Titolo: Scent of Varnish - 8
Fandom: The Hobbit
Personaggi: Bilbo Baggins, Thorin Oakenshield, Gandalf, Smaug
Rating: NC17
Avvertimenti: Slash, lemon, Modern Au
Conteggio parole: 9000
Riassunto: Non ha idea di quanto abbia dormito, ma è sicuro che non gli basterà a sopravvivere al giorno dopo. Stringe le coperte con forza, annaspando come se fosse appena riemerso dall’acqua. Ci mette un po’ a tranquillizzarsi, lascia i suoi occhi liberi di schizzare a destra e manca per realizzare di non essere sulla poltrona del suo ufficio o a un passo dalla morte. Il tepore delle coperte diventa spaventosamente fastidioso, e si ritrova a calciarle via prima di potersene rendere conto, mettendosi seduto sul materasso e affondando il viso nelle mani.
“Fanculo.”
Note: Ho mal di testa, abbiate pietà.
8.
L’aria è fredda, punge il naso di Bilbo con così tanta insistenza da obbligarlo a fregarne la punta con la manica del giubbotto diverse volte, prima che possa riacquistare sensibilità. Thorin gli sorride stanco, mentre infila la chiave nella toppa e apre il portoncino, tenendolo aperto per farlo passare, lui e il borsone con dentro l’indispensabile per vivere fuori di casa.
“Solo un paio di giorni.” Ha proclamato con una convinzione tale da far quasi ridere, la bocca stretta e gli occhi fissi su quelli del suo capo. Per fortuna Thorin non ha fatto storie - per fortuna può contare sulla sua compagnia e magari potrebbe riuscire a recuperare un po’ di sonno perduto negli ultimi giorni, per cui tanto vale approfittarne.
Mentre mette piede in casa del suo superiore e guarda le pareti con un mal di testa di meno, gli sembra di essere in un posto nuovo rispetto a quello che ha visto poche settimane prima. C’è un buon odore, lo stesso che ricorda sul divano del salotto, sul plaid che aveva addosso Thorin quando lo ha trovato addormentato quella mattina, lo stesso che gli ha fatto attorcigliare lo stomaco e adesso si sta premurando di farsi sentire ancora fino alle viscere.
“Dormo io nel divano, stavolta.” Esclama serioso, poggiando il borsone a terra e stirando le braccia sulla testa. Alle sue spalle, Thorin chiude la porta e scuote il capo, voltandosi per mostrargli un sorriso che, per un momento, fa dimenticare a Bilbo il motivo per cui è lì.
“Non ce n’è bisogno. Ho un divano letto nel mio studio, dormirai più che comodamente, lì.”
“Avrei sicuramente dormito comodo anche nel divano.” gli risponde storcendo il naso, prima di riprendere in mano il bagaglio. “Mi mostri la stanza? Così poggio questa.”
Thorin annuisce, passandogli davanti per fargli strada. Bilbo lo segue, voltandosi verso l’andito alla sua destra, la porta della camera dove ha dormito poche settimane prima semichiusa.
Pagherebbe, per dormire lì dentro. Pagherebbe anche solo per poterla guardare per un istante.
Si rende conto di essersi imbambolato soltanto quando Thorin si schiarisce la voce, il braccio teso contro la porta della stanza aperta. Lo raggiunge subito, sperando non abbia dato all’uomo occasione di porsi domande sul suo comportamento - un problema alla volta, grazie.
“Prenditi il tempo che ti serve, intanto preparo qualcosa da mangiare.”
“D’accordo, grazie.”
Thorin va via, e Bilbo si sente finalmente libero di lasciar andare un sospiro troppo pesante per poter essere trattenuto ancora. Poggia il borsone a terra, ignorandolo per quello che giura sarà solo un momento, poi avanza verso il centro della stanza, guardandosi attorno - c’è una scrivania sgombra se non per una pila di libri accuratamente posta in un angolo, uno stereo impolverato a lato della porta, un armadio pieno di libri di economia, diritto, gestione aziendale, ricordi dell’università. Il divano è sotto la finestra, già aperto, già accuratamente pronto, non troppo grande, ma ci si accontenta. Scuote la testa e sorride, chiedendosi se Thorin non avesse già programmato tutto, se non fosse convinto dal principio che avrebbe accettato la sua offerta - è sicuro ci stesse pensando da giorni, aspettava solo la giusta occasione. Si siede, accarezzando il materasso, l’odore di pulito che gli accarezza le narici, che lo fa sentire a casa.
È stupido, come gli basti così poco per sentirsi protetto. Si convince che Thorin non c’entri nulla, che sia solo la presenza di un’altra persona in casa a farlo sentire un po’ meglio, un po’ meno solo - lo pensa mentre si tiene la pancia e si lascia cadere di peso contro il cuscino, un altro sospiro che scappa dalle sue labbra.
Se la sente ancora addosso, la bocca di Smeagol. Si sente ancora stupido per avergli permesso di avvicinarsi troppo, ma ormai il danno è fatto. Spera solo che la sensazione nauseabonda di pericolo passi presto.
Di certo, essere tra le mura di un’altra persona aiuta. Essere in casa di Thorin aiuta, Dio, se aiuta.
Non si rende nemmeno conto di come la stanchezza lo stia rapidamente mangiando. Non si rende conto di aver chiuso gli occhi, della sensazione pesante allo stomaco che lo tira giù, del mondo che si fa nero, dietro le sue palpebre.
Non si accorge della porta che scricchiola, né del suo nome detto a mezza voce da Thorin.
Pensa solo che può concedersi il vezzo di restare così per qualche minuto, a far finta che vada tutto bene, e riposare un po’.
*
La mattina dopo è un fastidioso raggio di sole a dargli la sveglia. Il mondo diventa improvvisamente troppo chiaro, i colori troppo vivi perché riesca a guardarli senza sentire gli occhi bruciare. Sfrega le mani sul viso, lasciandole scivolare fino alla bocca per sopprimere uno sbadiglio.
Vorrebbe davvero sapere che ore sono, perché di certo questo non è un sole da mattino presto.
“… oh, merda.”
Si alza di scatto, uscendo dalla camera con il cuore che gli cavalca nel petto. Dio, è la seconda volta che dorme in quella casa e la seconda volta che crolla sul letto come un imbecille. “Thorin?”
Nessuno risponde. A passi lenti imbocca il corridoio e si guarda attorno - nessun rumore. Sembra quasi che sia solo in casa. Entra in salotto, rotea la testa tra i divani e la cucina, ma l’unica cosa che vede è un piatto con un toast e un succo di frutta sul tavolo.
Il foglietto affianco al piatto è più che esplicativo.
Non fare tardi.
L’orologio da muro segna le otto meno dieci. Scuote la testa e si mette a sedere, sentendosi, dopo troppo tempo, sereno.
*
Sono già passate le nove e mezza, quando finalmente apre la porta d’ingresso della Oakenshield and Company e sale le scale a due a due per arrivare più rapidamente in ufficio. Thorin è già dentro, perso davanti al monitor del computer, e Bilbo si trattiene un momento sulla porta per riprender fiato, facendo notare così all’altro la sua presenza.
“Finalmente.” Il suo tono di voce è mitigato soltanto dalla sua espressione, decisamente ammorbidita. “In verità non pensavo ti saresti presentato prima delle dieci. In ogni caso dovrai recuperare.”
