[Game of Thrones] Raindrops // Parte 2

Dec 23, 2012 19:32

Titolo: Raindrops
Fandom: Game of Thrones/A song of Ice and Fire
Beta: dylan_mx
Rating: verdissimo verde
Pairing: Robb/Jon, Bran/Rickon
Avvertimenti: Incest, slash, het, pre/post-serie, bookverse, underage
Note: Niente da dichiarare, a parte il mio amore per dylan_mx e skyearth85 e il fatto che ho usato più o meno a caso una volta i nomi originali delle località e un'altra quelli in italiano (shame on me, lo ammetto, ma andavo più o meno a momenti). Per il resto tanto amore a tutti :3

Gifter: skyearth85
Link al gift: questa splenderrima podfic, che dovete assolutamente scaricare <3


3. The shadow behind you [Robb/Jon]

Quando il Vecchio orso gliel’aveva comunicato, Jon aveva pensato che si trattasse di uno scherzo e anche di pessimo gusto, un vera presa in giro. Volevano farlo illudere di poter rivedere i suoi parenti per poi sbattergli in faccia la realtà? O era un modo per verificare la sua effettiva lealtà ai Guardiani della Notte? Avrebbe dovuto rifiutare, per dimostrare di essere un vero confratello dell’ordine? Eppure quella di Mormont non era una proposta, ma un comando a tutti gli effetti.

Avrebbe dovuto consegnare un messaggio di massima urgenza per il nuovo re Robb Stark, che ancora guerreggiava all’altezza del Tridente. Un messaggio così importante da non fidarsi di un corvo, che poteva essere intercettato o disperdersi. Jon invece era in grado di difendere quel pezzetto di carta e se stesso, specie con Spettro al suo fianco. Un viaggio rapido, silenzioso e pulito, andata e ritorno e poi su, oltre la Barriera, alla ricerca di suo zio Benjen e degli altri ranger dispersi. Ma ancora, Jon non riusciva a crederci.

Aveva una mezza idea che ci fosse lo zampino di Sam dietro a tutto questo, visto il suo sorriso smagliante mentre lo osservava sellare il cavallo più veloce che avevano al forte. < In realtà spero che tu possa tornare presto. - gli aveva confidato la notte prima della sua partenza - Senza di te mi sento molto meno al sicuro, anche se ora nessuno mi tormenta. Specie ora che Thorne non è più qui.>

Snow non stentava a credere alle sue parole, visto che Samwell aveva paura della sua stessa ombra, ma lui non aveva poi così fretta di tornare tra i suoi nuovi fratelli. Moriva dalla voglia di rivedere Robb e sentiva che non avrebbe risparmiato il suo cavallo per giungere più in fretta da lui.

< Mi raccomando, Snow. - l’aveva redarguito il Vecchio orso - Torna.> E così Jon Snow, il bastardo di Winterfell, era partito in sella alla sua cavalcatura, Lungo Artiglio sulla schiena e l’enorme meta-lupo al suo fianco.

Il viaggio sembrava non finire mai; fosse stato per lui, Jon avrebbe dimezzato le soste che era costretto a fare, ma Spettro aveva difficoltà a stargli dietro e il cavallo reclamava il suo meritato riposo. Se non voleva rischiare di proseguire a piedi, il ragazzo non poteva far altro che fermarsi.

Man mano che scendeva lungo la Strada del Re, udiva sempre più voci riguardo il giovane condottiero che teneva testa e vinceva sulle forze dei Lannister. C’era chi asseriva, più che convinto, che il ragazzo Stark combattesse cavalcando un enorme lupo dal manto grigio scuro, mentre altri ripetevano che era lui stesso il lupo e si trasformava a suo piacimento.

Jon ascoltava divertito quelle voci, chiedendosi come avrebbe reagito Robb se le avesse sentite. Probabilmente sarebbe rimasto a bocca aperta e, dopo quell’attimo di sbalordimento, si sarebbe fatto una bella risata.

Il suo viaggio a sud portava anche altre comodità: dopo tutto il freddo a cui aveva dovuto abituarsi, il clima temperato delle regioni inferiori era decisamente gradito e i letti delle locande ove si fermava per la notte erano molto più comodi di quelli del forte. L’unica pecca in tutto questo era che non poteva tenere Spettro con sé.

