[Doctor Who] Tea for breakfast

Mar 30, 2013 19:09

Titolo: Tea for breakfast
Fandom: Doctor Who
Personaggi: Rose Tyler, Eleven, John Smith
Rating: PG/SAFE
Avvertimenti: Possibilmente TWT, ma praticamente dopo la 7x05, Fluff, Famiglia mulino bianco
Conteggio Parole: 4141
Note: Ho pronta questa storia dall'inizio del mese - aspettavo un po' di sbloccarmi perché scrivere con il blocco del fanwriter non è mai una buona cosa; infatti la shot in sè mi pare asettica ma, diciamocelo, era stufa di marcire lì in fondo al pc; e un po' le voglio bene.
Riassunto:
Scritto per l'iniziativa "Sconfiggiamo l'autofill!" indetta @piscinadiprompt con il prompt Doctor Who, Eleven/Rose, "È tuo/a figlio/a? Ti somiglia molto. E somiglia molto anche a me. Cioè a lui" + con il prompt "Favole a lieto fine" per la IX notte bianca @maridichallenge

«Sai che le onde elettromagnetiche possono viaggiare nel vuoto a una velocità di trecento chilometri al secondo?»
Rose sobbalza. La pentola inizia a bollire, l'acqua che cade sul gas emette un rumore simile a un risucchio. Borbotta un cavolo a denti stretti, che sarebbe stato un merda se non fosse stata in presenza di suo figlio. È che non se lo aspettava, ecco tutto.
Jonathan la guarda dal basso verso l'alto, il sorriso tipico di chi ha appena scoperto qualcosa di fondamentale sull'esistenza senza averne compreso appieno l'importanza. Ha una cascata di capelli biondi che vanno tagliati, a meno che non voglia iniziare a sembrare un femminuccia, e un ricciolo gli ricade sulla fronte.
Il Dottore - John, pensa Rose, non il Dottore - entra subito dopo il bambino. Anche se sorride, negli occhi ha lo stesso orrore di Rose. È un riflesso, solo un'ombra, una reazione incondizionata alla parola vuoto.
«Non è fantastico, mamma?» continua. Rose guarda John e John guarda Rose e nessuno dei due sa perché, sorridono. È stupido, pensa Rose, mentre un'onda di calore le attraversa il petto. «Questo significa che si può viaggiare attraverso tutto il niente solo con una barca!» continua, cristallino, e fa ridere di gusto i suoi genitori. Gonfia le guance (sembra dire «Sono serio, mamma! Non ridere») e corre nell'altra stanza, la testa colma dell'immagine una barca su uno sfondo nero, governata da pirati buoni che inseguono il tesoro più ricco di tutti. A Jonathan piacciono i pirati. Una volta, John gli ha raccontato di un suo vecchio amico che si faceva chiamare il Corsaro - ha parlato delle sue avventure, dello spazio e del tempo. E poi, quando Jonathan si è finalmente addormentato, ha scoperto Rose sulla porta ad origliare, un solco in mezzo alle sopracciglia che urlava di curiosità, così ha continuato a parlare finché anche lei non è crollata come una bambina e l'ha portata a letto in braccio.
John si massaggia il collo con una mano e le bacia una guancia, posando la valigetta blu vicino all'appendiabiti dell'ingresso che da all'interno sulla cucina e all'esterno su un piccolo giardino.
«È come te» le sussurra, passandole una mano tra i capelli «Sempre in cerca di qualcosa di fantastico».
Rose quasi si lascia sfuggire un'altra risata «Quel bambino ha sei anni e parla di onde elettromagnetiche quando dovrebbe imparare a leggere» spegne il gas «Credo di poter perdere nel gioco delle somiglianze».
John aggrotta le sopracciglia. Vorrebbe dirle che no, non è assolutamente vero. Che non ha idea di quanto sia stato bello - di quanto sia bello - amare una persona come lei. Rose si sottovaluta. E lei gli legge quei pensieri negli occhi, così risponde con uno scappellotto che lo fa sobbalzare.
«Comunque continua a ripeterlo da quando è uscito da scuola» le lascia lo spazio necessario per aprire il cassettone; John si inchina e tira fuori lo scolapasta, posandolo nel lavello «Per tutto il tragitto in macchina iniziava tutte le frasi con papà, papà, sai che il vuoto»
Poi Jonathan ritorna nella stanza, le mani gocciolanti perché se le è appena lavate e ha la brutta abitudine di non asciugarle mai. Guarda il papà scolare la pasta e la mamma scuotere la testa divertita. A volte a Jonathan piace osservare i suoi genitori: lo rende felice quando sono felici.
«A tavola, signorino» dice la mamma, con tono scherzoso. Lui sorride. «E voglio sapere di quando in quando le maestre parlano di fisica al primo anno di scuola»
«Oh, ma mamma!» scuote la testa, mettendosi seduto «Non è stata la maestra a parlare del vuoto».
«Ah, no?» commenta il papà, storcendo la bocca.
«No» insiste, mente la pasta viene portata in tavola «È stato un signore. A un certo punto, stavamo facendo lezione e si è sentito un rumore stranissimo! Tipo whoom-whoom-whoom» allarga le braccia per dare enfasi «E compare una cabina blu, e ne esce fuori questo signore buffissimo, che sembra un bambino ma è un adulto. È stato lui a dirmelo»
Rose è pallida, mentre il figlio parla.
«Era un po' strano, però»
John non dice niente e la guarda.
«Parlava di mondi paralleli, capite?»
Spera solo che non stia facendo male.
«Una cosa supermegafiga!»
Eppure qualcosa si apre in Rose
«E il vuoto - capite, è ciò che sta tra un mondo è l'altro»
ed è una crepa che solo Il Dottore può cucire.

