Titolo: Caleidoscopio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: GerIta (LudwigxFeliciano), Spamano (AntonioxLovino); RoChu; PruCan; altri personaggi e altre coppie compariranno nei capitoli a seguire.
Rating: Arancione
Parte: 21/?
Avvertimenti: AU (Alternative Universe); Tematiche Delicate; Yaoi e Lemon (nei capitoli successivi)
Riassunto: L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Per questo quando nacquero i gemelli del signor Vargas vi fu grande timore: era risaputo che i gemelli erano uno spirito diviso in due corpi, e un ragazzo con lo spirito a metà non avrebbe mai potuto reggere il destino della Confederazione. E, per un bene maggiore, occorreva affrontare dei sacrifici: il più turbolento dei gemelli venne abbandonato a morire su un pianeta desertico.
Ma nessuno aveva considerato il legame profondo che incatenava i due fratelli.
Entrambi avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
Dal ventunesimo capitolo: “Addio, Young Soo. Le stelle saranno sicuramente felici di accoglierti…”
Note: I banner della storia sono opera di Calu-tan<3
Capitolo Ventuno: le Stelle di Chugoku
Arrivavano appena alle spalle. La chioma color mezzanotte che tanto amava era stata recisa brutalmente.
Lo avevano anche sfregiato in viso: un piccolo taglio rosso correva orizzontale sulla guancia pallida.
Ivan non degnò nemmeno di uno sguardo la mummia arenata sul letto. La sua attenzione, come sempre, era concentrata solo su Yao.
Il sovrano era rimasto tutta la notte al capezzale del fratello, mentre il Mago dell’Ovest cercava di restituire coscienza al Samurai e vita all’Aquila. Doveva essere crollato da poco: le ombre scure sotto i suoi occhi indicavano chiaramente la mancanza di sonno.
Ivan tolse il guanto, prima di far scorrere le sue dita d’inverno tra capelli mozzati del giovane. Yao tremò per quello spiffero gelido, ma non si svegliò: mosse le labbra e le spalle, prima di tornare immobile.
Ivan torse la bocca, seccato, quando il suo sguardo scese sulla tunica del sovrano. Lo scontro l’aveva ridotta a una misera ragnatela di seta aggrappata agli arti sottili del giovane. Per i suoi occhi gelosi, Yao era praticamente nudo.
Sbottonò il cappotto, e lo drappeggiò sull’amante, avendo cura di coprirlo il più possibile. Nessuno doveva vedere il suo torso sottile, o la sua vita stretta.
Le mani di Ivan si fermarono sulle spalle del giovane, pensierose. Aveva ancora senso proteggerlo? Yao non era più il ragazzo asiatico perso nella sua Fortezza; era il Figlio del Cielo, signore del Palazzo.
Un imperatore non poteva separarsi dal trono. Non per un castello fluttuante pieno di gelo e spettri, perlomeno. E nemmeno per il suo glaciale possessore.
Yao non era più suo.
«Il fratellone ti ama.»
La voce della mummia scricchiolò nell’aria immobile della stanza.
Il piccolo asiatico sorrise quando gli occhi duri del Custode si sollevarono su di lui.
«Non si è svegliato quando sei entrato. Non si è svegliato quando l’hai toccato o quando l’hai coperto. Significa che è abituato alla tua presenza e al tuo tocco. E se ti ha permesso di toccarlo, significa che ti ama.»
Il petto del piccoletto cigolò, sollevandosi in un pesante sospiro. Era il discorso più lungo che avesse tenuto nell’ultimo anno. Un tempo sarebbe occorsa una colata di cemento per farlo tacere.
Ivan indugiò di nuovo con lo sguardo su Yao. Innumerevoli altre persone lo avrebbero visto - sudditi, soldati, un giorno la sua futura moglie. Ma nessuno avrebbe amato come lui l’ombra che le ciglia stendevano sugli zigomi candidi, il neo quasi invisibile all’angolo sinistro delle labbra, o la scintilla che si accendeva nelle iridi scure del sovrano quando sorrideva. Nessuno avrebbe avuto lui soltanto come ricordo.
«Potrei essere un rapitore. Non sai che esistono i criminali, in questa Galassia?» replicò freddo Ivan.
«Non sai che il fratellone è uno degli incantatori più potenti di questa Galassia? Ti avrebbe incenerito, se gli avessi fatto qualcosa contro la sua volontà» gracidò l’altro.
