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Era fine Novembre e nonostante si stesse avvicinando il solstizio d'inverno, quel pomeriggio c'era un'afa soffocante, assolutamente anomala per quel periodo dell'anno. Il cielo, di un cupo colore grigio-azzurro, coperto da una serie di nuvole dalle forme allungate e che parevano prive di quella consistenza spumosa che le rendeva vive, pareva voler rendere ancora più triste quella giornata.
Il corteo funebre procedeva a passo lento e cadenzato, quasi strascicato, avanzando oltre il portone di legno chiaro che l'avrebbe portato all'interno della grande villa Sakuragi.
I piedi faticavano quasi a muoversi, un passo dopo l'altro, lento e pesante, sofferto, come per voler ritardare il più possibile il momento del saluto finale.
Parenti e amici più cari erano andati a far visita alla famiglia dopo aver assistito alla cerimonia funebre; vicini alla moglie e al figlio del defunto, si stringevano attorno a loro dandogli parole di conforto. Un misero palliativo per il dolore che attanagliava i loro cuori. Frasi sommesse, appena sussurrate, poche parole, una stretta di mano, un abbraccio stretto, come per voler infondere forza e coraggio.
Hanamichi, in piedi accanto alla madre, osservava il via vai di gente con sguardo triste e rabbuiato. In fila, accanto a loro, la famiglia Sakuragi: i suoceri della donna, fratelli e sorelle del compianto Hidetoshi stavano seduti sul tatami davanti all'altare allestito in casa per il tradizionale shijuku-nichi*.
Un tocco leggero e discreto alla propria caviglia destra, attirò l'attenzione di Hanamichi che, perso nei propri pensieri e ricordi, si era momentaneamente estraniato da tutto e da tutti: non gli piaceva quell'atmosfera, sembrava tutto così forzato e costretto. Il ragazzo osservava lo svolgersi di quella cerimonia assente, come se solo il suo corpo si trovasse in quella grande stanza piena di persone, ma la sua mente vagava altrove. Quel pomeriggio si stava rivelando essere semplicemente un modo per rispettare una tradizione e si chiese, dunque, chi tra di essi avesse realmente conosciuto suo padre, quanti di loro potevano dire di averlo conosciuto e vissuto veramente? Non avrebbe avuto risposta, perché per lui tutte quelle persone non rappresentavano niente, ogni singolo viso non rievocava in lui ricordi particolari, coloro che si erano stretti attorno a loro nel cordoglio si definivano amici del padre, ma mai una volta si erano presentati a casa loro per una visita di piacere, né era mai arrivata una telefonata per sapere se stesse bene: erano sempre stati solo loro tre.
Chinò il volto ed osservò sua madre, unica persona tra tutte che poteva capire realmente il suo dolore ed il suo stato d'animo, e con un cenno del capo si mosse piano, in silenzio, unico suono percettibile solo il frusciare leggero dell'abito nero che portava.
Si avvicinò ad un basso mobiletto e, facendo cenno all'uomo seduto accanto ad esso, diede inizio così alla cerimonia: il monaco si alzò in piedi, attirando su di sé tutta l'attenzione dei presenti che pian piano e con discrezione, uscirono dalla stanza di modo da lasciare un po' d'intimità alla famiglia e permettendo alla funzione di svolgersi in tutta tranquillità.
Hanamichi tornò silenzioso accanto alla madre, sedendosi vicino a lei e tenendo in mano una piccola campanella.
Insieme al monaco, raccolti in meditazione, tutti i presenti recitavano con lui i sutra di rito ed al termine della cerimonia, Hanamichi scuoté la piccola campanella per indicare allo spirito del defunto il proprio arrivo nel regno dei morti.
Un lungo momento di raccoglimento avvolse l'intera stanza, nelle orecchie dei presenti il fastidioso suono del silenzio, adesso che l'ultima fase del rito era stata ultimata, non rimaneva altro che la solitudine ed un grande senso di vuoto. In questo modo, la famiglia Sakuragi aveva dato l'ultimo saluto al proprio padre, marito, figlio e fratello, accompagnandolo nel suo ultimo viaggio.
Un bussare leggero e poi lo shoji che, scorrendo, venne aperto.
"Mamma..." Hanamichi, lo sguardo stanco ed arrossato, cercò di intravedere e riconobbe, nel buio che avvolgeva la stanza, illuminata dalla luce debole che proveniva dal salone, la figura esile della madre.
"Sì, sono io...stavi dormendo?" gli chiese lei amorevolmente.
"Mh...no entra, mi stavo solo riposando un attimo, troppo movimento oggi..." le disse, sedendosi a gambe incrociate. La donna sorrise nella penombra della stanza e, chiudendo nuovamente la porta, lasciandola scorrere silenziosamente, entrò dentro la stanza avvicinandosi al figlio, sedendosi anche lei posando le ginocchia sul futon.
La grande e vecchia villa dei Sakuragi, la casa natale del marito e nella quale si erano svolti i funerali, era stata anche la loro casa in quegli ultimi 3 mesi...da quando tutto era cominciato e dove tutto avrebbe avuto fine.