“Lo so, lo so.” Arrossisce sulle orecchie, imbarazzato. “Mi dispiace di-“
“Su, a lavoro.” Thorin lo tronca subito, e Bilbo sospira e scuote la testa, prendendo posto e accendendo il computer. “C’è un po’ di roba da sistemare, lavoro arretrato.” Bilbo annuisce, abbassando lo sguardo sui fogli che poggiano sulla sua scrivania. Sono dati di bilancio, fatture di pochi giorni prima con timbri rossi all’angolo, perdite su perdite che si accumulano e gli fanno venire un peso al petto. Il lavoro di Smeagol. “Se non te la senti, posso chiedere a qualcun altro.”
“No, non c’è problema.”
Riempie i polmoni d’aria e si ripete che la cosa migliore è lavorare. Se non pensa starà sicuramente meglio, e altrettanto sicuramente potrà essere più d’aiuto a quel posto. Per cui smette di fiatare, lasciando alle sue dita il compito di intrattenitrici, lì che corrono sulla tastiera per digitare nomi, cifre, parole di cui per ora vuole ignorare la natura.
Penserà al peggio quando sarà il momento.
*
Non si rende conto di quanto tempo sia passato se non quando Thorin batte due dita contro la sua spalla, indicandogli l’orologio da muro con un cenno della testa. “Fermati, è ora di pranzo.”
Bilbo sobbalza al tocco, guardando Thorin come se fosse un alieno. Poi sposta lo sguardo alla sveglia, poi di nuovo a Thorin, e scuotendo la testa torna a digitare numeri e parole sulla tastiera. “Non ho fame, prendo qualcosa dopo.”
Lo sguardo di Thorin brucia sul collo di Bilbo. Sa che vorrebbe obbligarlo a scendere in mensa con lui, ma per fortuna l’uomo si limita a sospirare stancamente e annuire con un borbottio secco, lasciando poi l’ufficio.
Sa benissimo che il suo capo sia preoccupato, ma non ha né fame, né voglia di vedere qualcuno. Gli è bastato incrociare lo sguardo di Bofur mentre andava in bagno alla sua prima pausa, gli è bastato guardare Bombur negli occhi mentre gli offriva un dolce per ritrovarci una compassione che non è sicuro di riuscire a sopportare. Thorin può anche non essere d’accordo, ma al momento ha bisogno di stare lontano da qualunque cosa gli ricordi Smeagol, e finché continueranno a mostrargli il loro supporto in questo modo non arriverà da nessuna parte.
In ogni caso, battere le dita sui tasti è un’attività che riesce a trovare rilassante, per cui più tempo sta su quella sedia e meglio è. Non è veloce, deve concentrarsi sui tasti ed è un bene perché così evita di pensare a cosa stia realmente scrivendo, e quindi poco importa se l’ultima partita di materiale è stata riconsegnata per l’annullamento della produzione della nuova linea o se il bilancio mensile non si è chiuso in positivo. Occupa il tempo con qualcosa a cui non vuole pensare ma con cui riesce a distrarsi, è un controsenso a cui, al momento, si sente estremamente grato.
Di nuovo salta sulla sedia, quando vede un’ombra al suo fianco, il braccio di Thorin che si allunga sulla scrivania, l’uomo che lascia sul tavolo un piatto di plastica con un po’ di polpette in brodo e un caffè. “Per quando ti viene fame.” dice soltanto, un sorriso appena accennato sulle labbra mentre si rimette a posto e riprende in mano il suo lavoro.
Bilbo gli sorride con gli occhi e sa che a Thorin basta.
*
È un giovedì particolarmente freddo, ed è per questo che tutti guardano Bilbo con un misto di apprensione e tenerezza, tutti occupati a fissare la punta arrossata del suo naso e gli occhi appena lucidi. Il ragazzo batte le mani per attirare l’attenzione, poi guarda Thorin, e così fan tutti gli altri.
Lui scuote le spalle, ignaro.
Bilbo si schiarisce la voce, guardando tutti negli occhi, stringendo i pugni sui fianchi per tenere a bada la tensione. “Ho passato gli ultimi giorni a guardare fogli che non avrei voluto guardare, a pensare che non si può andare avanti in questo modo. Non ho potuto far niente prima, per cui adesso ho bisogno che voi mi diate retta, che Balin mi presti la sua mano e Thorin mi dia la benedizione.”
Si stupisce di se stesso, mentre comincia a girare attorno al tavolo nella sala relax, il silenzio che sembra quasi surreale. “Se Smaug è riuscito ad avere le informazioni che gli servivano per scavalcarci è solo colpa mia. Ma se Smaug è riuscito a mettere le mani sul progetto Arkenstone, non vuol dire che possa farlo una seconda volta.”
Thorin alza un sopracciglio, quando Bilbo lo guarda dritto negli occhi. Attorno a lui, gli altri parlottano tra di loro, qualcuno che scuote la testa. “Bilbo, non possiamo rischiare di andare in bancarotta.”
“Non andremo in bancarotta, perché non ce ne sarà modo. Perché riusciremo ad uscirne fuori, ma se ci credo solo io non serve a nessuno.”
Bilbo conclude il giro del tavolo, fermandosi davanti a Thorin e sostenendo il suo sguardo per qualche istante, prima di chinare il volto e fissargli la punta delle scarpe. “C’è un quadro, a casa tua. Una pietra incorniciata, ed è stupenda. La labradorite al confronto è un sassolino. L’ho immaginata incastonata sull’ebano. Brillerebbe, circondata dal legno scuro. Immaginala anche tu, e dimmi se non ne vale la pena.”
Il brusio aumenta, attorno a loro. Kili e Fili si avvicinano, il più giovane che avvolge le spalle di Bilbo, l’altro che fa lo stesso con lo zio. “A me non sembra una brutta idea.”
“Non lo sembra per nulla.”
Thorin scuote la testa. “Non è così facile. Quella è un opale, e opale e ebano sarà pure un’ottima combinazione, ma costosa. Se fallissimo, saremmo probabilmente costretti a chiudere bottega.”
C’è un momento in cui tutti ammutoliscono, persi a riflettere sulle parole del loro presidente. È Dwalin a spezzare il silenzio schiarendosi la voce. “Non per essere brusco, ma se va avanti così chiuderemo in ogni caso.”
Bilbo segue lo sguardo di Thorin, si volta, osserva Dwalin, e si chiede se stia accadendo un miracolo. Mai avrebbe sperato di avere una simile bestia dalla sua parte. Sorride, tornando a guardare Thorin e stringendo le labbra. “Proviamoci.” Le mani di Thorin sono calde. Le stringe con così tanta forza che ha paura di fargli male - e come potrebbe? “Proviamoci. Per favore.”
Thorin sospira, chinando la testa e chiudendo gli occhi. “Sappi solo che sarai responsabile del progetto.” Risponde dopo qualche istante, guadagnandosi il sorriso di tutta la sala.
Forse può fare ancora qualcosa di buono.
*
Se appoggia il naso al vetro della finestra, Bilbo può vedere il vapore creare un alone bianco attorno alla sua punta, appannandogli la visuale sul piccolo giardino ormai immerso nel buio. C’è un odore buono, alle sue spalle, Thorin occupato coi fornelli mentre le patate dolci cuociono nel forno. Sorride, guardando il riflesso delle sue spalle larghe sulla porta vetrata; da quando è in quella casa è certo di aver messo su qualche chilo, ma la cosa non gli dispiace poi tanto. Con le braccia dietro la schiena esce dal salotto per scivolare nella cucina, allungando il viso sulla pentola dell’agnello.
“È una vita che non mangio patate di Kumara. Mamma le faceva sempre, peccato non sia venuta con me a Auckland.”
