Non ho mai scritto così tanto in tutto l'anno. Ciò dovrebbe bastare a rendere felice
medlannister, ma chi lo sa? Quella serpaccia sarebbe capace di dirsi insoddisfatta anche delle 5000 e passa parole scritte qua sotto :P
Noticina per Med: twinc, questa ff è stata scritta sfidando il mio subconscio che in genere si rifiuta di descrivere la fanfic!Fera in maniera approfondita e dettagliata e, soprattutto, di metterla in situazioni come quelle che seguono. Ci sono un paio di Easter eggs che ti divertirai sicuramente a trovare; la ff non è betata per ovvi motivi, per cui se vuoi giocare a fare la caccia all'errore fa' pure, mi sarebbe di grande aiuto.
Buon anno e... Buon Natale (in ritardo) <<<<<<<
Noticina per gli amanti del Perao: siete brutte persone.
FANDOM: Ferusaverse
PERSONAGGI: Fera, Med, Percy Weasley, comparse occasionali
RATING: più verde del verde
GENERE: uhm. Introspettivo, un po' di fluff, non angst ma quasi
PAIRING: ... No, non ce la faccio a scriverlo (anche perché non c'è. Forse solo da una parte, FORSE.)
LUNGHEZZA: 5797 parole, dice Word.
- Che diavolo significa?! Siete impazziti?
- Abbassa la voce!
Fera ignorò quell’avvertimento: non gliene fregava niente. Che la sentissero pure in tutto il reparto, in tutto l’ospedale. - Io sto lavorando, - strillò, mettendo in mostra le mani coperte di viscere di armadillo come prova della sua affermazione. - C’è gente che aspetta il suo antidoto contro la dissenteria da ore!
- Aspetteranno qualche altro minuto. - La voce dell’inviato ministeriale era fredda come il marmo. - Ora seguimi e non fare storie, ragazzina.
- Guaritrice - ribatté lei, secca.
- Eh?
- Sono una Guaritrice di primo livello, esigo che mi chiami con questo titolo.
L’inviato la guardò, non riuscendo a nascondere lo scherno, poi fece spallucce. - Basta che ti muovi, ragazzina - disse, e con una spinta non proprio gentile la costrinse a uscire dal laboratorio.
A Fera venne voglia di prenderlo a sberle. Le sarebbe piaciuto spalmargli quella brutta faccia di intestino di armadillo, ma qualcosa le disse che era meglio non tirare troppo la corda, così si limitò a pulirsi le mani sulla veste da lavoro.
Morgana, che schifo di giornata. Non bastava l’epidemia di dissenteria, ci voleva anche l’ispezione a sorpresa da parte del Ministero. Che poi, cosa diavolo volevano? Il San Mungo era in regola con tutto quanto, perché diamine…?
Bah, inutile chiederselo, tanto l’avrebbe scoperto di lì a poco. Si tolse gli ultimi residui di viscere da sotto le unghie e raggiunse Susan al centro del piccolo cortile interno dell’ospedale.
- Ah, eccoti - fece lei. - Che succede? Sai qualcosa?
Fera si limitò a scuotere la testa. Attorno a loro continuavano a radunarsi Guaritori e tirocinanti, e nessuno di loro sembrava avere la minima idea di cosa significasse tutto ciò.
Alla fine, quando l’intero personale del San Mungo fu stipato nel cortile, arrivarono gli inviati del Ministero. Quello che aveva costretto Fera a lasciare il laboratorio si portò la bacchetta alla gola e mormorò “Sonorus”.
- Signori, - disse poi, - è in atto un’ispezione autorizzata dal Ministro della Magia. Sarà breve, purché collaboriate e non ci intralciate.
Un mormorio si alzò dal gruppo di Guaritori. Evidentemente, nessuno aveva gradito l’interruzione inaspettata. - Il mio paziente ha un aculeo di Billywig infilzato in un occhio, - mormorò un uomo vicino a Fera. - Cosa vogliono, che diventi cieco?
- Ah, non ne parliamo, - rispose lei, con una smorfia sarcastica. - Ho dieci persone che non fanno altro che cagare da stamattina. Facciamo cambio?
Il Guaritore vece un verso divertito col naso. - Neanche per sogno, mi basta la merda che ho davanti gli occhi in questo momento - e indicò con un cenno della testa il gruppo di inviati. A Fera venne da sorridere: non conosceva quell’uomo, eppure aveva già scoperto di avere in comune con lui l’odio per i membri del Ministero.
- Ssshhh! - sibilò invece Susan, tirandole una gomitata nelle costole.
- Le persone che chiameremo, - proseguì l’inviato, - dovranno seguirci immediatamente.
- Perché? - chiese una persona in prima fila, che Fera non riuscì ad individuare.
- Nuove disposizioni ministeriali, - fu la risposta. L’inviato prese poi una pergamena dalle mani di un suo collega e la srotolò, ma prima che potesse iniziare a leggere fu interrotto da un’altra voce, stavolta familiare.
- Non penserà davvero che lasceremo l’ospedale e i pazienti senza saperne il motivo?
