Titolo: All the way home (I'll be warm)
Fandom: Jeeves & Wooster
Pairing: Bertie/Vince (OMC/OMC)
Rating: NC-17
Conteggio parole: 2159 (W)
Prompt: Original, M+M, neve @
P0rn Fest #3 (
fanfic_italia)
Warning: Fluff. Fluuuuuuuuff.
Note: Ho usato un prompt originale perché i personaggi sono originali e non c'è alcun riferimento al fandom di partenza. Altro su Bertie & Vince
qui. Questo racconto fa parte, come
La mirabolante storia del dito-cipolla, della mini-mini-serie del cottage.
“Si chiamava James. Giocava a rugby.”
“Bello?”
“No, non tanto. Però aveva due spalle così.” Bertie aprì le braccia per dargli un'idea dell'esatta misura. “Era impressionante, te lo giuro. Pensavo che mi avrebbe schiacciato come un coniglietto sotto un trattore.” Ridacchiò al pensiero, ma Vince non gli sembrò in vena di unirsi alla sua allegria. Era stranamente taciturno, quella sera -- vale a dire, più taciturno del solito.
Allungò una mano indietro per accarezzargli i capelli, vagamente seccato di non poterlo guardare in faccia da quella posizione, ma troppo pigro per voltarsi. I riccioli di Vince erano morbidi e ancora umidicci, soprattutto da quel lato che era più lontano dal fuoco.
Bertie stese i piedi verso il camino, sentendo il tepore confortevole raggiungerlo attraverso la lana dei calzini.
“I suoi hanno una tenuta qua vicino, ora che ci penso. Sono originari di queste zone. Ci sono venuto una volta...”
Vince sbuffò tra i suoi capelli, ma Bertie non capì se era un gesto d'insofferenza o solo un respiro più profondo. La mano sinistra di Vince giocherellava stabilmente con la sua da un quarto d'ora, perciò gli sembrò che fosse tutto a posto.
“È stato bello, finché è durato. Jamie non masticava molto di letteratura e filosofia, però aveva senso dell'umorismo. E poi...” Esitò, quasi decise di lasciar perdere, ma la mano di Vince si fermò sulla sua, schiacciandola sopra la sua coscia.
“Scopava bene” completò per lui, senza interrogativo.
“Sì” ammise Bertie. Sentì il bisogno improvviso di ridimensionare tutto ciò che aveva detto fino a quel momento, perché aveva parlato a ruota libera come al suo solito. “Ma non è durata tanto. Non andavamo molto d'accordo. E poi si è sposato con la figlia di un industriale e...”
Vince affondò una mano tra i suoi capelli, deciso ma senza fargli male, spostandogli il capo di lato per baciargli il collo. A volte aveva di questi scatti, che sorprendevano Bertie ma non lo spaventavano, perché con tutta la sua aggressività Vince era privo di violenza, come un cucciolo di leone che morde solo per gioco.
“Il primo che mi ha scopato è stato mio zio” gli sussurrò all'orecchio, baciando e parlando insieme, “ma non eravamo parenti parenti. Il marito di mia zia. Oh, sì, mi ha scopato per bene, parola mia.”
“Quanti...”
“Sedici. Ma io volevo. Io ero cotto. Tutto quello che mi diceva io lo facevo.”
Bertie cercò di sorridere, concentrandosi sul mento non sbarbato di Vince che gli grattava la guancia piuttosto che sul discorso.
“E poi ho cominciato a vedermi con questo ragazzo, Steve, che stava con uno che non ricordo più come si chiamava. Forse Danny. Da soli non si divertivano più e volevano un terzo per... Sì, insomma. Lo sai.”
Bertie lo sapeva, ma non aveva voglia di sentirne parlare. Si chiese se quella di Vince non fosse una specie di vendetta perché aveva cominciato a parlare di James. Non aveva creduto di fare niente di male.
“Anche James me l'ha proposto, una volta” ribatté, nel tono più rilassato e vissuto che gli riuscì. “Con uno dei suoi compagni di squadra. Non ho mai visto uno così... Ho avuto paura per un attimo.”
“Solo un attimo, eh?” sibilò Vince, arido come un posacenere.
“E tu dove stavi, tra Danny e Stevie?” replicò Bertie, sarcastico.
“Me li sono fatti tutti e due. Non do il culo al primo che viene. Io.”
Vince aveva smesso di baciarlo e toccarlo, e Bertie sentì tempesta nell'aria. Si voltò per guardarlo in faccia, ma il gesto accrebbe la distanza piuttosto che sanarla.
“Che strano. A giudicare da stamattina, ero convinto che avessi fatto molta pratica.”
“Scusa se ti ho voluto accontentare.”
“Ma grazie per avermi accontentato” sputò Bertie, avvampando. “Non ce n'era bisogno. Mi va benissimo prenderla nel culo sempre io, se l'alternativa è che Vincent Sadler deve accontentarmi.”
“Non ho detto che non mi è piaciuto” fece Vince, improvvisamente sulla difensiva.
