Titolo: Scottie
Fandom: Originale>Romantico
Pairing: Het
Genere: Introspettivo, Drammatico, Generale
Rating: Arancione
Warning: non-con, tematiche delicate
Chapper: 1/1
Note: Scrivere questa storia, di Scottie, mi piace pensare non sia stato solo un mero esercizio stilistico - non solo - è venuta in un modo talmente sciolto e libero che mi ha stupito. Non credo sia una storia d'amore, cioè, lo è, il mondo di amarsi di Scottie e Susie non esattamente normale, ma è stato bello scriverne perché mi sentivo abbandonata e presa con la voce narrante di Susie (a parte il fatto che era da secoli che non scrivevo in prima persona e, non so, è stato bello. Uso troppe volte bello. Boh).
Alcune note:
(1) La parentesi religiosa non vuole essere un'offesa verso i credenti, la sottoscritta è credente - per dire - quindi spero non venga interpretata in questo senso.
(2) Labyrinth è un film di Jim Herson del 1986
(3) Potrebbero essere presenti alcune imprecisioni riguardo al sistema scolastico, penso sia corretto precisarlo. La scuola secondaria in America dura sette anni, invece che otto.
Scottie Crawford nacque in Texas, correva l'anno 1992 quando la signora Crawford fu portata all'ospedale più vicino in Dallas. Dall'anagrafe il nome risultava però solo Scott, Scott Crawford, come suo nonno, ma quando gli articoli uscirono sul giornale fu Scottie, con quella “i” e quella “e” in più, come tutti erano soliti a chiamare Scottie Crawford da quando era stato messo al mondo.
Non era quello che la gente avrebbe considerato un bravo ragazzo, io non lo consideravo un bravo ragazzo, l'avevo sempre visto come un tipo strano, uno di quelli da cui i genitori e amiche ti dicono di stare alla larga perché porta guai. A questo punto qualcuno potrebbe domandarmi come mai accettai di andare al ballo con lui nel 2010, fu perché me lo chiedette, che può sembrare ovvio, ma per chi conosceva me e Scottie non lo era.
Al liceo ero una ragazza discretamente popolare, avevo ricevuto svariati inviti, tutti da ragazzi come me - dello stesso ceto sociale, ecco, è il termine più giusto. Belli d'aspetto, amanti del football, americani per eccellenza. Se le cose fossero andate diversamente sarei finita per accettare uno dei loro inviti al ballo di fine anno, l'ultimo per me, poi avrei sposato il fortunato, come aveva fatto mia madre. Era una cosa che allora trovavo molto romantica.
Quando però Scottie Crawford mi chiese di andare al ballo con lui non pensai nemmeno per un secondo che l'avrei sposato, ciò che pensai era più sull'oddio, Scottie Crawford, oddio. Non so bene perché accettai, io e Scottie non eravamo mai stati amici, siamo andati alle elementari insieme, stessa classe, quello sì, ma nient'altro.
È sempre stato un tipo strano, strano oscuro, oserei dire strano affascinante, anche se ero una delle poche a rendermi conto di quel fascino perverso che circondata Scottie Crawford, il resto dei bambini si limitava ad evitarlo come la peste, io stessa in cinque anni di scuola ci avrò scambiato una trentina di parole massimo.
Mi ero presa una sbandata per lui? No, non penso. Non era quel genere di ragazzo per cui si prende sbandate, in un certo senso credo m'incutesse terrore, pur trovandolo allo stesso tempo attraente. Il pericolo mi ha sempre affascinata, non so, e Scottie aveva quell'aria così... così misteriosa, capite ciò che intendo?
Dopo le elementari non lo vidi più e finii per dimenticarmi di lui fino al liceo, quando lo vidi per i corridoi, era il primo giorno del mio secondo anno. Stava appoggiato al termosifoni, i capelli spettinati, e indossava delle converse rovinate, erano passati quattro anni dall'ultima volta che l'avevo visto e pensai fosse stranamente sexy. Era stato bocciato in seconda, perdendo un anno, cosa che non poteva che sommarsi alla sua aria da cattivo ragazzo, in realtà rimasi stupita quando lo venni a sapere, perché Scottie Crawford era sempre stato intelligente, un attaccabrighe, sì, ma intelligente, di quell'intelligenza sfacciata e provocatrice che usava per far scazzar- mi scusi, arrabbiare i professori.