La mummia sprofondò nei cuscini, esalando un altro dei suoi sospiri scricchiolanti.
«Non sopravvivrò fino all’alba» sentenziò Young Soo, con una calma serafica nella voce. Aveva avuto un anno di immobilità per accettare l’idea che sarebbe morto una volta liberato dalla maledizione. «Ed è un peccato. Avrei voluto accompagnare il fratellone fino all’ultimo atto…» una risata crepitò sulle sue labbra secche. «Invece, a quanto pare, sarà il fratellone ad accompagnarmi verso la fine…»
Young Soo chiuse gli occhi, e inalò a fondo. I polmoni stridettero mentre l’ossigeno li riempiva. C’era stato davvero un tempo in cui respirare non gli aveva fatto male?
«Nemmeno Kiku… riuscirà a vedere la fine di questa guerra» profetizzò. «Ti prenderai tu cura del fratellone, quando noi non ci saremo più?»
Ivan ripensò alla riunione della sera prima. Avevano parlato di distruggere la Confederazione, e scappare in una nuova dimensione.
«Quando questa guerra sarà finita, questo universo finirà con lei» sillabò tetro.
«Quale occasione migliore per ricominciare da zero? Niente più Figlio del Cielo né Custode dei Cancelli» le labbra del giovane si stropicciarono in un tentativo di sorriso. «E non devi preoccuparti del Cuore d’Inverno. Non distruggerà i ricordi del fratellone. Il fratellone ti darà ogni giorno un nuovo motivo per ricordarti di lui.»
Le sopracciglia argentee di Ivan si aggrottarono in un’espressione infastidita. Come faceva quel nanerottolo a sapere tante cose su di lui?
Il ragno sul suo petto rispose al suo posto: era un mago, e ai maghi piacevano un mondo quei trucchetti da tre soldi che chiamavano “telepatia”.
«Smettila di intrufolarti nelle menti altrui» lo avvertì.
«Non mi sto intrufolando. Sto solo deducendo» la mano scavata si appoggiò sul petto mingherlino. «Basta guardarvi per capire molto più di quanto qualunque incantesimo potrebbe mai rivelare.»
Ivan scrollò le spalle, e si diresse verso la porta. Con o senza incantesimi, detestava le persone che gli leggevano il cuore.
«Promettimi…» un accesso di tosse secca soffocò il Portavoce del Sole, prima che questo riuscisse a parlare di nuovo. «Promettimi che non permetterai che accada nulla di male al fratellone.»
Era la promessa cui aveva votato la sua vita. Aveva bisogno di qualcuno che la mantenesse al posto suo, una volta che i suoi polmoni si fossero stancati di respirare.
La sciarpa frusciò sulla camicia dell’uomo quando questo si voltò.
«Sono il Custode. Non sai cosa fanno i custodi?»
«Custodiscono, se non ricordo male» rise crepitando il piccoletto. «Però non ti sto chiedendo di custodire. Ti sto chiedendo di proteggerlo.»
Il sorriso debole del giovane si allargò impercettibilmente, notando il cappotto sulle spalle di Yao.
«Ma vedo che lo stai già facendo. È il tuo modo di schermarlo agli occhi altrui, vero?»
Ivan uscì dalla camera. Maghi. Ecco perché non li sopportava. Né loro né il loro vizio di predicare senza sosta.
Quasi si scontrò con il Samurai, che stava invece cercando di entrare nella stanza.
Il guerriero gli cedette il passo: non era di certo nelle condizioni per discutere con una montagna d’uomo alta tre volte più di lui.
Scivolò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Un crepitio lo accolse.
«La mia vista è peggiorata ulteriormente o hai dei bendaggi sul petto?»
«Sei abbastanza furbo da conoscere la risposta da solo, Young Soo.»
«Non tutte le risposte. So che sei stato fasciato, ma non so cosa nascondono quelle bende.»
Kiku pensò a come dovevano rifletterlo le iridi stanche del fratello. Indossava ancora i pantaloni della divisa da Samurai, sebbene macchiati di sangue. Le fasce che coprivano lo squarcio e il foro di proiettile sul suo busto avevano sostituito l’elegante giacca bianca, che il giovane aveva appoggiato sulle spalle per proteggersi dagli spifferi.
Quasi rise per l’ironia di quel pensiero. Aveva due ferite mortali sul petto, e si era preoccupato dei colpi di vento. Era un riflesso condizionato che non poteva evitare: aveva perso il conto delle volte in cui Yao si era chinato su di lui per coprirlo con una sciarpa o un mantello, rimproverandolo di non prendersi cura della propria salute.