Rose ama John. Lo ama come non ha mai amato nessuno, come se la sua vita dipendesse solo dall'amarlo - a volte, lo ama così tanto da farle male, fisicamente male. E allora ride (ridono insieme) perché una cosa così, una cosa così sconvolgente non può essere reale. Rose prende la sua felicità a mani aperte e ne fa bottino, trafugandone il più possibile, perché è una felicità che si merita; che si meritano entrambi.
Qualche volta, però, Rose non può non pensare allo sguardo del Dottore quando ha baciato John alla baia.

«Non può essere qui» sussurra Rose, chiudendo la porta dietro di sé. Jonathan fa i compiti in salotto. Il papà ha promesso di aiutarlo non appena finirà di lavare i piatti con la mamma. Si arrotola la camicia lungo gli avambracci.
«Lo so» risponde. Cerca di sorridere ma non ci riesce «A meno che...»
«Non ci siano problemi. Grossi problemi. Terribili, devastanti problemi»
«Ma a Torchwood non abbiamo registrato nessuna anomalia»
«E il vuoto non si attraversa così facilmente»
«Non senza un motivo».
Rose sembra pensarci. Insapona un piatto con la lingua tra i denti, come se stesse cercando di visualizzare qualcosa. È concentrata. John distoglie lo sguardo e, improvvisamente, ha paura. È abbastanza intelligente - troppo intelligente - da capire che se fosse stato il Dottore, se avesse trovato un modo, uno soltanto, per trovare Rose, avrebbe attraversato il vuoto e l'avrebbe ripresa con sé. Sarebbe stato egoista: avrebbe cercato un modo per far sì che Rose fosse per sempre, anche se sarebbe stato niente più che un vecchio avaro.
Però, continua, il Dottore che ero non è il Dottore che sono diventato. È un ragionamento così assurdo che per poco non lo confonde. Lui, come metacrisi, è il Dottore della guerra del tempo che viene guarito da Rose.
Il Dottore che ha lasciato Rose nella baita è un'altra persona - è una persona meno egoista, forse.
John, d'altro canto, è anche umano. E non può pensare di perdere Rose di nuovo.
«Magari» riprende Rose «Ci stiamo preoccupando per niente. Insomma - strofina il piatto - non c'è nessun guaio all'orizzonte. Stiamo bene. Jonathan sta bene. Il Dottore non ha alcun motivo di essere qui. Avrà lavorato di fantasia - colpa tua che gli racconti di tutti i nostri viaggi. Raxacoricofallapatorius te lo potevi risparmiare».
«Hey! Sei stata tu a volerlo visitare».
«Ero curiosa»
«È stato un bel viaggio»
«Oh, sì - tranne per la parte finale, dove ci hanno quasi immolato alla loro divinità carnivora»