Non sono sicura che mi riconobbe, però mi guardò, accarezzandomi con lo sguardo e lui, Dio, aveva quel tipo di sguardo, come se ti stesse immaginando nuda ed era così che io mi sentivo. Non lo salutai, non gli feci nemmeno un cenno, mi limitai a voltarmi dalla parte opposta come la pudica ragazzina che fingevo di essere, in quel periodo mi sentivo con Victor, Victor Bailey, molte delle mie coetanee avevano già perso la verginità, io non ero andata oltre qualche bacio e palpata al sedere. Le notte pensavo a come sarebbe stato farlo, quella parola che inizia con la esse, non erano propriamente fantasie da fiaba, affatto, immaginavo il corpo di Victor contro il mio, intrappolandomi mentre mi slacciava il reggiseno, solo che poi mi ricordavo delle dita sudaticce che aveva, dell'alito che sapeva di hamburger e il calore fra le gambe, quel calore sconosciuto, si spegneva con la stessa velocità con cui s'era acceso.
Scottie Crawford in realtà non era bello, credo sia il caso di precisarlo. Non era Brad Pitt, no, ma aveva quel qualcosa che non so bene come spiegare. Tratti regolari, labbra sottili, i lineamenti erano leggermente dolci, come quelli di una ragazza, anche se - per quanto ne so io - nessuno lo prese mai in giro per questo, come ho detto erano tutti molto intimiditi da lui, penso fosse anche un po' per i suoi occhi, neri come la pece o le ali di un corvo.
Sto perdendo il filo, sì. Il giorno che Scottie m'invitò al ballo di fine anno era un venerdì, mancavano due settimane al ballo e quindi di ragazze disponibili oltre a me ce n'erano ancora, non so bene perché lo fece. In quei quattro anni non c'eravamo mai parlati né ero la ragazza più bella della scuola, prima di me ce n'erano almeno una ventina, anche se mi piaceva considerarmi carina - e lo ero: carina, dico - successe davanti al laboratorio di scienze, era la fine della terza ora, lui era lì, appoggiato alla parete con le spalle, le mani che mi ricordavano quelle di una pianista nelle tasche dei jeans rovinati.
“Susie Parsons.” disse e il mondo di gelò (o almeno quella fu la mia sensazione) “Vuoi venire al ballo con me?” Mi guardava come se conoscesse già la risposta o almeno quella era la mia sensazione.
Aveva la voce vagamente profonda, adulta, e il sorriso sfacciato e provocatore che usava per infastidire i professori.
Ricordo che Abbie, la mia migliore amica del liceo, rise con disprezzo, mentre mi strattonava per trascinarmi via, i Crawford erano tipo degli straccioni per noi benestanti. Io però rimasi ferma dov'ero, boccheggiando, la mia espressione doveva essere incredibilmente comica (oddio, Scottie Crawford, oddio). Scottie non levò lo sguardo da me per un secondo, neanche quando Abbie rise, stava semplicemente lì, aspettando la mia risposta, e l'unica cosa che io riuscivo a pensare era che Scottie Crawford mi aveva invitato al ballo.
Scottie Crawford, nel caso non si fosse capito. Scottie. Crawford.
I miei genitori non avrebbero mai approvato, Abbie non avrebbe mai approvato, nessuno della compagnia che frequentavo avrebbe mai approvato. Oh.
Che incredibile soddisfazione sarebbe stata.
Penso che qua ci voglia una piccola premessa per spiegare le ragioni della mia scelta. Non mi ero presa alcuna sbandata per Scottie, no, lo trovavo affascinante, attraente, ma come ho già detto non era quel genere di ragazzo per cui si prendono sbandate.