Kiku si avvicinò al letto, e restò in piedi, marziale, di fianco al sovrano addormentato.
«Incredibile» gracchiò Young Soo. «Di tutto il tuo vestiario, Kiku, le bende sono l’unica parte immacolata. Non dovrebbe essere il contrario?»
«Vedo che la tua mente è sempre affilata come un rasoio» notò pacato il Samurai. I pantaloni erano schizzati di sangue, così come la giacca. Le fasce, al contrario, erano linde e immacolate come se fossero appena uscite dalla valigia del medico. Quel candore significava solo una cosa: magia. Le garze non servivano a trattenere una ferita, ma solo a nascondere le rune che il Mago dell’Ovest aveva tracciato sul suo petto e sui suoi addominali, per dare una parvenza di normalità in quel Palazzo sprofondato nella follia: era stato ferito, era logico che fosse bendato.
Gli occhi di Young Soo luccicarono nella penombra della stanza.
«Il fratellone non si sveglierà: era esausto, e impiegherà ancora almeno venti minuti per svegliarsi.»
«Come fai a saperlo?»
«Sono un mago, ricordi?»
Kiku chinò il capo, comprensivo. Young Soo aveva quell’intonazione così calorosa, come se il mondo fosse un gigantesco parco divertimenti a sua disposizione. Perfino in quel momento, bloccato a letto con le membra fossilizzate e la morte nelle vene, riusciva a instillare nelle sue parole l’eco di una risata perpetua.
Il mondo non sarebbe più stato un gioco divertente, senza Young Soo.
«So che non vuoi che il fratellone senta cosa ti ha detto il Britanno, perciò parla adesso che non può sentirti.»
L’unico suono nella stanza fu la custodia della katana che sfregava contro i pantaloni del Samurai, mentre questo circumnavigava il letto per portarsi sul lato opposto al sovrano.
Infine, parlò.
«Uno sparo in pieno petto. L’harakiri. Sono troppe cose da sopportare, per un mortale.»
«Ma sei vivo…»
«Momentaneamente» Kiku portò una mano al petto. Prima che il Mago dell’Ovest potesse fasciarlo, aveva visto la carne rossa e viva dal bordo frastagliato delle ferite, era perfino riuscito a intravedere il cuore pulsare e il colore bollente delle interiora. L’unica cosa che il Britanno aveva potuto fare, per lui, era stata bloccare il tempo su quei lembi di pelle.
«Ero troppo oltre, Young Soo. Ero praticamente morto. Il Mago dell’Ovest non è riuscito a guarirmi. Nessun mago può interferire con la morte, quando è troppo vicina.»
Il Portavoce del Sole annuì. Lo sapeva. Era per quel preciso motivo che lui non poteva salvarsi: nemmeno la magia più potente poteva bloccare la nera signora, quando questa aveva già sollevato la falce.
Forse solo l’Asse sarebbe riuscito in un’impresa simile. Ma era a mille preghiere di distanza - troppe per aiutarli in tempo.
«Ha cristallizzato le ferite» proseguì Kiku. «In modo che rimangano bloccate e non possano degenerare.»
«Per quanto?» gracchiò Young Soo. Da mago qual era, sapeva bene che tutti gli incantesimi che interferivano con il tempo avevano una caratteristica comune: essere limitati nel tempo.
Il Samurai strinse i bordi della giacca appoggiata sulle sue spalle, coprendo i bendaggi.
«Se starò a riposo, un mese, forse due. Se andrò in battaglia…»
«Se andrai in battaglia, verrai presto a farmi compagnia» terminò per lui Young Soo.
I suoi fratelli erano un imperatore e un guerriero, ma lui era sempre stato quello più coraggioso nelle parole. Non aveva mai paura di afferrare quelle frasi che la gente lasciava sospese nell’aria, troppo grandi per essere racchiuse in un discorso. Young Soo aveva il dono di riuscire a catturarle e trasformarle in qualcosa di tremendamente vero e terribilmente affettuoso al contempo. C’era sempre un messaggio dietro alle sue parole e al suo sorriso infaticabile: “arriverà il peggio, ma lo affronteremo insieme”. Young Soo aveva sempre la premura di ricordare agli altri che non erano soli.
«Quindi che farai, Kiku?»