In genere il meta-lupo non si avvicinava ai centri abitati, ma la prima notte passata in una locanda Jon aveva avuto diversi problemi a convincere l’animale a restare tra gli alberi. Di certo un essere della sua stazza avrebbe spaventato cameriere e clienti e inoltre avrebbe dato troppo nell’occhio.

Già i suoi abiti attiravano fin troppi sguardi: non era usuale vedere un guardiano della notte, così giovane poi, lontano dalla Barriera. Ma Jon agiva in maniera troppo tranquilla per poter sembrare un disertore e nessuno lo aveva mai infastidito, anzi, era già rarissimo che qualcuno gli rivolgesse la parola.

Anche quando arrivò all’altezza del Moat Cailin l’accoglienza non fu delle più cordiali: il nero dei suoi abiti non era molto apprezzato dai combattenti dell’esercito di re Robb, era stato chiaro fin dal primo momento. Un uomo dalla faccia scavata e senza un orecchio sputò con tutta la cattiveria possibile nel vederlo arrivare e mentre gli passava davanti borbottò parole dure nei suoi confronti. Alcuni lo dileggiarono, altri ancora gli mandarono contro insulti d’ogni genere, sperando che gli estranei se lo portassero via.

< Non abbiamo feccia per i corvi!> gli urlò contro un cavaliere, tutto bell’impettito nella sua armatura. Jon non si lasciò scoraggiare e proseguì verso l’interno dell’accampamento; un uomo, dalla mole notevole e privo di due falangi, lo guidò ugualmente dal nuovo re, gettando occhiate incuriosite e preoccupate a Spettro, che trotterellava al suo fianco, il muso teso ad annusare l’aria. Il quartier generale del giovane Stark era una normalissima tenda, contraddistinta solo da due guardie al suo ingresso. Mentre giungevano nei pressi dell’entrata, lady Catelyn uscì.

La donna lo fissò, una luce strana nei suoi occhi, un misto di speranza, stupore, paura. Se Jon avesse potuto leggerle nel pensiero, avrebbe scoperto che non era lui che la donna vedeva al momento, ma il giovane Eddard Stark, pronto a marciare fianco a fianco con Robert Baratheon. Ma fu solo un attimo. Poi lady Catelyn lo riconobbe per quel che era - il bastardo di Winterfell, la macchia di disonore dell’ormai defunto lord del Nord - e i suoi lineamenti tornarono freddi e indifferenti, l’espressione che gli rivolgeva nella maggior parte dei casi. < Mia lady.> borbottò lui accennando ad un inchino, ma lei gli passò affianco senza degnarlo di un secondo sguardo.

on Robb invece fu tutta un’altra storia. Il suo enorme accompagnatore l’aveva annunciato come un semplice messaggero dei guardiani della notte ed era evidente che il re si era aspettato un membro anziano o un attendente, chiunque, ma non lui. Gli occhi si dilatarono per lo stupore mentre Jon faceva il suo ingresso nella tenda; la bocca rimase leggermente aperta, mentre le parole di benvenuto che si era preparato gli si bloccavano in gola.

Gli ci vollero un paio di istanti per ricomporsi. < Grazie, Umber, puoi andare.> ordinò con un cenno all’uomo che aveva scortato il suo fratellastro fin lì. C’erano altre persone in quella tenda, notò Snow, tutti lord di grande rilevanza e tutti dall’aria corrucciata; il ragazzo ne riconobbe alcuni dallo stemma ricamato sul farsetto, ma della maggior parte non sapeva proprio niente.

< Jon.>

< Robb.>

Con lo stesso fare perentorio ed irremovibile con il quale il re aveva congedato Umber, il ragazzo si voltò verso i suoi consiglieri. < Miei lord, vogliate scusarmi…> Fu una sensazione stranissima osservare tutti quegli uomini, di gran lunga più anziani ed esperti di lui, inchinarsi rispettosamente e uscire uno alla volta dalla tenda, senza osare discutere l’ordine. Jon li osservò attentamente, uno per uno, ma ciò che vedeva dipinto sui loro volti era rispetto e lealtà per il loro giovanissimo leader.