Victor mi aveva scaricata un mese prima del ballo, ero incazzata nera con lui, anche perché non è che m'avesse scaricato per, che ne so, Callie Houston, che era tipo la ragazza più bella (e troia, se posso dirlo) della scuola. Mi aveva scaricato per una mocciosetta tutta occhioni e libri, che vestiva con le gonne fino al ginocchio, cosa ci avesse visto Victor in lei io non ne avevo idea.
Quindi quando Scottie mi chiese di uscire pensai che sarebbe stato un buon modo per mandare a farsi fottere Victor, l'idea era terribilmente attraente. Potrò sembrare superficiale e non ho problemi ad ammetterlo, lo ero, davvero, di quel superficiale che dà la nausea, però ero una ragazzina di diciassette anni vissuta nel lusso e viziata dai genitori, la cosa più dolorosa a cui mi ero stata trovata a far fronte personalmente era stata a undici anni con la morte del mio pony preferito al maneggio che frequentavo il mercoledì pomeriggio.
“Okay.” dissi quindi debolmente, ancora un po' sotto shock - oddio, Scottie Crawford, Scottie Crawford, cazzo. Fu anche quello che disse Abbie quando riuscì a trascinarmi via da lì, sotto lo sguardo ironico e tagliente di Scottie.
“Scottie Crawford” boccheggiò, fissandomi con una sfumatura d'accusa, come se l'avessi appena pugnalata alle spalle. “Cazzo.”
Era il bagno delle ragazze del secondo piano. Sulla porta del secondo cesso contando da destra c'era scarabocchiato col pennarello indelebile un Callie H. è una puttana, l'aveva scritto Abbie al terzo anno, io ero con lei, non mi ricordavo bene cosa Callie le avesse fatto esattamente, da quel che sapevo non si erano nemmeno mai parlare, mi sembra però c'entrasse il fatto che Callie uscisse col suo ex fidanzato o una roba del genere. Callie poi aveva litigato con Beth perché era convinta che la scritta fosse sua, era stata una scena molto divertente, si erano prese per i capelli fuori dalla scuola, era dovuto intervenire un professore per fermarle dall'uccidersi a vicenda. Una cosa epica.
“Dio.” dissi io, solo. L'avevo fatto davvero. Avevo accettato di andare al ballo con Scottie Crawford e il cuore mi stava battendo a mille. Dovevo essere impazzita disse Abbie e lo pensavo anch'io. Fumata di cervello, sicuro.
Passai il fine settimana a interrogarmi sul perché l'avessi fatto e sopratutto a come dirlo ai miei genitori, mi chiamò Victor, ad informarlo doveva essere stata Abbie, mi implorò di pensarci bene, mi disse che mi voleva bene, che se lo facevo per dimostrare qualcosa a lui dovevo essere proprio sciocca, che tutti erano preoccupati per me e bla bla bla, era come se stessi uscendo con un serial killer ed in effetti così sarebbe stato, il che è ironico, a ben pensarci.
Il primo ricordo che ho di Scottie Crowford risale alle scuole elementari. Lanciò una pietra contro la finestra, non so perché lo fece, ma essa si ruppe in mille pezzi e i vetri caddero sul pavimento. Eravamo tutti troppo lontani per essere colpiti, a parte Scottie, che si graffiò la guancia. Fu sospeso per un giorno e in città incominciò a girare la voce che il ragazzo Crowford non fosse del tutto sano di mente.
Non avevano idea di quanto avessero ragione.
*
Sono cresciuta in campagna, in una cittadina relativamente di provincia dove non accadeva mai nulla d'interessante, credo che quello fu uno dei fattori che contribuirono al fascino che Scottie Crawford suscitava in me.
I Crawford, all'inizio, prima di venir sfrattati, abitavano la casa accanto, io e Scottie fummo vicini di casa per sei anni, poi la sua famiglia si trasferì in un condominio in periferia. Nel periodo in cui abitò lì ce la misi davvero tutta per non incrociarlo la mattina, aspettavo alla finestra che uscisse prima lui, facevo passare un quarto d'ora e poi mi facevo accompagnare dai miei in macchina con la scusa di aver perso il pullman.
