[Hikabu] I’m looking at you from another point of view

Sep 16, 2012 11:16

Titolo: I’m looking at you from another point of view
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Yotome Hikaru
Pairing: Hikabu
Rating: nc-17
Genere: angst
Wordcount: 1.929 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la community think_angst, per la tabella Armi con il prompt ‘Corda’.
Il titolo è preso da un verso di POV, dei McFly.
Disclaimer: I personaggi non sono miei, non li conosco personalmente e quanto di seguito accaduto non vuole avere fondamento di verità. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Warning: slash, non-con
Tabella: Armi


Quando Hikaru si risvegliò, non riconobbe immediatamente la stanza dove si trovava; era una camera da letto molto anonima, con le pareti bianche, nessun poster a ricoprirle, una libreria e una scrivania con sopra un televisore. Le finestre, dalle tende bianche, erano socchiuse e permettevano all’aria fredda della sera di infilarsi nella camera, facendolo rabbrividire.
Hikaru cercò di muoversi per scendere dal letto, ma non vi riuscì: sollevò il capo e si accorse di avere i polsi legati alla testiera del letto con una corda ben annodata: si guardò intorno e una strana inquietudine lo avvolse, prima che una voce a lui familiare parlò.
“Ben svegliato, Hikka!”
“Yabu!”
Riconoscendo la voce dell’amico, Yaotome si tranquillizzò un poco e, facendo memoria, ricordò gli eventi della sera precedente: dopo il lavoro erano andati a bere qualcosa insieme, era stato il più grande a proporlo, cosa che accadeva di rado, solitamente era sempre Hikaru quello che gli chiedeva di uscire insieme; per cui il più piccolo era stato felice. Ricordava che avevano mangiato benissimo, Yabu l’aveva portato in un ristorante un po’ fuori città, dove erano stati serviti loro dei gustosi piatti e dell’ottimo saké; stranamente il cameriere non avevano avuto da ridire quando l’avevano ordinato e Hikaru si era oltremodo rilassato, bevendo e divertendosi, felice di poter passare del tempo con il collega in quel modo.
Era stato talmente a suo agio che, vuoi complice l’alcool e l’adrenalina accumulata durante la giornata, gli si era dichiarato. Aveva ponderato a lungo se farlo o meno, non sapeva cosa potesse pensare Yabu a riguardo e non voleva fare niente per perdere quel rapporto di amicizia così stretto che avevano costruito durante gli anni.
Non ricordava, però, cosa gli avesse risposto l’altro, non ricordava niente di quello che era successo dopo e la cosa era strana, non credeva neanche di aver bevuto così tanto.
Guardò Kota avvicinarsi e sederi sul letto, parlandogli.
“Sei a casa mia Hikaru… non ti spaventare” gli disse, notando il suo senso di smarrimento.
“Yabu cosa… come ci siamo finiti qui e perché sono…?” cercò di chiedere, osservando di nuovo la corda e le proprie mani.
“Non ti ricordi nulla, vero?”
Hikaru lo guardò confuso, scuotendo il capo e Yabu sorrise, un ghigno che non aveva nulla di amichevole e che fece correre sulla schiena del più piccolo un brivido di inquietudine.
“Allora è vero.”
“Cosa?”
“Che se sono io tu faresti qualsiasi cosa.”
“Eh?”
Hikaru non capiva quell’atteggiamento di Yabu, non aveva idea del perché gli si stesse rivolgendo in quel modo, né comprendeva quel suo comportamento.
“Non ricordo niente di quello che è successo Yabu, a parte…”
“A parte la tua dichiarazione?”
Hikaru spalancò gli occhi.
“Sì, io… non ricordo cosa…” si interruppe, sentendo Yabu salire sul letto e avvicinarsi a lui. “Yabu perché sono qui? Perché sono legato? Sei stato tu?”
“Vedi qualcun altro?”
“Non è divertente!” iniziò a preoccuparsi. “Perché stai facendo così? Io non ti riconosco!”
Yabu ridacchiò, salendo cavalcioni su di lui.
“No, il punto non è che tu non mi riconosci, Hikaru, il punto è che tu non hai mai saputo niente di me!” affermò duramente, stringendogli il mento con la mano, attirandolo verso di sé.
“Kota, non capisco…”
Non riuscì a finire di parlare che Yabu sollevò il braccio e gli diede uno schiaffo con il dorso della mano, facendogli voltare la testa di lato; Hikaru si morse un labbro, facendolo sanguinare, guardando poi Yabu, sconvolto.
“È ovvio che non capisci, Hikaru, come mai potresti? Io mi sono stancato!” gli disse, sollevandogli la maglia sul petto, sfilandogliela fino alle braccia, abbandonandola sui suoi polsi, stretti dalla corda.