“Oh, Deo gratias. Almeno ci siamo risparmiati l'amnesia selettiva.”
“Ma è vero che me l'hai chiesto tu.”
“E perché no?” disse Bertie. “E perché non dovevo?”
“Gliel'hai chiesto a Jamie? O al suo amico col cazzo grosso?”
“Che c'entra questo?”
“Perché non rispondi?”
“Perché è una domanda imbecille e mi stai facendo scontare non so cosa, ma che ti ha preso?”
“Voglio solo sapere se hai chiesto al tuo amichetto Jamie di mettergliela nel culo come hai fatto con me. Ti ho fatto una domanda, è tanto difficile?”
“No che non gliel'ho chiesto, non gliel'ho chiesto perché James era un represso e un bastardo e mi avrebbe rotto tutte le ossa. E appena ha potuto mi ha mollato per uno che aveva cinque anni meno di me e non lo annoiava come facevo io. Fine della storia. Contento?”
Bertie era paonazzo in volto e sentiva bruciare le orecchie. La consapevolezza di apparire completamente stravolto fomentò la sua irritazione. Si alzò in piedi, divincolando con malagrazia una mano dalla presa di Vince.
“Ma dove vai?” fece l'altro, tentando di trattenerlo. “Eddai! Stavamo solo parlando!”
Parlando un corno, pensò Bertie cercando rifugio in cucina, la prima stanza che gli capitò a portata di mano. Non era una gran scelta. La cucina era il regno di Vince; a Bertie sembrava di sentire perfino il suo odore nell’aria. E tra poco sarebbe stata ora di cena, quindi non c’era speranza di restare indisturbato.
Con un sospiro sedette sul davanzale basso, rassegnandosi a guardare da solo la spettacolare nevicata che proprio in quel momento cominciava a venire giù. Doveva essere con momenti come questo in mente che lo zio gli aveva dato le chiavi del cottage: guardare la neve abbracciato a Vince, il freddo che filtrava dal vetro tenuto a bada dal calore dell’altro, lo scoppiettio del fuoco di sottofondo.
E che litigio idiota, comunque.
Vince non si vedeva, l’orologio a muro segnava le sette e Bertie si stancò presto di guardare la neve da solo, perché da solo era triste. Da piccolo la guardava con Rupert e sua madre. A Eton e Cambridge aveva sempre trovato un compagno incline a fargli compagnia a notte fonda nel dormitorio, anche prima che entrambi capissero di cosa si trattava realmente, che tipo di compagnia cercassero davvero. Una volta Abigail Cheesewright l’aveva costretto a guardare la neve con lei, e anche se Gail era una ragazza prepotente e si era messa in testa di sposarlo, a Bertie non era dispiaciuto poi così tanto.
Si alzò. Non poteva davvero rimpiangere la volta che aveva guardato la neve con Abigail Cheesewright. Non erano messi così male.
Vince si era spostato dal tappeto al divano, e stava disteso con la testa appoggiata sul bracciolo. Quando Bertie fece rumore, si alzò subito per guardarlo. Aveva uno sguardo incerto e colpevole, come di un cucciolo messo in castigo.
Bertie decise che era sufficiente, anche se Vince non era venuto a cercarlo. Ma sapeva che non sarebbe venuto, perché Vince era fatto com’era fatto, e d’altra parte lui non si era allontanato per farsi inseguire. Non aveva più sedici anni.
“Vieni a guardare la neve?” chiese, accennando col mento alla finestra del soggiorno. Vi si diresse senza aspettarlo, sentendo i passi nudi di Vince seguirlo fino alla vetrata, e poi le braccia avvolte nella coperta stringerlo in un abbraccio.
Piegò il capo indietro contro la sua spalla e chiuse gli occhi.
“Non stai guardando” mormorò Vince.
“Non fa niente.”
Vince gli baciò la tempia, la palpebra chiusa. “Sono un pezzo di merda.”
L’orecchio, il lobo accaldato. “Allora siamo in due.”
Vince gli mise in mano un lembo della coperta e con le dita libere gli cercò il petto, i capezzoli, sotto il maglione ma attraverso la camicia. Bertie aprì gli occhi per accertarsi che nessuno stesse passando in strada, ma con quel tempo il viottolo che portava al cottage era deserto. Appoggiò un braccio sul vetro per avere più equilibrio e per strofinare leggermente il sedere contro il bacino di Vince.
Si sentì stringere contro la finestra; la mano di Vince abbandonò il suo petto per scendere a disfare i pantaloni. Bertie sospirò rumorosamente e appoggiò la fronte sul braccio quando Vince gli calò braghe e mutande con fare sbrigativo e lo prese nella mano, massaggiandolo finché non fu completamente eretto. Non era passato neanche un giorno dall’ultima - neanche dodici ore, a dirla tutta - ma Bertie si ritrovò con una voglia bruciante di farlo subito, lì in piedi, di venire contro la finestra mentre Vince lo prendeva.
