Titolo: Caleidoscopio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: GerIta (LudwigxFeliciano), Spamano (AntonioxLovino); RoChu; PruCan; altri personaggi e altre coppie compariranno nei capitoli a seguire.
Rating: Arancione
Parte: 22/?
Avvertimenti: AU (Alternative Universe); Tematiche Delicate; Yaoi e Lemon (nei capitoli successivi)
Riassunto: L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Per questo quando nacquero i gemelli del signor Vargas vi fu grande timore: era risaputo che i gemelli erano uno spirito diviso in due corpi, e un ragazzo con lo spirito a metà non avrebbe mai potuto reggere il destino della Confederazione. E, per un bene maggiore, occorreva affrontare dei sacrifici: il più turbolento dei gemelli venne abbandonato a morire su un pianeta desertico.
Ma nessuno aveva considerato il legame profondo che incatenava i due fratelli.
Entrambi avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
Dal ventiduesimo capitolo: «Oggi è il giorno della proclamazione» valutò. «Mi chiedo come reagiranno alla sorpresa.»
Capitolo Ventidue: l’ultima settimana del Vaticano
Primo giorno
Non avevano eretto una tomba monumentale per Young Soo; non si addiceva al mago che aveva sempre preferito una stuoia di paglia a un letto a baldacchino.
Avevano bruciato il suo corpo, e le sue ceneri erano state raccolte nell’urna che il Figlio del Cielo stringeva tra le mani.
La sua anima era volata oltre le stelle; era giusto che il suo corpo danzasse assieme all’aria.
Non aveva permesso ai soldati di seguirlo; perfino Ivan lo stava aspettando al cancello del cimitero.
Yao raggiunse la piccola collina al centro del camposanto, ma non riuscì ad aprire l’urna; quella cenere era tutto ciò che rimaneva di Young Soo. Era così difficile disperderla…
«Non sei mai stato bravo con gli addii. Per questo non ti hanno permesso di vederci, quando abbiamo abbandonato il castello.»
Yao sentì il cuore martellargli in gola quando, voltandosi, vide un volto che non aveva mai dimenticato, nonostante gli anni di lontananza.
«Madre…» chiamò, con un filo di voce.
Le vesti e i capelli di seta della donna frusciarono elegantemente mentre questa avanzava verso di lui e portava una mano ad accarezzargli la chioma recisa.
Le dita morbide della madre percorsero il suo viso e gli scorsero tra i capelli più volte, come se la donna vedesse bene solo attraverso i polpastrelli.
Le lacrime le illuminarono gli occhi e il sorriso quando mormorò:
«Come sei diventato bello, Yao…»
Il sovrano afferrò la mano della madre con la sua, e baciò delicatamente il palmo soffice. Era reale: era tiepida, compatta, delicata, come la donna che vedeva nei propri lineamenti ogni volta che si guardava allo specchio.
Il sorriso della nobile aumentò a dismisura, prima che i suoi occhi scuri si posassero sull’urna.
«È il Portavoce del Sole?» domandò.
Il Figlio del Cielo annuì.
«Ti è stato vicino quando sei rimasto solo» sussurrò lenta la madre. «Avrei voluto incontrarlo e ringraziarlo di persona.»
«Ti sarebbe piaciuto. Young Soo aveva il dono di riuscire a entrare nel cuore degli altri con estrema facilità» lo descrisse il regnante.
«Ma entrare è facile. Riusciva a rimanerci?»
Yao accarezzò l’urna con estrema tenerezza.
«Per questa vita e per le prossime.»
«Allora era davvero una persona speciale» la donna inclinò la testa, gentile. «Posso unirmi alla tua preghiera? Vorrei parlare con lui, prima che tu gli permetta di andare.»
Yao scosse la testa, sorridendo mesto.
«Lui sarà sempre qui. Nemmeno l’aldilà è abbastanza lontano da separare chi si ama» l’eco delle parole del fratello risuonò nella sua bocca senza che se ne accorgesse, come se Young Soo gliele avesse bisbigliate all’orecchio. E Yao si sorprese rendendosi conto che, in quel momento, credeva davvero che lui e il piccolo mago non sarebbero mai stati realmente divisi: nemmeno la morte poteva cancellare l’affetto che li aveva sempre uniti.
Il Figlio del Cielo appoggiò l’urna a terra, ed entrambi congiunsero le mani, recitando silenziosamente la propria preghiera.
La donna ringraziò il Portavoce del Sole per aver protetto il figlio dalla solitudine; Yao si limitò a ricordare i momenti passati insieme a Young Soo. Quello che aveva da dire, lo aveva già detto; e quello che non aveva fatto in tempo a dire, il fratello lo aveva intuito. Young Soo riusciva a leggere il cuore delle persone anche nel silenzio più totale.