“Kota, per favore, mi stai facendo paura. Parliamone, io non so cosa… se…” mando giù un groppo di saliva e sangue, il cuore che correva impazzito nel petto. “Se ti ha dato fastidio quello che ti ho detto, io mi scuso, davvero. Non ti volevo dare noia o turbare… non pensavo che…”
“Che cosa?” continuò Yabu, slacciandogli i pantaloni, sfilandoglieli, portando via anche la biancheria, lasciandolo completamente nudo, sorridendo, nel vederlo tremare e piegare le gambe, a disagio.
“Perché fai così adesso, Hikka? Credevo di piacerti, no? Non è questo quello che hai sempre desiderato?” lo provocò, accarezzandogli le cosce, premendo sulle ginocchia, per fargli stendere nuovamente le gambe.
Hikaru si mosse imbarazzato sul materasso, guardando impaurito l’altro, sentendosi fuori luogo; cercò di liberarsi dalla prigionia della corda, ma era stato legato in modo troppo stretto e gli era impossibile sciogliere i nodi, anzi, si stava facendo solo male.
“Yabu, non… se ho detto qualcosa di sconveniente a causa del sakè, davvero, perdonami. Non volevo irritarti e…”
“Smettila!” Yabu gridò, sovrastando la voce tremante di Hikaru, afferrandolo per i capelli, attirandolo verso di sé, facendogli poi piegare la testa all’indietro.
Il più piccolo trattenne un gemito di dolore, serrando gli occhi, qualsiasi cosa dicesse Yabu non lo faceva finire di parlare e lui continuava a non comprendere cosa gli stesse succedendo, per quale motivo si trovasse lì, legato sul suo letto; la testa gli faceva male, sentiva le tempie pulsare.
“Non mi interessano le tue scuse, non mi interessa niente di quello che hai da dirmi, Hikaru. Adesso parlo io e tu mi starai a sentire, per capire una buona volta come stanno le cose!” esordì, scendendo dal letto e iniziando a spogliarsi: si tolse prima i pantaloni, poi la camicia, risalendo sul letto, in piedi, mettendosi di fronte al più piccolo, iniziando ad accarezzarsi in mezzo alle gambe, sentendo subito il proprio membro indurirsi.
Hikaru lo osservò masturbarsi velocemente e spingere in avanti il bacino, sentendo di nuovo la mano sulla sua testa.
“Hai detto di amarmi, Hikaru, hai detto di sapere chi io sia e di conoscermi, mentre invece di me non sai nulla” chiarì. “Sai…” gli disse, mentre con la mano libera gli sollevava il mento, stringendolo, avvicinando la punta del proprio sesso alle labbra, infilandoglielo in bocca.
Hikaru tenne gli occhi chiusi, cercando di allontanarsi, ma la mano del più grande premeva sulla sua nuca, impedendoglielo.
“Muoviti!” gli ordinò, spingendo indietro il bacino e muovendolo poi di nuovo in avanti, tanto che Hikaru fu costretto a obbedire.
“Sai, Hikaru” continuò Yabu, massaggiandogli il collo con le dita, mentre sentiva la lingua di Yaotome percorrere il suo sesso e scivolare in avanti, in modo lento che lo fece eccitare ancora di più. “Non era una novità per me il fatto che ti piacessi. Ma credevo fosse chiaro che io per te non provo la stessa cosa. Ti considero solo un amico o meglio…” si interruppe, mugolando di piacere, portando anche l’altra mano alla testa di Hikaru, muovendosi insieme a lui, assecondando il proprio piacere. “Ti consideravo” concluse, tirandogli indietro la testa e venendo sul suo viso, sporcandolo.
Lo guardò e sorrise soddisfatto di sé, quando lo vide cercare di pulirsi con il braccio, nascondendovi il volto, prima di fermarlo.
“No!” gli disse secco. “No”, ripeté più piano, inginocchiandosi di nuovo sul materasso, tra le sue gambe, dopo avergliele divaricate con forza, avvicinandosi al suo orecchio.
“Leccalo!” ordinò, passandogli un dito sulla guancia, raccogliendo un po’ di sperma e portandoglielo alle labbra.
“Yabu…” tentò di lamentarsi Hikaru e il più grande ne approfittò per costringerlo a eseguire l’ordine, aspettando che facesse lo stesso con quello che gli era colato sulla bocca.
“Per favore…” lo supplicò Yaotome, guardandolo con espressione implorante.
“Fallo ho detto!” ripeté Kota, stringendogli le guance, fissandolo, fino a che non lo vide sporgere la lingua in fuori e passarsela sulla labbra.
“Ecco, così, bravo. Non sei neanche tanto male, sai? Forse avrei potuto darti una possibilità, se solo tu non fossi stato così, patetico, Hikaru” lo offese, scendendo a baciargli il collo, mordendolo, facendo gridare Hikaru, passandogli le unghie lungo le costole e il torace, lasciandogli dei segni, scendendo sulle sue gambe.