Fera si voltò di scatto. Due file dietro di lei c’era Med, la veste ocra da tirocinante imbrattata di sangue. Per un attimo, nel vederla, le venne da sorridere.
- Il motivo sarà reso noto solo ai Nati Babbani che chiameremo - rispose un inviato diverso dal primo. Quella frase fece ammutolire tutti. Non c’era persona, lì dentro, che non avesse letto la nuova posizione del Ministero sui Nati Babbani, e l’affermazione dell’inviato gettava una luce inquietante su quanto stava accadendo.
- Oh, cazzo - borbottò il Guaritore vicino a Fera, la quale, da parte sua, si sentì ghiacciare il sangue.
No, pensò, non è possibile, non possono prendersela anche con noi. Siamo Guaritori. Curiamo la gente. Perché dovrebbero farci una cosa del genere?
Rimase attonita, mentre la lista di nomi iniziava ad essere snocciolata. Alcuni le erano del tutto ignoti, altri li conosceva molto bene: tutti, senza eccezione, erano maghi e streghe figli di Babbani, esattamente come lei. E li stavano portando via così, da un momento all’altro, senza una spiegazione.
Come se servisse. Andiamo, Fera. Non hai letto gli ultimi Profeti? Non sai cosa dicono di quelli come te?
Con la coda dell’occhio guardò Susan, ma lei sembrava non essersi resa conto di ciò che stava accadendo. Allora si girò per cercare Med, e vide che questa le stava rivolgendo un’occhiata terrorizzata.
Lei aveva capito.
- Cohen, Gawain.
Il Guaritore accanto a Fera sospirò rumorosamente, poi si voltò verso di lei. - Occhio a non sporcarti con la merda, - le disse, poi si fece largo tra la folla per raggiungere gli inviati, proprio come avevano fatto tutti quelli chiamati prima di lui. E come avrebbe dovuto fare lei, entro pochissimo.
Sentì che la forza nelle gambe l’abbandonava, mentre realizzava cosa sarebbe successo. Era una Nata Babbana, quegli uomini lo sapevano, presto l’avrebbero chiamata e… e poi poteva solo lasciarsi andare a congetture. Un processo? O cos’altro? La linea del nuovo Ministero era tutto tranne che aperta e comprensiva nei confronti delle persone come lei, e il fatto che stessero prelevando figli di Babbani dal loro posto di lavoro somigliava in maniera terribile ad un rastrellamento.
E la storia insegnava molto bene come andasse a finire quel genere di cose.
- Duncan, Annabeth.
Fera si sentì stringere il cuore: Annabeth era una tirocinante, aveva iniziato a lavorare quel giorno, e così altri tre ragazzi che furono chiamati dopo di lei. Sapeva che il suo turno sarebbe arrivato presto, perciò chiuse gli occhi e cercò in tutti i modi di non lasciare che il panico la sommergesse. Doveva rimanere calma, a tutti i costi; doveva cercare di non pensare allo sguardo di Med fisso sulla sua nuca, a Susan che iniziava a capire la situazione, ai singhiozzi di Annabeth Duncan. Non doveva pensare a nulla.
- Gregson, Martin.
Bam. Fu come essere colpiti da una mattonata. Fera boccheggiò e oscillò, riuscendo a stento a tenersi in piedi.
Non l’avevano chiamata. Erano passati oltre l’iniziale del suo cognome senza nominarla, come se lei non fosse nella lista - ma era impossibile, dato che era una Nata Babbana. Doveva esserci. Di sicuro c’era stato un errore, un refuso…
Ma l’appello proseguì e il nome di Fera non venne fuori, neanche una volta. La ragazza assistette mentre i suoi colleghi venivano raccolti e scortati fuori dall’ospedale, nello sconcerto generale; non sapeva assolutamente cosa pensare. Che diavolo era successo?
Si riscosse solo alcuni minuti dopo, quando una mano le tirò un polso e la costrinse a spostarsi da dov’era. Spariti gli inviati ministeriali, i Guaritori erano tornati sciamando ai loro reparti, commentando a bassa voce quanto accaduto. Fera, invece, si ritrovò in un angolo del cortile, faccia a faccia con la sua vecchia amica.
- Stai bene?
Le ci volle un po’ per realizzare che la voce di Med esprimeva reale preoccupazione. Fu quello a farla riscuotere del tutto. - Credo di sì, - mormorò. - Sicuramente meglio degli altri.
Med scosse la testa. - Andiamo a prenderci qualcosa di forte, ne hai bisogno.
- No, devo...
- Qualsiasi cosa sia, può aspettare. Stai tremando.
Era vero. Le mani di Fera non riuscivano a star ferme; la ragazza le chiuse a pugno, ma il tremore si trasmise alle braccia. - D'accordo.
Non aveva processato subito lo spavento di quella mattina, ma quando si ritrovò sola con Med nella caffetteria del San Mungo scoppiò in lacrime. Aveva accumulato talmente tanta tensione e agitazione, in quei pochi minuti, da non riuscire a trattenerla oltre. Med doveva saperlo, altrimenti non avrebbe scelto il tavolino più isolato del locale; non disse niente mentre Fera singhiozzava a più non posso, il viso nascosto tra le mani.