Thorin sogghigna, mentre arricchisce la carne di spezie. “Allora goditele, perché non le faccio spesso.”
Bilbo sorride, alzando le spalle. Guarda Thorin, perdendosi nella curva del suo naso, nelle labbra sottili. Vorrebbe appoggiarsi alla sua spalla e ringraziarlo, vorrebbe stringergli di nuovo le mani e sentirne il calore, ma si limita a restare lì, a pochi passi.
“Lo farò.” si limita a dire, prima di voltarsi per apparecchiare la tavola.
È lì da appena quattro giorni, e gli sembra di esserci da una vita.
*
Quando arrivano in ufficio, venerdì, Gandalf è accomodato sulla poltrona di Thorin con una tazza di tè - “I tuoi nipoti sono un po’ rumorosi, ma sicuramente delle brave persone.” - e un sorriso sornione dipinto sul volto, nascosto appena dai baffi bianchi. Bilbo e Thorin, sorpresi, bofonchiano un buongiorno impastato ancora di sonno, il tirocinante che corre a prendere posto alla sua scrivania.
“Non ti aspettavo così presto.”
“Non mi aspettavi affatto, caro Thorin.” Gandalf si alza per lasciar spazio al legittimo proprietario della poltrona guardando verso Bilbo. “Sono qui per scambiare due chiacchiere con il tuo allievo, se posso.” Il tono nella sua voce è incerto, Bilbo è sicuro pensi che non sia ancora pronto.
In effetti, forse non lo è. Ma in ogni caso, leccandosi le labbra secche, guarda prima Thorin e poi Gandalf, annuendo con una lentezza che sottolinea tutta la tensione che circola nel suo corpo. “D’accordo” risponde tentando di tenere la voce più ferma possibile e fallendo miseramente.
“Ottimo, figliolo. Thorin,” continua poi, guardando il suo superiore e agitando la mano a mezz’aria, “sono sicuro che troverai qualcuno con cui occupare la prossima mezz’ora, mentre io scambio due parole con il signor Baggins.”
Non riesce a trattenersi dal lanciare a Thorin uno sguardo che grida aiuto. Ma prima che l’uomo possa dire qualcosa per protestare, Gandalf poggia la sua mano calda sulle sue, fredde per la tensione, dandogli delle leggere pacche sul dorso. “Non preoccuparti, Bilbo. Non ho alcuna intenzione di metterti a disagio. Non troppo a lungo, almeno. E anche tu, Thorin. Vai tranquillo, riavrai il tuo tirocinante così come lo hai lasciato.”
Entrambi sanno che non possono far nulla per cambiare la cosa, per cui Thorin guarda Bilbo pieno di compassione, prima di annuire con un cenno del capo e lasciare la stanza libera della sua presenza. Bilbo sente il peso della sua assenza sulle spalle farsi spazio fino a sfiorargli il petto, ma Gandalf sorride, stringendogli gentilmente le mani.
“Va tutto bene. Ho solo bisogno di sapere poche cose.”
Bilbo si umetta le labbra, si guarda un momento attorno prima di concentrarsi sull’uomo davanti a lui. “D’acordo.”
“Bene.” Gandalf si sistema meglio sulla sedia, sorridendogli. “Ho bisogno che mi parli di Smeagol. Mi serve una dichiarazione da poter presentare per metterlo in stato di fermo.”
Bilbo rotea gli occhi, stringendo forte le labbra tra i denti. “Okay. Devo cominciare dall’inizio? Perché in realtà non c’è un inizio, credo. O meglio, la prima volta che l’ho incontrato è stato durante il mio primo giorno qua dentro. Mi è sembrata una persona molto sola. Mio cugino ha sempre detto che tendo ad avere lo spirito della crocerossina, sia maledetto se è vero. In ogni caso non mi ha mai fatto del male. Nemmeno l’altro giorno mi ha fatto del male, credo che Thorin gliene abbia fatto di più.” Prende fiato, rendendosi conto di aver detto tutto di corsa, prendendo fiato forse una sola volta, non è così sicuro. “Io credevo fosse una persona gentile. Lo è stato, a parte in quel momento. Ogni tanto mi portava il caffè. Non mi ha mai parlato troppo di se stesso, ma ho sempre pensato non amasse lavorare qua.”
“Perché?”
“Gliel’ho detto. Nessuno lo prendeva in considerazione. Stava sempre chiuso in quella stanza, non credo ci sia mai stato qualcuno che sia andato a chiedergli come stava. E quando mi ha- quando ha- quando è successo quel che è successo ha detto che non voleva che Thorin odiasse anche me. Anche, capisce. C’era tanto rancore su quelle parole. Ma prima di quel giorno non ne aveva mai fatto cenno.”
Gandalf prende appunti, mentre lui parla. Bilbo si ferma un attimo per bagnarsi ancora le labbra, la gamba che trema sotto il tavolo. Vorrebbe essere altrove, al momento, perché sente addosso la stessa angoscia che ha provato stando chiuso da solo in quella stanza con Smeagol, e non è davvero felice della cosa. Né per lui, né per il pover’uomo che gli siede davanti. “Mh, è probabile che non fosse apprezzato. Può essere un movente, certo. Quando ha notato il cambiamento?”
Il viso di Bilbo si contrae, concentrandosi il più possibile sugli avvenimenti delle ultime settimane. “Credo che… un primo cambiamento c’è stato quando Smaug è venuto a chiedere a Thorin di vendergli l’azienda. Prima di quel giorno non abbiamo mai parlato troppo, giusto qualche parola di tanto in tanto. Ma poi si è fatto più vicino, abbiamo cominciato a parlottare di più, e… era piacevole, comunque. Ho sempre pensato fosse particolare, certo, ma non pericoloso. Poi ho dimenticato il telefono in sala relax, e il giorno dopo l’ho ritrovato in ufficio e…” Si ferma, abbassando lo sguardo. “Se fossi stato più attento, forse non sarebbe successo nulla.”
“Se fossi stato più attento, caro Bilbo, penso sarebbe accaduto qualcosa di peggio. Non incolparti per qualcosa che probabilmente non avresti potuto evitare. Tornando a noi, sei convinto che le foto del progetto Arkenstone siano state rubate dal tuo cellulare?”
“Balin tiene tutti i progetti sottochiave, li estrae soltanto durante i lavori, e che io sappia Smeagol non ha mai avuto modo di vederli di persona. Lui ha ammesso di aver trovato il mio cellulare nella sala relax, per cui più che esserne convinto, lo do per scontato.” Le sue spalle si abbassano assieme alla sua testa, lo sconforto che gli mangia piano il cuore. Se non fosse per la presenza di Gandalf probabilmente si arriccerebbe sulla poltrona a piagnucolare finché il tempo glielo permetterebbe.
È quasi una fortuna, che non possa farlo.
“Immagino sia stato l’unico modo per venire a contatto con i progetti, sì.” Annuisce il vecchio, appuntando qualcos’altro sul suo taccuino. “Durante le successive settimane come si è comportato?”
“Bene. È sempre stato molto gentile, gliel’ho detto. Tranne l’altro giorno.” Sente la sua schiena scuotersi per un brivido di terrore che risale per tutta la spina dorsale e gli fa sentire la testa informicolata per qualche secondo. “L’altro giorno non sembrava lui. Era completamente diverso. Sembrava molto più sicuro di sé. Ci siamo sempre trattati con rispetto, ma pareva la cosa non importasse più.”