“E non dirmi che non ti sta piacendo” mormorò con cattiva malizia, passandogli una mano sul sesso, sentendolo eccitato.
“Yabu, per favore… perché?” gli chiese, Hikaru, con la voce tremante, vicino alle lacrime; aveva paura di quel Yabu, non era il ragazzo con cui lavorava ogni giorno, non era lo stesso ragazzo di cui si era innamorato, non era Kota.
“Perché Hikaru?” ripeté Yabu, facendogli il verso, infilando un dito dentro di lui, senza preoccuparsi di cercare qualcosa che potesse alleviare il suo dolore, allargandolo in modo brutale, sentendo Hikaru inarcarsi e gridare di dolore, provando ancora più piacere a quella sua reazione. “Perché ti voglio dimostrare quanto ti sbagli, Hikka” continuò, aumentando il numero delle dita dentro di lui, iniziando a muoverle insieme da subito. “Devi capire che il ragazzo di cui dici di esserti innamorato esiste solo nella tua testa e che io non sono così come tu mi vedi. Anzi, tu non mi vedi proprio, Hikaru, perché io non esisto. Il Kota a cui ti sei confessato ieri non esiste!” affermò, sfilando le dita e sostituendole con il proprio sesso, penetrandolo con forza, facendolo urlare, tappandogli la bocca con una mano, facendogli male, attendendo solo qualche istante prima di iniziare a muoversi in lui, uscendo e penetrandolo ancora a un ritmo sostenuto e deciso.
“Fermo! Yabu, per favore… basta!” chiedeva Hikaru, tra le lacrime, incurante ormai di apparire forte e reagire, sentiva il proprio corpo tendersi e quasi sul punto di spezzarsi sotto quei movimenti veloci e rudi. Non aveva idea di quello che aveva fatto per far arrabbiare così tanto Yabu, per fargli decidere di punirlo in quel modo, invece di parlargli; doveva aver fatto davvero qualcosa di grave per averlo fatto arrivare a quel punto, anche se sapeva che niente avrebbe mai potuto giustificare quel suo comportamento.
Lo sentiva muoversi dentro di sé, stringergli i fianchi, graffiarlo e gridare tutto il suo piacere, incurante di come lui si sentisse, svuotandosi nel suo corpo e sfilandosi di scatto, come se non volesse trattenersi di più del necessario dentro di lui. Hikaru si accasciò sul materasso, con un senso di frustrazione e vuoto nel corpo e nel cuore; sentì il materasso abbassarsi, Yabu muoversi e istintivamente si portò le gambe al petto, sentendo poi la voce di Yabu contro l’orecchio, deriderlo.
“Tranquillo, Hikka… non ho intenzione di toccarti ancora. Credo che tu abbia capito la lezione e io non mi ripeto mai!”
Yabu gli slegò i polsi, tagliando la corda con delle forbici e Hikaru si strinse le braccia al petto, singhiozzando, sentendo una mano posarsi sulle proprie gambe. Schiuse gli occhi e vide Yabu tendergli i propri pantaloni.
“Vestiti e sparisci!”
Hikaru si risollevò a sedere, facendo una smorfia, sistemandosi prima la maglia e infilandosi poi i pantaloni; guardò Yabu che gli dava le spalle e, senza dire una parola uscì dalla stanza e dalla sua casa.
“Sei sicuro che vada bene così?” una voce morbida e delle mani delicate sui fianchi, fecero voltare Yabu che sorrise in modo dolce, come se ogni traccia del demone che pareva essersi impossessato di lui fino a pochi momenti prima, fosse scomparsa.
“Era la cosa giusta da fare” rispose semplicemente Kota, voltandosi, ricambiando l’abbraccio.
“A un certo punto ho avuto paura anche io.”
Yabu passò una mano tra i capelli scuri, chinando appena il capo.
“Mi dispiace, non volevo farti preoccupare.”
“Ma Hikaru…”
“Non è più un nostro problema adesso” lo rassicurò atono Yabu, scrutando poi per un attimo il volto dell’altro.
“È tutto apposto?”
“Sì, è solo che… quello che hai detto sul tuo vero io…”
“Questo non ha niente a che vedere con te. Con noi. Solo a te ho concesso di vedere il vero me stesso. Non ho bisogno di nient’altro.”
Il ragazzo sorrise e annuì, rassicurato.
“Ti amo, Ko” disse stringendolo, sporgendosi per baciarlo sulle labbra.
“Ti amo anche io, Kei-chan.”

pairing: hikabu, genere: oneshot, genere: angst, hey! say! jump: yamada ryosuke, hey! say! jump: inoo kei, hey! say! jump: yabu kota, fanfiction: hey! say! jump, genere: erotico, comm: think_angst, warning: non-con, tabella: armi, rpf, warning: slash

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