- Non… Scusa, sono solo nervosa… - Si passò rumorosamente una mano sotto il naso, per poi rendersi conto di avere ancora delle interiora di armadillo tra le dita. - Oh… Fanculo.
- Tieni. - Med le porse un fazzoletto di stoffa evocato poco prima. - Meglio che tu ti faccia una doccia, più tardi, o puzzerai per i prossimi tre mesi - aggiunse poi, mentre Fera si ripuliva mani e viso.
- Che è successo poco fa? Era… vero?
La domanda non era retorica: Fera iniziava davvero a pensare che quanto accaduto poco prima fosse solo un sogno, una fantasia. Sedicenti inviati del Ministero erano venuti a sequestrare tutti i nati Babbani dell’ospedale - sì, “sequestro” era il termine giusto, i suoi genitori avvocati non avrebbero avuto dubbi - lasciando libera solo lei. Lei, tra tutti quei ragazzi di primo anno, tutti quei Guaritori affermati, tutte quelle povere persone senza colpa. Solo lei. Perché?
- Cazzo, Fera, hai veramente bisogno di qualcosa di forte se fai queste domande idiote. - La delicatezza di Med era sempre invidiabile. Fece portare due infusi e li allungò col contenuto di una fiala che teneva in una tasca del camice, “per le emergenze”.
- Beh, io brinderei - disse, alzando la sua tazza. - Non si scampa al Ministero tutti i giorni.
Bevve poi un sorso del suo infuso. Fera non la imitò. Aveva ancora i nervi tesi e quella domanda martellante nella testa: perché?
- Per Salazar, che merde. - La voce di Med si era fatta noncurante. - Dovevano proprio fare tutto quello spettacolo? Che bisogno c’era di far muovere tutto il personale dell’ospedale per prelevare una ventina di persone? Potevano semplicemente entrare in casa loro e risparmiarci tutto questo teatrino.
- Si chiama “intimidazione”. Mi stupisce che una serpe come te non arrivi a capirlo - replicò Fera, velenosa. Le frasi di Med erano così irritanti che le venne voglia di incenerirla con lo sguardo, ma quando alzò gli occhi vide che stava sorridendo. Chiaro, l’aveva detto apposta. Come poteva cascarci ancora, dopo anni che la conosceva?
- Bene, - le disse la sua amica, - ora che hai finito di piagnucolare e dire scemenze, ti va se ne parliamo?
Fera inspirò a fondo, annuì e giunse le mani. - Hanno preso tutti, - fece, con un filo di voce. - Tutti i Nati Babbani dell’ospedale. Così, senza preavviso.
- Ma non te.
- Lo so.
Finalmente bevve un sorso di tisana. - E non capisco perché, - aggiunse.
- Non dirmi che ti dispiace.
- Sei matta? No, solo… - Inspirò di nuovo, respingendo le lacrime. - Annabeth, Med. Annabeth è una ragazzina, le ho fatto vedere i reparti solo oggi… e quel Cohen, io…
- Onestamente, non me ne frega nulla. - La voce di Med si era rifatta dura, ma stavolta non scherzava. - Di Annabeth, di Cohen, onestamente, chi se ne frega. Se però avessero preso te, li avrei scuoiati vivi.
A Fera venne da sorridere. Non dubitava che Med l’avrebbe fatto sul serio.
- Ma non mi hanno presa, - replicò. - Il mio nome non è stato chiamato, nessuno ha fatto domande, ed è altamente improbabile che l’anagrafe del Ministero riesca a farsi sfuggire un cognome Babbano come il mio. Quello che non capisco è… perché?
Med non rispose subito. Prima deglutì quasi metà della sua tisana in un colpo. - Mi è capitata una cosa simile, l’altro giorno.
- Cosa?
- Sai che a tutti i Mezzosangue hanno mandato una lettera con l’ordine di presentarsi al Wizengamot, per accertare che si discendesse davvero da almeno un mago o una strega? Beh, io non l’ho ricevuta. - Dimenticando di mantenere un’apparente tranquillità, come faceva sempre, Med prese a mangiucchiarsi un’unghia. - Sulle prime ho avuto il terrore che il gufo si fosse smarrito, perché in quel caso se la sarebbero presa con me e mi avrebbero arrestata… ma quando sono andata al Ministero ad informarmi, ho scoperto che non mi era stata mandata nessuna lettera, che non era necessario. - Lasciò stare l’unghia e ridacchiò, nervosa. - Diamine, ho il cognome più Babbano del Regno Unito e nessuno si domanda se mio padre sia un mago o no?
Bevve di nuovo, mentre Fera la fissava basita. - Fammi capire, - disse infine quest’ultima, mentre lo spavento lasciava il posto alla comprensione, - sia io che te dovevamo ricevere controlli sullo stato di sangue, e invece siamo state risparmiate?
- Ehi, se non bevi quella tisana dalla a me. Non spreco del buon Laphroaig per una che non lo apprezza.