Gandalf chiude il taccuino, stringendo le labbra sottili e annuendo con poca convinzione. “Avrò bisogno di scambiare quattro chiacchiere anche con lui. La sua confessione sarebbe l’ideale, ma non credo sia così facile fargli vuotare il sacco. Tuttavia, se riuscissimo a farlo cedere, Smaug diventerebbe spaventosamente semplice da buttar giù.”
Bilbo sospira, guardandosi le mani. “Vorrei che tutto questo finisse.”
“Lo vorremmo tutti, figliolo.” Gandalf si alza dalla sedia, allungando il braccio e invitando Bilbo a trovarvi un appiglio. “E adesso vieni, andiamo a prendere una tazza di tè per distendere i nervi.”
*
Thorin lo squadra da capo a piedi, quando finalmente Gandalf lo lascia libero e si dedica a raccattare informazioni altrove e andare via per proseguire il suo lavoro altrove. Bilbo vede la tensione comprimergli il volto e tenta di sorridergli, senza essere sicuro di star facendo un buon lavoro. Per fortuna sembra ottenere comunque l’effetto desiderato, perché le spalle del suo superiore si rilassano appena, e la ruga tra le sopracciglia sparisce per dar spazio a un’espressione distesa.
“Avete finito?”
“Penso di sì, almeno per il momento.” L’angolo destro della sua bocca scatta verso l’alto mentre scrolla le spalle. Ha ancora un po’ d’ansia addosso, ma di certo non si aspettava di restare tranquillo parlando di Smeagol. Spera solo che passi tutto molto presto, perché non ha assolutamente intenzione di portarsi addosso quel peso fuori da quelle mura.
“Una rogna in meno per una rogna in più.”
Bilbo piega la testa di lato. Il viso di Thorin parla per lui, di nuovo un’ombra che gli oscura gli occhi. “Che è successo?”
Il respiro di Thorin è profondo, pesante. Non lo guarda negli occhi, mentre parla, si limita a fissare un punto davanti a lui, oltre la sua testa. “Stavamo per concludere un contratto con una catena alberghiera.”
“Stavamo?”
Thorin scrolla le spalle.
Non gli piace quell’espressione sul suo volto, quell’arrendevolezza che non riesce a vedere sua. Gli si avvicina, senza pensarci troppo, accarezzandogli il braccio con fare fraterno. Vorrebbe davvero far qualcosa di utile, più che blaterare di fare qualcosa che forse non può nemmeno prendere forma. Thorin gli sorride, scuotendo appena la testa.
“In qualche modo ne verremo fuori.”
“Ne verremo fuori per forza.”
Thorin lo guarda, e Bilbo si sente sciogliere. Deglutisce, sperando di essere il più silenzioso possibile, abbassando lo sguardo perché gli occhi dell’altro diventano impossibili da guardare. Vorrebbe stringerlo, entrargli dentro per fargli sentire che ce la faranno, ce la faranno davvero se non si lasciano andare adesso.
Ma poi la porta si apre, e entrambi smettono di respirare. C’è qualcuno che urla, che impreca contro uno Smaug che ignora tutto e tutti, mentre si sfila gli occhiali e guarda i due dall’alto in basso.
“Oh, che bel quadretto.”
Bilbo riesce a sentire la voce di Dwalin mozzarsi quando la porta si chiude e Smaug ci si appoggia sopra, una bestemmia che sfuma tra il sangue che scorre troppo veloce nelle sue orecchie. Thorin lo spinge verso la sua sedia, obbligandolo senza fiatare a restare lì, implorandolo di non esporsi.
“Vattene, non sei gradito.”
“Come ogni volta, suppongo.” Smaug alza le mani e sorride sghembo, facendo schizzare lo sguardo tra Thorin e Bilbo. “Mi hanno detto che avete avuto qualche problema con un vostro dipendente. Deplorevole, davvero deplorevole.”scuote la testa, riccioli rossi che sembrano prendere fuoco sotto la luce delle lampade. “Fossi in te sceglierei degli uomini migliori, Thorin. Ma forse non sei capace di scegliere, tu.”
Bilbo stringe le mani sui braccioli, immobile contro lo schienale della poltrona. Si concentra sulla schiena di Thorin, davanti a lui come a fargli da scudo - odia ammettere di averne bisogno, ma anche non lo facesse il tremore alle mani parlerebbe per lui in ogni caso. Si lecca le labbra, nervoso, trattenendo il fiato più del dovuto. Non deve esplodere, non deve esplodere, non deve.
“Sono più che capace di scegliere chi deve stare con me e chi deve occuparsi degli affari miei, e tu non sei annoverato, Smaug. Se sei venuto a chiedermi il solito, sappi che la risposta è sempre la stessa.”
“Come sei ostinato.”
Cammina per l’ufficio, il mostro, andando a poggiarsi sulla scrivania di Bilbo. Thorin lo segue con gli occhi, con il corpo, le braccia tese lungo i fianchi, quel poco che Bilbo riesce a vedere del suo viso contratto.
“Sei tu quello ostinato. E sei anche fastidioso. Te lo dirò una volta, gentilmente. Sparisci dalla mia vita. E non solo per oggi. Per sempre. Vattene.”
Smaug sbuffa divertito. Vorrebbe prenderlo a pugni, e Bilbo non è una persona facilmente propensa alla violenza, no. Sposta le mani dai braccioli alle cosce, stringendo i pantaloni così forte che potrebbe strapparli, se solo lo volesse. Continua a fissare la schiena di Thorin con insistenza, perché è l’unica cosa in quella stanza che lo fa chetare un poco, che dissolva almeno un briciolo l’effetto della voce di Smaug sul suo corpo - si sente nauseabondo, vorrebbe solo uscire da lì, o che Smaug sparisse per sempre.
Vorrebbe che Gandalf entrasse per portarlo via. Ma Gandalf non entra, nessuno entra nonostante i borbottii che sente al di là della porta.
“Thorin, Thorin. Non imparerai mai le buone maniere. Sei proprio come tuo padre, il che non può che essere un vantaggio, per me.”
Un ringhio. Basso, terribile. Bilbo sente il suo cuore perdere un pezzo, e quello di Thorin creparsi così profondamente da fargli male. Lo vede avvicinarsi, la sua schiena che si allontana, lo vede sollevare le mani contro il collo della camicia di Smaug, ed è come vedere un flashback, con Smeagol che trema sotto le sue mani e la sua voce velenosa che rimbomba nelle orecchie.
“Non osare, Smaug.”
“Osare cosa? Nominare paparino?”
Smaug non fa una piega. Appoggia le mani alla scrivania e si piega appena, lasciando Thorin libero di incastrarsi tra le sue gambe e di far peso contro il suo petto con tutto il corpo. Bilbo non riesce a sbattere le palpebre - non può permettergli di fare una cosa del genere, non può lasciarlo libero di rovinarsi le mani, la carriera, tutto, per un povero idiota come Smaug. Thorin lo scuote, l’altro non fa una piega - sa che lo fa per provocarlo, ma in quel momento Bilbo non può che essergliene grato, perché i palmi delle sue mani contro la scrivania di Thorin scuotono entrambi, attirando la loro attenzione. “Basta!”