Ma c’era un’eccezione. Al guardiano della notte si bloccò il respiro nel vederlo: occhi pallidi, duri, crudeli, faccia indecifrabile, astuta, pericolosa. Prima di uscire l’uomo, che per tutto il tempo era stato alle spalle di Robb, scoccò al re uno sguardo che Jon non riuscì a comprendere, ma non gli sfuggì il sorriso terrificante che aleggiò per un istante sulle sue labbra.

Attesero che anche l’ultimo lord uscisse, uno di fronte all’altro, immobili. Poi, non appena la tenda si chiuse con un fruscio, Robb percorse a grandi passi i pochi metri che li separavano e strinse Jon in uno dei suoi abbracci da mozzare il fiato. Per il bastardo fu come se tutto il calore che aveva lasciato a Winterfell per il freddo della Barriera tornasse in lui, una vampata che aveva difficoltà a controllare. Stark si era fatto crescere la barba, notò lui, e ora quella peluria rossiccia pungeva contro la sua guancia glabra.

Un rumore gutturale fece voltare i due: accanto alle loro gambe Vento grigio e Spettro si strusciavano uno contro l’altro, dandosi lappate sul volto e annusandosi a vicenda. Robb sorrise, raggiante e stanco come non mai. A Jon faceva uno strano effetto vederlo con una corona sul capo, ma anche suo fratello pareva dello stesso parere: si tolse quel cerchio di metallo, gettandolo sul tavolo, sopra una mappa cosparsa di scritte e annotazioni.

< Allora… - si voltò verso di lui, gli occhi che brillavano - Raccontami tutto.>

Jon non si era realmente reso conto di quante cose fossero successe da quando era arrivato alla Barriera, ma scoprì di avere tante di quelle cose da raccontare che non era ancora arrivato a metà e già calava la notte. Ma Robb ascoltava con attenzione e quando entrò un uomo a riferirgli che sua madre lo attendeva per la cena, ebbe il suo bel da fare per non rispondere bruscamente.

< Fa aggiungere una sedia alla mia destra. Mio fratello cenerà al mio fianco, questa sera.>

*

Non era un banchetto come quelli che si davano spesso a Winterfell e decisamente meno sontuoso di quello che era stato imbastito per l’arrivo di re Robert Baratheon, ma per gli standard di Jon era comunque assai lussuoso. Per di più, era la prima volta che cenava al tavolo d’onore, con i grandi lord e cavalieri del Nord, invece che nei tavoli più distanti, destinati agli scudieri e ai bastardi.

Lady Catelyn non approvava la scelta del figlio, glielo si leggeva in faccia, ma Robb non ci prestò affatto attenzione, impegnato com’era a conversare amabilmente col suo fratellastro e con tutti i suoi alfieri. E, stando a quanto dicevano i commensali, non si era mai visto il giovane re così allegro da quando era cominciata la guerra.

Jon ascoltò con attenzione l’uomo chiamato Umber, che raccontava di come Vento grigio gli avesse staccato un po’ di falangi, quando aveva esitato a rispettare il primogenito di Eddard Stark. Nonostante tutto non sembrava averla presa male, anzi, dalle risate che si faceva pareva che la sua idea di comando corrispondesse proprio a far staccare parti del corpo dal proprio animaletto domestico.

La cosa che lo stupiva di più di quella tavolata era che nessuno lo trattava come il semplice bastardo che era sempre stato: all’iniziò pensò che fosse per non mancare di rispetto a Robb, che era così entusiasta di rivedere il fratellastro dopo tanto tempo, ma dopo un po’ si rese conto che non era quello il punto.

Quegli uomini non vedevano Jon il bastardo di Winterfell, ma un giovane Eddard Stark, dallo sguardo freddo e penetrante, di poche parole, leale fino alla morte e giusto nelle decisioni. Ne ebbe la conferma quando uno degli uomini, ormai completamente ubriaco, lo chiamò col nome del padre: un moto d’orgoglio gli sorse in petto, come non accadeva da tempo, probabilmente da quando era arrivato alla Barriera. Non era una soddisfazione da condividere con altri, ma sua e unicamente sua: una sensazione che credeva di aver completamente dimenticato.

Sul finire della serata, però, accadde qualcosa che gli rovinò completamente l’umore. Non l’aveva neanche sentito avvicinarsi, vuoi per il frastuono e il chiacchiericcio degli altri, vuoi perché aveva alzato un po’ troppo il gomito, ma la cosa gli diede immensamente fastidio, oltre a metterlo a disagio come se si fosse trovato solo al di là della Barriera. Una sensazione che non augurava al suo peggior nemico.