"Sono andati tutti via..." annunciò al figlio "...e adesso, adesso i tuoi nonni vogliono parlare...stanno già discutendo, li ho sentiti sussurrare" disse la donna come se se lo aspettasse, anzi no, lei sapeva bene che sarebbe accaduto proprio questo. "Io credo che dovresti esserci, non posso combattere da sola, figlio mio. Non è giusto e tu lo sai, tuo padre non avrebbe voluto arrivare a questo, perché lui ha lottato per noi, per te, l'ha sempre fatto ed ora..." venne interrotta, per non dover affrontare da sola quel triste pensiero.
"….ed ora è giunto il momento che io...che noi...lottiamo per la nostra felicità...lo so..." disse mesto Hanamichi, chinando la testa, come se volesse aggiungere qualcosa, ma fermandosi per riflettere prima e la donna questo lo comprese.
"Ma..." lo esortò ad andare avanti, posandogli una mano sulla spalla e carezzandogli teneramente la fronte.
Il ragazzo dai capelli rossi, alzò lo sguardo, triste e rassegnato, verso di lei. "Ma sappiamo bene che non vinceremo, mamma. Sappiamo bene che è colpa mia...loro questo lo sanno e..." alzò una mano per impedirle di interromperlo, quando vide i suoi occhi intristirsi e cercare di difenderlo "...e se anche tu credi che non lo sia e se anche io posso arrivare a convincermene, ad accettare che sia stato solo un'incidente...non convinceremo loro. Non ci hanno mai voluto bene, mamma e adesso hanno l'occasione giusta per distruggerci" concluse.
La donna fece scivolare un braccio nuovamente sulla spalla, guardandolo con affetto, poi in silenzio, portò anche l'altro a circondargli il collo, stingendolo con amore, abbracciando il suo bambino, gli occhi lucidi, la gola secca, senza pronunciare parola: sapeva che aveva ragione, sapeva che il suo bambino aveva capito e non da ora, da sempre, Hanamichi lo sapeva. Sapeva che loro, loro non li avevano mai amati, né tollerati, perché lei era una comune, una ragazza di ceto inferiore a quello del loro amatissimo figlio e glielo aveva portato via, per ben tre volte. Prima, quando avevano deciso di andare a vivere insieme, via da quella casa, costringendo -a loro dire- il figlio ad abbandonarli, a rinnegare la sua famiglia, poi quando era rimasta in attesa di un figlio, quel figlio per loro illegittimo, nato al di fuori di un legame degno di questo nome e poi ancora, a causa proprio di quel figlio che loro non avevano mai voluto riconoscere come nipote, causa della sua rovina, causa della sua morte.
Hanamichi la strinse a sé, confortandola come meglio poté, cercando di sorridere e di tranquillizzarla, lui non aveva paura, Hanamichi Sakuragi non aveva paura di nessuno, lui era un teppista, un ragazzo di strada, era forte, sicuro di sé e aveva carattere. Non si sarebbe fatto sconfiggere da parole cattive, non si sarebbe lasciato abbattere dalla loro indifferenza, avrebbe lottato, per sé e per sua madre. "Andiamo mamma..." le disse dopo qualche minuto in cui rimasero abbracciati.
"Ma scherziamo? Io quello non ce lo voglio in casa! Mio fratello doveva aver perso la testa per lasciare scritto qualcosa del genere, noi non ci prenderemo mai una simile responsabilità, eppure gliel'ho detto più volte, sapeva come la pensavo, come la pensavamo tutti".
"Lui ha ucciso il mio amato figlio! Per me, adesso che Hidetoshi non c'è più, loro non mi rappresentano più niente, niente".
"Perché prima era qualcuno, mamma ?" si aggiunse una terza voce.
"È colpa loro se non c'è più, è solo colpa sua, sarebbe ancora vivo se non l'avesse incontrata!"
"Sì, quella donna e quel ragazzo ce l'hanno portato via..."
Un singhiozzo ed un pianto triste, pieno di rabbia, di una madre troppo addolorata, ma con tanto rimorso dentro di sé da non poter trovare altro modo per sfogare il suo dolore, se non pronunciando cattiverie.
Hanamichi e la signora Sakuragi rimasero fermi e gelati sul posto, al di là della porta. Sapevano già di non essere ben voluti, bastava osservare gli sguardi che gli venivano rivolti, le parole appena mormorate dietro le loro spalle e poi, la tensione che si percepiva chiara ogni qualvolta si trovavano insieme nella stessa stanza, tutti riuniti, in quelle rare occasioni di festa, cui il marito non voleva rinunciare, poiché voleva che la sua famiglia, quella che lui aveva scelto per sé, contro il volere della propria famiglia, la famiglia che amava, venisse accettata completamente.
Eppure, nonostante le premesse, sentire chiare e forti quelle parole, dette con odio e rancore, avevano fatto male. La mano pallida della minuta donna, rimase sospesa a mezz'aria con i polpastrelli che sfioravano la carta di riso. Hanamichi si voltò verso di lei preoccupato: la madre era stanca, stremata e senza forze, si sentiva sola. Ormai senza più il marito, l'unico uomo che avesse mai amato e con il quale aveva sperato e sognato di passare il resto della sua vita non c'era più; stare in quella casa per tutta la durata del funerale, compresi i mesi di preparativi, non era stato facile per lei. Ogni giorno la sua mente si riempiva di pensieri, per l'uomo che amava e che l'aveva lasciata sola, preoccupata per il figlio, facendo in modo che non venisse ferito ancor di più e cercando di fare tutto a modo, per compiacere e vivere in pace con quella famiglia che l'odiava, per rendere l'estremo saluto al caro marito, cercando di realizzare il suo sogno ed unire le due famiglie. Inutilmente alla fine, i suoi sforzi non erano serviti a niente, poiché solo lei si era impegnata, trovando davanti a sé solo porte chiuse e difficili muri da scalare, duri ed invalicabili.