Rose mente al suo Dottore perché conosce Il Dottore, che può essere lì per errore, perché un sole è esploso e si trovava in mezzo; perché la T.A.R.D.I.S. ha fatto i capricci oppure perché il mondo sta finendo. Può essere lì perché ci sono problemi con John.
Si morde il labbro. Insapona il piatto.
Il punto è che ci sono mille motivi per i quali il Dottore potrebbe essere nel loro universo - in tutta onestà, ha sempre creduto che la cosa del vuoto e del crollo dei mondi fosse una cazzata; che un popolo come quello dei signori del tempo avrebbe tranquillamente potuto trovare un modo per passare di traverso, anche solo in una piccola crepa nel tessuto del mondo. Perché con il Dottore ha imparato che c'è sempre il modo.
In ogni caso, non vuole che John si preoccupi. Vuole che John aiuti Jonathan a fare i compiti e poi lo porti al planetario, come promesso. Ecco cosa vuole.
Poi dice «A meno che non esista un altro te in questo universo»
«No, lo saprei»
«Ha a che fare con il vortice del tempo, o qualcosa di simile?»
John annuisce. Già. Qualcosa di simile.

-

John porta Jonathan al planetario, esattamente come promesso, e Rose mette su il thè. Tira fuori due tazze, che dispone l'una di fronte all'altra nel tavolo rotondo della cucina. Adagia i cucchiaini sul piattino, posa la zuccheriera e i biscotti e i fazzolettini di carta, quelli con la fantasia a fiori che sono avanzati dalla festa della mamma. Per l'occasione, John aveva tentato di cucinare una torta di quelle come si fanno su Gallifrey. Il risultato è stato pessimo - sorride e l'acqua bolle - ma solo perché, a detta sua, mancavano gli ingredienti fondamentali, che sulla terra non vendevano.
(Whoop-Whoop-Whoop)
Usa una presina per togliere la teiera dal fuoco. English Breakfast: tre minuti di infusione, sennò è troppo (o troppo poco) e il thè si rovina.
«Rose Tyler»
L'aspetto potrà anche essere cambiato, ma pronuncia il suo nome sempre nello stesso modo, con l'oro negli occhi e il sorriso sulle labbra.
«Ancora alla difesa della terra».
Rose rimuove il filtro e versa il thè nelle tazze.
«O della cucina. Dipende dai punti di vista»

Rose sapeva che il Dottore sarebbe arrivato. Non l'ha intuito da sola, però. L'ha visto in John, anche se non saprebbe dire proprio in che modo l'abbia fatto. È come una specie di presentimento; una cosa che si sente a pelle e con cui si ha familiarità; o, ancora, accade quando diventi parte integrante della vita di un'altra persona, e allora non hai più bisogno delle parole.
In realtà il thè è stata una scommessa. Pensare che il Dottore sarebbe arrivato proprio quando si fosse trovata da sola è stato infimo, ma veritiero.
Il Dottore la guarda dal ciglio della porta, la T.A.R.D.I.S sicuramente atterrata nel loro piccolo giardino. Chissà se ha fatto danni. Chissà se si ricorda ancora di lei, quella vecchia signora. Chissà se il Dottore ha un'altra compagna.
Sorride. Ovvio che c'è l'ha. Il Dottore non viaggia mai da solo. Una decina d'anni addietro questa idea l'avrebbe uccisa; o resa terribilmente gelosa.
Rose non osa pensare cosa potrebbe succedere se il Dottore viaggiasse da solo. In passato ha creduto di essere l'unica; poi ha capito che non si trattava di lei e che il Dottore, oh, il suo Dottore, l'uomo più solo dell'altro universo, ha bisogno di avere compagnia; di sentirsi meno solo sapendo di non esserlo affatto.
Vorrebbe abbracciarlo, Rose, ma invece gli indica la sedia.