- Lascia perdere il Laphroaig! Questa è una cosa seria! - Si guardò attorno e abbassò la voce. - Sai se è successo a qualcun altro?
- Il Laphroaig è una cosa seria. E no, per quanto ne so non è successo ad altri. Almeno, tutti i Nati Babbani del San Mungo che conosco, e che erano presenti oggi, sono stati portati via.
- Tranne me. - Fera sospirò e si abbandonò sullo schienale della sedia. - E siamo daccapo.
- Non direi proprio. Io so esattamente come mai è successo tutto ciò.
Fera strabuzzò gli occhi. - Cosa?! E perché non l’hai detto subito?
- Perché non potevo esserne certa, fino ad oggi. - Med si scolò l’ultimo goccio di tisana e si asciugò le labbra con tutta calma. - Quando ho visto che solo tu mancavi nella lista di Nati Babbani, ho capito perfettamente.
- Capito cosa?! - Fera iniziò ad arrabbiarsi. Era palese che la sua amica stesse facendo di tutto per aumentare l’interesse nei confronti di quanto aveva da dire, mentre lei aveva solo bisogno di sapere. Perché non era insieme a Cohen e Annabeth, in quel momento? Cos’era che l’aveva evitato di essere prelevata davanti a tutti, nel cortile del San Mungo, ed essere portata verso chissà quale destino? - Porca miseria, Med, non fare la stronza proprio adesso: dimmelo e basta!
Per tutta risposta, l’altra la guardò negli occhi, dandole modo di notare per l’ennesima volta quanto fossero simili. Certo, Med aveva un viso più sottile del suo e il naso leggermente diverso, ma se Fera le osservava solo gli occhi e la fronte, aveva l’impressione di trovarsi davanti a uno specchio. Specchio che, in quel momento, la fissava con genuino divertimento.
- Mi stupisce che un corvo come te non arrivi a capirlo - rispose infine Med, imitando quanto detto dall’altra poco prima. - Prova a pensarci. Non c’è forse qualcuno, nel Ministero, che tiene abbastanza a noi due da evitare a me il fastidio di presentarmi al Wizengamot e a te un soggiorno ad Azkaban?
Sorridendo, si alzò in piedi e se ne andò, senza salutare. Fece pochi passi, poi si fermò e si voltò.
- Tra l’altro, visti i favori che ci ha fatto, mi pare proprio che tenga molto più a te che a me, - aggiunse, per poi andarsene davvero. Fera rimase a fissarla, sconcertata, finché non scomparve fuori dalla caffetteria. Solo allora capì cosa intendeva dire.
Non era possibile. Non dopo tutto quel tempo. Quando aveva lasciato Percy, gli aveva detto cose orribili: che lo detestava, che non sapeva più chi fosse, che non poteva stare con una persona capace di mentire in maniera così spudorata e in grado solo di pensare alla propria carriera. Gli aveva detto che non era mai stato un vero amico, che non sapeva perché diamine avesse deciso di mettersi con lui, che non voleva vederlo mai più. Non gli aveva scritto nemmeno una volta, non aveva chiesto di lui ai loro conoscenti comuni, aveva tagliato ogni legame con quello che era stato il suo migliore amico e ora era solo un estraneo. Percy, da parte sua, non l’aveva mai cercata in quei mesi, per cui Fera aveva pensato che avesse superato la rottura e, come minimo, ricambiasse l’astio che provava lei nei suoi confronti. Nemmeno una volta, la ragazza si era chiesta se così non fosse.
Quanto detto da Med quel giorno, però, le aveva dato da pensare. Se davvero erano state entrambe sottratte ai controlli del nuovo regime, chi avrebbe potuto volere una cosa simile? Qualcuno che le conoscesse, abbastanza addentro al Ministero da riuscire addirittura a modificare le liste di Mezzosangue e Nati Babbani. E per quanto si sforzasse di riflettere, a Fera veniva in mente solo un nome possibile.
Per questo, appena uscita dal San Mungo, aveva camminato per quasi un’ora prima di decidersi. Si era Smaterializzata a pochi passi dal luogo in cui, lo ricordava alla perfezione, c’era il piccolo appartamento di Percy - che per ben due anni era stato anche casa sua. Un pezzettino della sua vita era rimasto lì, tra quelle mura, in tutti quei mesi: per quanto Fera ormai detestasse anche solo il ricordo del suo amico - chiamarlo ragazzo era sempre stato troppo strano -, ripensava alla vita in quella piccola casa con grande affetto. Era stata il suo nido, il posto dove tornare ogni sera e non sentirsi mai estranea; abbandonare quel luogo l’aveva fatta soffrire quasi quanto lasciare Percy, se non di più. Per questo, tornare lì le diede una stretta al cuore inaspettata.