Scottie Crawford dopo l'episodio della pietra mi faceva una paura terribile, ma fu anche per quell'episodio che incominciai a studiarlo con la cura di una scienziata. Non so se ne accorse mai, in realtà, forse sì.
Aveva una sorella minore, Annie Crawford, morì annegando nel laghetto a pochi chilometri, quello dove giocavo da bambina, io e Scottie avevamo dodici anni, anche se io lo seppi solo poi, quando ripresi le ricerche sul suo conto, non ci fu alcun funerale, niente di niente. Il padre di Scottie se ne andò prima della sua nascita, fuggì con la segretaria e nessuno seppe più nulla di lui. Mi ci volle un pomeriggio su Internet per accorgermi che la famiglia Crawford era un susseguirsi di morti e sparizioni.
Dopo le elementari e con il conseguente trasferimento dei Crawford persi di vista Scottie e nella casa accanto si trasferì una famiglia di neo sposi, a cui di tanto in tanto andavo a fare da babysitter alla figlia piccola, Melanie.
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Le mie prime mestruazioni le ebbi a dodici anni, c'è qualcosa di perverso e orribile nella preadolescenza, come essere a metà, una bambina e una donna allo stesso tempo. Mi alzavo la maglietta e mi guardavo - studiavo - allo specchio, il seno incominciava a prender forma, le gambe tozze si sarebbero allungate, il ventre appiattito e avrei incominciato a truccarmi come le modelle che vedevo nelle riviste. La mia parte bambina e la mia parte donna erano in lotta fra loro, una parte di me era terrorizzata da quei cambiamenti, sognava l'Isola-Che-Non-C'è, i giorchi nel fango, quella donna invece gli agognava, desiderava il tempo di poter indossare gonne corte, del reggiseno - non il top sformato che ero costretta a mettere per coprire i capezzoli - e il rossetto sulle labbra.
In quegli anni, a dire il vero, non pensai affatto a Scottie Crawford, a parte una volta, e ora che ci penso fu l'unica volta che lo vidi dopo la scuola elementare e prima delle superiori, un ricordo dimenticato. Probabilmente a forza di parlare di Scottie me ne verrebbero altri, di quando alle elementari una volta mi raccolse la matita caduta per terra, una smorfia scocciata sul volto, oppure di quando fece a botte in cortile con Jillian Wilson.
Ero con Melanie, in giardino, le stavo costruendo una coroncina con i fiori, intrecciando i rami, quando passò Scottie in motorino, non penso nemmeno che fosse suo, quel motorino, non aveva la patente. Si fermò a guardarci, non so da quanto fosse lì quando mi accorsi di lui. Non ricordo quasi nulla di quell'incontro, a parte che aveva una giacca di pelle - che cosa fuori moda, pensai - e fumava una sigaretta, gli occhi fissi non su me, ma sulla bambina.
La scena non so perché ora mi fa pensare al Labyrinth, il film di Jim Henson, quando il re degli gnomi rapisce il fratellino della piccola, Scottie aveva quello sguardo.
Poi però alzò gli occhi su di me, c'era un che di gelido disprezzo che mi fece indietreggiare, poi lui ripartì con la sua motocicletta, senza dire una parola. Solo dopo pensai nel mio letto che avrei dovuto chiedergli di portarmi con lui, ovunque stesse andando.
Ho visto più volte le persone guardarmi come se si chiedessero cosa ci avesse visto Scottie in me. Una potenziale vittima? Una compagna? Chissà. Me lo sono chiesta anch'io, più volte, se avesse mai fantasticato di strangolarmi o di pugnalarmi a morte. Però una cosa posso dirlo con certezza: Scottie Crawford non era innamorato di me come io non lo ero di lui, il desiderio che provava per me era prettamente fisico, intensificato dall'adolescenza e dagli ormoni, non ci frequentammo mai come fidanzati o forse semplicemente non ne avemmo il tempo.