Era veramente allo stremo delle forze fisiche e psicologiche.
Lasciò andare il braccio che, leggero, ricadde lungo il fianco: tutto in lei, adesso, adesso che tutto era finito, lasciava percepire stanchezza ed Hanamichi non poteva sopportare che venisse fatto questo a sua madre.
Si fece coraggio e, sicuro come non mai, aprì di colpo la porta facendo sobbalzare la donna che gli stava accanto ed i presenti in quella grande, ma che adesso sembrava veramente piccola, stanza ancora arredata a lutto. I nonni e gli zii, fratelli più stretti del padre, fissarono i due nuovi arrivati dapprima con stupore, non aspettandosi la loro comparsa in quel momento, troppo presi ad inveire contro di essi, concentrati solo sul proprio dolore e sulla loro persona: avevano sentito tutto! Di questo erano consapevoli, ma la cosa pareva non toccarli più di tanto.
"State facendo una riunione di famiglia?" domandò sarcasticamente. Hanamichi aveva trovato abbastanza forza dentro di sé per permettersi quel fare spaccone, aggiungendo poi con lo stesso tono: "scusate il ritardo, mi sono addormentato" si sedette per terra, sulle ginocchia, compostamente, così come aveva imparato a stare in presenza di quei parenti tanto raffinati e altolocati, quanto cattivi e senza morale.
Pochi passi silenziosi e Minako raggiunse il figlio, sedendosi accanto a lui, prendendo la parola: "vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per noi e Hidetoshi in questi mesi...Hanamichi ed io..." ma fu bruscamente interrotta.
"Tze quello che abbiamo fatto è stato solo per nostro figlio, non abbiamo fatto nulla per voi" disse, in modo cattivo, il capofamiglia.
"Adesso cosa volete da noi? Mio figlio ha lasciato detto che la sua parte di eredità vorrebbe fosse data a voi, ma noi non lo faremo, noi non abbiamo mai accettato questo legame e mai lo faremo!" continuò, sicuro di essere nel giusto e che i due fossero ancora là solo per l'eredità del figlio scomparso.
"A me sta bene" cominciò la donna "mi sta bene se non volete me nella famiglia, non avete mai fatto mistero di quello che pensate su di me, ma Hanamichi, lui è vostro nipote non potete..." cercò di farli ragionare.
"Per me non esiste alcun nipote a parte i figli di Chojiro e quello che Saeko porta in grembo, loro sono degni eredi della casata Sakuragi, lui" calcò con disprezzo "tuo figlio è solo un teppista, senza alcuna educazione".
"Ehi!" intervenne Hanamichi, alzandosi un poco a sedere rimanendo sulla difensiva, per il tono con il quale quell'uomo, suo nonno, si stava rivolgendo alla madre.
"Ma non potete escluderlo, è figlio di Hidetoshi tanto quanto lo sono gli altri vostri nipoti, è stato riconosciuto, è sangue del vostro sangue, come potete parlare così, lui merita una degna istruzione, Toshi voleva questo ed un brillante futuro per Hana e voi..."
"E chi ci dice che sia veramente figlio suo, sei tu a dirlo..." parlò la nuora "ma per me la tua parola vale meno di zero pertanto..." Minako rimase sconvolta, mai tra tutte le cattiverie che le avevano detto erano arrivati a tanto. Mai l'avevano offesa così apertamente. Hanamichi al suo fianco si era definitivamente alzato in piedi, assumendo la sua espressione più dura e stringendo i pugni: come si permettevano di trattare così sua madre!
"Ti conviene stare calmo, ragazzino" lo ammonì il nonno "non permetterti di alzare anche un solo dito su un membro della mia famiglia. Conosco la fama che gira attorno al tuo nome e non mi piace per niente, è un disonore che il buon nome dei Sakuragi venga infangato in questo modo da uno come te!"
"Uno come me? E come sarei di grazia? Cosa ne sapete voi di come sono io, ve ne siete sempre fregati e adesso vorreste stare qui a guardarmi dall'alto e giudicarmi? Non penso proprio, voi non sapete niente di me, né di mia madre, quindi sono io che non vi permetto di trattarla in questo modo..." si accostò alla donna aiutandola ad alzarsi "...e da che ho potuto capire, oggi più che mai, non avete capito un cazzo neanche di mio padre!" sputò amaro voltando loro le spalle, facendo passare la madre prima di sé.
Ma non poté fare che pochi passi, prima di sentirsi afferrare per un braccio e voltare nuovamente: lo zio Chojiro l'aveva trattenuto prima che riuscisse ad uscire anche lui dalla stanza.
"Come ti permetti di rivolgerti a noi in questo modo?!"
