Titolo: Foolish love
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Inoo Kei
Pairing: Inoobu
Rating: R (per i contenuti)
Genere: angst
Wordcount: 1.753
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la community
think_angst, per la tabella Armi con il prompt ‘Pistola’.
Disclaimer: I personaggi non sono miei, non li conosco personalmente e quanto di seguito accaduto non vuole avere fondamento di verità. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Warning: slash; !death-fic
Tabella:
Armi Kei era inquieto, da giorni ormai aveva in corpo quel senso di ansia che non lo lasciava tranquillo neanche quando era in casa, in quella casa che condivideva ormai da qualche mese con Yabu.
Anzi, quelle sensazioni spiacevoli, si accentuavano proprio quando stava rinchiuso dentro quelle quattro mura con Yabu.
In un primo momento aveva cercato di non pensarci, di rilassarsi, di pensare che non aveva nulla da temere, ma non c’era riuscito, non riusciva a stare tranquillo, per cui aveva iniziato a passare in casa meno tempo possibile; rientrava tardi la sera e usciva presto di casa la mattina: se non doveva lavorare, si concentrava sullo studio e, quando le attività con il gruppo non gli occupavano totalmente la giornata, si chiudeva in biblioteca, rientrando solo a tarda sera, quando Yabu già stava dormendo. Cercava di fare meno rumore possibile, infilandosi poi dentro il letto, stendendosi accanto al compagno, riuscendo ad appisolarsi solo quando sentiva il respiro lento del compagno, sicuro che ormai l’altro fosse addormentato.
E Kei non era così sciocco da pensare di non sapere per quale motivo stesse così in ansia; aveva cercato di ignorarlo, di dare una spiegazione logica a tutto quello, ma non l’aveva trovata. Pensava che l’amore che provava nei confronti di Kota fosse sufficiente come giustificazione, per fargli riacquisire fiducia, ma si era reso ben presto conto che non era così.
Non dopo quello che aveva trovato, per caso, cercando dei fogli nel cassetto della scrivania di Kota; il ragazzo più grande teneva una scatola nel primo ripiano, Kei l’aveva spostata per cercare meglio quello che gli serviva, ma il peso della stessa l’aveva sorpreso e questa gli era caduta di mano; al suo interno c’era qualcosa che Kei non avrebbe mai sospettato di poter trovare: sul pavimento erano sparse delle fotografie. Kei si era chinato a raccoglierle, sfogliandole per cercare di ricordare le circostanze in cui quelle foto erano state scattate quando si accorse che c’era qualcosa di anomalo in esse: tutte raffiguravano Kei insieme ai loro amici più cari, foto che, però, Kei non ricordava di avere mai fatto e, soprattutto, rifletté, in quelle giornate, Yabu non era mai stato presente, non fisicamente.
Come quando, ricordò Kei, era andato fuori al cinema con Yuya, perché Yabu gli aveva detto di non poterlo accompagnare perché doveva registrare una puntata dello Yan Yan Jump.
O quando era andato a fare shopping con Yamada. O quando Daiki l’aveva invitato fuori per un gelato il giorno del suo compleanno. O quando, ancora, aveva incontrato Hikaru per caso una domenica in cui Yabu gli aveva detto che sarebbe andato a trovare i genitori e i due avevano deciso di fare un giro per le strade del centro insieme.
In tutte quelle occasioni, Kei era stato bene, si era divertito e, soprattutto, ogni singola volta che era uscito, al suo ritorno, aveva raccontato a Yabu ogni avvenimento nei minimi dettagli e il più grande l’aveva guardato sorridendo, dicendosi interessato e partecipe.
“Mi sarebbe piaciuto poter venire con voi” gli ripeteva ogni volta, passandogli una mano tra i capelli e Kei si lasciava cullare da quelle carezze, abbandonandosi contro di lui, in pace con se stesso.
E, invece, in un attimo, tutte le sue illusioni erano crollate, tutto quello in cui credeva calpestato e sporcato da quelle inconfutabili prove.
