Titolo: Close up the hole in my vein
Fandom: Saint Seiya
Personaggi: Gemini Saga, accenni agli altri Saint traditori della serie di Hades
Parte: 1/1
Genere: Introspettivo
Avvertimenti: Missing moment, One shot
Rating: verde
Note: scritta per la community
piscinadiprompt , seguendo il prompt "Saint Seiya, Saga, senso di colpa". Il titolo (lo so, fa pena) è un verso di 'My Sweet Prince" dei Placebo
Conteggio parole: 1374 + 35 (citazione) (
WCT)
“ Quanto a me, la mia anima si è incrinata,
e quando soffrendo vuol riempire dei suoi canti
la fredda aria notturna, la voce affievolita
pare il rantolo rauco d'un ferito abbandonato ”
(Charles Baudelaire, La campana incrinata)
Un respiro. Due respiri. I suoi respiri si fecero sempre più regolari. L’aria calda ed afosa tornò ad entrare nel suo corpo a cadenza regolare. Gli occhi tornarono alla loro funzione originaria, sebbene non riuscissero ancora a distinguere le forme che si pararono loro davanti. Tutto, nel suo corpo, sembrò indicare un perfetto funzionamento, niente gli avrebbe potuto impedire di riprendere le normali attività che ogni essere umano può svolgere quotidianamente. Niente sembrò spiegare il suo improvviso ritorno in vita.
Saga, dopo un primo momento di profondo smarrimento, fu in grado di mettere a fuoco il luogo del suo risveglio, prese coscienza dell’essere ritornato in vita nel piccolo e sobrio tumulo in cui era stato sepolto dopo la morte; la presa di coscienza dell'essersi ritrovato chiuso in quello spazio poco più grande del suo corpo gli causò un senso di profonda oppressione e l’aria sembrò improvvisamente mancargli per la paura. Nel tentativo di riacquisire un respiro regolare e di poter scappare da quel luogo angusto il prima possibile, le sue dita tremanti arrancarono verso l’alto, aggrappandosi in maniera spasmodica alla terra come un uomo morente si accanisce nel tentativo di aggrapparsi agli ultimi attimi di vita che gli rimangono. La sua forza fisica, resa possibile dai numerosi allenamenti svolti in gioventù, gli permise di raggiungere l’esterno in poco tempo.
Il Cavaliere trovò davanti ai suoi occhi, una volta raggiunta la superficie, un ambiente del tutto immutato rispetto all’ultima volta in cui poté osservarlo; tutte e dodici le Case, nella loro secolare immobilità, erano ancora immerse nel loro quieto biancore, messo in risalto dalla chiara luce lunare, ed erano sovrastate dalle imperiose case del Gran Sacerdote, come a vegliare sulla vita notturna dei suoi abitanti. Non per questo motivo, il suo ritorno alla vita e il suo riavvicinamento a quel mondo a lui noto fu meno angoscioso.
Silenzio. Non vi era altro che silenzio. Una mancanza di suoni che permeava quel luogo, come una cappa calata dagli dei per sottolinearne l’essere sacro e l’inviolabilità. La calma della pace che amplificava il rumore e il caos del pericolo e della guerra.
Quella calma raggelò Saga fin nel più profondo del suo essere. La tranquillità che pervadeva l’intero Grande Tempio si mischiò con l’aria fresca dell’estate greca ormai quasi al termine, entrando dentro di lui fino alle ossa. Quel fresco penetrò fra le crepe della sua anima, sembrò volersi intrufolare fino a quella parte di sé che, tredici anni prima, prese totalmente il sopravvento sulla sua mente, squarciando il pacifico silenzio che in quel momento regnava nell’intero Santuario. E Saga era profondamente spaventato dalla possibilità che quel freddo silenzio potesse far smembrare nuovamente la sua anima, riportando in superficie quella iniqua parte di sé che già aveva recato troppi danni in quel luogo sacro.
Un improvviso movimento, un lieve rumore ruppe quel pacifico silenzio che permeava il Santuario e riportò Saga alla realtà. E il gelo dentro di sé aumentò ancora di più nell’osservare da chi era stato prodotto quel suono.
Cinque paia di occhi erano rivolte verso di lui, dieci occhi altrettanto sconcertati e confusi per quel loro ritorno in vita tanto repentino quanto eccezionale.
