Fandom: Detective Conan
Titolo: Straight Law
Beta:
dylan-mxRating: arancione
Warning: what if?, missing moments, one-shot, het, death character
Note: spero vivamente di non essere caduta nell'OOC perché non me lo perdonerei mai °_° messo what if? come avvertimento perché potrebbero esserci delle piccole incongruenze con la storia vera e propria di DC, nonostante io abbia cercato di evitarle, ed inoltre perché la relazione tra Sherry e Gin non è ancora stata confermata dall'autore [per quanto per me sia decisamente palese xD]. Il titolo è il nome di un cocktail a base di Gin e Sherry xD Buona lettura!
Introduzione: La storia comincia un anno prima che Sherry abbandoni l'organizzazione: la ragazza sta lavorando all'APTX4869 e la sua vita si divide tra il lavoro e la sorella Akemi, fino a che non cattura accidentalmente l'attenzione di Gin che comincia a seguirla e controllarla, impedendole di venire a contatto con altre persone al di fuori dell'organizzazione. Lentamente tra i due si instaura una specie di rapporto di simbiosi per cui tra i due nasce una relazione senza che ci sia un vero sentimento da parte di Sherry, mentre Gin per lei ha un desiderio ossessivo che si aggrava quando la ragazza, dopo la morte della sorella, si oppone all'organizzazione.
Gifter:
skyearth85Link al gift:
Qui ^^Shiho restò in casa sua per qualche giorno, per sicurezza, Gin ne aveva parlato con il Boss, che si era detto favorevole. Le notti trascorse sul divano gli sembravano sempre più lunghe, sempre più fastidiose e sapeva che non era per la posizione scomoda. Quando la ragazza tornò alla propria casa e riprese il lavoro, l’uomo prese l’abitudine di scortarla lungo il tragitto d’andata e di ritorno.
Lei non se ne lamentò, ogni giorno sembrava abituarsi sempre di più ad avere Gin accanto, tanto che giunse al punto di sorridere all’idea che lui l’aspettasse ogni sera, accanto all’ascensore al pian terreno.
Probabilmente perché per la prima volta dopo mesi non si ritrovava completamente isolata, ma in un qualche modo ci teneva al suo rapporto col biondo. Se pensava alla propria situazione incolpava la solitudine, che le faceva sembrare meraviglioso anche solo sapere di avere vicino qualcuno che fosse legato a lei, qualcuno che, pur non provando nulla per lei, le fosse accanto.
Ogni volta che ci rifletteva si dava dell’idiota.
La serata del suo diciottesimo compleanno la passò con Gin, in un locale, a bere. Non ricevette auguri da parte sua, ma a dire il vero non se li aspettava nemmeno, era già un gran regalo per lei poter stare in compagnia di qualcuno per un’intera serata.
Shiho si sentiva regolarmente via mail anche con Akemi, ma evitò tuttavia di raccontarle di lei e del killer, così come non aprì il bocca sul fatto che, qualche giorno dopo il suo compleanno, aveva baciato Gin.
Poteva solo immaginare la reazione di sua sorella e di certo non voleva complicazioni di quel tipo, in fin dei conti di per sé la relazione che aveva con quell’uomo era abbastanza complicata, come dire, instabile: nessuno dei due era esattamente capace di esternare le proprie emozioni e la storia tra loro era decisamente ambigua.
Ma a Sherry non importava: le piaceva stare con lui, condividere quel letto troppo piccolo che li costringeva ad abbracciarsi per non cadere, alzarsi al mattino e trovarlo già sveglio, in cucina, a fumarsi una sigaretta, amava i suoi silenzi, gli sguardi che le lanciava, quel dannato ghigno sulla sua faccia.
Bastava che sua sorella non lo venisse a sapere.
Poi, finalmente, arrivò il giorno in cui concluse il suo esperimento. Shiho si ritrovò a fissare il topolino bianco che, rimpicciolito, squittiva muovendosi tra i cadaveri dei suoi compagni e sollevò un sopracciglio. Quello non se lo aspettava.
Scosse la testa: era l’unico caso in cui l’Apotoxina non aveva dato l’effetto sperato. Certo, era un risultato curioso, che avrebbe voluto studiare a fondo, ma di certo non significava che l’esperimento era fallito.
Un margine di errore, in fin dei conti, c’era sempre.
Senza pensarci due volte prese il cellulare e chiamò Gin, la cui voce risuonò bassa e roca al telefono.