«Sono un guerriero» fu la risposta schietta del Samurai.
«Ma non combatterai solo perché sei un soldato»
Youg Soo reclinò il capo sul cuscino, attendendo che il fratello selezionasse le parole più adatte al suo discorso.
«Un uomo coraggioso un giorno mi disse che un vero eroe non deve mai tradire il proprio cuore. Penso che un vero guerriero debba fare altrettanto. Per questo difenderò mio padre fino alla fine.»
Young Soo sentì il suo viso rinsecchito sgretolarsi nel sorriso più aperto che avesse fatto da quando era stato liberato.
«Hai scelto un uomo poco saggio, come guida» rise, pensando all’assurdo eroe di Chugoku, l’Aquila.
«Una saggezza che nasce dal coraggio e fa nascere la speranza credo sia una saggezza che merita attenzione» replicò sereno il Samurai.
Young Soo rilasciò uno dei suoi respiri crepitanti, e una domanda scivolò sulle sue labbra screpolate:
«Come sta l’Aquila?»
Il silenzio colò come resina tra di loro. Kiku impiegò tutta la sua forza di volontà per districarsi da quel mutismo viscoso.
«Le ferite inflitte da un demone sono molto più complicate di quelle provocate da armi mortali. Il Mago dell’Ovest sta ancora lavorando…»
«L’Aquila non morirà. Cambierà, ma non morirà.»
La fronte candida di Kiku si aggrottò, confusa.
«Come puoi dirlo?»
«Me l’ha detto il signore che mi ha fatto compagnia nell’ultimo periodo» Young Soo lottò con le parole che faticavano a risalirgli la gola. «È un signore molto particolare. Ma non mente mai, e ha una conoscenza infinita su queste cose. Il passaggio tra la morte e la vita, sai. L’Aquila non morirà. Ma cambierà un po’ il piumaggio.»
Kiku preferì non indagare oltre. Avrebbe accettato il destino di Alfred quando fosse giunta l’ora. Per il momento, doveva capire in che modo dire addio al fratello morente.
Fu proprio Young Soo a dargli l’idea.
«Mi dispiace che il cielo di Chugoku sia ancora nero… avrei tanto voluto accendere le stelle insieme a voi…»
«Young Soo, sarò di ritorno tra pochi minuti. Perdonami» scattò, avviandosi veloce verso la porta.
Il Portavoce del Sole si limitò a sorridere, mentre il fratello usciva dalla stanza.
Kiku era sempre stato così: poche parole, molte azioni. Esattamente come ogni soldato doveva essere.
Era convinto che fosse riuscito a diventare un Samurai perché era un guerriero non solo sul campo di battaglia: lo era in ogni momento della sua vita, con le sue frasi impersonali e i suoi atteggiamenti marziali. Era l’incarnazione della via della spada.
«Per questo posso affidarti il fratellone senza problemi…» una risata gli arricciò le labbra, mentre osservava il pesante cappotto sulle spalle del sovrano.
«A te e al lupo siberiano» concluse, in un ansito tremante.
***
Dare ordini, assicurarsi che venissero eseguiti, darne altri, correre, scattare.
In quel modo, Kiku riuscì a non soccombere al senso di colpa, quando abbandonò la stanza.
Il demone aveva ucciso Heracles per avvicinarsi a lui, aveva detronizzato Yao e pietrificato Young Soo per mano sua, e aveva quasi ucciso l’Aquila.
Il pensiero di Alfred lo raggelò per un istante. “Quasi” ucciso. L’Aquila poteva essere già morta: quando aveva abbandonato la stanza in cui erano stati ricoverati insieme, il Mago dell’Ovest stava ancora lavorando su di lui. E le condizioni dell’eroe non erano delle migliori.
Dare ordini. Correre. Scattare.
Doveva assicurarsi che tutto fosse pronto prima del calar del sole: non avrebbero avuto una seconda occasione, così come Young Soo non avrebbe avuto un’altra notte da vivere.
Doveva fare ammenda per tutto il male che aveva causato, anche se era stato solo il canale di quella malvagità. Il suo modo per riscattare il suo onore sarebbe stato proteggere il Figlio del Cielo fino all’ultimo, e morire per lui. Morire per Chugoku e per la Confederazione.
Le bende sul suo petto sembrarono strangolarlo. In un certo senso, lo aveva già fatto: era un morto cui era stato permesso di soggiornare nel mondo dei vivi ancora per un breve periodo.