Yao si chinò lentamente, e strinse le dita attorno al coperchio dell’urna prima di aprirla di scatto e lanciare la cenere nel cielo. La polvere grigiastra disegnò bizzarre volute nel vento, quasi stessero giocando a rincorrersi, e disegnò una buffa corona intorno al sole prima di disperdersi nell’aria dorata del tramonto.
L’urna, ormai vuota, venne poggiata nuovamente a terra, e Yao si rialzò con il cuore gonfio di una gioia triste: Young Soo stava sorridendo, da qualche parte, anche se non poteva più vederlo.
La mano della madre si appoggiò con grazia sulla sua spalla.
«So che partirai in una missione contro il Vaticano» la nobile possedeva la delicata forza del giunco: non poteva opporsi agli eventi, quindi si piegava sotto il loro peso per rialzarsi rinvigorita subito dopo. In quel momento, lo dimostrò appieno: «Attenderò il tuo ritorno a Palazzo.»
Un modo molto raffinato per ordinargli di non morire. Yao portò nuovamente il palmo della madre contro le sue labbra.
«Tornerò» promise.
La donna sorrise un’ultima volta e si allontanò dalla parte opposta, permettendogli di tornare da solo dal suo custode di ghiaccio.
Ivan non disse una parola: come sempre, non riusciva a comprendere i sentimenti di chi ancora aveva un cuore caldo nel petto. Ma percepiva che qualcosa non andava: la dispersione di quelle ceneri aveva profondamente turbato il Figlio del Cielo.
In completo silenzio si avvicinò a lui e lo cinse tra le sue braccia. I pugni di Yao si strinsero sul suo cappotto, come se volessero ricaricarsi con l’energia del Siberiano.
«Andiamo, Ivan» bisbigliò poco dopo l’Asean. «Torniamo a casa.»
Secondo giorno
Il signor Vargas fissò la parete davanti a sé.
Dall’esterno non sembrava un muro particolarmente degno di nota, eccezion fatta per la struttura liscia e incurvata che lo faceva assomigliare a un utero di pietra.
Il vecchio Asse, però, gli aveva rivelato il segreto di quella parete: era stata costruita trecento anni prima, all’epoca del più splendido tra tutti gli Assi, in previsione di possibili incantatori troppo potenti e troppo difficili da controllare.
Era una parete in grado di staccare il potere dal corpo del mago.
Se Feliciano si fosse dimostrato in qualche modo un Asse immeritevole per la sua anima dimezzata, lo avrebbero legato a quel muro finché il suo potere non fosse stato totalmente assorbito.
In questo modo, la Confederazione avrebbe avuto l’energia necessaria per mantenere il proprio confine intatto, isolando i demoni all’esterno di esso. E loro non avrebbero avuto un gemello malefico di cui preoccuparsi.
Il signor Vargas scosse la testa, lasciando la stanza.
Feliciano era il suo figlio prediletto. Ma non gli avrebbe permesso di guastare l’equilibrio della Confederazione, se si fosse rivelato indegno.
Terzo giorno
«Mi stai spaccando una costola.»
Roderich non riuscì a rilasciare la presa: era passato troppo tempo dall’ultima volta che aveva cavalcato un famiglio, e la guida di Gilbert era decisamente spericolata.
«Come facevi, quando dovevi salire su Mathias?» lo prese in giro l’Hellsing.
«Andavo a velocità più ridotte» fu la replica strozzata dell’Accordatore.
Si stavano dirigendo sul pianeta dei Gunsmith per arruolare anche loro in quella folle missione. E per verificare che il tanto prodigioso “Elfo” fosse stato terminato.
Roderich fissò lo sguardo su quella chioma argentata, agitata dal volo senza controllo.
L’ultimo ricordo che aveva di Gilbert era un bambino che applaudiva alle sue sonate per violino. Quando aveva riaperto gli occhi, si era trovato davanti un uomo segnato da mille fatiche.
Aveva perso parte dell’infanzia di Gilbert. Non era stato con lui per scacciare i mostri immaginari da sotto il letto, non lo aveva tenuto per mano quando i tuoni lo spaventavano.
Aveva perso completamente la sua adolescenza. Non sapeva cosa avesse dovuto affrontare quel ragazzo, l’ultimo della sua stirpe. Né come lo avesse affrontato. Aveva trovato qualcuno con cui piangere, o aveva versato le lacrime in solitudine? C’era stato un amico a indicargli la via, o si era dovuto creare una mappa e una bussola con le sue sole forze?
Lui era il suo padre adottivo: avrebbe dovuto scacciare i fantasmi, rimetterlo in piedi e offrirgli conforto. Invece lo aveva abbandonato su un pianeta abitato da tombe, con la sola compagnia del suo famiglio.
Cinse con più forza il petto del figlioccio e buttò fuori in un fiato:
«Perdonami.»
Gilbert gli lanciò uno sguardo perplesso da sopra la spalla.
