzo, vero?»
«Non scherzerei mai con un povero uomo con un piede nella fossa.»
Dean stava per ribattere ma Bobby fu più veloce «Tu sei al corrente di cosa sta succedendo a Dean?»
Due paia di occhi si posarono sul cacciatore ed il silenzio scese nella stanza, il maggiore dei Winchester fece danzare lo sguardo dal vecchio amico al demone di fronte a sé che continuavano a gettarsi occhiate profonde.
Crowley si voltò verso di lui, e il suo sguardò lo intimorì «se fossi in te, preparerei il testamento e mi allontanerei dalle persone che ami.» dichiarò risoluto l'uomo in nero.
un mese dopo
Castiel gettò uno sguardo disperato verso il letto del cacciatore, ormai il sudore imperlava completamente la sua pelle, lo aveva spogliato di tutti i suoi indumenti e sapeva che non appena sarebbe stato sveglio e cosciente Dean gli avrebbe dato un pugno, ma non gli importava molto, tutto ciò di cui avrebbe voluto occuparsi erano quegli spasmi sempre più frequenti che sconvolgevano l'intero corpo dell'umano. Gli si avvicinò poggiandogli due dita sulla fronte sperando di abbassare la temperatura corporea, la pelle del giovane era diventata bollente.
Avrebbe voluto fare di più, curarlo, strappargli dalle vene quel maledetto veleno, ma non poteva fare nulla, non poteva intervenire in qualcosa di così potente; l'Inferno era stata una costruzione di suo Padre e lui non poteva niente contro le piaghe, i dolori e i problemi che nascevano da questo. Poteva solo sconfiggere demoni, ma a lui non serviva quello al momento, sentì una sensazione strana formicolargli nel petto, e ancora una volta in tre anni non riuscì a decifrare quello che stava provando, le sensazioni umane erano forti, alcune davano assuefazione, aveva imparato molto da loro ma era ancora troppo poco per riuscire a riconoscere tutte le emozioni e farle sue, semplicemente le provava involontariamente, nascevano nel suo petto e ci metteva un po' di tempo per capire se gli piacessero o meno.
Quella che provava ora, non sapeva come chiamarla, ma era qualcosa che non gli piaceva, lo faceva stare male, lo rendeva debole e soprattutto scaturiva ogni qualvolta era accanto al giovane cacciatore; sentiva solo un'amarezza al petto, un senso di impotenza, come se tutta la sua millenaria vita non valesse nulla perché in fin dei conti non poteva fare niente per il suo protetto. E no, Dean non aveva mai smesso di essere il suo protetto, anche dopo aver sventato l'Apocalisse, anche dopo essere tornato in Paradiso, non aveva voluto rinunciare a quell'uomo. Era stato difficile per Castiel riuscire a stargli lontano, a dover accettare il fatto che il Winchester avesse deciso di tenersi lontano dalla vita in cui gli angeli combattevano contro i demoni, in cui i mostri uccidevano le persone, e il male era sempre dietro l'angolo, sempre pronto ad attaccare come una belva feroce la cui gabbia era stata aperta.
Aveva accettato ogni cosa, ma non aveva accettato di stargli lontano, e seppure ai 'piani alti' -come li chiamava Dean- ci fosse bisogno di lui, non aveva avuto la minima voglia di abbandonarlo, lo aveva guardato da lontano per tutto quel tempo, ma ora non si sarebbe allontanato, si sarebbe preso cura di lui con tutte le sue forze.
Si sentì inutile, cosa avrebbe potuto fare per Dean? Stava diventando un demone.
E ancora non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Nessuno aveva saputo dirgli di più su quella scomoda situazione, Crowley aveva fatto capire all'umano che stava per morire, il che era vero, ma la sua esistenza avrebbe preso una piega inaspettata, e Castiel combatteva i demoni, li distruggeva. Ciò voleva dire che avrebbe dovuto distruggere anche Dean? Il pensiero gli attraversò la mente e sentì il corpo di Jimmy rispondere all'urlo della sua Grazia tremando leggermente.