«Quanta frenesia. A cosa dobbiamo questi preparativi?»
Il tempo perse improvvisamente di significato: i secondi si allungarono collosi, rendendo tutto lo spazio circostante indistinto e sfuocato.
Riconosceva quella voce. Ma non pensava che l’avrebbe sentita di nuovo, non credeva…
Il Samurai si voltò solo quando fu sicuro di aver recuperato il suo contegno.
L’Aquila lo fissava, appoggiato alla parete con le braccia incrociate sul petto, un sorriso che indugiava sulle labbra.
Alfred armeggiò qualche secondo con gli occhiali, stranamente silenzioso. Trasse un respiro, e un secondo, e un terzo. Poi, finalmente, esordì:
«Non sarò qui a lungo. Mi è stato concesso solo qualche momento per… salutare.»
Lo squarcio dell’harakiri sembrò riaprirsi, ma il dolore non riuscì a distorcere la compostezza adamantina del guerriero.
«Il Mago dell’Ovest ha applicato anche su di te un incantesimo temporale?»
«No. Il mio caso era molto più complicato del tuo. Gli artigli di un demone lacerano più a fondo di una spada umana. O di una pistola.»
Le dita di Alfred tambureggiarono sui gomiti conserti, inquiete. Di nuovo, un silenzio quasi innaturale prese possesso di quella bocca sfrontata. Di nuovo, Alfred parlò con lentezza e rassegnazione:
«Vedere la fine di questa battaglia, Kiku… non è il mio destino. Ma, in un certo senso, ci sarò ugualmente.»
Le sopracciglia nere dell’orientale si aggrottarono perplesse, e si sollevarono nella comprensione. Young Soo aveva parlato di un uomo che gli aveva fatto compagnia, e di essere stato un contenitore momentaneo…
«Il mio tempo è scaduto» sentenziò Alfred, stropicciandosi la faccia con un sorriso sforzato. «Ma c’è un uomo che ha bisogno di un corpo vuoto per accompagnare i suoi amici fino alla fine di questa guerra.»
«Quindi ci sarà solo il tuo corpo» dedusse ferreo Kiku.
Alfred si grattò la nuca, il sorriso che si ritorceva inquieto sulla sua bocca.
«Non è così semplice. Pare che una parte della nostra essenza rimanga ancorata alla pelle, o una cosa del genere. In fondo, è logico che qualcosa di noi rimanga, in un corpo che abbiamo usato per tanti anni…» l’Aquila scrollò le spalle. «Dovrai chiedere a quell’altro una spiegazione più dettagliata.»
Kiku deglutì in silenzio, osservando la giacca attentamente abbottonata del giovane. Sicuramente anche lui era stato bendato, laddove gli artigli del demone gli avevano squarciato la cassa toracica. Ma aveva avuto la premura di abbottonare la giacca fino al collo, pur di non lasciar intravedere nemmeno un pezzettino dei bendaggi. Kiku si sarebbe sentito terribilmente in colpa, se avesse visto di nuovo cosa il demone era stato in grado di fare.
Il Samurai fissò intensamente l’uomo di fronte a lui. Gli era stato vicino per anni, nonostante lui non gli avesse mai riservato particolare gentilezza. Aveva dimostrato una fedeltà e una devozione che aveva visto solo in pochi soldati. E non gli aveva permesso di andare in pezzi, quando suo fratello e suo padre erano caduti nell’inganno del demone.
Meritava una ricompensa, in qualche modo. E Kiku decise che una briciola di sincerità sarebbe stata il dono migliore.
«Voglio essere onesto con te, Alfred. Te lo devo visto che… siamo entrambi in partenza» concluse a stento. Incamerò un profondo respiro nel petto malandato e confessò: «Hai sempre fatto un grosso sforzo per assomigliarmi: hai cercato di reprimere il tuo carattere euforico, quando eri con me. Quando eri con i tuoi uomini, invece… brillavi.»
Alfred sfolgorava con i suoi uomini, e spegneva a forza il suo fuoco per stare con lui. Come una gemma che si copre di polvere per essere degna di un sasso.
«Ho sempre preferito il tuo lato irrequieto a quello addomesticato.»
Una risata si spezzettò sulle labbra del soldato straniero, mentre spingeva gli occhiali sul naso.
«Avresti dovuto dirmelo prima, Kiku, ti avrei fatto vedere quanto posso essere scellerato…»
«È vero. Avrei dovuto essere sincero molto prima.»