«Non c’è niente per cui scusarsi. Molte persone trovano difficile adattarsi al mio stile di volo e…»
« Mi hai parlato del fratello che ti sei creato e di quel ragazzo di nome Matthew, e non so nemmeno che faccia abbiano. Sei stato rinchiuso a Caina, e non sono stato io a liberarti. Perdonami per non esserci stato quando avresti avuto bisogno di me.»
Sentì il fiato uscire in uno sbuffo divertito quando Gilbert ghignò a quella frase.
«Non hai passato un periodo migliore del mio» minimizzò l’Hellsing. «E non mi hai abbandonato per tua volontà. Se non c’è volontà, non c’è colpevolezza.»
La zazzera argentata fu scossa dalla mano che grattò la nuca, pensosa.
«Sei tu a dovermi perdonare» la frase gli ruzzolò sulle labbra, con una docilità che non si addiceva a quell’uomo di sangue e acciaio.
«Per cosa?» domandò Roderich, genuinamente confuso.
L’Hellsing lo guardò di nuovo da sopra la spalla, e l’Accordatore poté vedere la malinconia addolcire quel ghigno arrogante.
«Avrei dovuto salvarti molto tempo fa, anziché cercare di liberare un pianeta vuoto» ammise, le parole appesantite da quegli anni di guerra. «Avremmo potuto riprenderci il nostro mondo insieme… ma non ce l’ho fatta. Sapevo che non sarei stato in grado di combattere contro di te. Avevo paura di essere ucciso, avevo paura di ucciderti, e avevo paura che tu mi guardassi senza riconoscermi. Piuttosto codardo, per essere l’eroe indiscusso della Galassia, non trovi?»
Le spalle di Gilbert sussultarono per una risata velenosa.
«Solo quando ho perso di nuovo la persona che più amavo… ho capito che non ha senso proteggere il passato se non c’è futuro. Ho lasciato mio fratello ad aspettarmi a casa, e sono corso a salvarti… ma le forze Vaticane erano troppe per un solo Hellsing. E sono finito a Caina.»
«Ti hanno scoperto perché stavi venendo a liberarmi?» Gilbert non gli aveva mai rivelato quel particolare.
L’Hellsing abbassò il capo, e una stella incastrò una punta di luce nel suo occhio rosso, riflettendosi su una lacrima.
«Non sono nemmeno riuscito a vederti» ricordò. «Avrei dovuto decidermi molto tempo prima, quando la difesa del Vaticano non era così stretta…»
Roderich accarezzò il capo dell’Hellsing. La testa di Giselbert era cresciuta rispetto a quando poteva racchiuderla quasi completamente nel proprio palmo, ma i pensieri che si agitavano all’interno erano quelli di sempre: un bambino che aveva troppa paura di rimanere solo, e che gli placcava le gambe quando lo vedeva uscire di casa.
«È tutto passato» cercò di tranquillizzare anche se stesso e i sensi di colpa che gi attanagliavano le viscere con quella risposta. «Tra quattro giorni combatteremo per il futuro. È questo ciò che conta.»
Gilbert annuì, e il ghigno prepotente tornò a impadronirsi delle sue labbra.
«Adesso fai più fatica ad accarezzarmi la testa, eh?» lo prese in giro. «Non sei più il più alto.»
«Guarda avanti. Siamo quasi arrivati» lo rimproverò Roderich, con la severità tipica dei padri che hanno a che fare con dei figli indisciplinati.
Quarto Giorno
Il panno passò silenzioso sulla katana, con devozione.
Kiku la esaminò a lungo, in ogni suo millimetro, prima di permetterle di tornare a riposare nel suo fodero.
La notte di Chugoku era buia, come sempre. Né le stelle né la luna poterono riflettersi sul suo braccio pallido, mentre questo si appoggiava sulla fasciatura.
Se fosse stato a riposo, due mesi di vita. Se avesse combattuto…
Kiku diresse gli occhi, neri come le ombre della camera, verso la porta scorrevole.
L’Aquila doveva aver raggiunto Britannia, ormai, per aiutare il Mago dell’Ovest a organizzare la flotta di assalto. Meglio così: non avrebbe sopportato di saperlo a Chugoku e non vederlo irrompere nella sua stanza per chiedergli perché fosse così cupo.
«Non voglio essere un eroe» annunciò in un sussurro alle tenebre. «Gli eroi muoiono combattendo battaglie che non gli appartengono, in nome di qualche ideale.»
Accarezzò l’elsa di Heracles, e massaggiò le bende sul suo busto. Poteva quasi avvertire l’incantesimo lottare per tenere chiusa la ferita al di sotto.
«Sono, e sarò sempre, un Samurai» dichiarò. «E morirò nella guerra che ho scelto, in nome del giuramento che ho fatto al Figlio del Cielo.»
Appoggiò la testa al muro ligneo, esalando un sospiro.
Alfred sarebbe venuto a prenderlo, quando fosse arrivato il suo momento.