È stano da osservare. Ha un farfallino - rosso, adorabile, totalmente diverso dal completo Blu o dalla giacca di pelle - e una camicia strana; una giacca di tweed e delle bretelle. Sembra il personaggio della fantasia di un bambino. Poi però lo guarda meglio, e ne vede i tratti ombrosi del viso, l'incrinatura del sorriso, lo sguardo, e ripensa a quello che ha detto Jonathan, al fatto che sembri un bambino ma che però sia molto vecchio, come se avesse il peso del mondo sulle spalle.
Nella sua vita, se c'è una cosa che Rose ha imparato a fare bene, è leggere il Dottore.
Spera sia così. Perché quello non è più il Dottore che conosceva.

«Rose» ripete il suo nome come se non avesse altro da dire; come se non sapesse cos'altro dire; come se non ci fosse nient'altro da dire. È titubante. Si muove come se non dovesse essere lì - e in effetti, non dovrebbe essere lì. Poi sorride, ed è come se il suo volto si sciogliesse «Ne è passato di tempo, eh?».
Rose si siede. Mette due cucchiai di zucchero nel proprio thè. Il Dottore la imita, ma quando mette lo zucchero Rose perde il conto dopo il sesto cucchiaino.
Non sa esattamente cosa dire. Un tempo parlare con il Dottore è stato semplice come respirare. Ora le parole sembrano tutte inappropriate. Vorrebbe chiedergli: Dio santo, che è successo? E che è quel dannato taglio di capelli? Dottore, non dovresti portargli così tanto tirati all'indietro, ti fanno il viso strano. E sei sciupato. Ah, già ti vedo, a correre per l'universo e a dimenticarti di mangiare. Quando ero con te non te lo lasciavo fare, ricordi? Ti imponevo un pasto prima di ogni nuova meta, perché sennò entrambi ci dimenticavamo di mangiare. Spero che tu abbia qualcuno che faccia lo stesso, che ti obblighi a restare umano; che ti faccia sorride come hai sorriso prima.
Sembri così triste, Dottore.
Rose prende un piccolo respiro, come se dovesse recuperare fiato dentro la propria mente.
Il Dottore la guarda, una scintilla conosciuta nello sguardo «Sto bene, Rose» e il suo tono è pacato, quasi dolce «E tu... tu, e lui, e... come stai?» si schiarisce la gola e si spinge in avanti, verso il tavolo «Come state?»
«Bene» Rose sorseggia il proprio thè. Incrocia le gambe sotto il tavolo «Voglio dire, abbiamo avuto una settimana abbastanza tranquilla a Torchwood - nessun alieno che cerca di attaccarci e nessuna strana astronave in vista. A volte penso che se ci fosse Jack, in questo mondo, l'ufficio sarebbe divertente anche durante le giornate di calma piatta» si ferma «Anche se preferisco quelle in cui bisogna correre fino alla fine per salvare tutto» sorride e poi, di conseguenza, ridacchia. Non è una stacanovista, non vuole che la terra sia sempre sotto attacco, solo che si diverte di più quando sono al limite. Non lo dirà mai a voce alta, ma John lo sa perché anche lui la vede allo stesso modo. Jackie dice che sono pazzi e probabilmente è vero.
C'è un attimo di silenzio.
Il Dottore cerca di bere un thè saturo di zucchero e Rose lo spia con la coda dell'occhio.
«Perché sei qui?» dice infine, tutto d'un fiato. Poggia la tazza, la gira con due dita, poi torna a guardarlo negli occhi.
«Per salutare una amica»
«Ne abbiamo passate troppe perché creda che sia solo questo».
Ed è vero. Rose sa che il Dottore quando dice addio non torna mai più, neanche per dire ciao.