La mia prima volta fu con Victor, in terza, e fu, penso, nella norma, anche troppo.
I suoi genitori erano via, a cena, quindi aveva la casa libera, quando m'invitò era chiaro a entrambi come sarebbe finita. Mi vestii particolarmente carina, coordinando gli orecchini alla camicetta e indossando il mio reggiseno più sexy, desideravo che tutto fosse perfetto e in realtà lo fu - più o meno.
Successe sul divano, fece tutto come si doveva fare, senza forzarmi, con calma, mi baciò sulle labbra, slacciandomi la camicetta, poi jeans, poi le mutandine, poi fu il suo turno. Mi sembrava quasi che stessimo seguendo un copione preimpostato, tipo il Manuale della (Prima) Scopata Perfetta. Non raggiunsi l'orgasmo e fece un male del diavolo, non glielo dissi però, dicendomi che la prossima volta sarebbe andata meglio e che il sesso in una relazione non era così importante, poi sotto ogni punto di vista Victor era il ragazzo per me e quella era la prima volta per entrambi. Il sesso infatti migliorò col tempo.
Amai Victor? Non so, ma fu importante per me, anche se non riuscì mai a capirmi del tutto. Il problema credo consistesse nel fatto che non era quello che volevo per il futuro, amare Victor avrebbe significato sicurezza, sesso convenzionale, il matrimonio e una casa in campagna dove non succedeva mai un cazzo.
Credo che quello fu l'unico e vero motivo per cui accettai il corteggiamento - se così si può definire - di Scottie Crawford.
*
Quando lo feci con Scottie quindi non ero vergine, accadde dopo il ballo, credo sia il ricordo più vivido che ho di lui. Aveva bevuto un poco, quando mi afferrò per il polso. “Andiamo via.” disse, trascinandomi fuori dalla palestra fino alla sua auto.
Non aveva bevuto così tanto da non riuscire a guidare, quello no, ero un po' spaventata perché non sapevo dove mi stava portando, a casa sua?, poi mi accorsi del cimitero.
“Perché siamo qui, Scottie?” mi lasciai sfuggire, lui non mi rispose, chiuse con un tonfo la portiera dell'auto ed io lo seguii. Era passata la mezzanotte e là intorno l'unica luce che c'era era quella dei lampioni. Il cimitero a quell'ora era chiuso, Scottie scavalcò la staccionata, poi aspetto che lo imitassi, nel farlo mi strappai un lembo del vestito.
“Ho paura del buio.” mormorai poi mentre pensavo che aveva ragione Abbie, non avrei mai dovuto accettare la provocazione di Scottie.
Quello che seguirà potrà far pensare qualche lettore a me come una ragazzaccia incosciente e lo ero, incosciente, dico, desiderosa di brivido, anche, ma penso che quel ragazzaccia vada contestualizzato.
Oltre a Victor ero uscita con altri ragazzi, anche se l'avevo fatto solo con lui, e Scottie - spero sia chiaro - usciva completamente da ogni mio schema.
Quando lo dissi (ho paura del buio, Scottie, andiamo via, per favore) lui rideva. “Piccola sciocca Susie Parsons.” sussurrò divertito, procedendo in avanti, di tanto in tanto il suo sguardo si soffermava sulle tombe, illuminandole con la luce del cellulare.
“Scottie, ti prego.” ripetei, insistente, sentivo le lacrime incominciare a pungermi gli occhi. Ero sul punto di puntare i piedi e andarmene da sola, fanculo a Scottie, quando si fermò davanti ad una delle lapidi vicino alla chiesetta.
Annie Crawford.
Si chinò su di essa, c'erano dei fiori freschi. Sua sorella.
Non mi guardava. Ci fu qualche minuto di silenzio.
“Aveva sei anni.” disse ad un certo punto, seduto sul prato, era quasi inquietante, una parte di me desiderava fuggire, ma l'altra era incredibilmente attratta da quello strano ragazzo che era Scottie, quindi mi sedetti al suo fianco.
Di Annie Crowford sapevo poco.
