[Sherlock BBC] And when I looked to the moon it had turned to gold

Jul 10, 2012 19:55

Titolo:  And when I looked to the moon it had turned to gold
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Pg
Avvertimenti: Nessuno - a parte un bacino casto e puro.
Conteggio parole: 1225 (fiumidiparole)
Riassunto: Se deve morire lì, tanto vale morire ammirando qualcosa di straordinario.
Note: L'idea è venuta da questa immagine carinissima, il resto è colpa del 15gen_sherlock, e quindi delle mie stesse mani. Scritto per il genere fairytale, non so se possa valere, ma facciamo finta di sì. Sono soddisfatta di questa cosina, anche se è piccola. Mi è sembrato di tornare indietro, almeno un po'. Spero vi piaccia. <3


Quando è partito, pioveva.
John se lo ricorda come se l’immagine gli fosse stata cucita dietro le palpebre, perché alla partenza non aveva idea di cosa sarebbe potuto succedere e l’unica cosa che non voleva davvero era dimenticarsi l’odore di terra bagnata. Pioveva, quando è partito, e adesso si chiede se risentirà mai quell’odore, o se vedrà mai più le gocce di pioggia accarezzare i vetri della sua casa.
Non piove, adesso. Non pioverà mai, lì.
Il cielo è terso, scuro, puntellato di stelle. Ovunque si volti, non vede altro che astri che brillano di luce riflessa, il Sole che sembra così lontano, man mano che scivola via.
Non ha paura di morire. Ha solo paura che nessuno lo troverà più. Doveva essere una passeggiata, una riparazione da fare al portellone dei radiatori; ma poi hanno urtato qualcosa, e i cavi d’acciaio che lo tenevano legato alla navicella si sono spezzati come fossero di burro, ed errare è umano, ma adesso la sua navicella non si vede già più, e l’ossigeno è quasi finito.
Gli dispiace, l’idea non vedere più la pioggia. Magari lo diventerà lui, quando morirà. Spera almeno che anche la tuta si sciolga in acqua, o sarà uno spettacolo un po’ pietoso per chi è al sicuro sulla Terra.
Spera di piovere a Londra, per sentirsi di nuovo a casa, prima di essere assorbito dalla terra, o evaporare.
C’è una piccola luna che diventa sempre più grande, man manco che rotola verso di lei. Deve star impazzendo, perché alle sue orecchie arriva un suono che non è il solito fischio che sente quando la pressione cala di botto, no. È una melodia. Lenta, triste, impossibile in un luogo dove il suono non può propagarsi. Man mano che si avvicina all’oggetto celeste, John può vedere qualcosa di insolito sulla sua superficie, la punta di due lunghe orecchie da coniglio che tagliano in fasci la luce della stella più vicina. Prende forma, davanti ai suoi occhi, un corpo alto, snello, il braccio destro piegato e la mano che regge un archetto. Fa fatica a vederlo in viso, perché la luce forte e bianca dietro di lui lo rende una sagoma nera in movimento. Comincia ad agitare le braccia, a nuotare
nel vuoto dello spazio sconfinato.
Se deve morire lì, tanto vale morire ammirando qualcosa di straordinario.
Il suono si fa più forte, carico di tutte quelle sensazioni che sente rimescolarsi nello stomaco da quando i cavi si sono spezzati. Stringe gli occhi per metterlo meglio a fuoco, per cercare di vedere i suoi lineamenti oltre l’ombra spessa, mentre l’aria si fa rarefatta e respirare comincia ad essere faticoso.
Riesce a vedere i suoi occhi. Un taglio particolare, quasi felino, in netto contrasto con quelle orecchie che sembrano così morbide, a vedersi.
Aveva sentito parlare del coniglio della luna, quando era bambino. Era una delle leggende che sua madre amava raccontare a lui e sua sorella prima che la notte venisse ad abbracciare i loro sogni, una di quelle storie che lo ha spinto verso la strada che poi ha intrapreso una volta cresciuto. Ma non c’è nessun pestello pieno d’erbe, nelle mani di quello strano coniglio, solo un violino, e l’archetto che ondeggia sulle sue corde.
È di fronte a lui, adesso. La luce delle stelle attorno a loro è abbastanza forte da permettergli di vederlo senza sforzarsi. Ha labbra piene, l’arco di cupido spaventosamente accentuato - è la prima volta che ne vede uno così bello, lui che invece ce lo ha appena accennato. Gli zigomi alti brillano di luce lunare, pallida, quasi bianca.