Le parole del Samurai non si flessero sotto il peso delle emozioni: quella frase, che avrebbe potuto essere lorda di rimpianto, scattò fuori dalle sue labbra rigida come un comando militare.
Era il solo modo che Kiku conosceva per difendersi. Avrebbe sofferto troppo se avesse cominciato a contare tutte le occasioni sprecate e i minuti perduti. Lo aveva già fatto per Heracles, e non voleva passarci attraverso di nuovo.
Le braccia dell’Aquila lo circondarono prima che se ne rendesse conto, e lo strinsero con un affetto irruento.
«Spero di incontrarti anche nella prossima vita.»
La voce dell’Aquila traballò, e Kiku accarezzò distrattamente le sue spalle contratte. Alfred stava lottando con tutte le sue forze contro le lacrime. Piangere significava ammettere che qualcosa stava andando per il verso storto, e non era così: non era un addio, era solo un arrivederci, si sarebbero sicuramente visti in qualche mondo, in qualche modo. Lui era un eroe, poteva fare questo e altro.
«Spero che tu possa incontrare qualcuno che sappia amare» replicò sterile Kiku.
L’Aquila era una persona di cuore: meritava qualcuno che lo amasse con la passione che lui metteva in ogni respiro. Meritava più di un compagno occasionale, che gli apriva il corpo e non il cuore.
Alfred si scostò per prendergli il viso tra le mani e fissarlo in volto. Ora poteva vedere le lacrime scintillare dentro quegli occhi azzurri, come Alfred poteva leggere la tristezza incarcerata nei suoi.
«Tu sei l’unico a non rendersi conto di quanto profondamente tu riesca ad amare» il sorriso di Alfred brillò a discapito delle lacrime intrappolate negli occhi. «Hai liberato Heracles e tutti i tuoi compagni all’orfanotrofio, hai dato la vita per tuo padre e per tuo fratello, e mi hai dato fiducia quando per tutti ero uno straniero e basta. Hai un’anima grande come il cielo.»
L’Aquila lo abbracciò di nuovo, e accostò le labbra al suo orecchio per bisbigliare:
«E anche se tu non sapessi amare, non importa. Ti aspetterò nella prossima vita. O in quella dopo. Ti troverò, e ti insegnerò.»
«Perché?» proruppe con garbo Kiku, scostandosi da lui. «L’universo è pieno di persone.»
«Esatto. L’universo è pieno di persone. Proprio per questo, quando ne troviamo una diversa da tutte le altre, non credi che valga la pena fare qualche sacrificio per rimanerle accanto?»
Sacrificio. La gente pensava che l’amore vero fosse qualcosa di semplice, pieno di felicità. Un’immagine più sbagliata non esisteva: l’amore era una lotta continua, con pochissimi attimi di tregua. Aveva lottato per liberare Heracles, aveva combattuto per suo fratello e suo padre, e aveva ingaggiato una guerra personale con se stesso per il sentimento conflittuale che nutriva per l’Aquila. Allo stesso modo, il soldato di Britannia aveva guerreggiato ogni giorno per ottenere il suo affetto.
L’amore vero non era diverso dalla via della spada: entrambi richiedevano dedizione e impegno, e ricompensavano solo dopo immensi sacrifici.
Kiku strinse i pugni sui gomiti di Alfred, spiegazzandogli quella buffa giacca che si ostinava a indossare. L’Aquila gli indirizzò un sorriso malinconico.
«È quasi ora…»
Una cosa del genere esulava dal suo carattere, ma non ci sarebbero state altre occasioni.
Kiku si alzò sulle punte dei piedi, e unì le labbra a quelle dell’Aquila. Non aveva mai preso l’iniziativa, prima di allora.
I piedi persero aderenza con il terreno quando Alfred lo sollevò da terra in un abbraccio caloroso, approfondendo il bacio con foga.
Kiku si aggrappò alle sue spalle, e sentì le guance imporporarsi di imbarazzo. Quel bacio era osceno: si stavano divorando le labbra, e suoni acquosi sfuggivano dalle loro bocche in movimento. Ed erano in un corridoio, chiunque avrebbe potuto inciampare nella loro frenesia. Ma era l’ultimo bacio: avrebbe fatto un’eccezione.
Riaprì gli occhi solo quando i suoi piedi toccarono di nuovo il pavimento, e le labbra di Alfred lasciarono lentamente le sue.