Quello straniero si preoccupava sempre troppo per gli altri.
Ma era inevitabile.
Quello era il lavoro degli eroi, in fondo.
Quinto Giorno
«Entra pure.»
Maledizione, era stato notato. D’altronde, anche camminando in punta di piedi, era difficile celare più di ottanta chili sparsi su quasi due metri di altezza.
Varcò la soglia della stanza abbassando la testa come se stesse entrando in un luogo sacro, e il suo cuore batté più forte alla vista di quel quadro familiare.
L’Hellsing dormiva beato, coperto con attenzione fino al mento e cullato nel sonno dal violino dell’Accordatore. Non era difficile intuire che Roderich stesso aveva sistemato il lenzuolo su Gilbert: ricordava bene il modo scomposto di dormire dell’Hellsing, e il suo incorreggibile vizio di calciare le coperte.
Roderich gli diede il permesso di avvicinarsi con un impercettibile cenno del capo, senza smettere di muovere l’arco sulle corde del violino.
«Gli hai suonato la ninna nanna?» lo canzonò Mathias.
«Ho semplicemente iniziato a suonare» minimizzò Roderich, altero. «E questo insensibile senza gusto musicale si è addormentato di colpo.»
Gli occhi di Mathias scivolarono sull’Hellsing e poi sull’Accordatore. Un padre che suona per scacciare gli incubi dal sonno del figlio: era così che le cose sarebbero dovute andare. Non un genitore divenuto un’arma senza cuore e un bambino abbandonato in una guerra solitaria.
«Avreste meritato più momenti così» era certo di non averlo detto a voce troppo alta, ma fu sufficiente per bloccare l’archetto dell’Accordatore.
Roderich fece finta di sistemare gli occhiali, mentre in realtà si stava sforzando di controllare i condotti lacrimali.
«Avremmo meritato tutti una vita più tranquilla. Anche voi» decretò infine.
«Non mi lamento» Mathias si strinse nelle spalle larghe. «Abbiamo trovato un lavoro che ci piace, una persona da amare, e non siamo mai stati soli. Probabilmente, noi Gunsmith siamo tra le persone più felici della Confederazione.»
«Ma se Gilbert non vi avesse confezionato dei nuovi corpi, adesso di voi non rimarrebbero nemmeno le ossa.»
Si sarebbe offeso per un commento del genere, se non avesse capito che la vera sorgente di quelle parole era una tristezza così profonda da non poter essere sfogata né con le lacrime né con le urla.
«Il tempo è uguale per tutti, e non torna indietro per nessuno» la mano artificiale dell’Accordatore si strinse sul violino «Per questo non potrò mai colmare il vuoto che ho lasciato in tutti questi anni. Ho permesso a mio figlio di crescere da solo, e ho quasi cancellato i Gunsmith prima che esistessero.»
Roderich aggiustò di nuovo gli occhiali, traendo un profondo respiro.
«Sai perché ho deciso di combattere insieme a voi?» l’uomo lo trafisse con i suoi occhi violacei. «Perché voglio che, nella prossima dimensione, non ci sia più nessuno come me.»
«Come te?»
«Qualcuno che, guardandosi indietro, vede solo le voragini che la sua assenza ha creato. Vede che il tempo è passato per tutti, mentre per lui si è cristallizzato a una ventina di anni prima. Vede come le cose siano cambiate e si accorge di non sapere cosa le abbia fatte cambiare.»
Mathias non lo interruppe, mentre Roderich terminava:
«Se fosse stata una mia scelta, forse mi sarei sentito meglio. Almeno avrei potuto biasimare me stesso. Ma mi sento come se mi avessero rubato la possibilità di vivere il mio passato, e mi stessero togliendo la speranza di poter migliorare il futuro.»
Il Gunsmith fu quasi tentato di guardare altrove, mentre l’uomo accarezzava affettuosamente la frangia scomposta dell’Hellsing. Era una scena intima, che sarebbe dovuta rimanere tra padre e figlio senza interferenze esterne.
«Non voglio che ci siano altre persone senza tempo e senza scelte come me.»
Mathias si sentì trafitto dallo sguardo che Roderich gli rivolse subito dopo, e ancor di più dalla sua domanda.
«Mi hai mai odiato, in questi anni?»
Di nuovo, il Gunsmith si strinse nelle spalle.
«Gli altri ti hanno portato molto rancore, non lo nascondo. Però loro non ti avevano visto mentre crescevi Gilbert insieme a Elizabeta, non sapevano quanto amassi il tuo pianeta e la tua gente. Ma io sì: io sapevo che non eri stato davvero tu.»
Batté una pacca sulla spalla dell’uomo, e per poco non lo ribaltò. Cielo, quanto erano rachitici i musicisti!
«Non ho mai smesso di credere in te. E nemmeno tuo figlio l’ha mai fatto.»