Forse è colpa dell’ossigeno, forse sta solo delirando.
Gli occhi chiari della creatura si poggiano su di lui, mentre la musica diventa più intensa, mentre si aggiunge alla pesantezza della morte che sopraggiunge il piacere di scoprire qualcosa di nuovo, particolare, spettacolare.
“Cosa sei?” chiede, ma la creatura muove la testa in diniego, senza smettere di suonare - come fanno i suoi riccioli a ondeggiare nell’aria, se l’aria non c’è? Mastica quel poco che gli rimane per vivere sperando che duri per sempre, perché l’idea di morire, adesso, non lo allieta più di tanto. Se la leggenda fosse vera, forse potrebbe vivere per sempre; ma le leggende non esistono, la vita eterna non esiste, quell’essere davanti a lui, dita affusolate e labbra rosa e qualunque cosa bella inesistente sulla sua amata Terra, non esiste.
Ma è piacevole, in fondo. Se può restare lì finché non esala l’ultimo respiro, prima di essere inghiottito dal nulla, va bene. È testimone di un miracolo che nessuno potrà né vedere, né conoscere, e per un momento si sente un privilegiato.
Sorride, e la creatura risponde al suo sorriso nel momento in cui la sua tuta emette un rumore allarmante, un bip ripetitivo, quasi ossessivo.
Dieci minuti, e poi annasperà finché non arriverà la fine.
Il sorriso di quell’essere si incrina appena, e John si sente quasi in colpa perché ha paura di averlo disturbato, con quel suono molesto. Suona le ultime note, prima di chinarsi sulla superficie lunare e poggiare il suo violino sul terreno pallido come la sua pelle, e quando si rimette in piedi la mano che stringeva l’archetto è ora tesa verso di lui.
John allunga la sua d’istinto. Non la può toccare, non può sentire se è pelle calda o fredda, quella del Coniglio. Ma la sente stringersi così forte che non importa quanto sia grosso il guantone che indossa. Lo osserva - lo fissa, fissa i suoi occhi che hanno un colore indefinito, una linea sottile tra l’azzurro del cielo e il verde limpido dell’acqua del mare. Non si rende conto che mani aggraziate si muovono attorno al suo casco finché non sente il click della sicura.
No.
“No, fermo. Lasciami quel poco che mi resta. Voglio ammirarti ancora.”
L’altro scuote la testa, sorridendo di nuovo. Un altro click, e l’ossigeno scivola via velocemente, e a John sembra che il tempo non sia mai abbastanza. Cerca di trattenere quel poco d’aria che ha nei polmoni, le labbra strette per paura di lasciar scappare via l’ultimo minuto di vita che gli rimane, quando la sorpresa per la mancanza d’ossigeno lo coglie inaspettato e stringe gli occhi, sperando che almeno sia rapido, che non faccia troppo male.
Le sue labbra sono calde. Morbide, leggere, ma calde. Dischiude appena le sue mentre riapre gli occhi, il campo visivo invado da una cascata di riccioli neri. C’è qualcosa che si fa spazio nel suoi polmoni, che scivola nel suo sangue e permette al cuore di battere a un ritmo normale, il Coniglio che respira per lui.
La vita eterna. Il pestello non è tra le sue mani, ma dentro il suo corpo. Non ha bisogno di erbe per creare la vita, perché è lui, la Vita. John lo capisce nel momento in cui riapre gli occhi, e respirare senza il supporto delle bombole di ossigeno non è più impossibile.
C’è rumore, adesso. C’è il suono delle loro labbra che si separano e una leggera risata che invade le sue orecchie. La creatura sorride,mentre gli indica una roccia bianca. John annuisce e prende posto, mentre riempie i polmoni di nulla, e gli piace.
Vorrebbe dargli un nome, ora che resterà lì per sempre. Ma la creatura ricomincia a suonare e la sua mente si svuota per riempirsi unicamente di quel suono, e John decide, chiudendo gli occhi, che ci penserà più tardi.
Ha tutto il tempo del mondo, ormai.

personaggio: sherlock holmes, 2012, fandom: sherlock bbc, !15gen_sherlock, pg, personaggio: john watson, !fanfiction

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