Kiku sprofondò il viso nella camicia dell’Aquila, premendo sulla stoffa la bocca ancora calda. Su quell’indumento bisbigliò per la prima volta il nome del soldato:
«Alfred…»
«Se ne è andato.»
Il Samurai si staccò bruscamente, quasi volesse impugnare la katana e puntarla contro l’Aquila.
Ciò che vide lo pugnalò al cuore. Erano i capelli di Alfred, i suoi occhi, il suo corpo, i suoi vestiti. Ma non c’era più Alfred dentro: l’anima che abitava quelle spoglie umane era cambiata. Lo poteva vedere nella postura, nel modo di parlare, ma, soprattutto, nello sguardo.
Non erano più delle iridi innamorate a fissarlo; erano quelle piatte di uno sconosciuto.
L’uomo gli sorrise, e cercò di rincuorarlo.
«Ma ti ha sentito. Ti ha sentito sempre, Samurai.»
Kiku allentò la presa sull’elsa della spada, rilasciando la mano lungo il fianco.
«Vorrei che fosse Alfred a dirmelo» rispose, atono.
Lo sconosciuto gli sorrise di nuovo, come se gli importasse davvero di rasserenarlo.
«Lui c’è. Ho accompagnato mille e mille anime, Samurai, e posso garantirtelo: l’aldilà non è lontano a sufficienza per separare due persone che si amano.»
«È sufficiente per allontanarle.»
«Solo se le dimentichiamo.»
Poteva leggere una saggezza centenaria nelle parole di quell’uomo, ma non era ciò che voleva sentire in quel momento. A essere sincero, non voleva sentire nulla.
«Ho del lavoro da fare» recise.
Si allontanò svelto, e l’uomo non lo seguì. Alfred lo avrebbe rincorso in capo al mondo.
Dare ordini, correre, eseguire.
E poi, forse, avrebbe trovato un posto nascosto in cui poter finalmente piangere.
***
Yao e Young Soo erano seduti sul legno della veranda, bagnato dai raggi scarlatti del tramonto.
Il Portavoce del Sole era accasciato sul grembo del sovrano, che lo teneva saldamente contro di sé.
Yao aveva dato ordine a tutti i consiglieri e ai soldati di stare fuori da quella stanza. Erano i suoi ultimi istanti con il fratello, e non desiderava intrusi.
Young Soo gli strattonò scherzosamente il cappotto.
«Questo di chi è, Yao? Non l’ho mai visto prima…» insinuò, con una risata gracchiante.
Il viso del Figlio del Cielo si addolcì, e il Portavoce del Sole riuscì a prevedere la sua risposta prima ancora che la pronunciasse.
«È il ghiaccio che accende il mio fuoco.»
Lo sterno di fiamme del fratello bruciò teneramente, quando Young Soo vi premette la guancia sopra.
«Ti ama molto, fratellone.»
«Lo so.»
«Non lasciarlo andare, fratellone. Nemmeno se tutti i consiglieri si opponessero.»
«Non lo farò.»
«Ti voglio bene, fratellone.»
Yao rimase zitto e fermo qualche istante, stupito da quel cambio improvviso di discorso. Accarezzò i capelli del fratello, e sentì le lacrime bruciargli dietro gli occhi. Il suo cameriere goffo, il suo mago giocherellone…
«Ti voglio bene anche io» mormorò in un sussurro tremulo.
«Sai che questa cosa non cambierà, vero?» Young Soo reclinò il capo all’indietro per fissare il fratello in volto. «Anche quando ti sembrerà che non ci sarò più, in realtà ci sarò. Sarò sempre con te, qualunque cosa accada. Anche se non potrai vedermi.»
«E come farò a sapere che ci sei davvero?»
«Un mago non rivela mai i suoi trucchi, fratellone, dovresti saperlo. Dovrai fidarti sulla parola.»
Trassero entrambi un profondo respiro, e Young Soo proseguì in un gracidio:
«Non preoccuparti, fratellone. L’aldilà non è abbastanza lontano per separare chi si ama. Me l’ha detto un esperto.»
«Mi mancherai, Young Soo. Per quanto vicino tu possa essere, mi mancherai.»
Il Portavoce del Sole accartocciò le labbra in un sorriso.
«Allora dovrai ricordarti la formula magica che ti ho insegnato tanto tempo fa.»
Le dita color legno si avvicinarono al suo petto, mimando quel gesto infantile.