"Mi permetto, dal momento in cui voi mancate di rispetto a mia madre, inoltre, per me voi siete pari a zero, pertanto..." usò la stessa frase pronunciata poco prima dalla zia, con cattiveria. Si voltò del tutto verso l'uomo che l'aveva fermato, guardandolo dall'alto verso il basso, Hanamichi era un ragazzo dalla corporatura massiccia che, quando era veramente arrabbiato riusciva ad incutere timore anche nel più temibile dei capibanda, non per niente era temuto da tutti i ragazzi della sua età ed anche da alcuni più grandi. Tutti nella sua piccola città lo conoscevano, conoscevano lui, la sua Armata e la fama di cui godevano. E visto che, indipendentemente da tutto, pareva che quella famiglia non avesse verso di lui alcuno spirito di accettazione, perché doveva mostrarsi diverso e comprensivo? Non si sarebbe abbassato a niente, avrebbe dato loro quello che volevano vedere e, poi, li avrebbe mandati tutti al diavolo.
"Sono io che mi vergogno di appartenere ad una famiglia come questa e se anche fossi nato qui, riconosciuto da tutti voi, me ne sarei andato appena mi sarebbe stato possibile, così come ha fatto mio padre, lui sì che era un uomo, al di là del cognome che portava, non è certo un nome prestigioso od importante a fare di una persona qualcuno" disse amaro.
"Ah, parli bene, ma tu dimentichi che quell'uomo l'hai ucciso!" sputò cattivo lo zio e qualcosa di simile ad un lampo di dolore passò negli occhi di Hanamichi. Sapevano dove colpire quello era certo, perché lui ancora non l'aveva superato, ancora si sentiva responsabile di quell'incidente, se non fosse stato così, se non fosse stato quello che era a quest'ora forse avrebbe potuto salvarlo. Approfittando del momentaneo vacillamento del rosso, lo zio continuò ad infierire con un sorriso cattivo: "e dopo che tu gli hai fatto questo, noi dovremmo accoglierti nella nostra casa? Darti i nostri soldi, sono soldi sporchi di sangue!"
"Basta smettila!" urlò la madre, correndo di fianco al figlio che stringeva i pugni e serrava con forza la mascella, mordendo a denti stretti l'interno del labbro inferiore, per trattenere la rabbia e le lacrime.
"Hanamichi non ha colpe, è stato un'incidente, Toshi soffriva già di cuore, i medici hanno detto che anche essendo stati lì non ci sarebbe stato niente da fare" disse lei con foga, gli occhi lucidi e il cuore che le martellava nel petto. Stavano facendo del male al suo bambino e lei non poteva permetterlo oltre. "Ce ne andiamo da qui, non sentirete più parlare di noi, non li vogliamo i vostri soldi, io crescerò mio figlio da sola, non voglio che un giorno possiate rinfacciargli niente e fargli ancora del male, io non ve lo permetterò!" disse sicura, stringendo le braccia di Hanamichi e sospingendolo per camminare verso l'uscita, ritrovando dentro di sé una forza che non credeva di possedere.
"Da questo momento in poi, dimenticatevi di noi, dimenticate di avermi conosciuta e di avere un nipote, perché non ci vedrete più!" disse uscendo dalla sala e dirigendosi al piano di sopra per prendere le poche cose che avevano portato con sé.
Nel salone, davanti all'altare del figlio, la madre accarezzava i contorni della cornice e il nastro di raso nero che ne ornava un angolo; nel silenzio teso, solo un sussurro in risposta a quelle parole come per avere, sempre e comunque, loro l'ultima battuta: "non preoccuparti...già fatto!"
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Era notte fonda quando Hanamichi e sua madre fecero ritorno nel loro appartamento, al centro della piccola città in cui abitavano. Nulla a che vedere con il caotico ambiente dal quale erano appena scappati, sembrava si trovassero quasi in un'altra nazione. Tutto era diverso, a cominciare dal tempo, dove un vento gelido e secco smuoveva i rami degli alberi spogli che ornavano il viale del quartiere nel quale abitavano. Un silenzio quasi irreale donava loro un senso di pace e tranquillità, così rilassato rispetto a quello teso e cattivo che avevano vissuto in quella casa, durante tutto il loro soggiorno a villa Sakuragi.
E dire, che la città natale del defunto marito distava da loro appena un ora di treno: era come se le loro vite si fossero svolte su due mondi paralleli.
Madre e figlio non avevano parlato di niente durante il viaggio di ritorno, ognuno immerso nei propri pensieri, stavano rivivendo e cercando di analizzare quanto appena successo. Dovevano lasciarsi alle spalle quella casa, quelle persone e quelle brutte parole avrebbero dovuto cancellarle dai loro ricordi. Difficile, indubbiamente, ma era quello che andava fatto, per il loro bene e per il loro futuro. Per la loro nuova vita. Era giunto il momento di ricominciare a vivere, vivere veramente, così come avrebbe voluto il signor Sakuragi: una vita vera e spensierata per la sua famiglia.
E su questo aveva riflettuto la giovane donna: come fare adesso che suo marito l'aveva lasciata sola? Lei non aveva un lavoro fisso, aveva sempre accudito la casa, mandato avanti la famiglia, cresciuto il suo bambino e amato suo marito con tutta se stessa. Era questo che sapeva fare e qualche lavoro di ricamo o rammendo sporadico, per le vicine troppo pigre o poco portate per i lavori manuali.
