Volevo scrivere come Avoledo

Jun 12, 2009 14:47




Se dovessi citare uno scrittore a cui mi piacerebbe proprio assomigliare, vi stupirei.
Niente baracconate horror, autori truculenti o maestri del superthriller (che pure stimo moltissimo).
In realtà a me piacerebbe scrivere come Tullio Avoledo. E' una cosa che penso da quando lessi "L'elenco telefonico di Atlantide", un libro impareggiabile, nel suo essere cross-over tra diversi generi. Chiunque l'ha letto sa di cosa parlo. Anche nelle sue prove successive, perfino nei romanzi meno convincenti, mi sono sempre trovato a pensare: "cavolo, ma quanto scrive bene questo qui!".
Cosa vuol dire scrivere bene?
Non necessariamente inventarsi buone storie. Oddio, se una trama è coinvolgente, tanto meglio, si capisce. Ma, stando sull'esempio che sto facendo, di Avoledo leggerei con piacere anche un Harmony o un libro sulla manutenzione delle canne da pesca. Sono pochi gli autori in grado di creare quei complicati mosaici tra azione e pensiero, tali da intrattenere e al contempo comunicare qualcosa.
Uno stato d'animo, un sorriso e - soprattutto - un'immedesimazione. Anche nel suo libro che meno mi è piaciuto (forse "Mare di Bering") ho trovato il suo modo di scrivere praticamente perfetto, in grado da penetrare nella mente e nell'anima, lasciando un segno.
Quelli come Avoledo appartengono alla ristretta cerchia di autori che sono in grado di rimanere impressi nella memoria. Avete presente quando entrate in libreria e, tra le decine di nuove proposte, vi chiedete "chissà se è uscito qualcosa di nuovo di Tizio..."
In realtà credo che uno dei maggiori pregi dello scrittore che ho preso come esempio sia quello di creare eroi/antieroi perfettamente reali e realistici: un bancario ("L'elenco telefonico di Atlantide", "Breve storia di lunghi tradimenti"), un pubblicitario ("Lo stato dell'unione"), un giovane sostituto procuratore ("Tre sono le cose misteriose") e via dicendo. Li crea e poi li cala in storie misteriose, drammatiche e ironiche al contempo, che si barcamenano sempre sul sottilissimo margine tra realtà e fantasia. Tra attualità e ucronia. Altro suo grande merito è quello di scrivere le storie partendo dal piccolo quotidiano (la famiglia, l'ufficio), riuscendo poi a portarle a un finale di portata enorme, ma visto sempre con un certo minimalismo soggettivo ("Lo stato dell'unione", ad esempio).

Quando iniziai a scrivere seriamente volevo "copiare" Avoledo. Ci provai, ma non fu possibile. Forse con un po' di sforzo sarei riuscito a produrre qualcosa con uno stile vagamente simile al suo, ma sarebbe stato un'insulto alla mia intelligenza.
Scimmiottare è sbagliato, meglio sbagliare di proprio conto. Vedo anche quanto la mia amica L'Aura è stanca di chi la paragona ancora a Elisa, e la capisco. Ciascuno di noi può avere dei punti di riferimento, ma non dobbiamo affatto copiarli.
Per quel che mi riguarda, alla fin fine scrivo sempre in quello che - brutto o bello che sia - viene riconosciuto come "il mio stile". E così, di romanzo in romanzo, vedo che ci sono elementi ricorrenti che saltano fuori, anche quando cambio generi e storie. Di certo qualcosa è cambiato, dai primi racconti molto più grezzi e adrenalici. Lo vedo quando scrivo, noto che cerco anche dell'altro, man mano che sviluppo la trama. Il fatto che mi venga naturale lo reputo la risposta a un'esigenza. Un'evoluzione naturale, figlia di un percorso fatto anche da ciò che leggo nel mentre.
E se poi un giorno, per magia, dal mio notebook uscirà anche solo un capitolo degno del peggior Avoledo, sarò felice come un bimbo.

PS: La copertina è del libro "Breve storia di lunghi tradimenti", uno dei libri migliori di questi ultimi due-tre anni in Italia. Tra l'altro, dopo averlo riletto di recente, posso affermare che ha uno dei finali più riusciti e toccanti tra quelli che sono in grado di ricordare. Scusate se è poco...

riflessioni, tullio avoledo, consigli di scrittura, scrittura

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