Scopare mentre guardava la neve. Questo decisamente gli mancava.
“Prendi il coso” mormorò Bertie. “Il tubetto. È nel divano.”
“Nel divano?” ripeté Vince.
“Vicino al bracciolo.”
Vince obbedì, abbandonandolo per pochi secondi a se stesso, ma lasciandogli la coperta sulle spalle a mo’ di mantello. Recuperò il tubetto dal punto in cui Bertie l’aveva incastrato tra il bracciolo e un cuscino, tornando con più calma. Nel riflesso, Bertie gli vide un sorriso divertito.
“Il letto è lontano” spiegò, sentendo un’inspiegabile urgenza di giustificarsi. “Ti ricordi che ieri abbiamo dovuto…”
Vince sollevò la coperta che gli pendeva dalle spalle e scoprì la biancheria parzialmente calata. Le sue mani gli sembrarono quasi fredde sulle natiche accaldate dai vestiti e dal contatto di prima, per quanto breve, ma si scaldarono subito non appena cominciarono a toccarlo. Bertie si piegò un po’ di più contro il vetro, la bocca sul polso, lasciando perdere fuoco allo sguardo. I fiocchi di neve si sdoppiarono e presero a danzare davanti ai suoi occhi in una tempesta.
Non avrebbe pianto se pure Vincent gli avesse negato di lasciarsi scopare in futuro. Per quel che importava, Bertie amava come lo facevano di solito, la vecchia maniera deliziosamente monotona, le dita di Vince che lo preparavano, il suo respiro franto sulla schiena, i peli delle cosce che solleticavano i suoi. Non se ne vergognava e non aveva alcuna voglia di cambiare, se non di tanto in tanto. Il peso di Vince addosso, il senso di abbandono e completezza, e i brividi che non lo lasciavano fino all’ultimo istante di piacere, che lo accompagnavano fino alla spossatezza.
Si strinse intorno a indice e medio di Vince, aprendo le labbra senza volerlo in un richiamo soffocato, solo desiderando che facesse presto, che lo scopasse finalmente, perché sentiva l’impazienza bruciargli il petto e non ce la faceva più ad aspettare. C’era della saliva sul suo polso, e Bertie morse a fondo quando Vince lo penetrò di colpo in un solo movimento, ma un dolore dovette annullare l’altro, perché non ne avvertì alcuno.
Con la neve negli occhi gemette forte contro la propria carne, felice che Vince sentisse la sua stessa urgenza, il suo stesso desiderio di annullare ogni pensiero l’uno nell’altro, e di farlo subito. La coperta gli crollò dalle spalle e non se ne accorse, non si chiese cosa sarebbe accaduto se qualcuno fosse passato lì davanti per puro caso. Si portò la mano all’inguine e si sorprese di scoprire quella di Vince già lì, perché il piacere d’improvviso era così tanto che non gli era parso abbastanza, e ingordo da parte sua cercarne ancora.
Vince lo scopava come tutto il resto, come uno che ha il suo cuore e non può permettersi di perderlo, con una disperazione e insieme una felicità che motivavano ogni affondo, ogni punto esclamativo di possesso. Fosse stato lucido, Bertie avrebbe trovato la giusta chiave di volta filosofica per definirlo, ma non lo era, e quando il momento era sfumato non si ritrovava più niente in mano su cui razionalizzare.
Tolse la bocca dal polso per liberare i suoni che gli salivano dalla gola, e finì sentendoli tintinnare nelle sue stesse orecchie come cristalleria che va in frantumi, come l’infinito riverbero di un gong. Sentì l’umido cadere anche sulle dita di Vince, vide colare sulla finestra mentre Vince finiva in lui, appoggiato a lui che non sapeva per quanto ancora si sarebbe retto in piedi, che senza la finestra sarebbe caduto nella neve scrosciante trascinando l’altro con sé.
Poi Vince lo portò a letto e dovettero riposarsi un pochino, forse un’ora, perché Bertie si svegliò per la fame. Vince ridacchiò nella penombra, già sveglio o forse destato dal lamento del suo stomaco.
“Ti amo” disse senza motivo, spostando le lenzuola per ricoprirgli di baci la parte rumorosa. “Ti amo come un cretino.”
Una parte di Bertie gli disse che aveva a che fare col litigio, e reagì di conseguenza. “Non mi sono messo a parlare di James per farti arrabbiare” mormorò, con voce impastata.
“E io non l’ho mai fatto con due in una volta.”
“Tu… Vai al diavolo. E io che ci ho creduto. Vai al diavolo.”
“Ti amo” ripeté Vincent, baciandogli il petto. “Ti amo. Il mio cuore è tuo. Il mio culo è tuo. Prendimi quando vuoi e fammi scordare come mi chiamo.”
“Non te lo meriti.”
“Chiedimi qualunque cosa.”
Bertie si stirò, felice come un gatto, e neanche un po’ seccato. “Nevica ancora?”
“Mi pare di sì.”
“Apri la tenda e vieni qui, e guardiamocela insieme.”