Adesso come avrebbe dovuto sostenere suo figlio? Hanamichi aveva da poco cominciato le scuole superiori, l'istruzione era una cosa importante e fondamentale, ma, purtroppo per loro, costosa, anche la retta di una scuola pubblica andava pagata e se anche le spese per il funerale erano state finanziate dalla famiglia del marito che non aveva voluto niente da loro, si trovavano comunque in seria difficoltà. Lo sapeva e seppure non avrebbe voluto, anche Hanamichi ne era a conoscenza, perché il suo bambino era un ragazzo intelligente, nonostante quello che si diceva in giro ed era attento ad ogni cosa. Lei lo sapeva bene, erano uguali. Forse era anche per questo motivo che la famiglia del suo povero marito aveva avuto ulteriori pregiudizi nell'accettarlo come un Sakuragi: perché loro erano uguali, Hanamichi aveva preso moltissimo dalla famiglia di lei.
"Mamma, poggio qui le valigie, adesso andiamo a dormire. Penseremo domani a disfare i bagagli" le disse Hanamichi, vedendo che la donna era assente e non riuscendo a capire esattamente se lo fosse perché turbata da qualcosa o perché semplicemente stanca.
La donna annuì, sorridendogli gentile e, augurandogli la buonanotte, entrò nella propria camera da letto dove, una volta chiusasi la porta alle spalle, vi si poggiò contro con la schiena. Abbassò il capo sconsolata, doveva pensare a qualcosa ed in fretta, non aveva altro tempo da perdere, l'anno scolastico stava per concludersi e poteva essere ancora in tempo per mettere in atto l'idea che le era venuta in mente, l'unica che poteva essere messa velocemente in pratica, perché quello era ciò che più le premeva: risolvere la questione dell'istruzione di Hanamichi il prima possibile, il resto, poi, sarebbe venuto da sé.
Minako, però, non era l'unica che, durante tutto quel tempo, aveva pensato ad una soluzione per il futuro, anche Hanamichi rifletteva sulla loro nuova situazione e prendeva la sua decisione: aveva fatto tanti errori nella sua giovane vita, aveva sprecato del tempo prezioso, non dedicandosi abbastanza allo studio, facendo spesso e volentieri arrabbiare i suoi, piccole divergenze di opinione erano all'ordine del giorno in casa Sakuragi, ma non per questo amava meno la sua famiglia o non li rispettava. Aveva capito quale fosse il primo passo da fare: l'indomani sarebbe andato a cercarsi un lavoro. Sapeva che il problema principale al momento era la sua istruzione, era l'unica cosa che sua madre aveva fatto presente durante la riunione di famiglia e lui non voleva che si preoccupasse per questo. Non gli piaceva la scuola, inoltre i suoi voti non gli avrebbero assicurato il passaggio di grado per quell'anno, di questo era sicuro, i professori poi avevano di lui un'opinione affatto buona, quindi non vedeva motivi per continuare quel tipo di percorso per il suo futuro. Un lavoro, invece, l'avrebbe aiutato a sentirsi utile e d'aiuto per la madre.
***
La mattina seguente, madre e figlio si ritrovarono svegli di buon'ora, nonostante fossero rincasati solo poche ore prima e, a causa dei troppi pensieri, entrambi non avessero riposato poi molto.
"Buongiorno mamma!" salutò il rosso, mentre entrava in cucina ed osservava la donna armeggiare con i fornelli per preparare la colazione.
"Hana, ben svegliato! Cosa ci fai in piedi a quest'ora?" domandò con un sorriso, memore di tutte le volte che aveva dovuto andare di persona a buttare il figlio giù dal letto per impedirgli di arrivare tardi a scuola.
"Non avevo più sonno...tu come stai?" le domandò premuroso, scostando una sedia e prendendo posto al piccolo tavolo in legno della cucina.
"Bene...adesso che siamo tornati a casa, bene" lo rassicurò, poi, aggiunse "Ho bisogno di parlarti tesoro, ma prima, vorrei che mi aiutassi a sistemare la foto di papà nella mensola del soggiorno" spiegò, servendo la colazione e sedendosi a sua volta, prendendo posto di fronte al rosso.
"Mh...ok, anche io poi ho bisogno di parlarti mamma" le disse, era meglio affrontare subito l'argomento, così da potersi muovere il prima possibile. Non aveva alcuna intenzione di sprecare attimi preziosi.
La donna lo guardò confusa, sinceramente sorpresa dalle sue parole, non capiva proprio di che cosa potesse voler discutere con lei. Non che non conoscesse di quale parlantina il suo Hanamichi fosse dotato, ma c'era qualcosa nel suo tono di voce che la faceva stare in pena.
Mangiarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e mentre poi Minako lavava le stoviglie, Hanamichi, come richiestogli dalla madre, allestì nell'ingresso un piccolo altarino commemorativo in ricordo del defunto padre. Sistemò al centro la fotografia del signor Sakuragi, la cui cornice di un nero lucido era stata decorata con un nastro scuro, come da tradizione, ed ai lati di essa posizionò un piccolo vasetto con dei fiori di pesco che fiorivano nel cortiletto della palazzina in cui abitavano. Bruciò poi un bastoncino d'incenso, prima di recitare una piccola preghiera, che più che avere valenza religiosa, per Hanamichi, era una sorta di saluto, un colloquio silenzioso tra padre e figlio.