Ma Roose Bolton, perché così l’aveva sentito chiamare da un paio di altri commensali, era sgusciato tra le sedie silenzioso come un serpente ed era sbucato proprio alle spalle di re Robb, a meno di un metro da Jon. Il ragazzo lo osservò mentre appoggiava le mani sulla testiera della sedia e si chinava in avanti a bisbigliare qualcosa nell’orecchio del giovane condottiero: un moto di rabbia gli accecò per un attimo la vista, ma si controllò. Quell’uomo era pur sempre uno degli alfieri di suo fratello.

Non gli staccò comunque gli occhi di dosso: di quell’uomo non si fidava affatto, era una sensazione a pelle e lui era ormai abituato a seguire l’istinto. Gli aveva sempre portato fortuna. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando Bolton, la bocca ancora troppo vicina all’orecchio di Robb, sollevò lo sguardo su di lui: glaciale, quasi più delle terre del Nord. Al ragazzo tornarono in mente, tutte d’un tratto, le storie che la vecchia Nan raccontava sui Bolton. Deglutì: aveva sempre pensato che si trattasse più che altro di leggende o di racconti che si erano man mano radicate nella tradizione popolare, divenendo una sorta di luogo comune, eppure quegli occhi stava sgretolando lentamente ogni sua certezza. Occhi così potevano vedere un uomo scuoiato vivo senza battere ciglio o addirittura divertendosi. Jon aveva paura.

Non si era reso conto di aver trattenuto il fiato fino a che quello sguardo di ghiaccio non lo lasciò andare e lui poté tornare a respirare normalmente. Suo fratello non si era accorto di nulla. La cena si concluse senza altri avvenimenti particolari, ma anche se ci fossero stati il guardiano della notte non sarebbe riuscito a concentrarsi su di essi: quell’uomo aveva scombussolato fin troppo i suoi pensieri.

Quando, nella tenda di Robb, concluse il racconto che aveva cominciato e consegnò al re del Nord la lettera di Mormont, il suo entusiasmo si era completamente spento. Voleva chiedere al fratellastro notizie sul suo alfiere, ma non trovava le parole giuste per esprimersi: non voleva mancare di rispetto alla sua autorità né dubitare della lealtà altrui.

Osservò in silenzio la faccia di Stark che si faceva sempre più torva man mano che leggeva la missiva. Quando infine ripiegò il messaggio, il suo volto era terreo.

< Ma è proprio vero? Estranei? Non-morti che camminano?>

< E uccidono.> replicò tetro Jon, mostrandogli la mano ustionata. Se ripensava alla notte in cui si era trovato quella creatura davanti gli tornavano i sudori freddi.

Robb si mise a camminare per la stanza, borbottando a bassa voce. < Se potessi vi darei cinquemila... diecimila uomini! Tutte le mie forze, pur di respingerli. Ma non posso voltare le spalle a Tywin Lannister, sarebbe un suicidio. E i miei uomini vogliono che io continui a combattere: non posso tirarmi indietro adesso né posso privare il mio esercito di bravi combattenti. Non ora almeno.>

A quelle parole Jon sentì il suo cuore infiammarsi: avrebbe dato qualsiasi cosa per combattere contro i Lannister al fianco del fratello. Qualsiasi cosa, ma non era possibile. Si costrinse a recuperare un tono formale.

< Il lord comandante sa bene in che condizioni ti trovi. Chiede solo che, una volta finita la guerra, tu non ti dimentichi dei guardiani della notte, come fece re Robert Baratheon.>

Lo sguardo di Robb era così intenso che quasi lo fece star male. < Non potrei mai dimenticarmi dei guardiani della notte. Mai.> La sua voce non lasciava dubbi sul perché. “Finché ci sarai tu tra loro, sarete sempre il primo dei miei pensieri”.

Jon arrossì leggermente nel realizzare cosa questo implicasse. Avrebbe voluto fare due passi avanti, colmare il vuoto che c’era tra lui e il fratellastro e rimanere abbracciati fino all’alba, fino a quando non avrebbe dovuto sellare nuovamente il cavallo e tornare indietro, al Nord. Perché nonostante tutto sarebbe tornato.