C’è qualche secondo di silenzio, in cui i due uomini lo guardano con stupore. Bilbo gira attorno alla scrivania, dirigendosi verso di loro con passo tremulo, ripetendosi mentalmente che deve farlo, non può aspettare oltre, perché quell’uomo distruggerà qualunque cosa che trova, se lo lascia fare, se gli permette di restare dentro quella stanza un minuto di più. Non ha idea di con quale forza riesca ad allontanare Thorin da Smaug, ma riuscirci è già qualcosa, e ancor di più lo è afferrare quel mostro per un braccio e ignorare la protesta malcelata dietro una risata fastidiosa. “Se ne vada.” sbotta, trascinandolo fino alla porta, aprendola per trovare davanti Dwalin e Nori che smettono improvvisamente di parlare, guardando la scena insolita. “Se ne vada e non torni più! Non osi!” Sa che dovrebbe dare un minimo di controllo alla sua voce, ma non riesce. L’unica cosa sensata che gli viene bene è premere le mani contro la schiena di Smaug e obbligarlo a scendere gli scalini prima che possa spingerlo e fallo rotolare fino al pavimento. Per fortuna non dice una parola, l’altro, limitandosi a scuotere la testa e a guardarlo con quel sorriso storto un’ultima volta, prima di lasciare l’edificio e far piombare la Oakenshield and company in un silenzio che non preannuncia nulla di buono.
*
Non ha più detto una parola, dopo.
Thorin gli ha chiesto se stesse bene, ma lui s’è limitato a scuotere la testa e a mettersi a sedere al suo posto, ignorando il profumo d’acqua di colonia che è rimasto nella stanza per diverse ore, prima di sfumare assieme alla rabbia. Ha sentito distintamente l’odio abbandonare il suo corpo quando Smaug è uscito dall’edificio, lasciandolo con un vago sentore di nausea e un vuoto che non è stato e non è capace di gestire se non lavorando.
L’unica cosa che ha guadagnato dalla giornata è stato un gran mal di testa, che adesso si sta portando dietro, mentre Thorin lo fa salire in macchina e gli chiude la portiera. Mastica aria a vuoto, si sfrega il viso con forza prima che l’altro gli si sieda affianco e metta in modo. “Posso abbassare il finestrino?” chiede, la prima volta che dice qualcosa da ore. “Ho bisogno d’aria.”
Thorin annuisce con un mugugno, premendo un pulsante e facendo il lavoro per lui. “Grazie.” mormora, prima di appoggiare la testa contro il sedile e socchiudere gli occhi.
Fa freddo, fuori. Non abbastanza da nevicare ma abbastanza perché il suo respiro condensi in una nuvola bianca. Stringe il cappotto appena sotto il mento, umettandosi le labbra mentre guarda fuori dal finestrino. Un’altra giornata è andata, un altro piede nella fossa, un altro passo verso la rovina.
A volte non è poi così sicuro che possano farcela. Deve pensare che è solo colpa di Smaug, che non è nessuno, che possono superarla, e magari comincerà a crederci davvero. Sente brividi percorrergli la schiena, e sa con certezza che non è colpa del freddo. Si volta impercettibilmente verso Thorin, in modo da poterlo guardare senza essere notato troppo. Ha la mascella contratta, lo sguardo fisso sulla strada - non è il solo ad essere provato dalla giornata, e anzi Bilbo si stupisce che non sia esploso durante il pomeriggio.
Lui lo avrebbe fatto.
In realtà, lo ha fatto e basta.
“Mi dispiace.”
Thorin si volta a guardarlo per un attimo, prima di tornare alla strada. “Per cosa?”
Apre la bocca per parlare, ma il suono si blocca in gola. Non sa da dove cominciare, se dall’essere una debolezza, se da Smaug che vorrebbe non esistesse, se dalla sua stupidità. Ci son talmente tante cose per cui vorrebbe fare ammenda che non ha pensato davvero al motivo delle sue parole. Si limita ad abbassare la testa, guardando le sue ginocchia illuminarsi a intermittenza di arancione, le luci dei lampioni che passano veloci al loro fianco.
“Per tutto.”
È un movimento impercettibile, quello della testa del suo superiore, ma gli dà la fiducia necessaria a voltarsi per guardarlo. “Non dispiacerti. È una situazione che va avanti da troppo tempo. Non potresti far nulla in nessun caso, va bene così.” Lo guarda, secondi che gli sembrano eterni. “Smettila di incolparti per qualcosa che non hai fatto. So che stai ancora pensando a Smeagol, ma credimi, Smaug sarebbe riuscito ad avere i progetti in ogni caso, in un modo o nell’altro. Ignora il passato e guarda avanti.” Sospira, stringendo le mani sul volante. “È l’unica cosa che possiamo fare.”
Non ha idea di come si faccia. Non sa come ignorare il senso di colpa, né come lasciarsi tutto alle spalle per rendersi finalmente utile a qualcosa.
Non sa come si faccia, a passare oltre.
Casa di Thorin si avvicina, sbuca alla fine di una strada che sembrava non finire più. Bilbo allaccia i bottoni del suo cappotto, stringe la sciarpa attorno al collo prima che l’auto di fermi di fronte al cancello scuro. Non vede l’ora di essere dentro casa, perché il suo naso sta cominciando a perdere sensibilità, mentre aspetta che Thorin chiuda la macchna e apra il cancello.
*
Non ha molta fame, ma si sforza di ringraziare Thorin per la cena e mandar giù qualche boccone che gli rimane sullo stomaco. Odia far preoccupare il prossimo, bene o male se l’è sempre cavata nascondendo al mondo il suo disagio, ma al momento gli sembra impossibile ignorare il continuo tremore alla gamba o i suoi silenzi decisamente troppo prolungati. Resta seduto con Thorin sul divano per una buona ora, prima di rendersi conto che la stanchezza ha cominciato a mangiarlo partendo dalle estremità, la testa pesante e le gambe indolenzite. Non è neppure troppo presto, l’orologio del lettore dvd sotto la tv segna mezzanotte meno qualche minuto, e per una volta Bilbo si ritrova ad esser grato al tempo per essere trascorso così velocemente. Lascia Thorin alla sua tv e si addentra per il corridoio, percorrendo la strada per la stanza che ormai potrebbe fare ad occhi chiusi. Il letto è fatto - si chiede da chi. Sorride pensando a Thorin che sgattaiola nella sua stanza mentre lui è in bagno per sistemargli le coperte.
Sorride ancor di più pensando che in fondo la sua immaginazione non può discostarsi troppo dalla realtà - non pensa che Thorin paghi qualcuno per occuparsi della casa, glielo avrebbe detto, forse. Scuote la testa, decidendo che la cosa non è poi così importante - fosse anche Thorin a sistemargli il letto, di certo non è per chissà quale motivo.
Gli piace prendersi cura della sua casa.
Disfa il letto dopo essersi infilato il pigiama, sperando che il peso delle coperte sulle spalle lo aiuti a scacciare via la tensione che, accumulatasi durante la giornata, non è riuscito a smaltire né col tè di Gandalf, né con le urla contro Smaug.
Sa che è un desiderio irrealizzabile.
L’ansia scivola dal suo petto per risalire fino alla testa e intrufolarsi nei suoi sogni. È incredibile come la sua testa riesca a ricreare gli scenari peggiori - prima è sull’orlo di un dirupo, pronto a cadere al primo alito di vento, poi non vede, ma sente troppo. Suoni, la sensazione di qualcosa di viscido sulla pelle, lo stomaco contratto e dolorante mentre le sue orecchie si riempiono di una voce che non vorrebbe mai più sentire.
Non ha idea di quanto abbia dormito, ma è sicuro che non gli basterà a sopravvivere al giorno dopo. Stringe le coperte con forza, annaspando come se fosse appena riemerso dall’acqua. Ci mette un po’ a tranquillizzarsi, lascia i suoi occhi liberi di schizzare a destra e manca per realizzare di non essere sulla poltrona del suo ufficio o a un passo dalla morte. Il tepore delle coperte diventa spaventosamente fastidioso, e si ritrova a calciarle via prima di potersene rendere conto, mettendosi seduto sul materasso e affondando il viso nelle mani.