Qualche minuto dopo, il ragazzo venne raggiunto dalla madre che, con gli occhi un po' lucidi ed un sorriso triste, aveva osservato tutta la scena in silenzio, abbracciandolo delicatamente per fargli sentire la sua presenza. Hanamichi si voltò e le prese una mano, stingendole le dita. Non dissero niente, semplicemente comunicarono con i gesti, perché, è vero, le parole spesso sono superflue.
"Mamma...ho deciso di lasciare la scuola" fu Hanamichi a rompere quella strana bolla di pensieri e parole non dette, rendendo noto alla madre il suo intento. La donna lo guardò sorpresa, sciogliendo l'abbraccio, confusa.
"Lo so cosa stai pensando, mamma, ma io ho deciso che non voglio più studiare. Voglio cercarmi un lavoro il prima possibile e rendermi utile, la scuola sarebbe solo un'ulteriore spreco di risorse per noi. Dobbiamo continuare a vivere, mamma, vedrai riusciremo a cavarcela con le nostre sole forze. Io mi impegnerò e tu non dovrai fare i salti mortali preoccupandoti anche della mia istruzione" concluse con un sorriso gentile, convinto di stare facendo la cosa giusta.
Ma la signora Sakuragi non era dello stesso avviso: "ma che stai dicendo Hana?! Tu non puoi lasciare la scuola, hai quasi finito gli studi, ti mancano solo due anni...hai bisogno di diplomarti! Io non permetterò che lasci tutto solo per qualche difficoltà!" gli disse seria.
"Ma mamma, io non sono bravo a scuola, non mi piace studiare lo sai, farei solo un favore ai professori e ai miei compagni se lasciassi adesso, credimi!"
"Hanamichi Sakuragi, cosa stai blaterando?" disse concitata, per poi voltarsi verso la foto del marito e rivolgersi a lui, come se fosse lì con loro, cosa che in effetti la donna avvertiva perfettamente.
"Ma lo senti che sta dicendo tuo figlio?" Hanamichi spalancò appena gli occhi nell'assistere alla scena, credette davvero che la donna fosse sul serio impazzita di colpo. Senza però avere il tempo di commentare si vide rivolgere nuovamente dalla donna uno sguardo serissimo: "tu non lascerai la scuola...finirai le scuole superiori e ti iscriverai all'università...e non voglio sentire scuse!" aggiunse velocemente, quando vide Hanamichi aprire bocca per intervenire.
"Ma mamma, io voglio davvero poterti aiutare, io..." non poté continuare che la donna lo interruppe nuovamente.
"Se vuoi davvero aiutarmi, allora studia e fai il tuo dovere di figlio, porta bei voti a casa, divertiti con i tuoi amici e...sarebbe anche ora che cominciassi ad uscire con qualche ragazza..." gli disse concludendo con un sorriso e dirigendosi a passo lento verso il divano, sedendosi piano ed invitando Hanamichi a fare lo stesso. Il rosso la seguì e si sedette accanto a lei in silenzio, aveva capito che aveva ancora qualcosa da dirgli.
"Non voglio che tu pensi di essere un peso per me adesso, non lo sei mai stato Hana e non voglio che butti all'aria il tuo futuro per questo. Neanche papà lo vorrebbe, lui era molto fiero di te, aveva in mente grandi progetti, voleva che tu ti realizzassi pienamente facendo quello che più ami. Lui non ha potuto, lo sai, è cresciuto troppo presto, ha dovuto sacrificarsi e, da lassù non vorrebbe vedere che la storia si ripete. Soffrirebbe tantissimo se tu dovessi rinunciare a vivere perché lui se n'è andato" era un discorso strano quello che gli stava facendo, Hanamichi faceva un po' fatica a seguirla a dire il vero, ma d'altronde la madre era sempre stata così, un po' particolare e un po' pazza. Forse era per questo che era riuscita a conquistare suo padre, quindi rimase ad ascoltarla in silenzio.
"Ascoltami Hanamichi, se lasciassi la scuola, non faresti un favore a nessuno, né ai professori o agli altri studenti, né a me e men che meno lo faresti a te stesso. L'istruzione è una cosa importantissima, non solo perché ti apre le porte per il futuro, ma ci sono anche tantissime altre cose oltre all'inglese o alla storia. Ci sono persone nuove che incontri giorno per giorno, amici con i quali passare le serate a studiare insieme o a fare baldoria. Ci sono tante cose degne di essere vissute adesso e che in futuro non potresti più fare e avresti a pentirtene un giorno. Capisci cosa voglio dirti?!" chiese ed Hanamichi annuì, lo sapeva bene, eccome se ne era consapevole.
"Bene" gli sorrise lei, prendendogli una mano tra le sue. "Io ho pensato molto stanotte e tu sai che ti voglio bene e voglio il meglio per te".
Hanamichi continuò ad annuire, mentre una strana ansia gli saliva nel cuore ed il respiro si faceva più faticoso. Quel discorso stava prendendo una strana piega per i suoi gusti e questo tergiversare della madre non lo aiutava di certo a calmarsi.