Le nuvole avevano reso ancora più scura l’aria della sera; fuori dal portone d’ingresso dello stabile c’era un lampione sbilenco, che emanava luce a intermittenza. Il sindaco di Londra non si era ancora deciso a farlo cambiare, constatò Fera con un mezzo sorriso. Attraversò il portone semiaperto, salì quattro rampe di scale e fece di tutto per ignorare la sensazione di soffocante nostalgia che le attanagliava le viscere - la giallognola luce elettrica, l’odore del tappeto sui gradini, le piante sui pianerottoli, nulla era cambiato di una virgola: tutto sembrava in attesa del suo ritorno, cristallizzato nell’istante in cui si era sbattuta la porta alle spalle ed era corsa via dalla propria vita.
Ogni dettaglio, fisso nella memoria, sembrava darle il bentornata a casa sua. Fera dovette fare uno sforzo per ricordarsi che no, non era tornata, né intendeva restare. Ciò che voleva era solo chiedere a Percy se davvero fosse stato lui a togliere il suo nome dalla lista dei Nati Babbani del San Mungo, perché una parte di lei non riusciva proprio a crederci.
Com'era possibile, dato il modo in cui lo aveva trattato? Eppure, il ragionamento fatto da Med filava. In ogni caso, Fera aveva bisogno di esserne certa.
Salì l'ultima rampa di scale e guardò il corridoio di fronte a sé. Gli appartamenti che il Ministero assegnava ai dipendenti con basso reddito non erano contrassegnati dai cognomi degli occupanti, ma Fera non ne aveva bisogno: ultima porta a sinistra, quella era casa di Percy. Fece due passi, ma si fermò; d'improvviso, la consapevolezza di stare per rivederlo dopo mesi la investì.
Come l'avrebbe accolta? Avrebbe pensato che lei volesse tornare insieme a lui? E cosa avrebbe dovuto dirgli, esattamente? "Senti, Percy, qualcuno mi ha praticamente salvato la vita oggi, sei mica stato tu? Ah, davvero? Bene, grazie, mi sono tolta il dubbio, addio".
No, decisamente non poteva. Forse era meglio girare sui tacchi e andarsene, tornare a casa e dimenticare quella storia; forse... Ma nemmeno quello sarebbe stato giusto. Se davvero Percy aveva qualcosa a che fare con quanto accaduto a lei e Med, il minimo che Fera poteva fare era mostrargli gratitudine. Anche a costo di mettere entrambi a disagio.
Con passo risoluto attraversò il corridoio, si mise davanti alla porta e, prima che il suo cervello potesse rimettersi a pensare alle conseguenze di quanto stava per accadere, bussò.
Ad aprire la porta non fu Percy, ma una ragazza alta poco più di Fera, con lunghi capelli biondi e occhi verde chiaro. Sorrideva. - Buonasera. Posso aiutarti?
Fera la fissò imbambolata. Tutto si aspettava, tranne quello. - Io... Mi dispiace, devo aver sbagliato portone, - balbettò. - Chiedo scusa.
Indietreggiò e fece per avviarsi nel corridoio. Accidenti, che sfortuna. Se Percy non viveva più lì, come avrebbe fatto a ritrovarlo? Quello si che era un problema...
- Fera?
Il respiro le si fermò a metà gola. Fera aveva sempre riso di quelle immagini retoriche presenti nei libri, che parlavano di sentimenti e ricordi risvegliati al solo udire una voce o rivedere una persona; in quel momento si diede della cretina, perché quelle stupide metafore avevano assolutamente ragione. Sentire la voce di Percy a mesi di distanza - sempre uguale, sempre così sua - le diede l'impressione che non fosse passato neanche un minuto da quando lo aveva lasciato.
Si voltò. Alle spalle della ragazza bionda, sulla soglia della porta, era apparso Percy; la fissava come avrebbe fissato un fantasma, o qualcuno che credeva morto ormai da tempo. Suo malgrado, Fera sorrise del suo shock.
- Ciao, - fece, riavvicinandosi all'uscio. - Cercavo te.
Percy non rispose. Continuò a fissarla come se non la credesse davvero lì; dopo qualche istante, si riscosse. - Ci penso io, tu aspettami di là, - disse, rivolgendosi alla ragazza bionda e appoggiandole una mano sulla spalla. Lei annuì, fece un cenno di saluto a Fera e tornò dentro casa. - Che cosa vuoi? - chiese poi Percy. Non sembrava affatto contento di rivederla, e Fera lo capiva benissimo. Ignorando la stretta allo stomaco, pensò rapidamente a cosa dire.
- Sono venuti degli inviati del Ministero in ospedale, oggi - spiegò infine.
- Lo so.
Il tono di voce era stizzito e sbrigativo. Percy parlava senza guardarla in faccia, le braccia incrociate sul petto in atteggiamento difensivo. Era evidente che la presenza di Fera non lo rendesse affatto felice.
- Dunque saprai anche che hanno portato via dei Nati Babbani sequestrandoli dal posto di lavoro, nemmeno fossimo negli anni Trenta.
- Le recenti decisioni del Ministero non mi riguardano. Non ho nulla a che fare con queste prese di posizione.
- Non è di questo che voglio parlare.
- Bene, siamo in due.
- Percy.