«Non fa male, non fa male… non fa più male!»
Avrebbe fatto male. Young Soo era una di quelle persone che lasciavano un baratro, quando se ne andavano. E avrebbe sofferto per quella mancanza. Ma sarebbero stati ricordi come quello a permettergli di sorridere anche nel pianto.
Poggiò le labbra sulla fronte del fratello, delicato.
«Credevo che tu fossi un mago serio…»
«Infatti. Questa è magia raffinata, fratellone!»
Furono entrambi distratti da una luce fluttuante: una lanterna volava solitaria nell’aria scura del crepuscolo inoltrato.
«Cos’è…» Young Soo non riuscì a finire la domanda: la sorpresa lo ammutolì.
Una seconda lanterna aveva seguito la prima, e mille altre avevano fatto lo stesso. Stormi di fiammelle galleggianti facevano a gara nel cielo, spintonandosi tra di loro durante la salita.
Una rete di luci si stese sulla veranda e sul cielo, danzando sui volti stupiti dell’imperatore e del Portavoce.
Si sporsero entrambi dalla balaustra, per quanto possibile, e videro gli artefici di quel gesto: sotto il comando di Kiku, la Stella Polare stava punteggiando il cielo di Chugoku con un milione di stelle artificiali.
Il Samurai li salutò marziale, vedendoli dalla balconata, e Young So rispose agitando la larga manica.
Poi, tutti e tre fissarono il cielo. Le lanterne erano diventate un fitto intreccio di perle di luce, disposte sul velluto nero del cielo notturno. Pareva che le ancelle del Palazzo Immortale avessero gettato i loro diamanti nella notte, come raccontava una leggenda popolare.
«È bellissimo…» mormorò Young Soo, affascinato. «Valeva la pena di lottare per riavere le stelle…» il Portavoce del Sole sorrise con più dolcezza: «Non dimenticarti mai di questa notte, Yao. Qualunque cosa accada, ricordati che anche l’ora più buia può essere migliorata dalla luce di chi ti vuole bene. Ricordatelo anche quando non ci sarò io a ricordartelo.»
Yao riuscì solo ad annuire e a stringere il fratello più forte. Young Soo tremò nel suo abbraccio.
«Devo andare anche io, fratellone. Tra le stelle. Anzi, ancora più lontano…»
Il sovrano lo abbracciò di nuovo, gli occhi puntati al cielo. La luce di quegli astri artificiali si rifletté sul velo di lacrime che gli imprigionava le iridi.
«Siamo stati fortunati ad averti incontrato, Young Soo.»
Le braccia essiccate del Portavoce del Sole si strinsero traballanti attorno alla sua vita.
«Sono felice, fratellone. Ti assicuro, poche persone sono state felici quanto me.»
Quando si scostò da lui, reggeva in una mano color corteccia una piccola palla di fuoco.
«Il mio ultimo incantesimo» sorrise, nostalgico. «Mi è rimasta l’energia sufficiente solo per questo…»
Yao fece appello a tutte le sue forze per non scoppiare in lacrime. L’ultimo regalo che poteva fare al fratello era lasciarlo partire sereno.
Appoggiò di nuovo le labbra alla sua fronte, e trattenne nella gola un singhiozzo.
«Vai tra le stelle, Young Soo. Alzerò lo sguardo al cielo, quando sentirò la tua mancanza.»
Le dita del Portavoce del Sole si dischiusero, e la sua piccola sfera di fuoco galleggiò nell’aria, andando a raggiungere le sue simili.
«Sarò là per te, fratellone» esalò. «Sarò sempre là per te…»
Le labbra del sovrano non abbandonarono la fronte di Young Soo, nemmeno quando questa divenne gradatamente fredda come il ghiaccio. Yao non si mosse finché non fu sicuro di poter sopportare di vedere il fratello immobile nonostante i suoi richiami.
Lo adagiò piano sulla veranda, poggiando con delicatezza la sua testa alla superficie lignea. Compose le mani sul suo petto, e si fermò a fissarlo.
Le luci volteggianti sopra e intorno a loro gettarono una sciarada di riflessi caldi su quel volto ghiacciato.
Young Soo sorrideva, come se fosse davvero soddisfatto della vita che aveva vissuto. Nemmeno la morte era riuscita a sconfiggerlo.
«Addio, Young Soo» si accomiatò Yao, carezzandogli una guancia. «Le stelle saranno sicuramente felici di accoglierti…»
Seconda Parte