Non doveva pensarci ora, si disse, mentre Dean gemeva sotto di sé reclamando ancora un po' del contatto fresco con le sue dita.
Guardò l'uomo inerme e privo di sensi sotto quelle coperte, ne scrutò ogni tratto, le rughe ai lati degli occhi che seppure fossero rilassate segnavano i trascorsi del tempo su quel viso stanco, il rossore dato dalla malattia aveva reso meno visibili le lentiggini che lo ricoprivano come un velo. Le labbra scarlatte ora screpolate e qualche ruga a segnarne i contorni. Ogni cosa su quel viso, ogni tratto, ogni poro, ogni centimetro di pelle ricordava al mondo la stanchezza, l'orrore, il dolore di quella vita. Si sentì mosso da un senso di pietà; quanto ancora quell'uomo avrebbe dovuto soffrire prima che potesse raggiungere la pace?
«Cas» mugolò il cacciatore alzando lentamente le palpebre, come se quel gesto comportasse un innumerevole quantità di forza.
Ma ora come ora Dean non aveva nessuna forza, stava morendo, il suo corpo si stava spegnendo e Castiel poteva sentire il battito del suo cuore farsi sempre più debole, sempre più stanco. Dean aveva combattuto per tutto quel tempo, da quando aveva saputo della sua malattia aveva fatto di tutto per non lasciarsi sopraffare dai dolori che il veleno gli infliggeva. Ma era stato tutto inutile, non avrebbe resistito a lungo e lo sapevano entrambi.
Castiel avrebbe voluto urlare, non voleva perderlo, per quanto fosse strano ammetterlo e non sapesse perché si sentisse così legato a quell'uomo, aveva ormai accettato la sua immensa paura di non essere abbastanza forte da proteggerlo, di doverlo vedere morire e diventare un essere infernale, malefico, corrotto dal peccato.
E cosa ne sarebbe stato della sua anima? Avrebbe voluto salvarla, ma sentiva che in quel caos di morte era ciò che Dean stava perdendo sempre più velocemente, il male la stava mangiando, la divorava velocemente; Dean non sarebbe mai andato in Paradiso.
«Non preoccuparti, Dean. Starai meglio tra poco.» mentì spudoratamente. Stava peccando, ma non gli importava, non voleva più vedere la sofferenza su quel volto.
«Fai proprio schifo come attore, lo sai?» rise Dean mentre una fitta al petto lo fece gemere e inabissare ancora di più sul cuscino ormai umido di sudore.
«Scusami.»
«Non scusarti Cas. Non hai niente per cui scusarti, sei stato un figlio di -si fermò per qualche secondo per riprendere fiato- un figlio di puttana, ma non scusarti.»
Castiel si alzò dal letto dandogli le spalle, lo sguardo rivolto oltre la finestra.
Stava cedendo ai sensi umani di Jimmy e non poteva permetterselo, ma gli era sempre più difficile controllare il suo tramite e le emozioni umane che sembravano divenire più forti della sua stessa Grazia, intensificandosi e imponendosi. E lui non aveva la forza di combatterle, perché era stanco. Il Paradiso era ormai nelle mani di Raffaele, aveva abbandonato la sua causa, aveva mollato tutto, aveva tradito i suoi fratelli e detto addio alla sua casa; suo Padre non voleva ascoltare le sue preghiere, non interveniva e non capiva perché. Aveva sempre eseguito ogni Suo ordine, sempre combattuto per Lui e donatoGli tutta la sua fede e il suo amore, e ora che pregava per il cacciatore perché fosse salvato ancora una volta dalla perdizione, nessuno si decideva ad ascoltarlo: era rimasto solo; e una volta che l'uomo fosse diventato un demone non avrebbe avuto più niente, nessuno. Né una ragione per combattere qualsiasi causa, né per continuare a vivere. Come avrebbe potuto dopo aver ucciso Dean?