Roderich inclinò vagamente il capo, fingendo di non essere toccato da quelle parole. Ma, come Mathias aveva già detto, lo conosceva troppo bene: sapeva che in realtà stava morendo per l’imbarazzo.
«Se è vero che non mi hai mai odiato, allora combatti insieme a me, quando saremo nel Vaticano» propose l’Accordatore, porgendogli la mano meccanica. «Come ben saprai, posso controllare vaste schiere di soldati con i miei poteri musicali, ma non posso farlo se devo preoccuparmi dei nemici che potrebbero pugnalarmi alle spalle.»
Il Gunsmith afferrò quella mano fredda e la scosse saldamente, trovandola più robusta delle ossa del musicista. Ovvio: i Gunsmith producevano solo merce di ottima qualità.
«Le tue spalle saranno protette» garantì. «Non c’è maggiore onore, per un famiglio, che lottare insieme al suo padrone.»
Le mani dei due uomini si separarono, ed entrambi sorrisero internamente.
Erano ancora famiglio e padrone, nonostante il tempo passato.
«La melodia di prima era molto bella. L’hai composta tu?» domandò, uscendo dalla camera.
«L’ho scritta per Gilbert. Era shockato dopo la morte dei genitori, e non riusciva mai a prendere sonno. Si addormentava solo ascoltando questa melodia.»
«Come si intitola?»
Il violino tornò a incastrarsi con grazia sotto il mento affusolato del musicista.
«“Non sei solo”.»
La sonata riempì la stanza con delicatezza, quasi avesse paura di disturbare.
Mathias abbandonò la camera, lasciando che la musica ricordasse a padre e figlio che la solitudine era finalmente finita.
Sesto Giorno - mattina
«Non mi hai rivolto la parola da quando siamo a Britannia.»
«Forse la cosa ti è sfuggita, ma è piuttosto impegnativo preparare una flotta per una guerra e un pianeta per l’espatrio al contempo.»
«Scommetto che il Figlio del Cielo parla con i suoi alleati.»
«E allora tornatene a Chugoku!»
Le sopracciglia bionde di Francis si incresparono, dietro gli occhiali di Alfred.
«Credo di notare un certo veleno nei miei confronti.»
«E non ingiustificato!» sbottò Arthur, voltandosi di colpo.
Il Mago dell’Ovest era stanco nell’anima. Francis era uno specialista di spiriti, poteva dirlo con certezza. Una vita pressoché eterna era un peso estremamente gravoso da portare, ed era un fardello da sopportare da soli: nessuno avrebbe mai capito cosa significasse, perché nessuno avrebbe mai vissuto così a lungo da sentire la propria anima diventare di piombo.
Arthur era di nuovo vestito con i suoi abiti di Avalon: se ne era riappropriato dopo che il suo riflesso aveva fatto ritorno allo specchio. Sembrava quasi che il mago volesse improvvisamente rimarcare il suo essere alieno.
Arthur lo fissò furente, e lo attaccò:
«Mi hai fatto diventare un mago conosciuto solo perché potessi seguire le previsioni di Jeanne sul futuro. Ho bruciato un pianeta, ero presente quando tu e l’Hellsing siete stati catturati, mi sono quasi fatto ammazzare da un demone!» il Mago si girò bruscamente, e Francis poté vedere le sue spalle contratte.
«Ti ho aspettato per cento anni. Da solo.»
«Eri insieme alla tua gente…»
«Sai bene quanto me che noi immortali siamo sempre soli. Se non c’è nessuno che ti comprenda davvero, allora sei solo» i pugni del mago si strinsero sotto il mantello di Avalon. «Ti ho aspettato fidandomi delle tue parole. E quando ti sei reincarnato, in un battito di ciglia eri morto di nuovo. E ora sei in un corpo che non riconosco come tuo.»
Il Mago si voltò di nuovo, gli occhi duri di rabbia e liquidi di lacrime trattenute.
«Eri l’unica persona che potesse davvero capire cosa significa avere sulle spalle più anni di quanti si desidera viverne. Avevi detto che condividevamo il destino, e mi sono fidato. Ma ero sempre solo. Quando ho dovuto bruciare Hispaňa, quando ho assistito all’incarcerazione dell’Hellsing… non c’era mai nessuno con me. Mi sono immerso nel sangue che odio, mi sono gettato in una guerra che detesto fidandomi delle tue vaghe promesse. Ma tu non c’eri mai, Francis. Credevi davvero che ti avrei gettato le braccia al collo piangendo, quando ci fossimo incontrati di nuovo?»
«Oh, no. Non sarebbe nel tuo carattere. Anzi, per essere onesti mi aspettavo una tua sfuriata - cosa che è avvenuta.»
Si ritrovò all’improvviso con le gambe all’aria, e impiegò qualche secondo per capire che il pavimento aveva sgroppato sotto di lui come un toro infuriato. Maghi: avevano sempre dei modi rudi di interrompere le conversazioni che non volevano ascoltare.