Non ci voleva credere, non poteva pensare male del suo Kota, del ragazzo che, appena poteva, gli portava la colazione a letto, del ragazzo che rimaneva con lui fino a tardi a studiare, ascoltandolo ripetere sempre le stesse cose, fino a notte fonda, anche se il giorno dopo doveva andare a lavorare fuori Tokyo.
Non poteva crederlo possibile, ma era così e quasi ogni giorno Kei si infilava di nascosto nella stanza di Yabu e osservava quelle fotografie, sentendo ogni volta le lacrime pungergli gli occhi, perché ogni volta che apriva quel cassetto, una parte del suo cuore sembrava che si scalfisse, spezzandosi.
Anche quella sera era rientrato tardi, Yuya gli aveva chiesto di vedersi per bere qualcosa insieme, poi la serata si era protratta a lungo e un semplice aperitivo era diventato una cena; Kei sapeva che Yuya doveva aver sospettato qualcosa, ma non aveva chiesto niente, perché, Kei sapeva anche quello, aspettava che fosse lui a parlare per primo, cosa che non era riuscito a fare, sebbene sfogarsi e parlare con qualcuno gli avrebbe fatto sicuramente bene.
Così era tornato a casa, ma a differenza delle altre sere, Yabu non stava dormendo e non era neanche nella loro camera.
“Kei-chan?” si sentì chiamare e Kei notò la porta dello studio socchiusa e il riflesso della luce accesa che passava sotto la soglia.
“Ko?” gli domandò, avanzando titubante nella stanza, vedendolo seduto alla scrivania, cosa che gli fece tremare appena le gambe, ma si costrinse a sorridere e ad apparire naturale. “Scusami, ho fatto tardi, non mi sono reso conto dell’ora. Mi hai aspettato sveglio, sarai stanco, andiamo a let-”
“Aspetta, Kei-chan!” lo interruppe Yabu, alzandosi e aggirando la scrivania, poggiandosi con il fianco sul bordo del piano. “Vieni” gli chiese, facendogli un cenno con la mano.
Kei si avvicinò di qualche passo, fermandosi poi quando vide le fotografie sparse sul tavolo; spalancò gli occhi, a disagio, lo stomaco chiuso in una morsa d’ansia.
Yabu si volse appena, passando una mano sulle pellicole, spargendole a caso l’una sull’altra.
“Questa è la mia collezione, Kei-chan, il mio piccolo tesoro” esordì. “Ma suppongo lo sapessi già, Kei”
“Kota, io…” tentò ancora di parlare, ma Yabu lo precedette di nuovo.
“No, no, non sono arrabbiato, Kei, non voglio spaventarti…”
“Non l’ho fatto apposta, è che mi serviva un foglio e sono cadute e…”
“Lo so, lo so” continuava a tranquillizzarlo Yabu, ma senza successo, perché stava ottenendo da parte di Kei la reazione contraria.
“È colpa mia, le ho lasciate in giro, ma… le guardo spesso e le ho sempre conservate secondo un ordine preciso, per questo mi sono subito accorto che c’era qualcosa che non andava” gli disse. “Adesso però è giunta l’ora di parlarne Kei, di farti capire e spiegare…” continuò, sporgendosi indietro, aprendo il cassetto ed estraendo una pistola.
Quando Kei la vide, spalancò gli occhi, indietreggiando istintivamente di un passo.
“Kota quella dove l’hai…”
“Ah, questa non l’avevi vista, meno male… non volevo farti preoccupare!” tirò un sospiro di sollievo, piegando leggermente una gamba, sollevandola sul piano, giocherellando con la canna della pistola e con l’impugnatura.
“Kota, che cosa… posala per favore, mi… mi spaventi” tentò di dire Kei, mentre vedeva il suo ragazzo troppo assorto in contemplazione dell’arma.
“Mi dispiace, Kei” disse Yabu senza guardarlo. “Io non ti merito.”
“Cosa? No, Ko… che dici, io… io ti amo!” si affrettò a dire Kei, rassicurandolo, sperando che quella fosse la cosa giusta da dire in quel momento, se una cosa era certo di dover fare, Kei, era che doveva mantenere la calma e farla mantenere a Yabu.
