"Corpse Road" per heaven_may_burn

Jul 09, 2008 00:40

Titolo: Corpse Road
Autore: norasblack
Fandom: Originale
Genere: Libero
Rating: PG


Corpse Road

Se c’era qualcosa che Matthew detestava, più della solitudine, di tutti gli altri e di tutto il resto, era la pioggia. Costante, fitta e rumorosa, che si abbatteva violenta contro i vetri del cottage in cui viveva dandogli la sensazione, se non la conferma, di essere in un posto dimenticato dal satellitare e da Dio. Come al solito, anche quel giorno nuvole grigie oscuravano il sole ed il cielo azzurro, e pozzanghere si stavano formando sull’uscio del ristorante e nel prato.

Con il capo posato contro il bancone d’ingresso, ed i capelli a coprirgli le fattezze del volto, il ragazzo si godette qualche attimo di silenziosa pace all’interno del locale. I genitori erano sul retro, a preparare alcune portate per il pranzo, ed il fratello minore doveva essere da qualche parte a giocare assieme ai cani. Era luglio, ma di turisti, più di qualche paio di coppie tedesche e giovani backpackers, in giro non ve n’era nemmeno l’ombra: il che poteva capirlo, dato che pochi temerari si sarebbero avventurati tra le verdi colline irlandesi con un tempo tanto brutto. (O, perlomeno, Matthew pensava che di certo lui non l’avrebbe mai fatto).

Si decise ad alzarsi soltanto quando sentì lo stridere di un’automobile sulla ghiaia bagnata del parcheggio e dei passi correre verso l’ingresso. Prese un ultimo sorso dal bicchiere di birra, e si avvicinò alla porta con aria annoiata. I capelli scarmigliati, l’aria assonnata sul viso e una vecchia felpa di un gruppo metal completavano il quadro.

«L’orario d’apertura…», iniziò, una frase detta e ridetta negli anni non sapeva quante migliaia di volte. S’interruppe, poiché non trovò di fronte a sé la solita chiassosa scolaresca in transito verso le Aran.

«Ti spiace tenerla? Non vorrei che si bagnasse… è questo il Connaught, sì?»

«Suppongo che non ce ne siano altri in giro…», commentò Matthew, stringendo la custodia della chitarra mentre l’altro ragazzo si copriva il capo con una guida ai bed&breakfast della regione, completamente accartocciata e umida. «è questo, entra. Entra pure», aggiunse.

Quando fece spazio all’altro nell’ingresso, sentì il fuoco crepitare nel camino, un lieve calore alle guance e il padre dirgli qualcosa dall’altro capo della cucina. Fece così accomodare l’ospite, tentando con tutte le forze di rimanere serio e distaccato. Talvolta gli capitava di desiderare il fallimento dell’attività di famiglia, o un impiego normale per entrambi i genitori, così da potersi godere le vacanze scolastiche nel sacrosanto riposo lungo le coste dell’isola.

Quel giorno, dando un’ultima occhiata al cliente seduto nel tavolo d’angolo, dovette mordersi il labbro inferiore per non sorridere scioccamente. Prima la chitarra, poi - dopo che si era liberato del cappotto in pelle - il colore nero su tutti i vestiti, la carnagione pallida, quasi evanescente, e il segno della matita sulle guance rendevano interessante il giovane arrivato: di certo, era il più interessante di quella stagione e della precedente, e l’ospite sembrava quasi rendersene conto - teneva lo sguardo fisso su Matthew, un sopracciglio alzato ed un lieve sorriso compiaciuto sulle labbra carnose.

Matthew non frequentava ambienti dark, goth o che altro, anche perché gli unici locali del genere si trovavano a molte e molte miglia di distanza, e non aveva modo di raggiungerli né ci teneva a farsi vedere accompagnato dai parenti, ma apprezzava la musica e seguiva qualche band tramite internet. Appena terminati i consigli di rito sulla scelta del menù, chiese al ragazzo se fosse un musicista, poiché ne aveva tutta l’apparenza a giudicare dalla chitarra e dalll’abbigliamento. Era bello? Forse; be’, sicuramente sì, ma Matthew non credeva che l’avrebbe mai ammesso davanti a qualcuno. Sapeva che un giorno, un giorno molto lontano, avrebbe dovuto fare i conti con questa sua propensione, ma per ora non voleva pensarci.