< Dimmi.>
< Ho concluso l’esperimento.> disse semplicemente, la voce che tradiva leggermente il suo entusiasmo.
Ci fu un attimo di silenzio e la ragazza era certa che l’altro stesse sorridendo.
< Arrivo.>
Shiho non gli parlò del rimpicciolimento del topo, neanche quando lui entrò nel laboratorio e le fece alcune domande prima di riferire del suo successo al Boss, gli disse solo che l’APTX4869 non era ancora stato sperimentato sugli esseri umani. Gin sembrò comunque soddisfatto.
Dopo un attimo di pausa Sherry gli diede alcune pillole. Sapeva che potevano essergli utili e non vedeva perché non farlo, in fin dei conti erano state create per usarle.
Conoscendo l’uomo, non avrebbe dovuto aspettare molto per capire se il veleno funzionava oppure no.
Neanche una settimana più tardi, infatti, ricevette la notizia che il frutto del suo lavoro era stato testato su tre persone, di diversa età e sesso e anche in situazioni differenti: di due di loro si era ritrovato il corpo ed era certo che fossero morte, ma mancava la terza all’appello, un ragazzino di diciassette anni, il famoso detective liceale Shinichi Kudo.
Shiho fu di nuovo sopraffatta dal lavoro: il Capo le aveva richiesto di apportare alcune piccole modifiche al veleno e aveva già in serbo per lei un altro incarico non appena avesse finito con quello; inoltre dovette fare dei sopralluoghi nella casa di Kudo per decretarne o meno la morte.
Quando rifletté su quanto poteva essere successo al ragazzo le tornò il mente il topino bianco rimpicciolito e sorrise, era la spiegazione più plausibile. Avrebbe dovuto avvertire Gin o il Boss, ma preferì tenere la bocca chiusa, aveva intenzione di studiare quel fenomeno e per farlo non doveva farsi mettere sotto pressione dai suoi superiori.
La ciliegina sulla torta in mezzo a quel continuo e frenetico ritmo di vita che Shiho doveva fronteggiare fu il ritorno di sua sorella dalla missione che le avevano affidato e il suo inevitabile scontro con Gin.
Ricordava ancora la faccia di Akemi quando l’aveva vista chiacchierare amabilmente con lui: era letteralmente sbiancata e senza dire una parola se n’era andata, i tacchi che pestavano sul pavimento con rabbia.
Quella sera Sherry non era tornata a casa.
Il giorno dopo, tuttavia, sua sorella venne a trovarla in laboratorio.
La più giovane sussultò quando l’altra bussò piano alla porta, ma quando si voltò e la lasciò entrare i suoi occhi erano freddi ed impassibili. Akemi tuttavia sorrise.
< Voglio solo parlare, Shiho.> le disse conciliante, rispondendo all’occhiata diffidente che la piccola le lanciò.
< Sei preoccupata, lo so.> commentò l’altra incrociando le braccia.
< Come potresti darmi torto?>
Non rispose: non voleva dilungarsi in frasi stupide del tipo “non lo conosci”, “è una persona migliore di quanto tu creda” e via dicendo, anche perché erano tutte fondamentalmente false. Non stavano parlando di un santo, ma di uno dei membri più importanti di un’organizzazione criminale, farlo passare per un angioletto era quanto di più assurdo si potesse pensare.
Cosa doveva dirle? Che almeno lui c’era sempre stato? Che era l’unico sempre presente al suo fianco? Che non le importava che fosse un pazzo assassino?
< Non lo so. So solo che ora come ora sto bene.>
Era la risposta più sincera che poteva darle, ma sapeva che non era abbastanza.
Per quanto Akemi fosse esplicitamente contro la loro relazione lasciò momentaneamente perdere e non tornarono più sull’argomento.
Tremava leggermente, ma si fece coraggio: ne sarebbe uscita, ne sarebbero uscite entrambe. Doveva allontanare Shiho da quell’uomo, dovevano scappare e in fretta anche. Sarebbero andate da Dai - o Shuichi, per essere esatti - e grazie a lui sarebbero entrate nel programma di protezione testimoni, per farsi proteggere a dovere. Pregò che tutto andasse bene.
Akemi aspettò in piedi, da sola, le mani scosse da continui tremiti e nel cuore quell’unica speranza.
“Lo faccio soprattutto per te, Shiho. - pensò sorridendo triste - Ti meriti una vita migliore di questa, una vita normale.”
Poteva sentire lo sparo echeggiargli ancora nelle orecchie. Gettò un’occhiata impassibile a quel corpo steso a terra, Vodka che ne constatava il decesso: era stata così ingenua, così stupida. Così patetica.