Il Dottore apre e chiude la bocca. Si agita sulla sedia come se fosse solo un ragazzino di seicento anni, tutta aria e poca esperienza, e spera che Rose - Rose, Rose, la sua Rose - non lo noti. E invece lo nota. Lo nota eccome. Un solco le si dipinge in mezzo alle sopracciglia. È strano, rivederla. Non strano come si era aspettato. Strano nel senso che è tutto diverso ma sembra tutto uguale. Più o meno. Strano. Strano nel senso che è come essere tornati a casa dopo un lungo viaggio, e la stanchezza sparisce nell'esatto momento in cui mette un piede dentro l'uscio e aspetta impaziente i saluti del ritorno.
«Sono caduto in una crepa» spiega.
«Credevo non ci fossero più crepe nel vuoto»
«Lo credevo anch'io»
Rose lo guarda di sottecchi. Scuote la testa e emette uno sbuffo bizzarro, di quelli rassegnati e diverti che sanno di io lo sapevo, Dottore, non cambi mai.
Invece il Dottore cambia. Non solo d'aspetto. Ogni sua incarnazione ha qualcosa di nuovo, qualcosa di più e qualcosa di meno della precedente. Questa, per esempio, è più pesante di quella precedente, anche se finge di essere leggera. A questa piace scherzare; a questa, il passato importa, ma sa che non può condizionare il presente, così non ci pensa e finge di dimenticarlo; qualche volta, lo dimentica davvero.
«Quindi... sempre in viaggio?»
«Non mi fermo mai»
«Ultime mete?»
«Terra, per lo più. Una visitina a New York in un periodo infelice»
Rose inclina la testa. Qualcosa gli dice che sta pensando a New New (e per altre tredici volte New) York. E se non ci sta pensando lei, sicuramente ci sta pensando lui.
«Credevo che ti piacesse esplorare nuovi pianeti»
Il Dottore sorride «Sto invecchiando. Divento sempre più pantofolaio ogni giorno che passa»
A quel punto, Rose alza lo sguardo su di lui. Smette di fissare il suo farfallino - non ha ancora detto niente sul farfallino e tutti dicono qualcosa sul farfallino e diavolo, non importa, perché vuole che Rose dica la sua sul farfallino - e scoppia a ridere. Si porta una mano al viso e quasi si piega sulla sedia. Il Dottore la guarda e ride anche lui.
«Tu? Pantofolaio? No, no. Dottore. No» continua a ridere, cercando di respirare e riuscendoci a fatica. Ha il viso rosso e gli occhi lucidi «Puoi provarci, puoi pensarlo, puoi convincertene. Ma ti piace troppo salvare tutto. Lo so. Non puoi farne a meno. Ricordi quella volta dei lupi mannari?» batte una mano sul tavolo, spingendosi in avanti «Poco importa se fosse una specie aliena. Erano lupi mannari. E la famiglia reale!»
«Oppure la volta con Dickes. Oh, grand'uomo» continua, agitando una mano «Sono tornato a trovarlo e non mi ha riconosciuto»
«Davvero? Beh, non mi sorprende! Guardati!» esclama, e poi fa un gesto con le mani, indicando tutta la sua figura, come per dire nuova faccia, nuovi vestiti, nuovo te; è uno scrittore, non un indovino.
«Qualche anno fa ho conosciuto Van Gogh. Un po' meglio di Picasso - ricordi Picasso? Ti fece quel ritratto stranissimo e io gli dissi “Pablo, un occhio a destra c'è, ora cerca di farlo a sinistra” - ti sarebbe piaciuto, Vincent, dico sul serio».
Ridono, ed è in quel momento che il Dottore si rende conto che Rose gli è mancata.