Stark sembrava aver letto nei suoi pensieri. < Quando ripartirai?> < Domani mattina, il prima possibile. Il lord comandante mi aspetta per la spedizione.> “E così anche i miei nuovi fratelli”. Robb annuì con aria stanca e si passò una mano tra i capelli.

< D’accordo. E’ meglio che tu vada a riposarti ora, ti aspetta un viaggio lungo.> Jon stava per obbedire docilmente, ma arrivato al limite della tenda si fermò.

< Robb?> Lo sguardo di suo fratello era perplesso. < Riguardo a Roose Bolton…> Il cambiamento sul volto del ragazzo fu immediato: un leggero rossore sulle guance, gli occhi che si facevano più duri, la mascella che si serrava automaticamente.

< Non ti piace.>

< Neanche un po’.>

< Non piace a molti. - Robb scosse le spalle - Ma mi serve. E’ astuto, conosce il gioco. Senza di lui avremmo un asso nella manica in meno e un avversario pericoloso in più.>

Si guardarono per qualche istante e Jon vide dietro gli occhi di suo fratello quell’insicurezza che aveva cercato di celare per tutta la sera: non era pronto ad essere re né a comandare eserciti. Il peso del comando lo stava schiacciando e lui soffriva, in silenzio, consapevole di non poter chiedere aiuto a nessuno.

< Speravo avessi uomini fidati al tuo fianco…> Non era un’accusa, Robb lo capì subito. Era solo la preoccupazione di un fratello costretto a restare lontano da lui.

< Se ci fossi tu al mio fianco, questa guerra sarebbe molto più facile da vincere.>

Jon abbassò lo sguardo, le guance in fiamme. Osservò Vento grigio dare una rapida leccata sul muso di Spettro; Robb non poteva sapere quanto ardentemente desiderasse restare lì con lui, combattere uno accanto all’altro, pronti a morire in nome del loro padre. Nel silenzio che si addensava sperò con tutte le sue forze che suo fratello parlasse, che gli dicesse che poteva disertare, che lui, il re, lo sollevava dalla pena di morte e gli permetteva di assisterlo nelle sue battaglie.

Sam avrebbe capito, il Vecchio orso sarebbe andato su tutte le furie, mastro Aemon avrebbe scosso il capo, ma lui sarebbe stato al fianco della sua unica, vera famiglia. Attese, ma quelle parole non vennero mai. Quando alzò lo sguardo, vide che gli occhi di Robb si erano fatti lucidi.

< E’ meglio che vada.> riuscì a biascicare, la voce resa roca dall’emozione. Stark annuì e fece per avanzare, ma si bloccò di colpo: non voleva rendere le cose più complicate di quante non fossero già.

< Salutami Bran, quando lo rivedrai.> aggiunse il bastardo e, con un’ultima occhiata al fratellastro, si voltò e uscì dalla tenda. Spettro si attardò un poco per ricambiare la leccata a Vento grigio e uscì trotterellando, il muso basso e gli occhi tristi.

Jon ne accarezzò il pelo mentre aspettava l’alba. Capiva cosa intendeva il lord comandante: non voleva più tornare indietro. Era così difficile voltare le spalle a quella realtà dopo averla assaggiata; si chiese come poteva lasciare Robb in balia di gente come quel Bolton e considerarsi un buon fratello. Probabilmente non poteva.

Fu la notte peggiore della sua esistenza, più lunga e sofferta che le prime alla Barriera, quando il gelo gli mordeva l’anima e non gli restava che lo spettro di suo padre nella memoria e il pelo caldo di Spettro a confortarlo. Ma la parte più difficile fu sellare il suo cavallo e mettersi in marcia senza scoccare una sola occhiata alle sue spalle. Un ululato lo informò che Vento grigio lo stava salutando.

4. Not so broken, not so lonely [Bran/Rickon]

< Non voglio apparire impudente, mio lord, ma non riusciamo in alcun modo a controllare tuo fratello… nelle ultime settimane è diventato sempre più, come dire…>

< Selvaggio.> Gli doleva il cuore a dirlo, ma Bran sapeva che quel povero contadino che aveva davanti aveva perfettamente ragione: c’erano tante ragioni per cui Rickon era cresciuto privo di un’educazione ferrea, come quella di Robb e Bran stesso, ma questo non significava che poteva vagare per le terre del Nord e lasciare che Cagnaccio massacrasse i pochi animali d’allevamento delle fattorie nei dintorni. Non era accettabile, per il futuro lord protettore del Nord.