"Mamma cosa vuoi dirmi...?" chiese a voce bassa, scrutandola con i suoi bellissimi occhi scuri. La donna sorrise, il suo ragazzo era proprio in gamba.
"Io vorrei che tu partissi, Hana!" disse.
"Come? Io non..."
"Lascia che ti spieghi. Come hai detto tu, è in parte vero che qui non avresti modo di...realizzarti...diciamo così. Questa è una piccola cittadina in cui tutti si conoscono, sanno tutto di tutti e, cosa fondamentale...tutti parlano e, per la maggior parte delle volte, parlano male. Ecco, io vorrei che tu non dovessi vivere in un posto del genere, non dopo quello che ci è successo. Io so che tu sei forte Hana e che te ne freghi del giudizio della gente..."
"Eh eh...io sono un Tensai!" disse Hanamichi, facendola sorridere e sorridendo a sua volta per incoraggiarla.
"...ma io so che è difficile, a lungo andare è difficile sopportare tutto questo e combattere da soli. Per questo io vorrei che per un po' tu ti trasferissi a Tokyo, a casa della zia. Ancora non le ho parlato, ma mi ha promesso, quando venne al funerale di tuo padre, che sarebbe venuta a trovarci e sarebbe rimasta qualche giorno a darmi una mano. Ho intenzione di parlarle e di chiederle se può tenerti con sé per qualche tempo".
Hanamichi la guardò confuso, aveva capito cosa volesse sua madre e si era reso conto che in effetti erano tutte cose giuste le sue, ma non capiva ugualmente. La donna se ne accorse, lesse titubanza nel suo sguardo e aggiunse: "diciamo per un anno...un anno di prova, per vedere come va e per dare modo ad entrambi di sistemarci e cambiare aria per un po'. Per fare questo, però, ci occorre del tempo per informarci e valutare quale sia per noi la scelta migliore. Ed è per questo che io ho pensato che potresti cominciare qui il nuovo anno scolastico e, dopo la pausa, continuare nella nuova scuola a Tokyo*. In questo modo non sarà troppo traumatico per te, certo, dovrai superare delle prove per il trasferimento, ma sono sicura che se ti impegnerai anche poco, ce la puoi fare Hana" gli prese la mano e gliela strinse tra le sue, poiché capisse che era seria e che credeva veramente in lui.
"Avresti così qualche mese per abituarti al nuovo ambiente e per riprenderti da tutti gli sforzi fatti per raggiungere il nostro obbiettivo. So che ti sto chiedendo molto Hana, ma vorrei che ci pensassi seriamente..." disse infine.
Hanamichi annuì, poi espresse un dubbio: "ok mamma, io...io ci penserò su, ma...tu? Tu che intendi fare, finora hai parlato al singolare, solo per me, tu che farai, mamma? Hai detto che cambieremo aria, ma..."
La donna sorrise e gli posò una mano sulla guancia: "sei molto astuto Hana devo ammetterlo...proprio come tuo padre, io sono molto brava a parlare, ma voi due, non riesco proprio ad aggirarvi" ironizzò.
"Io non verrò con te, vorrei provare ad andare fuori...quando tu partirai con la zia, io vorrei andare in Hokkaido. Voglio darmi un anno di prova anche io e cercare lavoro, qualcosa che mi piaccia, magari che abbia a che fare con il cucito od il ricamo, sono abbastanza brava, no?" scherzò.
"E poi sono anche giovane, non per niente mi scambiano sempre per una ragazzina!" gli strizzò l'occhio e Hanamichi rise: "e tu ti arrabbi sempre!" le fece notare furbo.
"Oh! Dettagli..." la donna sbuffò appena, facendo un cenno con la mano come se stesse scacciando chissà quale fastidioso insetto.
"Allora, che ne dici? Proviamo? Qui non c'è...abbastanza posto per noi, Hana" tornò seria.
"So che ti sto chiedendo molto, dopo la morte di papà, so che un cambiamento di questa portata non è magari la cosa migliore per te e so sopratutto che ti sto chiedendo di lasciarti alle spalle la vita che abbiamo condotto finora, la tua città, i tuoi amici, però...Hana pensaci bene" gli disse, nonostante avesse già deciso e fosse convinta che sarebbe stata veramente la scelta migliore per loro quella, non voleva comunque decidere per lui in toto.
Ma sapeva anche che Hanamichi era un ragazzo forte ed intelligente, sapeva che ci avrebbe pensato, avrebbe capito la situazione e alla fine, nonostante il passo che dovevano compiere fosse molto difficile, per il loro bene l'avrebbe fatto.
"Lo farò mamma...e poi, abbiamo ancora diversi mesi davanti a noi, mi impegnerò per finire la scuola ed avanzare di grado, te lo prometto!" le disse sicuro di sé.
Stavolta fu lei ad annuire, gli lasciò andare le mani e dandogli una piccola pacca sulla gamba disse: "bene, adesso però, preparati o farai tardi anche oggi a scuola, Yohei passerà a momenti e l'ultima volta ha minacciato di lasciarti a piedi se non ti avesse trovato pronto" gli disse.
Hanamichi diede un'occhiata veloce all'ora: aveva, in effetti, solo 15 minuti di tempo per prepararsi e non aveva alcuna intenzione di farsi una corsa fino a scuola.