Rose si asciuga una lacrima e sfiora uno zigomo del Dottore con le dita. Ne traccia il profilo con gli occhi socchiusi, alla scoperta di quel nuovo viso. Non si è accorta di essersi avvicinata così tanto, di essersi quasi distesa sul tavolo per raggiungerlo. Qualcosa nel suo petto si agita. Sorride.
«Viaggi da solo?»
«Sì» risponde. Lo sguardo del Dottore è concentrato sulle dita di Rose «Sì» ripete, in un sussurro.
«Male. Non devi viaggiare da solo» sbuffa. Scuote la testa e si rimette a sedere composta, sistemandosi i capelli dietro l'orecchio «Poi succede che ti ritrovi in mondi paralleli, senza compagnia, senza disastri, e ti annoi a tal punto da andare a traumatizzare poveri bambini di scuola elementare».
E c'è qualcosa, qualcosa nel modo in cui il Dottore la guarda, qualcosa nel modo in cui storce gli angoli della bocca e muove le mani che le fa capire che viaggia da solo perché ha appena perso i suoi (o la sua) compagni di viaggio. È lo stesso modo con cui l'ha guardata alla bad wolf bay.
«È stata una coincidenza, però devo ammettere di averlo riconosciuto subito. Sangue di Time Lord a parte, ti somiglia. E somiglia anche a me» interrompe la frase. Ha sbagliato qualcosa. Il Dottore se ne rende conto e prova vergogna e orrore insieme. Spera che Rose non l'abbia notato, ma il modo in cui ha abbassato gli occhi è abbastanza eloquente da non fargli sperare che l'abbia fatto «Cioè, assomiglia a lui»

C'è un attimo in cui qualcosa in Rose cambia. Ha sempre creduto che ritrovare il Dottore avrebbe rotto qualcosa e forse - forse - l'ha fatto. Ma non è una cosa negativa; non come si sarebbe aspettata. È difficile da dire, perché tutto è difficile con il Dottore, ma è come aver aggiustato qualcosa - non in lei e non nel Dottore, ma in loro. Rose non sa ancora cosa. Il desiderio di abbracciarlo si ripresenta, ma sarebbe oltremodo goffa se lo facesse attraverso un tavolo, così si rimette composta e incrocia le braccia, come se si dovesse riscaldare, e pensa a quanto sarebbe piaciuto a John ritrovarlo. E poi - Rose sorride - sarebbe stato preoccupato e leggermente geloso e John fa sempre cose assurde, quando si trova in quello stato d'animo. Dice che gli umani sono complessi; che sono più grandi all'interno e qualche volte ha problemi con le emozioni o con il fatto di avere un cuore solo. Lui, che un tempo gestiva secoli di vita.
A quel punto, si accorge di aver fatto passare troppo tempo, che il Dottore la sta guardando e ha davvero paura di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Vorrei fartelo conoscere» dice allora «Fermati per cena»
E il Dottore dice di sì, anche se sa con tutto il cuore che non dovrebbe.

**

John trova ridicolo il modo in cui il nuovo sé si è conciato. E a Rose piace «Andiamo, guarda quel farfallino!» e l'ha detto nello stesso modo in cui l'ha detto suo figlio. Per un attimo, John ha pensato di mettersene uno, poi si è scompigliato i capelli e si è dato dello stupido.
Prende un piccolo respiro. Il Dottore gioca in salotto con Jonathan e ha puntato un cacciavite sonico (verde e grande, molto grande) verso un giocattolo per cercare di aggiustarlo, facendolo però esplodere. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così strano vedere l'altro sé giocare con suo figlio. È un po' geloso.
Non che essere gelosi di se stessi sia normale, ovvio, ma John si conosce e sa di poter essere irresistibile, se lo vuole, anche con farfallino e bretelle.
«Incredibile» dice, passandosi le mani in volto. La vicinanza con l'altro sé gli causa uno spiacevole mal di testa di cui si vuole sbarazzare il prima possibile.