“No, Kei-chan, non capisci, io non riesco a fidarmi di te… dalla tua bocca non sono mai uscite bugie e lo so, perché anche quando tu pensavi che io non ci fossi, io ero là, sapevo tutto di te, cosa facevi, cosa dicevi e tu ogni singola volta mi hai detto la verità, nei tuoi racconti” spiegò. “Non puoi capire, Kei, come mi faccia sentire la mia impossibilità a lasciarti solo, di come dovessi e debba essere sempre presente nella tua vita, in ogni istante delle tue giornate. Pensare anche solo di non passare del tempo con te mi sta uccidendo Kei. E questo è sbagliato” si fermò dal parlare, per poterlo guardare e gli sorrise. “È sbagliato, capisci? Io ti amo troppo Kei-chan, ma non riesco a dimostrartelo nel modo giusto!” confidò, passandosi la pistola da una mano all’altra.
“No, Kota, io lo so che mi ami, io lo sento e… te l’ho detto, ti amo anche io. Passeremo più tempo insieme, se vuoi, io resterò a casa a studiare quando non lavori e passeremo insieme ogni giorno libero e… a me farebbe… mi farebbe piacere, Ko” si sforzò di dire, mentre cercava di impedire alla propria voce di tremare e smascherare le sue menzogne.
Yabu ridacchiò, scuotendo il capo, sedendosi di nuovo con entrambe le gambe per terra, scivolando in avanti.
“No, Kei, non va bene così, questo non è amore!”
“Sì che lo è Kota. Io… io voglio stare con te, solo con te!”
“No!” gli urlò, per farlo tacere. “No” ripeté più piano. “Lo so che hai paura di me Kei e non ti do tutti i torti e…” sollevò una mano per impedirgli di contraddirlo ancora, “e non voglio che mi assecondi perché mi credi pazzo!”
“Io non…”
“So di esserlo, Kei, so che ormai ho perso il controllo, ma ho trovato la soluzione, la soluzione a tutti i miei problemi, i nostri problemi” sottolineò, battendo una mano sulla canna della pistola. “È lei, lei ci aiuterà a uscirne!” affermò.
“Kota, Kota, no, fermo cosa vuoi fare, co-” mosse un passo in avanti, fermandosi quando lo vide puntargli la pistola contro per impedirgli di avvicinarglisi. “Kota non farlo, ti prego, mettila giù!” disse, tirando fuori una calma che sapeva non gli apparteneva, ma non riusciva a muoversi, aveva paura di voltarsi, aveva paura che sparasse. Non voleva morire, tutto quello che pensava era che non voleva morire.
Yabu rise, sorridendogli poi, chiarendo: “Non ti farò niente, Kei, perché tu non hai nessuna colpa, sono io, sono io che ho un problema e sebbene questo mio problema sia tu, io non voglio farti del male” spiegò.
E Kei capì, in un attimo, comprese le sue reali intenzioni.
“Mi dispiace, Kei-chan, io ti amo e per questo lo devo fare” gli disse, volgendo la pistola contro di sé, la punta contro la tempia.
Kei spalancò gli occhi, il terrore che gli congelò il sangue nelle vene, quando lo vide abbassare la sicura e poi l’indice premere il grilletto.
“No, Kota!” lo chiamò, riuscendo a darsi lo slanciò in avanti, per fermarlo, sentendo poi lo sparo e vedendo il sangue schizzare e macchiare la parete vicina, la scrivania, le foto sparse su di essa e il suo volto.
Si fermò di nuovo, avanzando lentamente, un passo dopo l’altro, vedendo il corpo di Yabu scivolare a terra, la pistola ancora intrappolata tra le dita e un sorriso dolce sul viso. Si passò una mano sulla guancia, sporcandosi il viso, accostandosi le dita alle labbra, sentendo il sapore e l’odore del sangue di Yabu addosso.
Si inginocchiò a terra, reggendosi alle spalle di Yabu e, privato di ogni forza, lasciò andare un’unica lacrima.