Francis si rialzò con fatica dal pavimento - doveva ancora sintonizzarsi con quel corpo nuovo.
«Mi dispiace di averti lasciato solo, Arthur.»
Il Mago dell’Ovest non gli rispose nemmeno, e non si mosse quando il Marauder gli si avvicinò.
«Ma, come ti ho già detto, certe cose dovevano avvenire, per quanto orribili. È necessario per la rinascita.»
«Lo so» la voce uscì pesante come una palla di cannone. «Ma speravo che ci sarebbe stato qualcuno ad accendere una luce, nelle ore buie.»
Il corpo del Mago si irrigidì completamente quando i palmi del Marauder si adagiarono sulle sue spalle.
«Mi dispiace davvero di averti lasciato solo» la sua voce era sincera, e questo fece arrabbiare ancora di più Arthur: se avesse letto anche solo l’ombra di una bugia, sarebbe stato molto più facile squartarlo a parole. «Ma adesso sono qui. Non isolarti, se davvero odi così tanto la solitudine.»
«Odio te molto più di quanto non odi la solitudine» sibilò il Mago, iroso.
«Il che è un vero peccato» le braccia del Marauder scivolarono a cingergli il busto. «Perché io ti adoro. Più di chiunque abbia incontrato in tutte le mie vite passate e di chiunque incontrerò in quelle che verranno.»
Il Mago si scrollò bruscamente di dosso l’uomo, e rincarò:
«Non sei stato perdonato. Cento anni: ti ho aspettato per cento anni. Non li cancellerai con una bella frase.»
Francis si portò alle labbra la mano che il Britanno aveva sollevato per ammonirlo.
«Farò ammenda per i prossimi cento.»
«Trecento» Arthur si riappropriò con stizza della sua mano. «Non hai calcolato gli interessi.»
Francis accettò accondiscendente.
Sapeva che quel Mago aveva intenzione di perdonarlo fin dall’inizio, e che quell’arrabbiatura era solo un modo per tutelare il suo orgoglio. E per sfogare l’amarezza accumulata per tutto quel tempo: Francis era l’unico a poter comprendere lo sconforto di sentirsi soli in mezzo a persone che sarebbero sbocciate e appassite con la velocità dei fiori di maggio.
«Jeanne mi dice che non hai ancora il coraggio di dirmi quella cosa che avresti dovuto dirmi un numero imprecisato di anni fa» lo punzecchiò Francis.
Il Mago rimase così immobile, per qualche istante, da ricordare i prigionieri di Caina. La velocità con cui si mosse subito dopo fu quasi incredibile: afferrò il colletto di quello stupido uomo, lo trascinò verso di sé e sfregò le labbra sulle sue.
«Dì alla tua pulzella di essere meno indiscreta» il brontolio si spense sulle parole finali, mentre Arthur abbandonava la stanza.
Francis attese che il Mago fosse a una distanza sufficiente per ridere di gusto.
«Buon cielo, è proprio vero che i Britanni non sanno baciare…»
Il pavimento lo ribaltò di nuovo.
Maghi. Davvero non avevano il senso dell’umorismo.
Sesto giorno - notte
«Dove state andando?»
«Capitano, stiamo per partire per una battaglia epocale. Se questa deve essere una delle mie ultime notti, voglio passarla navigando in mari femminili.»
Antonio concesse ai suoi uomini la libertà con un vago cenno della mano.
«Cercate di non fare troppa confusione» ricordò loro. «Siamo ospiti, su questo pianeta.»
«Ma anche questo pianeta ha dei bordelli, grazie al cielo!» rise rudemente un mozzo. «Mi sono sempre chiesto se le Asean abbiano la…»
«Andate e divertitevi, ma non eccedete» li congedò Antonio, richiudendo la porta della camera subito dopo. Apprezzava che i suoi uomini fossero venuti a chiedergli il permesso per abbandonare la pensione in cui li aveva alloggiati il Figlio del Cielo, ma avrebbe preferito che il loro tempismo non fosse stato così pessimo.
«Puoi uscire, se ne sono andati» esclamò in direzione dell’armadio a muro.
Lovino uscì dalle ante con i capelli scompigliati, il kimono da camera stropicciato e il viso fremente di rabbia.
«Questo stupido pianeta!» si lamentò, prendendo di nuovo posto sul futon. Quel materasso era troppo sottile e l’unico nascondiglio disponibile in tutta la stanza era l’armadio a muro.
La bocca di Antonio sul suo collo frenò ulteriori lagnanze. La cintura di stoffa frusciò leggera quando le mani del capitano sciolsero il suo nodo.
«Non ti hanno visto» lo rassicurò, insinuando le dita nei bordi aperti della veste. Un abito con una cintura facile da slacciare, e che permetteva di infilare le mani ovunque: gli orientali erano geniali.