Era una minorata mentale, che detto così può sembrare brutto, ma era ciò che era. Una ritardata. Quando si è adolescenti si può essere brutali ed estremisti, io lo ero.
Si era trattato di un incidente, la signora Crowford si era distratta per qualche minuto e la piccola era annegata, aveva provato a tuffarsi in acqua per salvarla, ma era troppo tardi. Dopo la morte della figlia era caduta in depressione. 'Tossicodipendente' dicevano in città. Un'altra voce era che l'avesse annegata lei, la piccola Annie.
“Mi dispiace.” dissi, scontata, e un sogghigno si disegnò sulle labbra. Piccola sciocca Susie Parsons, doveva star pensando, invece si sporse verso di me, per un attimo pensai che mi stesse per baciare, ma accostò le labbra al mio orecchio, come a volermi rivelare un segreto.
“Anche a me.”
In quel momento pensai che non gliene fottesse proprio nulla della sorella, che l'avesse considerata solo un peso, solo successivamente avrei compreso quanto in realtà Scottie l'avesse amata.
In quel momento però mi stava tirando su la gonna del vestito, dallo spacco, mentre si stendeva sopra di me. Ancora oggi m'interrogo se fossi consensuale o meno e, se sì, quanto lo fossi. Non opposi resistenza però, non sono nemmeno sicura di averlo detto davvero quel “no, Scottie, non voglio” o se fosse solo nella mia mente. In un cimitero, davanti alla chiesa e la tomba di tua sorella, io- non voglio.
Ho frequentato l'oratorio per un anno, a dire il vero non sono mai stata una fervente Cattolica, anche se da piccola ero costretta dai miei genitori ad andare in Chiesa tutte le domeniche mattina la trovavo una rottura colossale. C'era un che di proibito e di perverso nel farlo lì con Scottie e nonostante l'orrore che quella consapevolezza mi provocava sentivo il calore che si propagava in me. Era diverso da Victor, dal suo modo rispettoso di toccarmi, non so dire che se diverso in modo positivo o in modo negativo.
Di quella notte ricordo l'erba che mi pungeva la schiena, la sensazione d'intorpidimento che sentivo dappertutto mentre Scottie mi baciava e poi mi mordeva, il sangue sulle mie labbra.
Quando ero piccola prima di andare a dormire recitavo l'Ave Maria insieme a mia madre.
Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno.
Oltre ora non la ricordavo più.
Mentre mi lasciavano toccare da Scottie, prima i seni, poi fra le gambe, il vestito sporco del verde, mi sentivo sempre più sudicia ed eccitata e fu in quel momento che realizzai la verità del peccato, la bellezza di esso. Desideravo Scottie, desideravo l'errore, ma non potevo pentirmi, non potevo, perché non basta pentirsi di qualcosa, bisogna accettarla ed amarla. Io amai il fatto di desiderare Scottie in quel modo e mi perdonai.
Se si cerca su Google 'Susie Parsons' termini come cagna o puttana non sono così insoliti da trovare, sopratutto quando confessai quel che era successo alla polizia, spesso si tratta di donne, la maggior parte di loro si dichiara offesa dal mio comportamento meschino e anticristiano.
Io le perdono per la loro ignoranza, come ho perdonato me stessa e come perdono Scottie Crawford per ciò che mi ha fatto.
*
A dire il vero all'inizio non ero sicura che sarebbe venuto, avevo indossato il mio abito migliore, fatto su misura per l'occasione da un'anima di mia madre, guardandomi allo specchio decisi che ero bellissima, ma se si fosse trattato di uno scherzo?
Poi il campanello suonò.
Sentii mio padre chiamarmi dal piano di sotto (“Susiee” allungando la 'e'), quando incontrai il suo sguardo mi accorsi che era furioso, anche se cercava di dissimularlo davanti a Scottie.
Non me l'avevi detto, sbottavano i suoi occhi, non me lo sarei mai aspettato da te, signorina!