“Fanculo.”
Ci mette un po’ a recuperare fiato, e quando finalmente riprende a respirare normalmente poggia i piedi sul pavimento e si alza, il sonno che lo ha abbandonato per sempre. Spera di cuore di non far troppo rumore, perché non ha assolutamente intenzione di svegliare Thorin, e quando la porta cigola Bilbo le soffia contro, come se poi potesse ammutolirla con così poco, poi.
Non vuole davvero disturbare più di quanto già non faccia, sarebbe bello se almeno la casa collaborasse. L’andito è quasi totalmente immerso nel buio, non fosse per le luci dei lampioni che filtrano dalle tende del salone e illuminano il passaggio. Con un mano alla parete, facendo attenzione non far troppo rumore della camera del suo superiore, Bilbo cammina scalzo e sospira di piacere al freddo delle pianelle, mentre si lascia cullare dal silenzio. Si preparerà una tazza di tè e poi proverà a dormire di nuovo, forse andrà meglio, così.
Forse.
A tentoni cerca la luce della cucina, ringraziando che non sia troppo forte. Stringe le palpebre per abituare gli occhi ai colori di nuovo caldi, sfregandosi il volto con la faccia mentre avanza verso la dispensa. C’è la scatola nera del Prince of Wales, davanti ai suoi occhi. Allunga la mano e con le dita vi fruga dentro, estraendone una bustina e guardandola perplesso. Se il tè non lo aiuta a star meglio, non ha proprio idea di dove altro possa cercare rimedio. Scrolla le spalle, avvicinandosi allo scolapiatti e prendendo un pentolino per riempirlo d’acqua, prima di metterlo sul fuoco.
Vorrebbe far rumore per svegliare Thorin, ma si sentirebbe un mostro. Si stringe le braccia, sfregandole con insistenza -lancia un’occhiata alle portefinestre, chiedendosi quanto freddo possa esserci fuori, se adesso sente i piedi congelare e i brividi accumularsi sulla schiena. Torna a guardare il pentolino, e dopo qualche minuto le bolle cominciano piano ad accumularsi sul fondo, alcune che si sollevano e scoppiano in superficie. Raccatta una tazza che riempie subito d’acqua, perdendosi poi nel guardarla mentre si colora di scuro.
È piacevole, il calore che emana la ceramica. Avvicina la tazza alle labbra e ci soffia appena, il vapore che gli accarezza la fronte e lo fa sentire già un po’ meglio. Se potesse fermare il tempo lo farebbe adesso, nel momento il cui il calore gli bagna la faccia e le sue orecchie vengono accarezzate dalla più gentile delle voci.
“Siamo insonni, oggi?”
Sussulta appena, ma più per la sorpresa che per lo spavento. Con la tazza ancora sulle labbra si volta, trovando gli occhi impastati di sonno di Thorin che lo guardano con attenzione. Bilbo scuote la testa, mandando giù qualche sorso prima di allontanare la tazza e rivolgergli un sorriso stanco.
“Brutti sogni. Nulla di che.” Abbassa la testa, guardandosi la punta dei piedi nudi. “Mi dispiace averti svegliato.”
“Ho il sonno leggero.”
Thorin sorride, nonostante Bilbo riesca a leggergli la stanchezza negli occhi. Il giovane sente il cuore stringersi al petto, eppure non è una sensazione sgradevole - forse è il caldo che emana il tè, il piacevole contrasto che sente con le sue estremità, il vederlo lì, che lo guarda come se…
Come se contasse qualcosa.
“E sono stato anche attento,” sospira, ricambiando il sorriso e appoggiandosi al ripiano, “non oso pensare a cosa sarebbe successo se avessi fatto rumore.”
Si sente stupido a desiderarlo più vicino, e il suo cuore perde un colpo quando, effettivamente, Thorin azzarda un passo verso di lui. “Hai bisogno di qualcosa?”
Bilbo scuote la testa, sollevando la tazza davanti al naso. “Spero che questo basti.”
Se lo ritrova a pochi centimetri dal naso prima che possa dire qualcosa di più. “Cos’hai sognato?”
La voce di Thorin è incrinata da un velo di preoccupazione troppo evidente per passare inosservato. Bilbo solleva lo sguardo e li ritrova lì, i suoi occhi azzurri, spaventosamente limpidi e adesso spaventosamente svegli. Pensa di essere appena arrossito - sicuramente le sue orecchie sono calde quanto il tè che ha tra le mani, questo è poco ma sicuro.
“Domanda difficile, non faccio mai sogni troppo normali.” Stira le labbra stancamente, abbassando lo sguardo sul collo dell’altro. Riesce quasi a respirarlo. “Ma erano sogni poco piacevoli, questo sì. È stata una… una giornata pesante, sì.”
“Lo so. Mi dispiace.”
“Non è colpa tua.”
Gli sorride, mentre alza la testa. Il fatto che una mano di Thorin sia sul suo braccio non deve necessariamente voler dire qualcosa, ma il suo cuore non sembra comunque essere d’accordo. Ha una presa salda ma gentile, la stessa che ha avuto quando lo ha circondato con le sue braccia nemmeno due settimane fa. Se volesse abbracciarlo ancora, lui di certo non si tirerebbe indietro, anzi.
Sta facendo ricorso a tutta la sua volontà per trattenersi dal fare un passo in avanti. “È stata solo una pessima concentrazione di eventi poco simpatici, tutto qui. Un po’ di tè, un po’ di riposo e domani andrà già…”
Fa davvero tanta fatica per non far cadere la tazza dalle sue mani.
Gli è capitato di immaginarlo. Lo ha sognato molteplici volte, ma è sempre stato certo che sarebbe stato diverso da qualunque elucubrazione mentale, ed è piacevole scoprire che in fondo non si sbagliava. Non c’era l’accenno di barba a fregare contro la sua pelle, non c’era la sensazione delle labbra sottili e morbide contro le sue, sempre e costantemente screpolate. Non sanno di nulla di particolare, sanno di Thorin e di tutto ciò che di buono può avere. Il corpo dell’uomo preme contro il suo, mentre le sue mani calde e grandi gli avvolgono il viso, sollevandoglielo appena.
Bilbo è totalmente nelle sue mani. Per quanto gli riguarda, il tè può anche cadere a terra. Il cuore gli galoppa nelle orecchie, mentre la punta della lingua di Thorin gli accarezza lento le labbra prima di tornare al suo posto. Il braccio libero si piega sul suo petto, la mano stringe la maglia del pigiama con forza e, Dio, fa’ che sia tutto vero.
Si separano con uno schiocco, e Bilbo sente già la sua assenza. Cerca nei suoi occhi una conferma, una risposta a una domanda che non saprebbe nemmeno come formulare.
Thorin sorride. Sorride e gli pugnala il petto una, due, mille volte.
“… meglio.”
È un miracolo che il tè sia ancora nella sua tazza. La poggia sul ripiano con cura, magari lo berrà dopo, magari domattina lo lascerà libero di scivolare nel lavello.