Lovino tirò la manica del capitano in un gesto fintamente stizzito: il vero scopo era scoprire la spalla su cui appoggiò le labbra.
«E tu non vuoi navigare in mari femminili, questa sera?» indagò, piccato.
Quella stoffa era un intralcio, e Antonio la rimosse velocemente, rendendola un cumulo di pieghe affrettate sui fianchi del giovane. Afferrò la sua vita asciutta per tenerlo fermo mentre tracciava un percorso con la bocca dal suo collo fino agli addominali. Lovino si chiuse sul capo adagiato sul suo ventre, fremendo a ogni tocco della lingua del compagno: le parole dell’amante strisciarono a fatica tra i suoi sensi ottenebrati.
«Lovino» sussurrò rovente Antonio, appena sopra la curva pelvica. «Solo l’Apocalisse potrebbe convincermi a lasciare questa stanza.»
«Sei sempre esagerato…» con suo grande dispetto, le sue labbra lo tradirono, lasciando uscire un gemito vergognoso. La bocca del capitano era scesa ulteriormente, arrivando a baciare l’impazienza che pulsava tra le sue cosce esili. Un brivido elettrico gli percorse la schiena quando la lingua del capitano percorse il suo sesso, e una scarica di delusione lo attraversò quando l’uomo si rialzò subito dopo.
Era sicuro che una cosa del genere non fosse leale: non poteva dargli un tale piacere e staccarsi un secondo prima dell’estasi.
Antonio gli circondò il viso bollente di imbarazzo con le mani. Lovino era davvero bellissimo quando si lasciava trasportare dalla passione. Ed era ancora più bello quando restituiva l’attacco: il giovane lo spinse bruscamente contro il materasso, aprì il suo kimono con un gesto brusco e si portò a cavalcioni su di lui come se lo volesse schiacciare.
Osservò il viso del ragazzo farsi sempre più vicino, finché i suoi occhi non divennero una nebulosa sensazione di castano ramato davanti a sé.
«Non credere di poter avere sempre il controllo, capitano» Lovino gli morse il labbro inferiore, prima di distanziarsi di nuovo.
Aveva la conferma, ogni giorno di più, di quanto amasse quel ragazzo nella sua interezza. Adorava perfino quelle strane schermaglie che avevano tra le coltri, Lovino sempre più determinato a difendere il suo orgoglio e ad avere un ruolo attivo nel rapporto e Antonio felice di provocarlo e di scatenare le sue reazioni.
«Il controllo è l’ultimo dei miei pensieri, adesso…» replicò placido l’uomo.
Le spalle di Lovino si contrassero e si piegarono verso di lui quando la mano del capitano solleticò la curva delle natiche. Le braccia del giovane gli circondarono il capo e la bocca si premette sul suo collo mentre le dita dell’uomo si facevano strada dentro di lui.
Lovino si allontanò per guardarlo in viso, e i loro occhi si incatenarono. Antonio amava quei momenti di puro silenzio che intercorrevano tra di loro: era come se le parole fossero troppo strette per circondare i loro sentimenti, che venivano quindi lasciati liberi di fluire nell’aria. Gli pareva di immergersi nel cuore di Lovino, e di sentire la presenza del giovane per tutta l’estensione della sua anima.
Lo strinse a sé quasi freneticamente, baciando ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere. Non sarebbe mai stato abbastanza, con Lovino: non sarebbe mai arrivato il giorno in cui si sarebbe stancato di lui.
Il giovane allargò le gambe, sentendo l’eccitazione dell’amante premere contro di esse, e rilasciò un suono inarticolato quando i suoi fianchi vennero abbassati con forza su quelli dell’altro.
Lovino si aggrappò al suo compagno, cercando un contatto sempre più profondo.
Il capitano probabilmente aveva intuito il motivo che lo aveva portato a introdursi in camera sua, quella sera. Il giorno dopo sarebbero partiti per la prima e ultima battaglia con il Vaticano. Sapevano entrambi che metà di loro non sarebbe sopravvissuta per raccontare di quella lotta. E se lui o Antonio erano destinati a far parte di quella triste porzione, allora non voleva sprecare nemmeno un istante a pensare: voleva amare, respirare, vivere il suo innamorato finché la notte gli avesse offerto riparo.
Si ricongiunsero in un bacio profondo con urgenza, e una sciarada di singulti di infransero sulla lingua del capitano, troppo impaziente per aspettare che il giovane seguisse il suo ritmo. Lovino riuscì a staccarsi solo un istante per respirare, prima che l’amante lo catturasse di nuovo. Non protestò, quella sera: strinse ancora di più le braccia attorno al collo del capitano, il respiro affaticato da quel bacio senza tregua e dalle spinte sempre più veloci, finché non lo sentì liberarsi dentro di lui.