Credo che fosse quello il punto. Nessuno si è mai aspettato nulla da me, nella mia vita. Ero carina, ma non troppo, intuitiva, sì, ma non intelligente né studiosa né di talento in qualcosa. Avevo studiato pianoforte per un anno e mezzo prima di annoiarmi e mollare tutto.
Rispettavo i miei genitori, evitavo lo scontro con i miei compagni di classe e i professori, ero solo Susie. Cosa ci aveva visto Scottie Crawford in me? Cosa ci avevo visto io in lui?
Non sto dicendo che io e Scottie fossimo anime gemelle o forse sì, lui la odierebbe, come espressione, ma c'era qualcosa che ci univa, un filo invisibile che si era creato - quando? Non lo sapevo.
Dopo il liceo avevo intenzione di andare ad un'università, una nella media, come me, non troppo complicata, studiare però non m'interessava e, comunque, le cose che m'interessavano duravano troppo poco per diventare una passione.
Scottie quella notte indossava uno smoking nero, le maniche gli andavano leggermente lunghe, probabilmente l'aveva rubato al suo vecchio. Pensai che fosse una cosa abbastanza patetica, quando la notai, però Scottie non sembrava imbarazzato per quello e, non so, quel suo totale disinteresse mi affascinava.
Mentre scendevo dalle scale mi guardò. “Sei bellissima.” disse, portandosi la sigaretta alle labbra, con noncuranza.
In macchina glielo dissi, che mio padre da medico odiava i fumatori, e lui rise e per qualche ragione mi ritrovai a ridere anch'io, mentre metteva in moto.
“Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto quando mi ha visto.” disse. Lo sapeva che non l'avevo detto, sapeva che ero stata codarda, sapeva e non gli importava.
Chiesi a Scottie Crawford perché avesse scelto me?
Per questo bisogna tornare a qualche giorno prima della nottata del ballo, prima di quel giorno parlai con Scottie solo due volte, ad essere sincera.
Mi aspettava all'uscita della scuola, aveva preso la patente da un anno, personalmente trovavo la cosa molto cool. Non so come sapessi che stesse aspettando proprio me, lo sentivo. Mentre mi dirigevo verso di lui non guardai Abbie, avevo paura di lei, di rendermi conto dell'errore che stavo facendo.
Scottie guidava veloce, troppo veloce, amava il pericolo ed io amavo il fatto che non ne avesse paura, come un ragazzina affascinata da qualcosa, ma incapace di prenderla.
Ero soggiogata da lui? Forse. Un po'.
Mi portò a casa sua, nell'appartamento che condivideva con sua madre che quel giorno non c'era perché, mi disse, fumando, era da una settimana che mancava. “Magari è la volta buona che s'è ammazzata.” disse, quella frase mi si è stampata nella testa, credo fosse per la serietà con cui pronunciò quelle parole, lo desiderava davvero.
Era un appassionato di gialli e noir, buttati davanti alla tv c'erano alcuni DVD, riconobbi Psycho, a pensarci bene ora è piuttosto ironico che mi ricordi proprio di quello.
Non mi toccò nemmeno con un dito, quel giorno, non cercò di baciarmi, quando me ne andai ero un po' delusa, ma sto correndo troppo, è un mio vizio, quando incomincio a parlare mi perdo, la mia professoressa d'italiano delle medie diceva che le mie interrogazioni erano un rotolo di spago impossibile da dipanare e alla fine non si capiva più qual'era l'inizio e quale la fine. Evidentemente lei non era Teseo.
Ricordo che me ne stavo lì, impala in mezzo alla stanza, la gonna corta e femminile quando gli chiesi perché io.
Lui mi guardò, annoiato. “Vuoi sentire che sei speciale, Susie Parsons?”
Arrossii.
“No, e comunque non hai risposto.” sputai, mi sentivo offesa e oltraggiata dal suo scarso interesse nei miei confronti, avendo le guance rosse come quelle di un pomodoro, mi succedeva sempre quando mi sentivo a disagio.