< Parlerò io con mio fratello. Ora puoi andare.>

Osservò con tristezza quell’uomo rozzo, senza tre dita della mano destra, mentre s’inchinava goffamente e usciva con il suo passo malfermo. Ecco a cosa era ridotto il grande Nord dopo la guerra: un cumulo di macerie e di uomini storpi. Bran per primo.

Accarezzò con aria assente il pelo di Estate, che come al solito non lasciava mai il suo fianco. Ce ne avevano messo di tempo per ricostruire Winterfell, tempo e sudore. Bran avrebbe voluto aiutare fisicamente ad erigere quelle torri che tanto amava scalare, ma purtroppo non era possibile. Meera gli aveva detto che il suo aiuto era ben più importante di quello di ogni altro uomo: da lui venivano gli ordini, come costruire e dove, in modo che nessuno potesse mai più espugnare la fortezza.

L’unica consolazione era che lui non era più il triste Bran Lo Spezzato, come lo chiamava un tempo il popolino. Adesso la sua gente preferiva chiamarlo Il Costruttore, come il suo famoso antenato; era ben poco rispetto alla sofferenza che aveva dovuto sopportare, ma era meglio di niente. Si sentiva un po’ meno inutile, quando lo chiamavano a quel modo.

Chiamò Hodor, l’unico che riusciva ancora a sollevarlo: per sua fortuna il giovane Stark aveva ereditato la corporatura sottile di sua madre, o spostarlo sarebbe stato un vero tormento. Hodor era grande e grosso, ma invecchiava anche lui.

Chiedendosi per quanto tempo ancora l’uomo sarebbe stato ancora in grado di muoverlo qua e là per Winterfell, il giovane si fece portare al parco degli dei. Quel luogo gli ricordava molte cose, tanti avvenimenti di un passato che sembrava remoto, ma che risaliva solo a pochi anni prima.

Ricordava quando Jojen gli aveva parlato del terzo occhio e si chiese se, col tempo, sarebbe riuscito a padroneggiare le sue visioni. Ricordava quando andava nel parco con suo padre e di come quel volto scolpito gli facesse paura, tanto da farlo scappare con la coda tra le gambe e andare a rifugiarsi sulla più alta torre di Winterfell. E poi le sue visite, sempre più assidue, dopo aver perso l’uso delle gambe, le sue preghiere agli dei, la sofferenza che sentiva in quei momenti.

Ora era passata e non gli pareva ancora vero. Altri problemi erano sopraggiunti, di natura decisamente più pratica: ricostruire la sua casa, far dimenticare al suo popolo gli orrori della guerra, mettere in riga il suo fratellino. Erano rimasti solo loro due, in quel posto. Sansa ormai si era trasferita permanentemente a Capo Tempesta, al fianco di Edric Storm, e Arya… a Bran venne da ridere al pensiero di quella selvaggia di sua sorella a corte, intenta a buttare nel fango tutti gli altezzosi cavalieri che osavano sfidarla nei tornei, mentre gli occhi blu di re Gendry Baratheon la osservavano con orgoglio.

Il destino aveva ironia, su questo non c’erano dubbi. E così era rimasto il giovane Brandon a vegliare sulle macerie del Nord e su quei tre nuovi corpi nella cripta di Winterfell: Eddard Stark, sua moglie Catelyn e il loro primogenito, Robert. Ogni tanto il ragazzo si faceva portare in quell’antro buio da Hodor, desideroso di imprimere nuovamente i loro volti nella memoria, per non dimenticarli. Meera lo accompagnava, silenziosa come un’ombra, rispettando con tatto il suo dolore.

Così come, con gioia, gli porgeva le lettere che suo fratello Jon mandava regolarmente dalla Barriera. Presto o tardi, prometteva spesso, sarebbe andato a trovarlo, ma per ora non era il momento: il Nord non si era ancora ripreso del tutto, così come i guardiani della notte avevano bisogno di un periodo di stabilità e attento controllo prima che potessero riprendere le attività di sempre. Per la visita del nuovo lord comandante avrebbe dovuto aspettare.