***
Il cielo era di un colore grigio intenso, coperto da nuvoloni scuri carichi di pioggia, non prometteva proprio niente di buono: un vento gelido e sottile soffiava nell'aria scompigliando i capelli dei due ragazzi che nel cortile della scuola, seduti ai piedi di un grande albero, le cui fronde, agitate dal vento, si muovevano in modo quasi inquieto, parlavano tra loro.
Hanamichi, poggiato con la schiena al tronco robusto, una gamba piegata ad angolo retto e l'altra distesa, aveva appena finito di esporre al suo migliore amico la difficile situazione in cui lui e sua madre si trovavano.
Gli aveva raccontato del funerale, dei mesi passati a villa Sakuragi, della lite con i suoi parenti, la loro fuga ed infine il colloquio avuto con la madre quella stessa mattina. E adesso fissava l'erba del prato, inspirando l'aria che sapeva di terra bagnata: di lì a poco si sarebbe messo sicuramente a piovere e loro sarebbero dovuti correre dentro l'edificio.
Yohei Mito stava in piedi, le mani dietro la schiena e il peso del corpo abbandonato contro il tronco dell'albero. Con la punta delle scarpe giocherellava con i fili d'erba, muovendoli avanti e indietro, scavando un po' nel terreno, fissando lo sguardo basso senza vedere nulla in realtà: "cavoli è proprio un bel casino!" fu l'unico commento che uscì dalle sue labbra al termine del discorso di Hanamichi.
"Che hai intenzione di fare?" chiese volgendosi a guardare l'amico.
Hanamichi scosse il capo, i ciuffi rossi, tenuti in posa con un po' di gel, si mossero con il vento ed il ragazzo sospirò, stringendosi nelle spalle: "non lo so...non ho molta scelta Yo!" disse, prima di sollevare il volto verso il suo. Yohei gli sorrise, lasciandosi poi andare, scivolando sulla schiena e sedendosi accanto al rosso. Il ragazzo moro era più basso rispetto a quel gigante che era il suo amico e la sua spalla si poggiò contro il braccio di Sakuragi, il quale stese entrambe le gambe, lasciandosi andare contro l'amico: "è davvero un bel casino" concordò a sua volta.
Ci furono minuti di silenzio, nei quali rimasero fermi ad ascoltare il suono del vento e poi Yohei parlò, Hanamichi si era confidato con lui e sapeva che, anche se in maniera indiretta e molto più leggera, il problema riguardava anche lui; da che si conoscevano i due amici non si erano mai separati, ne avevano fatte tante insieme loro due e poi, con l'incontro degli amici dell'Armata ne avevano fatte una miriade di altre in più, ricordi bellissimi, esperienze divertenti.
E adesso davanti a loro si parava davanti questo insormontabile problema, non doveva essere egoista, Hanamichi e la madre avevano davvero bisogno di questo anno di prova e lui doveva stargli vicino in quel momento difficile, per cui parlò: "vai Hana...tua madre ha ragione, vi serve cambiare aria, sai che non vi lasceranno scampo, la gente chiacchiera, la gente è cattiva e chi può saperlo meglio di noi...quante volte siamo stati giudicati? È vero, siamo un po' discoli, ma noi siamo una banda buona, ci divertiamo senza far male a nessuno".
"Bè alcuni se la sono meritata, però!" s'intromise il rosso, ricordando a quanti aveva dovuto far capire come ci si comporta a suon di testate e Yohei rise, concordando con lui.
"Io penso che ti faccia bene cambiare aria, se è per noi che sei preoccupato o non vuoi partire, sappi che siamo in un'era in cui esistono i treni ad alta velocità, gli aerei se necessario..." scherzò. esagerando eccessivamente.
"E poi chissà, magari è anche la volta buona che ti trovi una ragazza!" frecciatina.
Hanamichi si mosse appena scontrando il braccio contro quello di Yohei: era risaputa tra i ragazzi la sfortuna che il loro capo avesse con il gentil sesso ed Hanamichi era molto suscettibile a riguardo.
"Ahi!" finse il moro portandosi una mano alla parte lesa, ma sorrideva.
Hanamichi alzò il volto verso il cielo, posando il capo contro il tronco ed osservando le prime gocce di pioggia che, leggere, cominciavano a cadere: "per una volta hai ragione, vedrai, farò strage di cuori e poi quando verrò a trovarvi, vi farò morire tutti d'invidia, voi e quelle galline che mi hanno rifiutato!" s'impuntò.
Yohei si tirò nuovamente in piedi ripulendosi la divisa, non era stata una buona idea sedersi sul prato umido, constatò sentendo la stoffa dei pantaloni leggermente bagnata.
"Sì sì, le ultime parole famose...ad ogni modo, galline? Non mi pareva che tu le ritenessi tali quando ti cimentavi nell'elogio delle loro qualità migliori, eri anche piuttosto preso sai!" lo sfotté allegramente, prima di cominciare a correre per mettere più distanza possibile tra sé e il rosso che, imbarazzato da morire e leggermente incavolato per quella puntualizzazione non richiesta, si rimetteva in piedi a sua volta, correndo verso il suo migliore amico per fargli rimangiare quanto appena detto: "corri finché sei in tempo, perché quando ti avrò raggiunto di te non ne resterà niente, Mito!!"