Cercare i suoi occhi adesso è terribilmente difficile. Ha idea che se provasse a sollevare il viso il suo cuore esploderebbe all’istante. Allunga le braccia, accarezzando la vita dell’altro, stringendo le dita attorno alla maglia grigia del pigiama. Thorin è di nuovo su di lui prima che possa dire qualunque cosa, e non sa bene a chi essere grato per questo. È la sicurezza che stava cercando, quella che avverte quando sente il corpo dell’uomo aderire al suo, quella che scorre fino al cuore quando risolleva il viso e trova le sue labbra, di nuovo.
Non riesce a pensare, e ne è fottutamente felice.
Dischiude le labbra, sospira il suo nome con una dolcezza che gli stringe lo stomaco. Sente le labbra di Thorin incresparsi in un sorriso contro le sue, prima che, gentilmente, la lingua scivoli nella sua bocca. Le guance avvampano, ed è una fortuna che nessuno possa vederlo, perché è certo che sarebbe oggetto di scherno per un giorno intero.
Grazie a Dio è sabato.
Non si ricorda più come si faccia a baciare, o forse è solo l’emozione a stringergli la gola e fargli dimenticare come si respira. Lascia che la lingua di Thorin guidi la sua, che la testa si chini all’indietro e gli lasci più spazio - è tutto così caldo, così piacevole.
Quando si separano di nuovo, le labbra di Thorin premono sulla sua fronte con una dolcezza infinita, rimbalzano sulla sua pelle lasciando piccoli schiocchi che si infrangono nelle sue orecchie. Bilbo non riesce a smettere di sorridere, mentre gli occhi pizzicano e tutta la tensione si scioglie, gravando unicamente sul suo stomaco.
Non lo ringrazierà mai abbastanza.
Per questo, e per tutto il resto.
*
Bilbo non potrebbe essere più felice del fatto che quel divano letto sia grande poco più di una piazza, perché adesso Thorin è stretto contro di lui, con il mento che preme sulla sua spalla, una mano che, sotto la maglia del pigiama, pizzica e carezza la sua pancia con gentilezza. Ha il cuore che batte a un ritmo regolare, finalmente, un sorriso leggero che proprio non riesce a scacciare dalle labbra. Ogni tanto piega la testa per lasciare un bacio sulla tempia dell’altro - o su un luogo vagamente vicino, ma va bene in ogni caso.
Si chiede come sia possibile che nemmeno venti minuti prima non avrebbe mai nemmeno immaginato che qualcosa del genere potesse succedere. Sospira, le dita di Thorin che giocano attorno al suo ombelico, la bocca che si fa appena secca.
“Da quanto?”
“Mh?”
Bilbo si sistema meglio contro il petto dell’altro, socchiudendo gli occhi e accarezzandogli il braccio. “Dico. Da quanto lo avevi capito.”
Thorin ride sul suo collo. È impensabile, adesso, che riesca a chiuder occhio. Si lascia cullare dal movimento lento del naso dell’uomo sulla sua pelle, dal respiro calmo che gli accarezza la pelle. “Ti hanno mai detto che sei un libro aperto, Bilbo?”
La sua risata sale, e dal bacio sull’orecchio Bilbo è sicuro di essere appena arrossito. Gonfia le guance e guarda fuori dalla finestra, cercando di sopprimere il forte desiderio di pizzicargli il braccio e lasciargli il segno. “No, e siccome sei il primo a dirmelo perdonami se non ti credo sulla parola.”
Il momento di silenzio che segue è una benedizione. Riesce a prendere il controllo della sua persona - più o meno - almeno finché Thorin non ricomincia a muovere la mano sulla sua pancia e lo stomaco fa una capriola.
“Ho iniziato a sospettare quando hai conosciuto Smaug. Ma ho pensato che fosse solo la tensione. Poi mi sono accorto che venivi a spiarmi.”
“L’ho fatto solo due volte.”
“Me ne sono accorto entrambe le volte.”
Okay. Potesse, sparirebbe adesso. Ma il braccio di Thorin lo stringe con più forza, tanto che, se premesse ancora, forse riuscirebbe a sparire sì, ma dentro di lui. Nasconde il viso tra le mani, respirando con forza, e Dio, ha di nuovo voglia di baciarlo, vorrebbe che continuasse a toccarlo per tutta la notte, e la mattina dopo, e la notte dopo ancora…
“Era davvero, davvero impossibile non notarlo.” Ed è la sua voce a sorridere, forse più del suo viso. Le dita di Thorin si stringono sulla pancia e pizzicano la carne morbida, facendolo sospirare appena. “Ma forse dovremmo parlarne domani. Hai bisogno di dormire.”
E lì si rende conto che no, non ne ha né bisogno né intenzione. Stringe il braccio di Thorin, come per impedirgli di andarsene, trattenendo il fiato per paura di deglutire troppo rumorosamente, un groppo di saliva che si è accumulato nella gola per colpa delle sue mani.
“Non… non sono sicuro di voler dormire.”
Trattiene l’aria nei polmoni per tutto il tempo che può, o almeno finché Thorin non gli darà una risposta che, ne è sicuro, lo farà sotterrare dalla vergogna - qualcosa che suoni come “Non hai cinque anni, Bilbo, torna a dormire e taci.”
E invece non arriva nessuna risposta; almeno, non dalla sua voce.
Il letto cigola pericolosamente, mentre il braccio di Thorin scivola via da sotto la maglia. Lo sente allontanarsi dal suo corpo, ma non fa in tempo a capire che cosa succeda che si ritrova con la schiena contro il materasso, e gli occhi azzurri incollati ai suoi. L’aria esce dai polmoni di getto, in un colpo secco che, quando Thorin si china per baciarlo, lo lascia senza fiato. Le braccia si sollevano a stringergli il collo, per obbligarlo ad aderire contro il suo corpo, poco importa se rischia di schiacciarlo, è un rischio che può correre.
È un bacio diverso da quelli di prima. Gli attorciglia lo stomaco, lo fa sospirare contro la bocca dell’altro - e Thorin sembra prenderli come una sorta di invito, quei sospiri che ingoia e trasforma in baci, i denti che tirano piano il suo labbro inferiore e lo succhiano facendogli riempire il corpo di brividi.
Si maledice per essere così sensibile - saranno passati almeno tre anni dall’ultima volta che ha condiviso il letto con qualcuno, è imbarazzante che non senta addosso le mani di qualcuno da così tanto tempo e adesso vada in crisi con così poco. Avere Thorin sopra di sé, sentire la sua bocca scivolare sul suo collo e mordergli amorevolmente la carne morbida è qualcosa che non è sicuro di poter sopportare a lungo. Sussurra il suo nome, sollevando appena il bacino per incontrare il suo; sente il caldo appropriarsi del suo corpo, le dita dei piedi che non riescono a non piegarsi per l’eccitazione crescente.
Le mani di Thorin sono ruvide e piacevoli, contro il suo petto; riesce a sentire i polpastrelli screpolati lasciare un segno leggero sulla sua pelle, prima di perdersi sui suoi punti più sensibili. Vorrebbe impedire al suo corpo di inarcarsi, ma non riesce - non c’è arto che gli obbedisca, un braccio che si piega attorno al suo collo, l’altro che stringe la maglia del suo pigiama, mentre le gambe si allargano per fare a Thorin più spazio. Persino i suoi polmoni dettano legge decidendo quando riempirsi e quando svuotarsi, solitamente senza dargli nemmeno il tempo di far arrivare l’ossigeno al cervello.
Dio, Dio, Dio.