Restò immobile, senza fiatare, Estate  al suo fianco, il muso appoggiato sul suo braccio. Non era la prima chiacchierata di quel genere che era costretto a fare, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stata neanche l’ultima: se Arya era una selvaggia, Rickon era un animale. Bran non sapeva chi dei due avesse influenzato l’altro, ma la somiglianza tra suo fratello e Cagnaccio era a dir poco inquietante.

Di lì a qualche giorno Winterfell avrebbe ospitato lady Selyse e la rappresentanza di Capo Tempesta, per ufficializzare il fidanzamento di Rickon Stark e Shireen Baratheon. Bran poteva solo immaginare cosa sarebbe successo se suo fratello non si fosse comportato a modo.

Un fruscio tra le foglie annunciò l’arrivo del più giovane della famiglia Stark: i suoi occhi erano blu scuro, attenti e diffidenti, i capelli scivolavano lungo le spalle in una massa di nodi e grovigli neri. L’ultima volta che qualcuno aveva osato provare ad avvicinare un paio di forbici a quella matassa si era trovato con un gran morso alla mano e non era certo del meta-lupo.

Quasi avesse percepito i suoi pensieri, Cagnaccio arruffò ancor di più la pelliccia, nera come l’inchiostro, e sfoderò una fila di denti dall’aria molto minacciosa: tra il basso ringhio che sgorgava dalla sua gola e gli occhi gialli spalancati, l’animale non aveva proprio un’aria amichevole. Nonostante questo, Estate alzò appena il muso nella sua direzione, fissò il fratello con una lunga occhiata penetrante e tornò ad appoggiarsi al braccio del suo padrone.

< Siediti, Rickon.> Dallo sguardo Bran sapeva che avrebbe preferito voltargli le spalle e tornare a cacciare, ma per una volta, con sua grande sorpresa, quel piccolo ribelle obbedì docilmente alla sua richiesta. Si avvicinò a passi lenti, calcolati, sovrastando il fratello. Un tempo questo gli avrebbe dato fastidio, ma oramai, e il Costruttore ne era felice, si era abituato. Per un attimo si ricordò di Tyrion Lannister, il Folletto: anche lui si era dovuto sentire così, per tutta la sua vita. Chissà dov’era in quel momento…

Il fratellino sbuffò, sbuffò così forte che Brandon sobbalzò un poco, immerso com’era nei suoi pensieri. Gli lanciò un’occhiataccia: avrebbe dovuto redarguirlo, di fronte agli dei non avrebbe dovuto presentarsi così, seduto a gambe incrociate, l’aria seccata di chi fa tutto controvoglia. Cagnaccio continuava a vagare tra gli alberi, in preda ad una foga tutta sua.

< Dei contadini mi hanno riferito che hai devastato il raccolto e le loro bestie. Di nuovo.>

Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza. < E’ stato Cagnaccio.> rispose laconico, strappando dal terreno un filo d’erba e divertendosi a spezzettarlo. Brandon dovette trattenersi dal sospirare vistosamente; se avesse mantenuto l’uso delle gambe, probabilmente avrebbe cercato d’imporsi fisicamente, anche se Rickon era ormai molto più alto di lui. Un tempo l’avrebbe fatto, ma l’essere uno storpio l’aveva abituato ad agire con la testa, in primis.

< Non voglio ripetertelo a vita, Rickon. Devi imparare a comportarti in maniera civila, sia tu che Cagnaccio. Ti aspettano dei doveri importanti in futuro e devi essere in grado di far fronte a qualsiasi situazione.>

Bran si aspettava di tutto:  che si alzasse e se ne andasse senza una parola, che sputasse in terra, che inveisse con le peggiori imprecazioni da osteria. Quello che non si aspettava era che rimanesse immobile, gli occhi fissi nei suoi, un’espressione quasi supplicante sul viso.

< Sono i tuoi doveri, non i miei.> replicò, la gola secca come se avesse attraversato l’intera regione del sud a piedi.

< No, Rickon. Il Nord ha bisogno di una dinastia, una dinastia che io non posso procurare.> Si era rassegnato da tempo all’idea di non avere figli: la caduta gli aveva portato via anche quella possibilità. Meera aveva tentato in tutti i modi di consolarlo e spesso, molto più spesso di quanto il ragazzo non avrebbe desiderato, gli proponeva di adottare un bambino, visto che non potevano averlo loro. Ma Meera non capiva gli uomini che Bran era chiamato a guidare: era gente attaccata alla tradizione, più vicino al sangue che al titolo. Che cosa poteva importar loro di uno Stark che era tale solo per cognome?