Sentendosi interpellato in modo diretto, Percy alzò istintivamente la testa. Era teso, e si vedeva lontano un chilometro che avrebbe voluto evitare quella conversazione in ogni modo. Fera lo ignorò: ora che aveva ritrovato il coraggio di parlargli, non si sarebbe fatta fermare da nulla.
- Percy. Io sono Nata Babbana, eppure il mio cognome non era nella lista.
Seguì un lungo silenzio, durante il quale Fera si prese del tempo per osservare il viso di Percy soffermandosi su tutti i dettagli che aveva dimenticato: l'esatta sfumatura di marrone delle sue iridi, il neo vicino all'occhio sinistro, la forma dei suoi lobi. Come aveva potuto rimuovere dalla memoria quei particolari? Era stata amica di Percy per circa otto anni, gli aveva voluto bene, eppure la sua mente aveva trattenuto un ricordo generico e sfumato del viso di lui. Guardarlo veramente, per la prima volta dopo mesi, le provocò una fitta di nostalgia.
- E quindi? - il ragazzo interruppe quel flusso di pensieri. Fera sospirò.
- Sai meglio di me che il Ministero non sbaglia mai, per cose del genere. Se non ero nella lista, significa che qualcuno ha cancellato il mio nome.
- E quindi? - ripeté.
- Quindi, io non conosco nessuno al Ministero tranne te. Per cui ho pensato...
- Non sono stato io a togliere il tuo nome dalla lista, se è questo che vuoi dire. - La sua voce era così tagliente che Fera ne rimase prima stupita, poi irritata. Pensava forse di essere l'unico arrabbiato, lì? Lei non aveva ancora digerito tutte le sue bugie, a cominciare da quella, orrenda, per cui i suoi genitori l'avessero cacciato di casa, quando invece era stato lui ad abbandonarli.
- Ah, davvero? - sbottò allora, nervosa. - È un sollievo. Temevo che Med ed io dovessimo essere in debito con te, ma per fortuna non è così.
Il colpo era basso e Percy lo incassò in silenzio, arrossendo di rabbia. - Non so chi sia stato, - insistette, - e se lo sapessi dovrei denunciarlo immediatamente al Wizengamot, visto che ha commesso un reato che definire "grave" è un misero eufemismo. Fossi in lui, non andrei a vantarmene in giro.
Quella risposta fece sgranare gli occhi a Fera. Oh cielo, quanto era stupida! Avrebbe dovuto pensarci subito: Percy non poteva ammettere di aver fatto una cosa del genere, in nessun modo. Se la notizia fosse arrivata a qualcuno, anche alla lontana, avrebbe passato dei guai veri. Per questo era così nervoso e cercava di evitare quel discorso, voleva solo chiudere la faccenda senza che la voce si spargesse.
- Io... Ho capito - mormorò lei, vergognandosi. Si sentiva immensamente idiota.
- Sicura? O vuoi che ti faccia un disegno?
Non rispose alla provocazione. Si ritrovò, invece, a guardare oltre la spalla di lui, verso l'ingresso dell'appartamento. Ben poco era cambiato: il colore delle pareti era lo stesso, come la sedia appoggiata in un angolo, ma la mensola che fungeva da libreria era stata spostata, e il quadro che Fera aveva regalato a Percy per il suo compleanno era sparito. Molte altre cose dovevano essere cambiate, là dentro.
Percy dovette intuire il corso dei suoi pensieri, perché guardo a sua volta in casa. - Vuoi entrare? - domandò poi, indicandosi alle spalle. La rabbia era completamente scomparsa dalla sua voce e dal suo volto, ma era chiaro che quella fosse solo un'offerta fatta per cortesia.
- No, grazie. Preferisco non disturbare.
- Non disturbi.
Quell'insistenza era strana, del tutto incongruente col tono del discorso di poco prima. Fera capì di aver ragione: era stato davvero Percy a togliere i nomi di lei e Med dalle liste, e ora che la faccenda era chiusa e non ne parlavano più, aveva abbandonato l'atteggiamento aggressivo e sembrava molto più disteso.
In ogni caso, rientrare in quella casa era fuori discussione. - Non te, magari, ma mi pare di aver capito che non sei solo.
Percy aggrottò le sopracciglia, poi parve ricordarsi della ragazza che lo attendeva all'interno. - Non... Lei non... Audrey è solo una collega, - balbettò, avvampando. - Mi ha chiesto una mano con dei documenti, e...
- Bene, dunque immagino tu abbia molto da fare - lo interruppe. Chi fosse quella bionda o quale fosse il suo rapporto con Percy, non era affar suo e non le interessava. - E io devo proprio andare.
- No, dai, aspetta.
Solo pochi minuti prima non riusciva a guardarla in faccia, ora invece la pregava di restare. Nonostante desiderasse andarsene da lì con tutte le sue forze, Fera non riuscì a muoversi.
- È così tanto che non ti fai viva... - proseguì lui. - Ti trovo bene.