Il ragazzo al tavolo sorrise, alla domanda, spiegando che lo era stato, «all’incirca alla tua età», e Matthew sentì il peso dei propri sedici anni dritti sulle spalle e nello stomaco. Il peso della monotonia, anche. Della solitudine, soprattutto. Decise che, un giorno, avrebbe lasciato quel posto e avrebbe girato il mondo in lungo e in largo come quel giovane dalla camicia nera e i polsini in pizzo; avrebbe conosciuto persone, frequentato posti e scattato migliaia di fotografie.

Quando fu invitato a sedersi di fronte, poiché tanto non v’erano altri clienti e il lavoro era finito, il ragazzo gli mostrò l’itinerario che aveva disegnato sulla cartina e alcune note (cimiteri, cattedrali, chiese, nella fattispecie) che si era appuntato ai margini - con movimenti sinuosi e unghie dipinte di nero.

Matthew lo incalzò con domande sul viaggio, guardandolo dritto in volto ed augurandosi che i genitori sparissero silenziosamente o ritornassero in cucina. Si sentiva in soggezione per quell’interesse, seppure ingenuo e così superficiale, per qualcuno. Quando essi si allontanarono, Matthew alzò gli occhi al cielo e, in parte conscio, in parte sotto l’effetto della pinta di bionda bevuta poco prima e di quella offerta dall’altro, allungò un dito sulla mappa andando a sfiorargli la mano, lentamente; per ringraziarlo della birra.

L’altro rimase qualche attimo immobile, ed infine sembrò interpretare il gesto come una semplice presentazione. Aveva dita fredde e una stretta intensa per la sua costituzione.

«Ethan, e tu?». Nonostante il tono di voce fosse cordiale e l’accento francese lo rendesse leggermente buffo, Matthew si ritrovò ad allontanare la propria mano e a rinfoderarla tra le tasche del pantalone, dispiaciuto e un po’ amareggiato per il distacco dell’altro.

+

Quando Ethan pagò, e si allontanò, in cielo c’erano nuvole e un forte odore di pioggia impregnava il verde paesaggio collinare. Sulla ghiaia del giardino del cottage rimasero due lunghe strisce tessute dalle ruote di una Audi; indizi, quelle strisce, che per la verità servirono a molto poco dopo alle indagini in merito alla sparizione dell’adolescente irlandese.

Ethan ricordava di aver parlato qualche volta con quel ragazzino, tramite communities o conoscenze nei giri musicali, o non si sarebbe mai segnato l’indirizzo del cottage, e mai più si sarebbe sognato di allungare il percorso fino a lì solo per una bella faccia e qualcos’altro. Per cosa, poi? Gli era sembrato interessante, in quelle conversazioni; così solo, così desideroso di andar via da quel nulla e così pronto ad abbandonare in fretta e furia la propria vita per qualcosa in cui credeva. Così facile.

Aveva voglia di un compagno, Ethan; qualcuno pronto a fidarsi ciecamente di lui, e che volente o nolente avrebbe condiviso il suo vincolo, il suo fastidio e la sua condanna; qualcuno - si augurava - del quale magari non si sarebbe stancato dopo pochi giorni e del cui corpo non avrebbe dovuto sbarazzarsi dopo meno di una sola settimana di convivenza. Il giro di perlustrazione si era rivelato alquanto deprimente, e il ragazzo piuttosto noioso, rumoroso e irritante.

Quando l’automobile si fermò di fronte alle Aran era notte fonda, i lampi ne sferzavano di tanto in tanto il buio, che però avvolse - e, finalmente, accolse - soltanto la figura di un passeggero solitario.

!challenge: mad tea party, originale, autore: norasblack

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