La cena va bene, in un modo che John non si sarebbe mai aspettato. Continua a guardare Rose di sottecchi per tutto il tempo, ma non trova nulla di strano in lei. È serena e ciò lo agghiaccia, in qualche modo, come se ci fosse una differenza troppo forte tra la Rose di quel pomeriggio e la Rose dell'altra sera. Ha detto che lei e il Dottore hanno parlato, quando lui non c'era. Del più e del meno.
Ma è questo che il Dottore fa: cambia le persone; le rende consapevoli di quello che sono quando neanche loro lo sanno. L'ha fatto per così tanto tempo, prima di essere dislocato in quel corpo semiumano e capace di invecchiare.
Non parlano del presente. Tirano fuori vecchi ricordi finché Jonathan non è troppo stanco per ascoltarli senza capire del tutto, e viene portato a letto controvoglia e sfinito da un Dottore che canticchia in un'altra lingua.
John riconosce tratti del dialetto del nord del suo - loro - pianeta, ma è così tanto tempo che non parla la sua lingua da non esserne tanto sicuro. Forse la sta dimenticando, ma la verità è che non gli importa. Non più. Non ora che ha qualcosa di più a cui deve dare importanza.

John raggiunge di soppiatto il Dottore, mentre socchiude la porta della camera di Jonathan con un dito sulla bocca, come per dirgli di fare piano.
Non ha ancora avuto un confronto diretto con il Dottore. Ha solo sgusciato nelle parole di Rose e si è adagiato a tutto ciò che hanno fatto insieme, anche se ai tempi erano due e non tre; è stato più semplice così.
Perché incontrare se stessi non è una cosa che capita tutti i giorni, ma ammette di aver davvero poco da dire a quel lui con il farfallino. Solo «Come stai?» e gli esce dalle labbra come la cosa più strana che abbia mai detto. Se ne sorprende, strofinandosi gli occhi, e se ne sorprende anche l'altro lui. Il Dottore apre e chiude la bocca. John può sentire Rose canticchiare al piano di sotto e secoli di tormenti inondare il viso del signore del tempo.

Il Dottore lo aggiorna sulla sua vita. Parla di una bambina, di una balena ultima della sua specie; parla di quella volta che ha visto Hitler, anche se non ha potuto ucciderlo, e di una, due, tre volte che ha salvato ancora il mondo. Queste cose a Rose non le ha dette. Stanno seduti in cima alla rampa di scale, nella penombra, sussurrando come due vecchi amanti, incapaci di guardarsi negli occhi per troppo tempo.
Il Dottore è parecchio sintetico e non mancano i momenti di silenzio.
Poi dice «Mi sono sposato» e John si immobilizza.
Prende un profondo respiro.
«La ami?».
Il Dottore sorride.
«Spero che tu gliel'abbia detto» dice John.
«Più volte».
«Bene» trattiene il respiro «Diglielo. Tanto. Spesso. E non pensare mai che una cosa come questa possa essere sottintesa. Mai.».
«Tu glielo dici?» Lo dici a Rose? È ciò che non aggiunge. il volto del Dottore cambia e si contrae. Abbassa gli occhi, perché ciò che ci sarebbe è vergona.
John si ferma e lo guarda, lo guarda e basta, e si chiede dio, questo sono io? È come guardarsi allo specchio? È diverso? Questo sono io, un possibile io; quello che sarei diventato (che sono diventato) senza Rose.
«Tutti i giorni. Sempre. Più volte. In modo che lo sappia sempre».
Il Dottore annuisce. In qualche modo, sembra sollevato. Sembra felice.
«Grazie» dice infine «Di averle dato quello che non le ho mai potuto dare».
John scuote la testa. Prende un grande respiro e la voce gli trema, mentre stringe un pugno lungo un fianco. Deve parlare più volte prima di riuscirci e, a posteriori, la cosa lo farà ridere, perché il parlare è sempre stata la sua specialità. «Grazie» risponde ed è per tutto. Per non averla ripresa con sé, per avergli lasciato la vita, la vita che aveva sempre voluto senza sapere, la vita che è disposto a continuare a vivere per lei e oh, dio, è pateticamente innamorato di sua moglie come il primo giorno.

Il Dottore se ne va.
(Whoop-Whoop-Whoop)
E quello è il suono di un altro universo.

2013, notte!bianca, fandom: doctor who, pg/safe, fanfiction

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