Oh, quella sì che era un'enormità. Bene? Da mesi aveva smesso di tagliarsi i capelli, che ora si arruffavano sulla sua testa senza ordine e la costringevano a portare la coda ogni giorno; dormiva quattro ore a notte a dir tanto, e se ne vedevano i segni sul viso; aveva preso almeno tre chili, indossava il meno rovinato dei suoi mantelli e probabilmente aveva ancora delle viscere di armadillo appiccicate da qualche parte. Bene?
- Anche tu non stai male. - Guardò in basso, poi verso il corridoio. Non sapeva cos'altro dire, e in più si sentiva montare dentro un'indicibile nostalgia: della sua vita lì, dei giorni passati con Percy, o anche solo della loro amicizia. Perché le cose si erano dovute guastare in quel modo? Qualsiasi cosa avesse potuto dire o fare in quel momento, non sarebbe mai bastata a riportare la loro storia all'inizio. Fera non provava più quella fiducia cieca e completa in Percy, nonostante ora avesse un debito nei suoi confronti, e lui non poteva certo stare con una persona che lo aveva lasciato senza dargli neanche una seconda possibilità. Tutto quello che poteva esserci stato tra loro, non sarebbe mai più tornato.
- Senti, - mormorò, esasperata dai suoi stessi pensieri, - devo tornare a casa, non...
- Un secondo. Aspetta qui.
Facendole cenno di restare dov'era, Percy scomparve nell'appartamento. Di nuovo, Fera agì contro la propria volontà e la propria ragione: Smaterializzarsi in fretta e furia sarebbe stata la cosa più giusta da fare, ma non lo fece. Restò invece lì, per tutti i due minuti di assenza di Percy, a fissare l'ingresso ormai completamente visibile dell'appartamento e a rendersi conto che ogni singola, minima traccia della propria presenza lì era scomparsa: la sua sedia preferita, i suoi libri, le tende scelte da lei, non c'era più nulla di tutto ciò. Percy era andato avanti come aveva fatto lei, dimenticandola ed eliminandola dalla propria quotidianità - salvo ricordarsi di lei e aiutarla nel momento del bisogno. Lei avrebbe fatto lo stesso per lui?
- Eccomi. - Percy aveva un mezzo sorriso mentre tornava, e stringeva qualcosa in mano. - Questo lo hai dimenticato quando sei... Beh, te lo avrei spedito, ma non ero sicuro che lo avresti accettato.
No. Quello sì che era un colpo basso, altro che le frasette sarcastiche di Fera. La ragazza deglutì con forza, perché la nostalgia si era trasformata in un nodo doloroso alla gola che rischiava di trasformarsi in lacrime.
Accarezzò con lo sguardo il grosso tomo che Percy le porgeva. "Fiabe irlandesi", di Yeats, copertina verde prato, edizione illustrata. Il rivederlo riportò Fera indietro nel tempo, fino a poco più di due anni prima - l'estate successiva ai loro M.A.G.O. All'epoca Percy stava ancora con Penelope, i loro compagni di scuola Paul e Catherine avevano annunciato il loro matrimonio e, due settimane prima della data fatidica, quelli che erano ancora due grandi amici erano andati insieme a cercare dei vestiti adatti all'occasione e avevano poi bighellonato per Diagon Alley tutto il pomeriggio, fermandosi infine alla loro meta preferita: la libreria. Il Ghirigoro aveva sempre una bancarella fuori dal portone, con i volumi in offerta - per lo più di autori Babbani, difficilmente rivendibili ai maghi - e loro, topi di biblioteca fino al midollo, vi si tuffavano sempre con entusiasmo. Quella volta, Fera era rimasta estasiata nel trovare un'edizione praticamente perfetta delle "Fiabe irlandesi" e l'aveva sfogliata con avidità, salvo poi accorgersi che il prezzo era un po' troppo alto per le sue tasche. Delusa, aveva riappoggiato il volume sulla bancarella; nemmeno un istante dopo, Percy l'aveva afferrato e aveva dichiarato che gliel'avrebbe comprato lui, come regalo di compleanno anticipato. Fera si era rifiutata di accettare dato il prezzo eccessivo, lui le aveva ricordato di avere uno stipendio che poteva spendere come meglio credeva, e in breve ne era nata una lite scherzosa al cui culmine, in preda a chissà quale idea, Percy aveva alzato una delle sue lunghe braccia per tenere il libro fuori dalla portata di Fera e impedirle di rimetterlo a posto. Lei si era messa a cercare di riprenderlo, arrivando ad avvicinarsi all'amico e appoggiarsi a una sua spalla per allungarsi di più verso il libro.
Era stato allora che Percy aveva fatto qualcosa di assolutamente inaspettato e inspiegabile: con Fera quasi addosso, le aveva circondato i fianchi col braccio libero, stringendola leggermente.
Quella specie di abbraccio era durato solo pochi istanti, il tempo necessario a entrambi per rendersi conto di essere troppo vicini; subito Percy aveva lasciato la presa e Fera si era allontanata balzando indietro. Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, il ragazzo era scappato verso la cassa del Ghirigoro e aveva pagato il libro, tornando poi dall'amica come se niente fosse stato. Non ne avevano mai più parlato, ma entrambi sapevano, nel profondo, che quello era stato l'inizio della loro relazione, più ancora del bacio scambiato al matrimonio di Paul e Catherine quindici giorni dopo.