Quegli sguardi rivolti verso di lui erano come spilli conficcati a fondo nella sua carne, come se essi avessero appena trovato la fonte originaria, il motivo cardine della loro morte e, in quel momento, avessero trovato un’occasione per poter raggiungere la loro personale vendetta. L’uno lo osservava come per ricordare a quel Saint che si era rivelato traditore la propria uccisione avvenuta proprio per mano sua, quell’atto destinato a far partire il periodo di decadenza del Grande Tempio; l’altro cercava espiazione per aver levato la sua spada, dono della dea a cui egli si è votato, verso un amico fraterno, ancora prima che un compagno d’armi, unico fra i dodici Saint rimasto veramente dalla parte di Athena, a non aver mai vacillato nella sua profonda fede; il terzo fu costretto ad affrontare quel ragazzo diventato Saint grazie ai suoi insegnamenti in una fazione diversa e lo indusse a uccidere il suo stesso maestro usando la sua stessa tecnica; gli ultimi due semplicemente avevano deciso di considerare vere le parole del falso Grande Sacerdote e di rimanere dalla sua parte, venendo marchiati a vita come traditori senza appello. E in quel preciso momento tutti quegli sguardi erano rivolti verso di lui, Saga, oppresso da quegli occhi accusatori che pesavano sulle sue spalle e sulla sua anima come macigni; nel vano tentativo di sfuggire a quei fantasmi dal passato, che gli parevano pieni di rancore per la condotta disonorevole di quello che fu uno dei più grandi fra i Saint al servizio della dea Athena, volle non aver mai distolto lo sguardo dai suoi vecchi compagni e dell’intermediario fra gli uomini e la loro dea.
La flebile luce bianca proveniente dall’astro lunare sembrò indirizzarsi verso un punto particolare di quel luogo, una chiara lapide che era messa in risalto più delle altre, pur non predominando su di esse; Saga vi poté leggere distintamente il nome inciso sulla candida pietra. Aiolos, Sacro Cavaliere del Sagittario.
La semplice presenza lieve ed incorporea di quel nome fu il colpo di grazia per il Saint, l’ultimo tassello che lo portò alla più nera disperazione: egli cadde in ginocchio, tremante per le lacrime che stavano salendo e stavano iniziando a bagnare i suoi occhi, chiedendosi perché gli dei stessero cercando di distruggere nuovamente la sua anima, già abbastanza provata dalla confusione e dai sensi di colpa prodotti da quel ritorno al suo mondo, con quell’apparizione. Quella semplice pietra, immota e lucente, era peggiore di qualsiasi immagine che Saga avrebbe mai potuto figurarsi o vedere davanti ai propri occhi: la sua placida immobilità, specchio della tranquillità della pace che Aiolos aveva ormai raggiunto, fu più efficace di ogni possibile parola o gesto nel ferire la mente di un traditore che faticava a trovare una via verso la redenzione.
Il chiarore che accerchiava la lapide, anzi, il chiarore che essa stessa sembrava emanare, non ebbe l'effetto che Saga più si aspettava: essa infuse in quell'animo tormentato dai rimorsi parve voler consolare quell'anima inquieta posta davanti a sé. E Saga finì per capire il senso di quel ritorno in vita.
All’apparenza, quegli eventi in apparenza incredibili, il ritorno dall’Ade di quei cinque spiriti, la possibilità di riottenere il loro vecchio corpo e quell’armatura che avevano indossato per tanto tempo e che avevano riottenuto, pur con un colore opposto all’originale, furono opera di Hades, dio della morte e delle tenebre: tutto questo aveva lo scopo di far nascere una guerra fratricida all’interno del Grande Tempio.
Andando al di là di quel buio superficiale, delle apparenze, era visibile la luce, la volontà della loro benevola dea, che, nella sua indulgenza, volle dare una seconda opportunità a quelle anime che apparentemente avevano smarrito la loro missione fondamentale; Saga ne era fermamente convinto, Athena voleva dimostrare come gli uomini, pur nella loro più assoluta imperfezione, non si limitano a permanere finché hanno vita nella loro condizione, ma continuano a vivere, tentando con tutte le loro forze di migliorare loro stessi, gli altri ed il mondo e il male che può annidarsi in loro non è una condizione assoluta.
In quanto a lui, Saga comprese che probabilmente le azioni compiute nei suoi ultimi anni di vita furono troppo gravi per poter essere completamente espiate attraverso quel semplice quanto fugace ritorno in vita; in lui si fece strada la consapevolezza che tutto quello che era in grado di fare in quel momento era mettere a tacere le voci che, nella sua mente, in quei momenti stavano continuando a rinfacciargli la sofferenza prodotta in così tante persone e il peccato di arroganza nei confronti degli dei.
Saga si rialzò, risoluto come lo era stato poche volte nella sua esistenza ed incurante dei tumulti che stavano sconvolgendo la sua anima, e si incamminò, sotto la guida di colui che aveva rifiutato come guida una prima volta e assieme a quei compagni ritrovati, verso un nuovo cammino pieno di dolore tanto per loro quanto per i loro antichi compagni da sempre rimasti fedeli ad Athena.