Si avvicinò, prendendomi il mento fra le dita. “Non lo sei. Speciale. Ma non lo è nessuno in questo mondo, siamo tutti dannatamente sacrificabili, Susie.” sussurrò. Gli tirai un pugno e me ne andai infuriata, solo poi capii che in realtà mi aveva lasciato andare e che forse quel giorno era stata fissata la mia data d'esecuzione, perché Scottie non mi aveva ammazzata? La domanda non è quindi cosa avesse visto in me per vederci una potenziale vittima, ma cosa lo fermò e questo è solo una delle cose che non capirò mai di Scottie Crawford.
Della notte del ballo ricordo poco. Callie Huston come prevedibile venne eletta reginetta insieme a Jillian Wilson, lo venni a sapere il giorno dopo da Abbie, dopo che i miei genitori mi avevano messo in punizione per una settimana per come mi ero conciata - non ho idea di come dovessi sembrare, con i capelli scompigliati, il trucco sciolto e il vestito azzurro cielo strappato e sporco d'erba.
La polizia suonò a mezzogiorno, mi fecero delle domande su Scottie.
“Cos'è successo?”
Ero pallida, sentivo la nausea salirmi. Lo scoprii in quel modo. Dopo avermi accompagnata a casa era tornato al condominio, aveva una pistola, era stato ritrovato il cadavere della madre pugnalato e il suo a due metri di distanza. Il tizio che abitava al piano di sopra aveva sentito un solo sparo.
Scottie impugnava la pistola. La polizia disse che doveva averla prima pugnalata, la madre, dico, e poi sparato a se stesso - ma questa è una storia che probabilmente conoscono tutti.
Erano stati ritrovati anche un album da disegno, c'ero io, in quelle pagine insieme ad una bambina che riconobbi come Melanie, indossava una coroncina di fiori. Non si scoprì mai cosa esattamente accadde quella notte, ci furono solo sussurri.
Io scoprii di essere incinta il mese dopo, quando non mi arrivarono le mestruazioni e il test era positivo, decisi di continuare la gravidanza.
Fu un aborto naturale.
C'è qualcosa di spaventosamente bello nella sofferenza e nel dolore, come ce n'era in Scottie, quel qualcosa che lo rendeva diverso da tutti gli altri. Non ci furono funerali per lui. Fu seppellito vicino ad Annie e sua madre, pensai a quanto quella donna avesse fatto loro del male, a quando li avesse infettati, entrambi. C'era stato un periodo nel mio passato in cui ammetto di aver pensato che avrei potuto salvare Scottie Crawford, era un'idea estremamente ingenua e romantica, ma penso che, nonostante tutto, Scottie non abbia mai desiderato di essere salvato. Ha preso coscienza del suo odio e del suo desiderio di morte e di vendetta, spero che attuandola abbia trovato la pace che desiderava, il senso della vita.
Alle volte ho la sensazione che mi osservi, come un freddo all'epidermide, e allora mi sveglio urlando e mio padre viene a dormire con me, altre volte mia madre, che cosa sono io dopo Scottie?
Probabilmente andrò all'università, m'innamorerò di una persona per bene e mi trasferirò in una casa in campagna dove non succederà mai nulla, forse mi laureerò in medicina, mi piacerebbe aiutare gli altri, tutto qua. Scottie direbbe che sono rimasta la solita ragazzina insegua e sognatrice. Avrebbe ragione.
Mi chiedo cosa diventerà Scottie per la gente.
Un assassino, una vittima, un carnefice, può essere visto in ogni modo, ma Scottie principalmente, in realtà, era una cosa sola: un essere umano.
Un giorno i bambini si fermeranno davanti alla sua tomba dicendo il nome della persona che ha fatto loro un torto, nella speranza che li vendichi, è questo che diventerà Scottie? Una favola, uno spauracchio? Forse, però ci sono anche persone - persone come me - che non lo dimenticheranno mai, che non possono dimenticare.
Quindi riposa in pace, Scottie Crawford.
[Testimonianze della vita di Scottie Crawford, Capitolo IX -
La lettera di Susie Parsons spedita alla Relazione tre settimane prima del suo suicidio, versione inedita]