Thorin abbandona il suo collo e il suo petto per sedersi sui talloni e sfilarsi la maglia, lasciandola cadere affianco al letto prima di dedicarsi a spogliare Bilbo. Il ragazzo affonda le dita nei suoi capelli, il codino sciolto che fa ricadere le ciocche sulle spalle, e stringe quando la sua bocca si chiude attorno a un capezzolo, lo bacia e lecca facendogli bruciare tutto il corpo. È difficile tenere gli occhi aperti, perché le sensazioni sono così tante e così concentrate che non riesce a contenersi, ma si sforza per guardare la schiena di Thorin inarcata su di lui alla luce debole che proviene dall’esterno, a guardare le sue stesse dita passeggiare sulla spina dorsale - le sue spalle sono così larghe, in confronto alle sue. Potrebbe sommergerlo con la sua stazza, col suo peso, e a lui andrebbe bene.
Gli piace, il corpo di Thorin. Gli piace toccare la leggera peluria sul suo petto, quando l’uomo risale per baciarlo ancora. Gli piace sentire il addome scolpito - quarant’anni e nemmeno dimostrarli. Gli piace Thorin e basta, in realtà, e forse Bilbo non si è ancora capacitato della fortuna che ha ad essere sotto il suo stesso tetto - dentro il suo stesso letto.
Sente un moto di imbarazzo stringergli lo stomaco, quando la stoffa dei pantaloni e delle mutande sfrega contro le cosce, lasciandolo esposto. In ogni caso niente in confronto al suo cuore che, vedendo Thorin liberarsi degli ultimi abiti, inizia a galoppare come se fosse pronto ad esplodere.
Bilbo deglutisce, lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo, trovando difficoltà ad abbassare lo sguardo oltre l’ombelico. Si sente estremamente fortunato quando Thorin si stende di nuovo sopra di lui, ma poi l’uomo comincia a muoversi contro di lui, facendo ondeggiare il bacino sul suo, e Bilbo non riesce più a pensare a niente.
Scotta, la sua carne. È dura e brucia, gli rigira lo stomaco così tante volte da fargli vedere bianco. Gli viene d’istinto sollevare le braccia e cercare un appiglio nelle sue spalle, e quando lo guarda Thorin sorride, le guance arrossate, le labbra umide e gonfie.
“Bilbo…” sussurra, e Bilbo risponde nell’unico modo che gli è concesso - un gemito, il bacino che trema contro quello dell’altro. Abbassa lo sguardo e trattiene il fiato, quando vede le loro erezioni sfregare, quella di Bilbo premuta contro la sua faccia, quella di Thorin che la sovrasta, così grande rispetto alla sua. Arrossisce ancora di più, le orecchie che vanno in fiamme come il resto del corpo, e a quel punto non riesce ad esimersi dal pronunciare un oh Dio con una voce strozzata che costringe Thorin a riempirgli il viso di baci. Una spinta più forte, Thorin che intrufola una mano tra le sue gambe, e il letto cigola in modo sinistro, obbligando Bilbo a stringere con più forza le dita attorno alle spalle dell’uomo.
Chiude gli occhi, concentrandosi sulle sensazioni, sull’umidità che rende la loro carne più scivolosa, sulle dita di Thorin che, lente, accarezzano il solco delle sue natiche, provocandogli un leggero solletico.
Non dura poi molto, comunque.
Il respiro si blocca in gola, quando l’indice di Thorin gioca con la sua apertura. I suoi muscoli si tendono pericolosamente, obbligando Thorin a chinarsi sulle sue labbra per lasciarci l’ennesimo bacio. “Non preoccuparti.” bisbiglia, e Bilbo si sforza di ricominciare a respirare.
È fastidiosa, l’intrusione. Non è più abituato a niente del genere, e il dolore si tende fino all’ombelico, impedendogli di rilassarsi come Thorin vorrebbe. Apre di più le gambe, il bacino spinto verso l’alto che lo fa sfregare ancora contro il sesso di Thorin e spinge fuori l’aria dai polmoni. Gli ci vuole un po’ prima che la presenza di Thorin diventi confortevole, ma l’altro sembra non avere fretta. Gli bacia il collo, piano, prima di sollevarsi appena con la schiena e accarezzare insieme le loro erezioni. Bilbo sente la pelle dell’addome umida, le nocche ruvide di Thorin accarezzargli il ventre; per un momento vede entrambe le mani sulle sue cosce, il tempo di sentire il dolore attenuarsi.
Quando Thorin ricomincia a stuzzicarlo, stavolta con la mano umida dell’eccitazione di entrambi, le cose vanno decisamente meglio. Il suo bacino si inarca, invitando l’altro a spingersi oltre, e Thorin non fa che assecondarlo, spingendo fino ad entrare del tutto dentro. Non passa molto, prima che cominci a spingersi in lui, allargandolo, scuotendolo di brividi. È quando Thorin aggiunge il secondo dito, che la sua testa comincia a dare i numeri.
È quando la sua mano si chiude attorno ai loro sessi che l’aria smette di uscire dai suoi polmoni in maniera regolare, è quando le sue dita si curvano appena dentro di lui facendogli vedere le stelle, che il suo corpo decide di non seguire più alcuna regola di decenza e lasciarsi andare perché, Dio, ha desiderato tutto questo per troppo tempo e non può davvero tentare di resistergli in alcun modo. Non gli importa se la sua bocca non riesce a star chiusa per più di mezzo secondo perché la necessità di gemere è troppo forte - in fondo, Thorin sta facendo lo stesso, e ciò non aiuta affatto il suo autocontrollo. Ha bisogno di quel contatto più dell’aria, ha bisogno di sentire quelle dita muoversi con forza dentro di lui e colpire quel punto e farlo diventare un brodo di ansiti e sudore.
Non pensava fosse possibile arrivare al punto da non riuscire più a parlare, guidato solo dalle spinte del suo stesso bacino.
“Thorin, Thorin, Thori-”
È un gemito lungo, una benedizione di Dio, quella che sente fuoriuscire dalle labbra di Thorin. È quello che gli serve a lasciarsi andare del tutto, a sentire la tensione farsi calda sul basso ventre per poi espandersi in tutto il resto del corpo. Respira così forte che ha paura di svenire, mentre la carne pulsa tra le dita di Thorin e anche l’altro si contorce, travolto dall’orgasmo.
Per un attimo nelle loro orecchie c’è il suono dei loro respiri affannati, e niente di più.
Ma poi Thorin sorride, e il cuore di Bilbo si scioglie, e nessuno dei due si rende conto che, mentre si sistemano nel letto per farsi spazio, questo cigola con forza, crollando inesorabilmente contro il pavimento.
Bilbo strilla, aggrappandosi al petto di Thorin, non più curante della sua nudità, del ventre sporco dello sperma di entrambi. Alza lo sguardo per incrociare gli occhi azzurri e brillanti di Thorin, e poi scoppiano a ridere insieme, Bilbo che frega la testa contro il petto dell’altro e maledice la scarsa qualità del divanoletto.
“Che diavolo!” geme divertito, guardandosi alle spalle e notando quanto il pavimento sia vicino, adesso.
Thorin lo stringe in vita, baciandogli il collo e sorridendo. “Per fortuna il mio letto è grande.”
Bilbo gli bacia il petto, e non potrebbe sentirsi più felice.
*
La cosa migliore è aprire gli occhi al mattino e ritrovarsi coperto da un piumone blu notte e dal braccio di Thorin che gli stringe la vita; la cosa migliore è realizzare che tutto quello che ha vissuto poche ore prima non è un sogno ma la più vera delle realtà. Bacia il petto di Thorin, prima di rannicchiarsi contro il suo corpo. Respira il suo profumo e ascolta il suo cuore, convinto che da adesso in poi le cose non potranno andare più male.