Era per quel motivo che Percy le stava rendendo il libro? Per dimostrare che anche lui aveva chiuso definitivamente con la loro storia? Ma no: stava sorridendo, tanto da sembrare assai più giovane e simpatico di quanto non fosse. Di solito, metteva su quell'espressione quando aveva fatto qualcosa di bello e si aspettava che Fera ne fosse felice. Ma cosa c'era di bello nel rivangare quella storia?
La ragazza inspirò forte e ingoiò il magone. - Puoi tenerlo tu, - disse, indietreggiando impercettibilmente. - Non ne ho bisogno.
L'espressione di Percy si mutò in stupita e delusa. - Ci tenevi un sacco, - insistette, - non puoi mica lasciarlo qui.
- L'ho lasciato apposta. Non ho spazio per tenerlo.
Era falso, ovviamente, ma non l'avrebbe data vinta a Percy. Aveva portato via da quella casa tutto ciò che le apparteneva, tranne quel tomo: voleva che fosse chiaro, a lui e a se stessa, che quella era davvero la fine. Non l'avrebbe certo ripreso ora.
- Andiamo. Non ci crederei nemmeno se lo vedessi con i miei occhi, che non hai spazio per un libro.
Fera alzò le spalle. - Non lo voglio. E poi l'hai comprato tu, è roba tua.
Stavolta Percy parve offeso. Si morse un labbro e restò ostinatamente col braccio teso a porgerle le "Fiabe". - Te l'ho regalato, - mormorò infine. - Prendilo. È tuo.
- Sei sempre il solito, Perce. Stai facendo aspettare una ragazza per uno stupido libro.
Sperò che il ricordargli la presenza di quella Audrey sarebbe bastato a farlo desistere; invece no. Percy abbassò il braccio, ma non smise di guardarla. - Non si tratta del libro. Lo sai.
Per la seconda volta in una sera, Fera capì quello che avrebbe dovuto intuire dall'inizio. No, non si trattava del libro, si trattava di tutto ciò che esso rappresentava: la loro amicizia, forse addirittura la loro storia insieme. In un modo contorto e tipico di lui, Percy le stava offrendo di riprendersi tutto ciò che aveva abbandonato nel momento in cui lasciava lui e quella casa.
È il mio cuore, te l'ho regalato. Prendilo. È tuo.
- No. - Fera scosse il capo. - No. Dico sul serio, tienilo. Non lo rivoglio.
Stavolta Percy si arrese. Chinò il capo e incurvò leggermente le spalle. - Nemmeno se...
- Mi dispiace tanto, ma ora devo proprio andare.
Il ragazzo annuì. Fera si aspettava che dicesse ancora qualcosa, invece restò a guardare il pavimento stringendo il libro con la mano destra; al che la ragazza capì di essersi congedata.
Mentre scendeva le scale, sentì la porta della sua vecchia casa richiudersi con forza.
- Lo sai che sei una scema, sì?
Fera sbuffò. - Ma che cavolo vuoi? Mi hai sempre detto che Percy è una merda, e ora che ho chiuso definitivamente con lui lo difendi?
- Percy è una merda, ma con te migliorava un pochino - replicò Med. - Ora non ha più speranze.
L'altra la ignorò. Seduta con le gambe accavallate sul divano, sorseggiava il suo Laphroaig. - Ci penserà la bionda a risollevargli il morale, non ti preoccupare.
Med rise e finì il suo bicchiere. Era bello avere un'amica con la casa sempre fornita di alcolici, pensò Fera, ed era ancora più bello potervisi recare quando voleva.
- Tu invece? - chiese poi. - Che hai fatto stasera?
- Io? Ho considerato l'idea di andare anch'io da Percy, ma ho evitato: dati i nostri trascorsi, probabilmente l'avrei Cruciato.
- O gli saresti saltata addosso. O entrambe le cose.
Per effetto del whisky, invece di arrabbiarsi Med scoppiò a ridere. - Per carità. Una volta chiuso, è chiuso per sempre.
- Esatto.
Riempirono di nuovo i bicchieri e brindarono. Sì, Fera sapeva di aver fatto la cosa giusta, almeno quella volta. Forse ci avrebbe messo un po' ad assimilarlo, forse ci sarebbe voluto del tempo, ma prima o poi anche Percy sarebbe andato avanti del tutto.
- Comunque, un po' mi dispiace. Tifavo per voi due.
- Pft, - fece Fera. - Siamo stati bene un po', ma ora non sarebbe lo stesso. Riuscirei a rinfacciargli il fatto di avermi mentito al minimo pretesto, lui ci starebbe male e saremmo da capo. Va bene così.
Med fece spallucce, bevve metà bicchiere e si accoccolò meglio sul suo divano. - Basta Weasley, quindi?
- Assolutamente.
E un altro paio di bicchieri dopo, ebbe termine anche quella lunga giornata.