«Mi ucciderai?» la voce dell'uomo lo raggiunse, era stanca, spossata.
Castiel sentì di nuovo le sensazioni umane artigliargli il petto, e un blocco alla gola lo destabilizzò smorzandogli le parole mentre qualcosa di pesante batté dietro le sue pupille.
«Cosa mi sta succedendo davvero?» sussurrò sfinito, Dean. Le gambe scattarono sotto le lenzuola e si sentì come stesse ardendo. Castiel lo guardò, non riusciva a parlare, non riusciva a riprendere il controllo di quel tramite, tutta la pietà e l'amore e la fede battevano violentemente contro di sé, ma altri sentimenti indefiniti lo scuotevano e facevano sentire inutile.
Qualcosa di umido gli bagnò la guancia destra, la toccò trovando poi sul polpastrello una gocciolina d'acqua o quello che ne rimaneva; in poco tempo sentì che le sue guance si bagnavano sempre più e Dean lo guardava sbalordito.
Aveva la testa pesante e il petto saturo di dolore, e quelle strane gocce lo facevano sentire male e debole.
«Stai, piangendo?» mormorò strabiliato il cacciatore ancora ansimante.
L'angelo inclinò leggermente il capo, avvicinandosi di nuovo al letto «cosa significa?» chiese. scoprendo la propria voce rotta e pesante.
Dean lo guardò sbalordito, portandosi a sedere a fatica mentre le fitte al capo minacciavano di fargli perdere i sensi; allungando una mano poggiò i polpastrelli sulla pelle del tramite dell'angelo, scoprendola morbida sotto gli occhi, seguì come ipnotizzato una scia lasciata da una lacrima dispettosa, e sentì quanto tutto quello fosse incredibile, stava vedendo un angelo piangere. Era davvero possibile?
Il corpo continuava a bruciare, ma la vista di quegli occhi velati dal pianto, la profondità accentuata da quelle nubi di dolore che rendevano il blu più intenso, quasi nero, lo allontanarono dal senso di dolore che provava ovunque. Come un bambino affascinato, continuò a perdersi in quei mari in tempesta: quella vista era qualcosa di magnifico, di innaturale.
«Perché stai piangendo?» chiese senza allontanare la sua mano. E forse, se avesse avuto la forza necessaria per pensare ad altro, avrebbe notato quanto tutto quello sembrasse dannatamente ambiguo e poco virile. Ma l'unica cosa che sembrava farlo stare sveglio e non cedere alla pazzia per quei dolori atroci, erano proprio gli occhi di Castiel.
«Non capisco i vostri sentimenti, Dean. Lo fate quando state male.» mormorò l'angelo senza riuscire a staccare lo sguardo dalle iridi verdi del cacciatore, completamente perse nei suoi occhi, ipnotizzate. Le lacrime potevano fare questo effetto?
Non lo sapeva.
«Stai male?» domandò l'altro senza perdere il contatto visivo, ma il dolore mutò di nuovo la sua espressione rendendola ancora una volta sofferente.
Castiel non rispose, limitandosi a guardarlo mentre sentiva che le lacrime si fermavano, il peso al petto non accennava a volersi placare, ma il cuore si calmò e scoprì di poter riprendere nuovamente il controllo del suo corpo.
«Come ti senti?» chiese, tentando di cambiare argomento.
Dean vibrò sotto l'ennesima fitta di dolore e poggiò la schiena alla spalliera del letto, ancora con gli occhi persi in quelli surrealmente blu dell'angelo. Un contatto che non voleva perdere, non voleva lasciar andare, quelle iridi sembravano porte per altre dimensioni, dove non sentiva dolore, dove le fiamme dentro sé venivano spente e lasciate a dormire in qualche angolo indefinito. Lasciare quelle iridi avrebbe significato ritornare alla realtà, al dolore, alla verità. E lui non voleva, non era ancora pronto.
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