< Una volta che ti sarai sistemato con Shireen Baratheon e avrete figli, il comando passerà a te. Io ho solo il compito di ricostruire la nostra casa, ma gli uomini del Nord non accetterebbero mai uno storpio come loro comandante. Quello sarà il tuo ruolo.>

Questa volta Rickon sputò, con rabbia e risentimento, per terra. Non gli piaceva quello che era costretto a sentire, Bran lo sapeva. Ma non poteva farci niente.

< Non voglio fidanzarmi. Non voglio una ragazza che non ho neanche mai visto. E non voglio prendere il tuo posto.> Il suo tono era quasi petulante e per un attimo il maggiore credette di ritrovarsi davanti al suo fratellino di quattro anni, mentre urlava e scalciava perché sua madre tornasse a casa. Ma le sue urla e la sua rabbia erano stati completamente inutili.

< Non sarai da solo, te lo giuro. Ci sarò io al tuo fianco, ti aiuterò con i rapporti diplomatici, terrò la corrispondenza ufficiale. Ma tu devi essere il nuovo emblema del Nord, perché io non sono più in grado.>

Era odioso pronunciare quelle parole: dopo tutti quegli anni il ragazzo continuava a star male all’idea che non sarebbe mai e poi mai diventato un cavaliere. I suoi sogni si erano spezzati con le sue gambe e nessun terzo occhio o visione glieli avrebbe ridati indietro.

Un tocco leggero sul braccio lo costrinse a guardare il fratello: l’amarezza dei suoi pensieri doveva essere stata più che evidente se Rickon, quello che rifuggiva il contatto fisico in ogni maniera, stava cercando di consolarlo.

< Non serve che…> Non riuscì a concludere la frase, non con le braccia del suo fratellino attorno alle sue spalle, la sua vista oscurata da una nuvola di capelli neri. Ci mise qualche secondo per riprendersi dallo shock e, quando ci riuscì, ricambiò l’abbraccio che gli stava mozzando il fiato. Gli piaceva quel calore che Rickon gli trasmetteva, era così diverso dal contatto a cui era abituato, quello di Meera e di Hodor…

Appoggiò la fronte sulla spalla del minore, inspirando l’odore di muschio e di fumo. < Non riuscirò mai ad essere come te.> gli disse una voce strozzata dall’emozione. Bran non poté fare a meno di sorridere. < Non devi. Sii te stesso e andrà benissimo. Sei quello di cui il Nord ha bisogno.>

Rimasero lì fermi per qualche minuto, mentre Estate e Cagnaccio si lanciavano sguardi perplessi. Quando si separarono, Brandon accarezzò la chioma ribelle del fratello. < Ma, giusto per cominciare, direi che un taglio di capelli è d’obbligo.>

Scoppiò a ridere quando Rickon sputò nuovamente a terra, inveendo.

*

Quando la delegazione di Capo Tempesta giunse a Winterfell, trovò entrambi i fratelli ad aspettarla. Rickon era al fianco di Bran, capelli tagliati e abito buono addosso. Il maggiore lo osservò con orgoglio mentre faceva gli onori di casa e si sforzava di trovare le parole per intavolare un minimo di conversazione cortese.

Sarebbe stato un ottimo comandante, di questo ne era certo, e anche un buon marito, vista l’aria entusiasta di Shireen, nonostante la notevole differenza d’età. Sicuramente, comunque, sarebbe stato più adatto di quanto non sarebbe mai stato lui. Non fece tempo a sentire la tristezza saltargli addosso a quel pensiero, perché una mano calò sulla sua spalla, forte e rassicurante. Alzò lo sguardo e vide il suo fratellino, gli occhi blu che risplendevano di una strana luce. Sorrise.

Con la mano di Rickon sulla sua spalla si sentiva un po’ meno storpio e un po’ più normale. Si chiese se i cantori avrebbero tramandato la loro storia parlando dei due fratelli Stark, del Costruttore e del Comandante. Scosse la testa: in fondo non importava. In fin dei conti, era felice anche così.

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