Lovino quasi si gettò contro il suo compagno, il fiato che ruzzolava sulle sue labbra arrossate. I loro petti si baciavano a un ritmo frammezzato, seguendo la loro respirazione sfiancata.
La bocca dell’uomo si congiunse alla sua, una volta che i loro polmoni ebbero trovato di nuovo la pace. Fu un contatto più dolce del precedente, e Lovino inseguì quelle labbra quando si staccarono dalle sue, pretendendo un altro bacio.
Antonio lo adagiò sul letto, e accarezzò la sua pelle sudata senza trascurare nemmeno un centimetro; il capitano lo toccava sempre come se desiderasse superare il confine della pelle e diventare una cosa sola con lui.
Lovino alzò una mano, per sfiorare la palpebra sotto gli occhi verdi, improvvisamente incupiti. La frangia ramata fu scostata gentilmente da una carezza dell’uomo, affinché le iridi rossastre fossero totalmente libere di incontrare quelle dell’amante.
«Non dimenticarlo, Lovino» un bacio fu impresso sulla sua fronte corrugata. «Non dimenticare mai il tempo che passiamo insieme.»
Il ragazzo lo spintonò via senza preavviso, e si rialzò a sedere con la velocità di un gatto.
«Non fare questi discorsi malauguranti!» scattò. E, come ogni volta in cui la sua rabbia era dovuta a un motivo più profondo, Lovino si placò subito dopo l’esplosione. Afferrò un lembo del kimono aperto del capitano, e lo strinse nel pugno con tutte le sue forze.
«Credi di essere dentro di me solo nel momento in cui facciamo sesso?» sibilò. «Mi hai aiutato a controllare i miei poteri, mi hai insegnato a lottare… mi sei stato vicino ogni singolo giorno!» nemmeno la penombra della stanza riuscì a celare lo scintillio delle lacrime in quegli occhi orgogliosi. «Finché avrò la forza di richiamare Roma, finché avrò respiro tu sarai con me! Perciò non parlare come se dovessi scomparire!»
Antonio baciò le sue palpebre serrate, e sentì il salato delle lacrime sulle proprie labbra.
Lo trasse a sé con dolcezza, e lo accarezzò piano per tranquillizzarlo.
«Anche tu, Lovino» le parole scivolarono languide nel suo orecchio. «Anche tu non sparirai mai.»
Il ragazzo si distanziò da lui a testa bassa, e Antonio credette che volesse lasciare la stanza.
«Se non vuoi che dimentichi» propose in un mormorio Lovino, troppo imbarazzato per sollevare lo sguardo. «Allora dammi qualcos’altro da ricordare…»
Il ragazzo si protese per accogliere Antonio tra le sue braccia, prima che questo lo stendesse delicatamente sul materasso mentre univa di nuovo le loro labbra.
Anche se il mondo fosse finito il giorno dopo, anche se la sua anima fosse stata fatta a pezzi, ci sarebbe sempre stato un brandello aggrappato ai ricordi di Lovino.
Quel giovane sarebbe sempre stato incancellabile.
Non gli sarebbe bastata l’eternità per far capire a Lovino quanto lo amasse.
E a Lovino non sarebbe bastata l’intera Confederazione per circoscrivere l’amore che provava per Antonio.
Ma lo compresero entrambi, amandosi per tutta la notte come se l’altro fosse l’unica cosa esistente nell’universo. Il che, per loro, era la pura realtà.
Settimo Giorno
Il cappello candido con la veletta bianca si appoggiò sul capo del futuro Asse, e la sua vestizione fu completa.
«Sei pronto, Ludwig?» domandò al suo Guardiano. Il giovane annuì, serio.
Feliciano sorrise, e una punta di malizia del tutto sconveniente scintillò nei suoi occhi.
«Oggi è il giorno della proclamazione» valutò. «Mi chiedo come reagiranno alla sorpresa.»
Anche su:
EFP Successivo:
Capitolo Ventitré: Ludwig Capitoli precedenti:
Capitolo Uno: Uno Scettro in mezzo al Cielo Capitolo Due: Sangue sull’Argento Capitolo Tre: L’Auspicio Capitolo Quattro: Il Custode dei Cancelli Capitolo Cinque: Cuore d’Inverno Capitolo Sei: Prigione Caina Capitolo Sette: Hellsing Capitolo Otto: Belial Capitolo Nove: Il Confine del Mondo Capitolo Dieci: Hispaňa Capitolo Undici: L'Accordatore Capitolo Dodici: Il Mago dell’Ovest Capitolo Tredici: Gunsmith Capitolo Quattordici: Le Mani del Diavolo Capitolo Quindici: Il Portavoce del Sole Capitolo Sedici: L’orfano Capitolo Diciassette: Heracles Capitolo Diciotto: L'Aquila Capitolo Diciannove: Rancori Passati Capitolo Venti: Il Demone Capitolo Ventuno: Le Stelle di Chugoku