Si accese una sigaretta mentre si dirigeva verso la macchina, seguito dal compagno.
Quella stronzetta voleva portargli via Sherry.
Il solo pensiero gli deformò il viso in una smorfia di disgusto, solo una persona molto ingenua avrebbe potuto davvero credere di riuscirci.
La ragazza era e doveva rimanere sua. Lo pensava ogni volta che la guardava, ogni volta che si permetteva di sfiorarle il viso, ogni volta che ascoltava attentamente il suo respiro farsi più veloce, affannato,frenetico. E sapeva di non poter fare a meno di quella pelle candida che veniva coperta con un lenzuolo mentre le guance arrossivano un poco o del suo sguardo freddo che veniva improvvisamente abbandonato, lasciando intravedere la sua paura, il suo attaccamento alla vita… tutto quello non poteva che essere suo. Ed era bene che se ne rendesse conto anche lei.
Qualche giorno prima Shiho era venuta a conoscenza della fuga di Rye, del fatto che si era rivelato essere un membro dell’FBI. Non ne aveva parlato con Akemi, ma quelle poche volte che si erano viste sua sorella le era parsa diversa, più pensierosa, meno solare del solito, il che era decisamente comprensibile.
Aveva attribuito il tutto al tradimento di Dai e non ci aveva più pensato.
Quando invece venne a sapere che ciò che la impensieriva era il suo progetto di fuga era troppo tardi.
Quando scoprì che Akemi era morta non c’era più nulla da fare.
E quando si trovò davanti a Gin non arretrò di un passo.
< Perché?>
Lui rimase per un attimo in silenzio.
< Ordini dall’alto.> rispose piatto, accendendosi una sigaretta.
< Non m’importa. Voglio sapere perché.>
Non ci fu modo di distoglierla da quel punto. Gin non provò a toccarla, se l’avesse fatto probabilmente l’avrebbe uccisa: odiava che quella ragazzina continuasse a pensare a sua sorella, odiava il fatto che non pensasse a lui.
Le cose precipitarono: Shiho si rifiutò di proseguire gli esperimenti e il biondo dovette informarne il Boss.
La destinarono alla camera a gas.
Voleva essere lui a farlo, Sherry lo capì guardandolo negli occhi mentre troneggiava su di lei, che era in ginocchio, ammanettata per non farla scappare.
Vodka era già uscito percependo l’aria che tirava e loro due restarono soli, a squadrarsi.
Voleva essere lui ad ucciderla, ne era certa, e lei, d’altronde, non aveva via di fuga.
Gin ghignò nel vedere quegli occhi riempirsi di paura, lo esaltavano, gli facevano scorrere a mille l’adrenalina. Pensò a quando lei avrebbe abbassato lo sguardo, disperata e sconfitta, e il suo sorriso crudele si allargò.
< A domani, Sherry.> mormorò uscendo, gli occhi che brillavano di una luce sinistra.
Di una cosa era certa, non gli avrebbe lasciato quella soddisfazione.
Shiho si sentiva stanca, le ginocchia le dolevano, la mano ammanettata credeva le si dovesse staccare da un momento all’altro, ma nonostante tutto sorrise: sarebbe rimasto come un idiota a fissare il suo corpo esanime e non avrebbe potuto farci niente.
A quel pensiero le veniva da ridere, specie se si immaginava il volto incredulo ed arrabbiato di Gin, quasi le dispiaceva di non poter assistere a quella scena, perché ne sarebbe valsa la pena, ne era sicura.
Estrasse dalla tasca la pillola di APTX4869 che era riuscita a nascondere senza che qualcuno se ne accorgesse e la fissò: sarebbe stato doloroso, lo sapeva, ricordava il modo in cui le cavie si contorcevano spasmodicamente, squittendo come non mai.
Sapeva che avrebbe dovuto soffrire, ma era meglio della camera a gas, era meglio che farsi uccidere da lui. Si fece coraggio. Ripensò a Seiji, per un istante, ai suoi genitori, ad Akemi. Non credeva che li avrebbe rivisti “dall’altra parte”, considerando che per lei non c’era nessuna “altra parte”, ma l’idea di condividere questo momento con loro non le sembrava un’idea così malvagia: poi chissà, forse qualche inferno o qualche paradiso esisteva sul serio.
Si portò la pillola alla bocca e inghiottì, sicura.
Aveva vinto comunque, nella sua testa lei aveva vinto.
Le bastava questo.